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26 Marzo 2017 - 28 Adar 5777
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l'accordo che porterà 20mila operai edili cinesi in israele

L'edilizia israeliana parlerà cinese

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La creazione di una zona di libero scambio fra Cina ed Israele, collegamenti aerei diretti fra Shangai e Tel Aviv ed una serie di accordi nel settore economico. Sono alcuni dei punti toccati, durante il vertice di Pechino, dal Primo ministro Benjamin Netanyahu assieme al suo omologo cinese Li Keqiang. Netanyahu, in occasione dei 25 anni di rapporti diplomatici tra i due paesi, ha infatti deciso di recarsi in Cina, dove ha incontrato i vertici della politica locale e alcuni dei più importanti uomini d’affari cinesi. “Vogliamo far sposare la nostra tecnologia con la competenza cinese – ha affermato Netanyahu durante il summit a cui hanno partecipato i ministri dell’Economia Eli Cohen, della Protezione civile Zeev Elkin e della Salute Yaakov Litzman – In Israele vogliamo condividere il nostro know how con la Cina per migliorare la vita dell’umanità e della popolazione cinese”. Nel corso del summit sono stati firmati 10 Protocolli bilaterali d’intesa sui diversi temi: dall’economia, alla salute fino all’educazione e, ovviamente, il settore high tech. E tra questi anche uno sull'edilizia: dopo mesi di trattative durante la visita di Netanyahu è stato infatti firmato un'intesa che porterà nel prossimo futuro 20mila operai edili cinesi in Israele (6mila nella prima fase). A lungo questa opzione era stata bloccata proprio perché Gerusalemme aveva imposto che i lavoratori cinesi sarebbero potuti arrivare in Israele solo a seguito di una firma di accordi bilaterali inerenti il contrasto al traffico di essere umani e, dal punto di vista commerciale, della cancellazione dei compensi di mediazione. 
Il settore immobiliare, spiega sito di informazione economica globes, ora spera che dopo la firma dell'accordo, il numero di lavoratori cinesi in progetti edilizi israeliani possa aumentare: il loro coinvolgimento - la speranza anche del ministro delle Finanze Moshe Kahlon - dovrebbe produrre una riduzione dei costi nel settore delle costruzioni.



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scoperti vicino a gerusalemme dei reperti che risalgono a 1500 anni fa

Monete che raccontano storie millenarie

img headerNei prossimi mesi un’autostrada che attraversa Gerusalemme riaprirà dopo una ristrutturazione, l’ultimo rinnovamento di una strada usata da secoli dai viaggiatori che visitano la Terra Santa. I trattori e i macchinari che hanno sgombrato la strada per la costruzione di un nuovo tunnel che fa parte del progetto hanno portato alla luce un villaggio cristiano che offriva rifugio ai pellegrini esausti che arrivavano a Gerusalemme circa 1500 anni fa. Alcuni archeologi israeliani hanno annunciato che nel sito sono state scoperte anche alcune rare monete risalenti all’era bizantina, che erano rimaste nascoste per circa 1400 anni all’interno delle mura di pietra di un vecchio edificio nel villaggio dissotterrato, che secondo gli archeologi si chiamava Einbikumakube.
In un’epoca in cui la presenza dei cristiani in Medio Oriente è in calo e i credenti sono spesso perseguitati, gli archeologi in Israele dicono che oltre un terzo dei circa 40mila reperti che vengono trovati nel paese ogni anno sono in qualche modo legati alla cristianità. È un argomento efficace, che dimostra il legame del cristianesimo – a fianco del giudaismo e dell’islam – con la Terra Santa e il Medio Oriente.
Domenica l’Autorità per le antichità d’Israele ha permesso ai giornalisti di osservare le monete da vicino, durante uno dei rari tour organizzati nel suo magazzino centrale, nascosto in una tranquilla zona industriale nella città di Bet Shemesh, a circa 40 minuti a ovest di Gerusalemme. Nel sito sono conservate decine di migliaia di reperti trovati in Israele dalla sua fondazione nel 1948 (mentre altri ancora vengono esposti nei musei israeliani). Molti dei reperti risalgono al periodo in cui si crede fosse vissuto Gesù, o sono prove dell’esistenza dei suoi seguaci nei secoli successivi.

Ruth Eglash, The Washington Post



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gli hotel in cui dormire con i bebè

L'albergo per neomamme

Grande andirivieni e un lieve profumo di borotalco. Sono queste le sensazioni che accolgono il visitatore alla reception del Baby Lis Hotel di Tel Aviv. Ci sono medici, infermiere, amici e parenti che si aggirano con palloncini rosa o azzurri. Ma soprattutto ci sono loro, mamme e papà che trasportano i bebè nelle culline di plastica per andare a bere un caffè al bar, incontrare il dottore nella nursery o partecipare al corso per imparare a fare il bagnetto. 
Ventisei camere a cinque stelle, pasti e pensione completa, più una serie di extra speciali. «Il nostro obiettivo è trasformare la maternità in un’esperienza da principessa» sottolinea Natalie Hurwits, energica quarantenne madre di tre figli e direttrice dell’albergo.
Oltre a quello gestito da lei, in Israele, che è il Paese con il più alto numero di figli per donna dell’area Ocse (3,1), esistono altri tre baby hotel, Baby Assaf e Sheba Baby nei dintorni di Tel Aviv, e Hadassa Baby a Gerusalemme. A renderli unici è il fatto di essere parte degli ospedali cui sono associati, garantendo alle clienti la loro assistenza medica. Il Baby Lis, il solo completamente privato, si trova nello stesso complesso dell’Ichilov, eccellenza nel cuore della città. Le future mamme possono prenotare 60 giorni prima del parto. Quando arrivano in ospedale con le doglie, avvertono anche l’hotel, che rimane in costante contatto con i medici. Il trasferimento può avvenire già otto/dieci ore dopo la nascita.

Rossella Tercatin, La Stampa

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imprenditoria giovanile

Il paese del netowrking

«Giro... vedo gente... mi muovo... conosco... faccio cose» era il 1978 quando Nanni Moretti in «Ecce Bombo» introduce ante litteram il concetto di fare networking. Quasi 40 anni dopo la rete di relazioni è stata studiata ed esaminata a livello globale, sotto ogni punto di vista. Oggi Israele è uno dei paesi al mondo che più di altri ha costruito la sua immagine sull’importanza di fare girare l’economia accorciando i gradi di separazione tra le persone. Secondo la più recente indagine dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), da tredici anni consecutivi l’economia di Israele cresce mediamente del 4% annuo, ben più che in molti altri Paesi.
In una pubblicazione sulle piccole e medie imprese e sull’imprenditoria in Israele nel 2016 si legge della «Start Up Nation» come «una delle economie di maggior successo al mondo per le imprese basate sulla tecnologia, aziende che impiegano circa il 10% della popolazione che lavora». Nonostante sia un Paese piccolo, con poco più di otto milioni di abitanti, privo di risorse naturali e travagliato da frequenti guerre, Israele è riuscito ad aumentare la sua crescita economica di cinquanta volte in sessant'anni e a diventare il centro propulsore dell'hi-tech, vantando oggi più start-up pro capite della Silicon Valley.



Fabiana Magrì, Vanity Fair

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