esodo/scontro

Lo scorso sabato abbiamo finito la lettura del libro dell’Esodo. Nelle ultime righe si parla della nube, segno della presenza divina, che nel deserto accompagnava “i figli d’Israele in tutti i loro spostamenti” e si posava sul tabernacolo “in tutte le loro fermate”. E’ notevole il fatto che i concetti di “spostamento” e “fermata” siano espressi dalla stessa parola ebraica, “mas’ehem”, in piena contraddizione, perché o ci si sposta o si sta fermi. Rav Sacks spiega che in questo paradosso è riassunta una caratteristica essenziale d’Israele e della sua religione: l’idea che non ci sia nulla di stabile, che ogni fermata è solo apparente e che il movimento è l’essenza della nostra condizione, ma non solo quella delle persone: non solo l’ “ebreo errante”, ma anche la “presenza divina errante” con noi, presente ovunque ma sempre vicina.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Qualche anno fa, in un convegno in Francia, Gideon Lévy, firma prestigiosa e scomoda di Haaretz e il filosofo André Glucksmann si scontrarono aspramente su un tema ancora molto attuale. Lévy sosteneva che di fronte a eventuali atti ingiusti o illegittimi dell’esercito israeliano, si sentiva moto più coinvolto e spinto alla denuncia che se a commettere ingiustizia fossero stati degli altri, perché fra le sue priorità assolute era l’etica degli israeliani. Glucksmann sosteneva che questo era un discorso ben poco universalistico, che si occupava solo degli ebrei, che invece, secondo lui, andavano valutati con lo stesso metro degli altri popoli e degli altri eserciti. La questione è tuttora aperta, mi sembra e scioglierla continua a non essere facile.

Anna Foa, storica