Rabbini rinascimentali

I rabbini e il rabbinato sono sempre più all’ordine del giorno nel dibattito fra gli ebrei italiani, sia in bene sia, più spesso, per evidenziarne manchevolezze e criticità. Ma dove affonda le radici questa istituzione? Una risposta a questa domanda ce la dà il libro di rav Roberto Bonfil, Rabbini e Comunità ebraiche nell’Italia del Rinascimento, finalmente pubblicato in italiano per Liguori Editore (anche grazie all’incoraggiamento di rav Riccardo Di Segni), dopo l’edizione originale ebraica del 1979 e quella inglese del 1990. La traduzione italiana, arricchita da splendide immagini dell’epoca, è stata condotta su quella inglese, che più si prestava a rendersi in italiano, ed è stata rivista, oltre che ovviamente dall’autore stesso, da Alessandro Guetta e da Anna Segre. Per quanto il periodo affrontato sia quello che va dal 1450 al 1600 e certamente molte cose siano cambiate da allora nell’ebraismo del mondo e dell’Italia, credo che questo libro sia utilissimo anche per capire cosa sono i rabbini italiani di oggi. Quando comparve in Italia il rabbinato in quanto istituzione? Che forme assunse? Come si diventava rabbini e cosa facevano? Che prerogative avevano (ad esempio, in materia di scomuniche) e che rapporti avevano con i parnassim (capi “laici” della comunità)? Qual era lo status sociale del rabbino? Come si guadagnavano da vivere? Chi erano i rabbini itineranti? Qual era il mondo culturale dei rabbini e come si confrontavano con le scienze, la filosofia e la kabbalà? Sono solo alcuni degli argomenti di cui si occupano le 350 pagine di questo libro che è un must per chiunque si interessi dell’argomento. Ne esce fuori un’immagine di rabbini come di persone niente affatto marginali all’interno della comunità ebraica, a differenza di quanto traspare in molti altri testi di storia ebraica italiana, dove spesso si assegna ai rabbini un “ruolo negativo di centripeti promotori di oscurantismo intellettuale”, contrapposto a un ebraismo proteso verso una presunta “felice integrazione socio-culturale” nel mondo circostante. Certo, l’autore è di formazione rabbinica (con laurea in fisica), ha studiato presso la Scuola Margulies di Torino diretta da Rav Dario Disegni conseguendo la laurea rabbinica nel 1959 e, da allora fino al 1968, è stato vice-rabbino capo (di fatto, svolgeva il ruolo di rabbino capo) a Milano, prima di fare l’aliyah in Israele e intraprendere una brillante carriera universitaria come storico alla Hebrew University di Gerusalemme (dove è Professore Emerito di Storia medievale e rinascimentale degli Ebrei). Certo, il quadro che emerge è – come Bonfil stesso dice – “naturalmente espressione della [propria] idiosincrasia e della [propria] coscienza storica”. Ma non è certo per corporativismo che le conclusioni di Bonfil vanno controcorrente rispetto a quelle di altri studiosi, quanto piuttosto perché proprio grazie alla sua formazione rabbinica ha avuto accesso a una miriade di documenti, manoscritti, teshuvot (responsa), libri di letteratura rabbinica assolutamente preclusi a chi non ha un background di studi talmudici e rabbinici.
Come rav Bonfil ama ripetere e come scrive alla fine della prefazione appositamente scritta per l’edizione italiana, “Ai miei ‘venticinque lettori’ ora l’arduo compito di dare nuove destinazioni ai miei Rabbini”.

Gianfranco Di Segni – Collegio Rabbinico Italiano

Il Collegio Rabbinico Italiano bandisce un concorso per tre cattedre di docenza per il triennio 2013-2015. Clicca qui per leggere il testo integrale del bando.
(9 maggio 2013)