“La filosofia di Rosenzweig
è un ponte tra mondi diversi”

irene2Negli ultimi anni si sta assistendo a una riscoperta della figura e del pensiero del filosofo ebreo-tedesco Franz Rosenzweig, anche grazie a convegni internazionali di grande rilevanza come quello in corso a Roma in questi giorni. Un simposio di quattro giorni, diffuso in più sedi, organizzato dal Dipartimento di Filosofia della Sapienza Università di Roma, dal Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici della Pontificia Università Gregoriana, dalla Società di Studi su Franz Rosenzweig, e supportato anche dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
La professoressa Irene Kajon, docente di filosofia morale e antropologia filosofica alla Sapienza, è tra le organizzatrici del convegno e fa parte del comitato scientifico che ne ha supervisionata la realizzazione.

Professoressa, come nasce l’idea di questo incontro così ampio e approfondito su Franz Rosenzweig?
Il convegno nasce per impulso della Società Rosenzweig, fondata alcuni anni fa da Wolfdietrich Schmied-Kowarzik, un professore tedesco convinto dell’attualità del pensiero di questo filosofo, qui con noi in questi giorni. La Società ha promosso incontri di questo livello in diverse città, a Gerusalemme, a Parigi, a Francoforte, a Toronto, e il simposio romano fa parte di questa serie.

Perché il pensiero di Rosenzweig torna oggi ad essere attuale?
Perché Rosenzweig è stato in grado di porre in contatto elementi e mondi molto diversi, presenti nella sua formazione. Nacque in una famiglia di ebrei tedeschi pienamente integrati nella società, si formò nelle università tedesche, conosceva e amava a fondo la cultura tedesca, ma era ebreo e nel suo pensiero le fonti ebraiche hanno una fondamentale rilevanza. Aveva dei cugini cristiani, ed egli stesso pensò di convertirsi. Non lo fece, ma per tutta la vita rimase in contatto e dialogò con persone dell’ambiente teologico cristiano. Infine, il suo rapporto con le lingue: lui tradusse testi ebraici e la Bibbia dall’ebraico al tedesco, insieme a Martin Buber, altro elemento di contatto, di ponte tra diversità, tra linguaggi diversi.
In una realtà come quella odierna, in cui le culture tendono a intrecciarsi e anche a scontrarsi, il suo è un pensiero interessante, perché cerca di unire realtà lontane.

Questo convegno pone l’attenzione proprio sulla congiunzione “e” nella sua opera, sulla capacità di unire che è caratteristica del suo pensiero.
I convegni su Rosenzweig tenuti nelle altre città hanno proposto un focus, che facesse da filo conduttore, come per esempio l’educazione o il rapporto del filosofo con la cultura tedesca. Abbiamo pensato di proporre il tema della congiunzione “e” perché ci sembrava aiutasse a collegare più elementi del suo pensiero, e perché come detto la sua è una logica che unisce, che mette insieme. Inoltre, essendo il convegno organizzato anche dall’Università Gregoriana, abbiamo voluto porre l’attenzione sulla teologia, e sul rapporto tra ebrei e cristiani, e quindi la “e” ci aiutava a unire diversi mondi, filosofia “e” teologia, ebrei “e” cristiani, e a trovare un argomento comune tra istituzioni diverse.

Rosenzweig, scomparso nel 1929, non vide l’affermarsi del nazismo, una ideologia totalitaria diametralmente opposta alla sua visione universalista, dialogante, accogliente. Come avrebbe reagito a tale stravolgimento nella sua amata Germania?
Non sappiamo come avrebbe reagito, ma lui fu in grado di cogliere i primi sintomi dell’antisemitismo che covava in Germania. Il nazismo fu il culmine di un atteggiamento antiebraico che era da tempo presente in alcune tendenze della cultura tedesca, una cultura romanticheggiante, nazionalista, irrazionalista, che equiparava l’ebraismo al cosmopolitismo, al razionalismo, all’illuminismo, alla Rivoluzione francese, tutti elementi considerati affini alla mentalità ebraica. Lui colse il diffondersi di certe idee, ma per fortuna non la loro completa affermazione in chiave razzista, che è un po’ più tarda.

Marco Di Porto

(22 febbraio 2017)