Popolare e populistico

SoraniCredo che molti di noi si chiedano spesso cosa porti masse di italiani ad assentire con entusiasmo agli slogan egoistici, alle posizioni superficiali, agli atteggiamenti sfacciatamente propagandistici di chi ci governa da più di un anno. Possibile che non risulti evidente ai più la falsità di questo neo-nazionalismo a buon mercato e il calcolo squisitamente elettoralistico, legato al potere per il potere, che sorregge tutto l’edificio? Forse una possibile risposta al quesito sta nella differenza di significato tra l’aggettivo “popolare” e il suo più attuale derivato “populistico”. Popolare è ciò che genuinamente risiede o emerge nella realtà del popolo inteso come gruppo sociale e nazionale relativamente omogeneo. Populistico è ciò che da un lato tende a sollecitare il favore popolare e dall’altro esprime il consenso acritico, mitizzante, esaltatorio nei confronti di movimenti sedicenti democratici e di capi più o meno carismatici: proprio quell’inneggiare passivo così caratteristico dei nostri giorni.
Riflettevo su questo interrogativo e su questa differenza visitando due giorni fa una bella mostra, apparentemente assai distante dalla realtà sociale e politica di oggi. “Noi. Non erano solo canzonette” è il titolo di una esposizione chiusasi domenica alla Promotrice delle Belle Arti di Torino: “gli anni che hanno rivoluzionato i sistemi sociali, etici ed economici del nostro Paese, raccontati dalla Musica che ha saputo parlarne il linguaggio, descriverne i fatti, respirarne il clima e restituirne le emozioni”, recita la didascalia di illustrazione. La vicenda decisiva della società italiana dal boom economico ai primi anni Ottanta vista attraverso l’ottica particolare – popolare, appunto e non populistica – della canzone d’autore. E’ un percorso lungo, complesso, a suo modo entusiasmante che – partendo dall’illuminante introduzione filmata di Giovanni De Luna – ci porta da “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno a “Splendido splendente” di Donatella Rettore, dagli anni della prepotente e contraddittoria crescita economico-sociale a quelli dell’emergente disimpegno. Il percorso è certo marcato con continuità da ascolti coinvolgenti per chi ha vissuto quegli anni e ritrova in essi momenti essenziali della propria gioventù e della propria esperienza; ma le canzoni e i grandi cantanti e cantautori specchio di un’epoca di radicale trasformazione (Domenico Modugno, Fred Buscaglione, Renato Carosone, Mina, Milva, Ornella Vanoni, Sergio Endrigo, Adriano Celentano, Gianni Morandi, Lucio Battisti, Patty Pravo, Giorgio Gaber, Francesco Guccini, Fabrizio De André, Lucio Dalla, Francesco De Greori…e molti altri) sono inseriti in un vero e proprio itinerario cronologico e tematico: il boom economico, la villeggiatura, la catena di montaggio, gli esodi sud-nord e gli epici viaggi in treno nord-sud, la nascita e l’esplosione sociale della televisione, la pubblicità (“Carosello”), il Sessantotto e la contestazione giovanile, le grandi conquiste civili, le trasformazioni del costume e della morale comune, le tensioni sociali e il terrorismo. Può sembrare superficiale o aneddotico ripercorrere tappe così centrali della nostra storia sul sentiero tracciato dal mondo della canzone; in realtà attraverso questo viaggio appassionante appare chiaro il contrario: le canzoni appunto non sono “solo canzonette”, ma vanno fortemente rivalutate per la capacità (che spesso esula totalmente dal loro effettivo valore musicale) di riflettere un clima, evocare sensazioni idee aspirazioni, preludere a cambiamenti in corso, addirittura interpretare situazioni sociali e politiche. Non tutte ci riescono allo stesso modo, si capisce; i testi di grandi autori come Gaber, Guccini, De André, Dalla guardano più avanti e in modo meno autoreferenziale. Ma lette e ascoltate con la consapevolezza di oggi rispetto a quelle fasi della nostra vicenda, tutte assumono un evidente significato nel percorso che abbiamo attraversato, tutte si portano dietro un pezzettino di storia. Sì, perché la storia può essere ricostruita e valutata adeguatamente anche per mezzo della canzone d’autore. E’ qui che cogliamo e apprezziamo il senso effettivo del termine “popolare”. Le canzoni sono comunque documenti autenticamente popolari, perché in qualche modo nascono dalla situazione socio-culturale in cui sono create, dalle aspirazioni condivise di un’epoca, dalla visione del mondo dei loro autori di fatto calati in una realtà di vita vissuta. E il tessuto popolare è tessuto storico, appunto: fa storia, la documenta, la vive, la ripercorre.
Ma il senso di appartenenza autenticamente popolare, il vissuto popolare, il senso storico popolare sono ai nostri giorni molto carenti. Per questo si esce dalla mostra affascinati e partecipi, però anche un po’ malinconici. Oggi, purtroppo, è il “populistico” a sommergerci.

David Sorani