Paolo Finzi, ebraismo ed anarchia

“Non tu ma l’opera che hai inizia- to ti rende indispensabile per l’umanità!” Scrisse così il poeta anarchico e ebreo Erich Mühsam (1878 – 1934), ucciso dai nazisti nel campo di concentramento di Orianenburg. Parole che Francesco Moises Bassano ha richiamato per ricordare la figura di un altro anarchico, recentemente scomparso: Paolo Finzi. A lui, al suo lavoro come direttore della rivista anarchica A, al suo rapporto con l’ebraismo e alla sua visione di libertà è dedicato un recente colloquio della redazione di Pagine Ebraiche con lo storico Claudio Venza, già professore di Storia della Spagna contemporanea all’Università di Trieste. “Finzi era una persona molto attenta, puntuale, puntigliosa. Era rispettoso dell’interlocutore, lo ascoltava e spesso gli chiedeva di collaborare ad A rivista. Una realtà che lui portava avanti da quasi trent’anni praticamente da solo. Era per lui un impegno a tutto tondo. ‘L’amor mio’ come diceva una canzone”, spiega Venza, ritraendo poi il carattere di Finzi legato alla sua visione del mondo. “Un’individualista certamente, ma va considerato che nell’anarchismo l’individualismo non è un peccato. Anzi. Non è solamente una tendenza ma una componente indispensabile. Un movimento organizzato richiede un accordo tra più individui, un accordo che è una forma di collaborazione che rispetti l’individuo per cui questi è completamente libero dentro il movimento” in questo caso, appunto, anarchico. Ovvero, spiega il docente, un movimento che contesta “ogni società gerarchica, contro lo Stato inteso come apparato repressivo e quindi per le libertà, l’eguaglianza e altri valori importanti come la libertà e l’autonomia dei singoli soggetti”. Valori a cui si richiamava Finzi nel suo lavoro e impegno.

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