Come il 1989

Nella mia nota di mercoledì scorso, dedicata ai molteplici accordi di pace sottoscritti tra Israele e alcuni Paesi arabi, suoi storici e ostinati nemici, avevo sollevato tre distinte domande, alle quali mi riservavo di cercare, in seguito, delle risposte: cosa è accaduto, cosa sta accadendo? Perché è accaduto, perché sta accadendo? Cosa accadrà in futuro, e cosa si può fare affinché tale fenomeno (indubbiamente positivo: solo chi sia accecato da un fanatico pregiudizio, come alcuni commentatori nostrani, può negarlo) abbia a consolidarsi ed estendersi in futuro?
Riguardo alla prima domanda, penso di avere in pratica già risposto la volta scorsa, nel sottolineare la grandissima portata storica di questo fenomeno, che ho paragonato, per molti versi, alla caduta del Muro di Berlino. E sorprende che alcuni mostrino di non rendersene conto, perfino il grandissimo Harari, che ha detto: “Tra Emirati e Israele non c’è mai stata guerra, che senso ha parlare di pace?”. Non c’è stato guerra guerreggiata, è vero, ma lo stato di guerra c’è stato, e come, ufficialmente dichiarato con un’apposita Dichiarazione sottoscritta (allora si usava ancora farlo) lo stesso giorno dello scoppio del conflitto del ’67, insieme agli altri 20 Paesi arabi. Anzi, il fatto che ci fosse una guerra non effettivamente combattuta rende, se possibile, ancora più significativa questa pervicace, radicata, assoluta ostilità, la cui natura pareva avere una natura esclusivamente psicologica, irrazionale, e proprio per questo difficile da comprendere e da rimuovere. Questo blocco mentale, questa assurda “paura del buio” non sono certo finiti, ma stanno cominciando a cedere, a venire meno. Una cosa, ripeto, di straordinario rilievo sul piano politico, ideologico, storico.
Perché sta accadendo? Gli arabi, alcuni arabi, hanno capito di avere, in passato, sbagliato?
Riguardo a tale domanda, torna il mio solito pessimismo. Non credo infatti, che in questi Paesi (ai quali, sia chiaro, guardo con grande rispetto) sia in atto un mutamento culturale per quanto riguarda i valori della pace, della democrazia, della libertà, dei diritti civili ecc. Non lo credo, semplicemente, perché, da quanto ci è dato di saperne, le cose non vanno in quella direzione. Avevo sempre pensato che un avvicinamento politico tra Israele e i suoi vicini ci sarebbe stato solo a seguito di un avvicinamento, almeno parziale, sul piano dell’adesione a un linguaggio comune, ad alcune regole basiche fondamentali del vivere civile, quali il libero pensiero, il diritto al dissenso, l’accettazione delle diversità ecc. Ma, evidentemente, non è così, almeno non in questo caso, perché a me pare che l’elemento fondamentale di questo cambiamento di prospettiva sia un altro, ossia la paura.
Spesso in Occidente si fa l’errore (anch’io lo faccio di frequente) di confondere le opinioni pubbliche con i governi, sulla base delle nostre esperienze, che vedono i governanti in genere riflettere, almeno in qualche misura, gli umori e le tendenze dei governati. Ma se ciò funziona, più o meno, nei sistemi democratici – nei quali, indubbiamente, i cittadini hanno degli strumenti di partecipazione e di incidenza sulla vita politica – questo rapporto è molto più esile nei regimi totalitari, nei quali le opinioni pubbliche hanno un peso molto minore. E la verità è che, alle opinioni pubbliche degli Emirati, del Bahrein, dell’Oman, dell’Arabia Saudita ecc., di Israele non importa proprio niente. Non importava niente ieri, quando l’antisionismo era ideologia di stato, e non importa niente oggi, nella nuova stagione di pace. Erano e sono i governanti a usare Israele, di volta in volta, secondo i propri interessi del momento. Ieri faceva comodo essere tutti uniti nel blocco antisionista, credendo che questa finta unità panaraba portasse dei benefici a livello politico. Oggi, resisi tutti conto che di benefici non ne sono venuti affatto, è emerso il nuovo elemento della paura.
Paura di cosa? È chiaro: delle mire aggressive ed espansionistiche dell’Iran e della Turchia, dalle quali sceicchi ed emiri si vedono direttamente minacciati. La comune appartenenza alla comune fede islamica ha indotto molti analisti a considerare questi Paesi ‘naturalmente’ alleati, ignorando secoli e secoli di feroci lotte intestine, non solo tra sunniti e sciiti, e all’interno di ciascuna delle due comunità, ma, soprattutto, tra arabi, turchi e persiani, che sono quasi sempre stati nemici giurati gli uni degli altri. Oggi la Persia e la Turchia fanno di nuovo paura agli arabi, e Israele, accanto all’America, può tornare molto utile nel fronteggiare questa minaccia. Il “piccolo Satana” era utilissimo per adunare folle oceaniche contro un nemico esterno e invisibile, ma non ha mai fatto a paura a nessuno. Anche le pietre sanno che Israele ha sempre combattuto solo per difendersi, e così continuerà sempre a fare.
È rimasta la terza domanda, per la quale sono costretto a rimandare alla settimana prossima (scusandomi con le famose parole rivolte da Cicerone al fratello Quinto: “scusami se sono stato prolisso, non ho avuto il tempo di essere breve”).

Francesco Lucrezi

(4 novembre 2020)