“Web e social, numeri dell’odio
sempre più allarmanti”

“Troppo spesso gli individui vengono radicalizzati online consumando materiale d’odio non regolamentato e non filtrato sui social network e poi agiscono. Che si tratti di Pittsburgh, Christchurch, Poway o El Paso, continuiamo a vedere lo stesso scenario omicida che si ripete all’infinito: individui che si radicalizzano in spazi online dedicati a idee estremiste e odiose, la pubblicazione di una sorta di manifesto o di richiamo all’azione, e poi, alla fine, un attacco violento”. 
Sono riflessioni che Jonathan Greenblatt, direttore dell’Anti-Defamation League, affidava a una recente intervista con Pagine Ebraiche. La storica organizzazione americana, in prima linea nella lotta contro odio, razzismo e antisemitismo, si è distinta in questi anni per un’attenzione speciale al mondo del web e a tutte le sue emanazioni. Come nel caso della campagna “Stop hate for profit”, lanciata la scorsa estate, che ha portato alcune tra le più importanti multinazionali a sospendere la propria collaborazione con Facebook e altri colossi social per via della loro acclarata negligenza su questi temi.  
Sui pericoli dell’online si concentra la nuova indagine condotta da ADL tra gli ebrei americani, interpellati sulla loro percezione dell’antisemitismo in un Paese che, nel recente passato, ha più volte mostrato un volto ostile. Gli attentati alle sinagoghe di Pittsburgh e Poway, rammentate da Greenblatt, ne sono state una dimostrazione eloquente. 
Ad emergere è un quadro inquietante, con il 63% degli interpellati che dichiara di aver subito o testimoniato episodi di pregiudizio antiebraico negli ultimi cinque anni. Il 36% del campione dichiara di essere stato bersaglio di aggressività digitale, con un 13% dei rispondenti che ha visto minacciata la propria incolumità. In netto calo, rispetto alla precedente rilevazione annuale, il numero di chi si è rivolto ai gestori delle piattaforme social con proteste e contestazioni. Segno questo, viene fatto osservare, di una crescente sfiducia nei confronti di chi sarebbe chiamato ad assumersi la responsabilità di intervenire e molto spesso non lo fa. 
Greenblatt ha definito questi dati “allarmanti” e un monito “per tutta la società americana”. 

(1 aprile 2021)