Sentite scuse

Il contesto: nel gennaio 2021 fra le iniziative del Giorno della Memoria si organizza un evento su Zoom. La serata inizia bene, ma poi il collegamento viene disturbato da alcuni ragazzotti che insultano, inneggiano al fascismo e tanto fanno e dicono che costringono a interrompere il collegamento. Si tratta di un episodio che passa sotto il nome di Zoom-bombing. Il fatto viene denunciato, e la Digos compie in maniera encomiabile il suo lavoro riuscendo a identificare i giovani protagonisti dell’impresa, li raggiungono a casa loro (in tutta Italia) e danno seguito all’azione giudiziaria. Fin qui i fatti. Le conseguenze sono, a mio giudizio, importanti.
Intanto le famiglie: pensate che un giorno vi suoni alla porta la polizia che notifica una denuncia a vostro figlio adolescente (ma maggiorenne) e vi descrive la bravata a cui ha preso parte, frequentando suoi coetanei estremisti incontrati in rete. Un disastro emotivo e educativo, che si ripercuote sull’intera famiglia. “Dove abbiamo sbagliato?”. “Abbiamo fatto abbastanza?”. “È colpa nostra”. “L’abbiamo lasciato solo”. Eccetera, eccetera.
Le conseguenze della diffusione del linguaggio d’odio e della evidente non neutralità delle dinamiche online sono enormi e incontrollabili. Ma se si svolge un egregio lavoro investigativo (complimenti alla Digos!), e se l’esito non è solo punitivo, ma indirizzato a una pedagogia positiva e costruttiva, si aprono prospettive interessanti che credo vadano perseguite con decisione.
Nello specifico dell’episodio che sto descrivendo abbiamo una parente stretta – insegnante di liceo e impegnata nel lavoro didattico sulla memoria della Shoah – che si spende in prima persona per lavorare al recupero culturale ed emotivo di un giovane evidentemente disorientato e ampiamente inconsapevole, seppure responsabile dei suoi atti a termine di legge. E abbiamo il ragazzo stesso, che tenta (magari istruito da altri, ma i toni sembravo decisi e sinceri) di cambiare.
Ecco la lettera che ho ricevuto come regalo di nuovo anno (naturalmente depurata di riferimenti personali):
Titolo: Sentite scuse.
Testo: “Egregio Direttore Gadi Luzzatto Voghera, Le scrivo a un anno di distanza da un episodio di intrusione su zoom, durante una commemorazione per la Giornata della Memoria. In realtà, conoscevo poco della Giornata della Memoria, eccetto qualche film. Per noia dovuta alla DAD, superficialità e scarsa conoscenza dei fatti, ho preso parte con amici, a questo episodio senza alcuna consapevolezza delle offese che potevo arrecare. In questi ultimi mesi, da quando la mia famiglia è venuta a conoscenza di questo episodio, ho iniziato un percorso che mi ha visto coinvolto nella conoscenza della Shoah e della millenaria cultura ebraica. Non so con precisione in quale contesto mi sono inserito e chi ho offeso, ma mi rivolgo a Lei e alla sua comunità, anche grazie al sostegno di mia zia (che ci legge in copia), insegnante di Storia. Capisco, adesso, di avervi arrecato danno! Ho ricevuto spunti di lettura ma non amo leggere libri, perciò sono passato a brevi articoli. Ho approfondito la storia del BINARIO 21, quando migliaia di persone, nell’indifferenza generale, venivano deportate dalla Stazione Centrale ai campi di concentramento. Appena miglioreranno le condizioni epidemiologiche verrò a visitarlo, …per non girarmi dall’altra parte. Ho rivisto anche le mie scelte scolastiche e nella scuola che frequento da settembre, sono più coinvolto che in passato. Oggi sono un ragazzo e uno studente migliore, continuerò il mio percorso di crescita, spero intanto, vogliate accettare le mie più Sentite Scuse.”
Scuse accettate, carissimo. C’è speranza.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC