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20 giugno 2014 - 22 Sivan 5774
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Forse dovremmo fare tutti come la madre di Cesare Casella, Angela, che nell'estate del 1989 si incatenò in un paesino della Locride per protestare contro la poca attenzione per il figlio diciottenne rapito dalla ndrangheta. Perché i tre ragazzi Eyal Gilad e Naftali, tra i sedici e i diciannove anni, rapiti da Hamas sono catene che stringono il cuore, i polsi, le caviglie di ogni persona degna di essere chiamata umana. E con le catene al cuore, ai polsi e alle caviglie è davvero difficile lavorare per la pace.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
“Come pecore al macello”: è nota la famosa frase coniata forse dal poeta Abba Kovner, leader della resistenza ebraica a Vilna, in Lituania, dal 1941 al 1944. Già durante la guerra si faceva strada l’esplicita accusa ai perseguitati non solo a proposito dell’oggettiva difficoltà a mettere in campo azioni di resistenza, ma addirittura si rinfacciava una mancanza di volontà di opporsi e sottrarsi alle deportazioni e allo sterminio. Si proponeva uno scontro fra il modello di ebreo diasporico che strutturalmente non si pone in conflitto con la società di maggioranza, cui si contrapponeva l’ebreo-nuovo (a volte il giovane sionista come nel caso di Kovner, membro dell’Hashomer Hatzair), che intendeva perseguire il riscatto nella costruzione del nuovo ebreo, artefice del suo stesso futuro. Questo scontro prevedeva una dolorosa colpevolizzazione delle vittime e proponeva una questione morale ancora non definitivamente risolta. Il momento in cui tale conflitto si palesò per la prima volta in modo pubblico fu il processo Eichmann, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, dove lo stesso Kovner fece da testimone. Ma l’idea di resistenza non era propria solo dei giovani combattenti dei ghetti. Anche in Italia c’erano ragazzi che decidevano di prendere in mano il proprio destino. Non pochi, checché se ne dica. Fra loro Alfredo Schonhaut, nome di battaglia Fredi, n.28 del Battaglione Italia, Brigata Osoppo, che combatté nella primavera del 1944 in Carnia prima di essere catturato e deportato a Buchenwald.
 
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TORINO -  Il volume "Una preghiera, una speranza, una certezza. Migrazioni ebraiche dai paese musulmani in Israele 1949-1977" (Giuntina) della storica Sara Valentina Di Palma, sarà presentato dall’autrice insieme a Paola Canarutto e Nanni Salio alle 17.30, presso la Sala Gandhi del Centro Studi Sereno Regis, in via Garibaldi 13
 

In viaggio ad Hebron
#EyalGiladNaftali. A una settimana dalla scomparsa prosegue la ricerca dei tre ragazzi israeliani rapiti dai terroristi di Hamas. In un reportage per il Giornale, Fiamma Nirenstein racconta come proseguono le ricerche e descrive la difficile realtà di Hebron. “Qui Abramo comprò la tomba per Sara, qui sono sepolti i Patriarchi nel castello che costruì Erode il Grande, un santuario dove c’è stato un macello continuo e alternato di musulmani e ebrei, sacro a tutte le religioni. Quando hai attraversato le strade semideserte, toccato con mano il fatto che tutti stanno chiusi in casa, palestinesi ed ebrei, mentre si aggirano fra le mura sbrecciate solo alcune pattuglie di soldati, arrivi a Beit Romano, un palazzo che appartenne quasi da due secoli a una famiglia ebraica italiana, e ora ospita in maniera spartana, come tutto qui, 320 ragazzi. Sono parte dei 1000 ebrei che vivono fra 250mila palestinesi” scrive visitando la yeshivah frequentata da Eyal, dove tutti lo aspettano.
 
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  davar
#eyalgiladnaftali - israele
L'abbraccio di Shimon Peres
“L’intera nazione è unita ed è al fianco delle famiglie, riunita con loro in preghiera per il ritorno dei ragazzi sani e salvi. Le forze di sicurezza stanno lavorando giorno e notte in ogni strada e in ogni vicolo di Hebron, rivoltando ogni singola pietra per trovarli. Faranno di tutto per riportarli a casa”. Questo il messaggio che il presidente d’Israele Shimon Peres ha rivolto alle famiglie di Gilad Shaar (16 anni), Naftali Frankel (16 anni), ed Eyal Yifrach (19 anni), incontrandoli nella sua Residenza: abbraccio e la fiducia che i tre giovanissimi studenti di yeshivah rapiti lo scorso giovedì notte possano presto tornare a casa.
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#EYALGILADNAFTALI - IL MESSAGGIO dei rabbini
"Stringiamoci nella preghiera"
"Nel doloroso protrarsi della prigionia di Ghil’ad Shaar, Naftalì Frenkel e Eyal Ifrach, i tre ragazzi rapiti di cui mancano notizie ormai da oltre una settimana, l’Assemblea dei Rabbini d’Italia, nella condivisione dell’angoscia delle famiglie e del senso di partecipazione di tutto il popolo ebraico, ricorda a tutte le Comunità ebraiche e ad ogni singolo ebreo in Italia, l’importanza di proseguire nella lettura dei Tehillim, i Salmi, quale espressione corale delle invocazioni e dei sentimenti che ci uniscono tutti in questo momento. Segnaliamo in particolare i capitoli 120-134, chiamati con il titolo di 'Shir Hama’alot', nonché i capitoli 20,27, 70". È Quanto comunica, attraverso una nota scritta, il Consiglio dell'Assemblea Rabbinica Italiana.
"Laddove vengono fatte preghiere pubbliche è bene parteciparvi: ricordiamo a questo proposito - si legge ancora -che a Roma si terrà lunedì sera una tefillà presso il tempio maggiore, dopo un collegamento con le famiglie dei tre ragazzi; quando non è possibile svolgere o partecipare a preghiere pubbliche, ogni ebreo può dedicare anche, in forma privata, alcuni momenti di preghiera attraverso la lettura di questi testi dei Salmi. Allo stato attuale - prosegue la nota - non sono stati indetti in Israele giornate di digiuno, pertanto al momento non si ritiene di proporre questo tipo di manifestazione religiosa. È invece raccomandabile in generale in questa circostanza rafforzare l’adempimento delle mizvot nella vita quotidiana e intensificare le opere di zedakà e ghemilut chasadim."
Il messaggio si conclude con un auspicio: "Si possa realizzare al più presto quanto affermato dal testo biblico: 'Torneranno i liberati dal Signore, verranno a Zion con giubilo, letizia eterna sul loro capo, avranno gioia e allegria, si allontaneranno sospiro e lamento' (Isaia 51,11)".
cosa dice la legge ebraica
Il Dna come fonte di prova
In questi giorni si parla molto del Dna come fonte di prova per identificare il colpevole di un assassinio o di altri crimini. Oltre a queste situazioni di carattere penale ce ne sono altre in cui ci si può chiedere che valore abbia tale prova dal punto di vista della halakhà, la normativa giuridico-religiosa ebraica. La risposta non è univoca, come del resto non lo è neanche per la normativa generale. Dipende per cosa la prova è richiesta e se è affiancata da altri riscontri. Nel mondo ebraico il problema si pose in modo massiccio dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001. Dei molti ebrei che morirono nell’incendio dei grattacieli non c’erano quasi più tracce e l’identificazione dei loro resti risultava impossibile nei modi usuali. Tuttavia, senza una dichiarazione certa di morte, le mogli delle presunte vittime non potevano risposarsi. Si tratta della nota questione delle agunòt, le donne che rimangono “vincolate” perché il marito si rifiuta di concedere il divorzio o perché non si ha testimonianza certa della sua morte. Questo è uno dei più difficili problemi della halakhà, e notevoli facilitazioni vengono messe in atto per arrivare a una soluzione che tuteli la donna. Ad esempio, si accetta come valida anche una testimonianza singola, mentre generalmente sono richiesti due testimoni. Il Dna estratto dai resti di un corpo, se riconducibile in modo pressoché sicuro a quello di una certa persona e se ci sono altri riscontri probatori, è accettato dalle più importanti autorità halakhiche come prova valida per la dichiarazione di morte. L’analisi del Dna viene anche utilizzata per l’identificazione dei resti umani in modo da dargli una degna sepoltura. Uno dei martiri delle Fosse Ardeatine, Marco Moscati z.l., è stato recentemente identificato proprio grazie al suo Dna, così che ora i suoi famigliari possono avere una tomba su cui pregare.
In altri casi, però, la prova del Dna non è valida. Per esempio, il Dna non può essere portato come evidenza per attestare l’illegittimità della prole. Il figlio di un rapporto adulterino o incestuoso (mamzer) si trova in una condizione altrettanto difficile di quella della agunà. In questo caso il Dna non è preso in considerazione. La logica in entrambe le situazioni è in realtà la stessa: la prova del Dna si usa solo per alleviare una condizione, non per inasprirla. La si accetta per evitare la condizione di agunà ma non la si accetta per determinare lo status di mamzer. La fonte per questo approccio si trova nella Mishnà, alla fine del trattato di Eduyot (cap. 8:7, con il commento di Ovadià da Bertinoro, rabbino italiano del ’400-’500), dove si afferma che in futuro (si spera presto), quando il profeta Elia verrà ad annunciare il Messia, avrà fra i suoi compiti anche quello di chiarire lo stato civile delle famiglie. Mentre un’opinione afferma che Elia allontanerà quelle famiglie che con la forza si sono fatte considerare legittime pur non essendolo, un’altra opinione sostiene che il profeta Elia accoglierà coloro che ingiustamente sono stati allontanati, ma non allontanerà chi ormai è entrato a far parte della comunità, se pur con la forza. Le prove, pertanto, si cercano per accogliere, non per allontanare.
La Mishnà di Eduyot termina con il versetto del profeta Malakhì (3:23), che recitiamo al sabato sera e conclude la haftarà del sabato che precede Pesach, lo Shabbat Hagadol: “E farà tornare il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i loro padri”.
 
Gianfranco Di Segni


Tratto dal limmud organizzato dall’Ame (Associazione Medica Ebraica) al Tempio dei Giovani, nell’Ospedale Israelitico dell’Isola Tiberina di Roma, a un mese dalla scomparsa del Dott. Angelo Di Castro, medico ortopedico, mio amico e compagno di classe dai tempi della scuola media. Che il suo ricordo sia di benedizione e di consolazione per chiunque l’abbia conosciuto.

qui firenze
Mitica Fgei, poche ore al via
Arriveranno in centinaia da tutta Italia. Per condividere memorie di un'epoca indimenticabile, in molti casi per riabbracciarsi a 20 o 30 anni dall'ultima volta. Vive sul filo delle emozioni il grande raduno degli ex fgeini, gli aderenti della Federazione Giovanile Ebraica d’Italia che accompagnò quasi mezzo secolo di vita (1948-1945) nell'associazionismo giovanile. L'appuntamento è per la giornata di domenica, nei locali messi a disposizione dalla Comunità ebraica. Racconti, testimonianze, momenti di confronto sulla mappatura dell'associazionismo di allora e su quello di oggi caratterizzeranno un evento che si annuncia ricco di sorprese.Leggi
 
MELAMED - qui torino
Il ministro Piron in Comunità:

"Il modello italiano per Israele"
È stata una visita davvero molto breve, quella compiuta ieri a Torino dal ministro dell’Istruzione di Israele, in Europa per un approfondimento sull’organizzazione scolastica. L’incontro di rav Shai Piron con il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, in Israele la scorsa settimana, lo ha convinto a passare una giornata in Italia. “Conosco la scuola ebraica di questa città - ha detto - me ne hanno parlato come di un esempio di assoluta eccellenza, e mi hanno informato dell’ottimo lavoro che vi si porta avanti. Ma oggi avevo un obiettivo diverso e nelle poche ore passate in città ho visitato alcuni istituti il cui modello stiamo pensando di importare in Israele. Si tratta di scuole professionali, un ambito su cui stiamo riflettendo da tempo, e il loro sistema organizzativo mi ha molto colpito.”
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comics & jews
"Being Rutu", a Gerusalemme
La troupe guidata da Giovanni Russo, coordinatore di Lucca Comics, è arrivata in Israele e ha iniziato le riprese del documentario con Rutu Modan, un progetto nato dalla collaborazione fra Lucca Comics, l'Ambasciata israeliana in Italia e Pagine Ebraiche. L'illustratrice e autrice di graphic novel israeliana sarà protagonista della mostra che il più grande festival italiano dedicato al fumetto organizza ogni edizione in onore dell’artista che ha vinto il Gran Guinigi – il premio massimo – l’anno precedente. Giovanni Russo ogni giorno scriverà per Pagine Ebraiche 24 una cronaca dal backstage. Oggi una giornata di riprese a Gerusalemme.

Arriviamo a Gerusalemme al seguito di Rutu, che il mercoledì insegna lì all’accademia di Bezalel. La mattina se ne vola dietro a lei. Il pomeriggio, mentre Rutu resta ad insegnare, ci spostiamo con Hila alla città vecchia per riprendere qualche immagine iconica. La Cupola della Roccia era chiusa per una qualche ragione, per cui ci si avvicina del Muro del Pianto. E da qui in avanti la giornata prende una giornata strana.

Giovanni Russo, coordinatore di Lucca Comics
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qui firenze
Balagan Cafè, un nuovo successo

qui roma
Dalla Libia al Portico d'Ottavia
 pilpul
Attualità esasperata
Spesso ci siamo lamentati (a ragione) per lo scarso peso attribuito al ’900 nei programmi scolastici di storia e letteratura. Si parlava di una scuola troppo attaccata al passato, lontana dalla vita di tutti i giorni e dai problemi attuali. Come sempre la scuola italiana passa da un estremo all’altro: quest’anno nella prova di italiano dell’esame di stato il testo più “antico” tra tutti quelli proposti era un passo di Walter Benjamin del 1921. Attualizzare significa negare lo spessore della storia o interrogare testi antichi di millenni con gli occhi di oggi?

Anna Segre, insegnante
Romanzo Viennese
Romanzo Viennese di David Vogel (Giuntina, 2014) è stato presentato in numerose recensioni come un “romanzo erotico”. Un’indicazione forse troppo riduttiva per un’opera sì frammentaria ma al tempo stesso così completa, dove viene delineato il ritratto di un periodo storico – quello della Vienna di inizio secolo – che aprendo la strada alla modernità, porterà con sé un’intero mondo. Qui infatti, tra voci e punti di vista che si alternano, oltre al tormentato triangolo amoroso tra Michael Rost (il protagonista), Gertrud (padrona del suo appartamento) e sua figlia Erna, si sente l’eco del primo femminismo, di un sionismo in maturazione, del bundismo, della psicanalisi, delle idee di Otto Weininger, e al centro si prospetta soprattutto il disordine, la perdita di senso e l’alienazione di un’intera generazione che stranamente non è poi così dissimile da quella attuale.

Francesco Moises Bassano, studente
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La responsabilità del confronto
Omosessualità: cosa ne pensano gli ebrei e cosa troviamo nelle fonti rabbiniche di ieri e di oggi? Un tema spinoso che Amedeo Spagnoletto, rabbino e sofer romano, ha avuto il merito di affrontare proprio ieri con i giovani ebrei d’Italia, con serietà e umiltà. Un percorso che ha svelato gli strati e le sfumature della halachà, con fonti alla mano, domande, questioni aperte, nel solco della classica procedura ermeneutico-giuridica ebraica. Il primo passo allora è fatto: la politica dell’esclusione non sorge dal fatto di pensarla diversamente, ma dall’esimersi dal confronto frontale e generoso. Sottrarsi a questa responsabilità significa allearsi con l’ignoranza e il pregiudizio.

Ilana Bahbout
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Balotelli
Alla fine dell’Ottocento George Bernard Show scriveva il suo famoso aforisma: “Fondamentalmente il patriottismo è la convinzione che un Paese sia il migliore al mondo perché ci sei nato tu”. Grazie al cielo, sembrerebbe che da vari decenni gli italiani adottino un criterio meno egocentrico. Spaghetti, sole е mare, chianti, tarallucci е roboanti macchinone da corsa sono nutrimento del nostro orgoglio nazionale ben più del narcisismo autoreferenziale. Anzi, il nostro italico nazionalismo contempla semmai la fierezza di essere meno fanatici degli Altri. Tuttavia, c’è un tipo di fanatismo nazionale (peraltro geneticamente umano e quindi sovrannazionale), di cui noi italiani siamo cultori privilegiati: è l’orgoglio calcistico.

Laura Salmon, slavista
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