
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Forse
dovremmo fare tutti come la madre di Cesare Casella, Angela, che
nell'estate del 1989 si incatenò in un paesino della Locride per
protestare contro la poca attenzione per il figlio diciottenne rapito
dalla ndrangheta. Perché i tre ragazzi Eyal Gilad e Naftali, tra i
sedici e i diciannove anni, rapiti da Hamas sono catene che stringono
il cuore, i polsi, le caviglie di ogni persona degna di essere chiamata
umana. E con le catene al cuore, ai polsi e alle caviglie è davvero
difficile lavorare per la pace.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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“Come
pecore al macello”: è nota la famosa frase coniata forse dal poeta Abba
Kovner, leader della resistenza ebraica a Vilna, in Lituania, dal 1941
al 1944. Già durante la guerra si faceva strada l’esplicita accusa ai
perseguitati non solo a proposito dell’oggettiva difficoltà a mettere
in campo azioni di resistenza, ma addirittura si rinfacciava una
mancanza di volontà di opporsi e sottrarsi alle deportazioni e allo
sterminio. Si proponeva uno scontro fra il modello di ebreo diasporico
che strutturalmente non si pone in conflitto con la società di
maggioranza, cui si contrapponeva l’ebreo-nuovo (a volte il giovane
sionista come nel caso di Kovner, membro dell’Hashomer Hatzair), che
intendeva perseguire il riscatto nella costruzione del nuovo ebreo,
artefice del suo stesso futuro. Questo scontro prevedeva una dolorosa
colpevolizzazione delle vittime e proponeva una questione morale ancora
non definitivamente risolta. Il momento in cui tale conflitto si palesò
per la prima volta in modo pubblico fu il processo Eichmann, svoltosi a
Gerusalemme nel 1961, dove lo stesso Kovner fece da testimone. Ma
l’idea di resistenza non era propria solo dei giovani combattenti dei
ghetti. Anche in Italia c’erano ragazzi che decidevano di prendere in
mano il proprio destino. Non pochi, checché se ne dica. Fra loro
Alfredo Schonhaut, nome di battaglia Fredi, n.28 del Battaglione
Italia, Brigata Osoppo, che combatté nella primavera del 1944 in Carnia
prima di essere catturato e deportato a Buchenwald.
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TORINO
- Il volume "Una preghiera, una speranza, una certezza.
Migrazioni ebraiche dai paese musulmani in Israele 1949-1977"
(Giuntina) della storica Sara Valentina Di Palma, sarà presentato
dall’autrice insieme a Paola Canarutto e Nanni Salio alle 17.30, presso
la Sala Gandhi del Centro Studi Sereno Regis, in via Garibaldi 13
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In viaggio ad Hebron
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#EyalGiladNaftali.
A una settimana dalla scomparsa prosegue la ricerca dei tre ragazzi
israeliani rapiti dai terroristi di Hamas. In un reportage per il
Giornale, Fiamma Nirenstein racconta come proseguono le ricerche e
descrive la difficile realtà di Hebron. “Qui Abramo comprò la tomba per
Sara, qui sono sepolti i Patriarchi nel castello che costruì Erode il
Grande, un santuario dove c’è stato un macello continuo e alternato di
musulmani e ebrei, sacro a tutte le religioni. Quando hai attraversato
le strade semideserte, toccato con mano il fatto che tutti stanno
chiusi in casa, palestinesi ed ebrei, mentre si aggirano fra le mura
sbrecciate solo alcune pattuglie di soldati, arrivi a Beit Romano, un
palazzo che appartenne quasi da due secoli a una famiglia ebraica
italiana, e ora ospita in maniera spartana, come tutto qui, 320
ragazzi. Sono parte dei 1000 ebrei che vivono fra 250mila palestinesi”
scrive visitando la yeshivah frequentata da Eyal, dove tutti lo
aspettano.
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#EYALGILADNAFTALI
- IL MESSAGGIO dei rabbini
"Stringiamoci
nella preghiera"
"Nel
doloroso protrarsi della prigionia di Ghil’ad Shaar, Naftalì Frenkel e
Eyal Ifrach, i tre ragazzi rapiti di cui mancano notizie ormai da oltre
una settimana, l’Assemblea dei Rabbini d’Italia, nella condivisione
dell’angoscia delle famiglie e del senso di partecipazione di tutto il
popolo ebraico, ricorda a tutte le Comunità ebraiche e ad ogni singolo
ebreo in Italia, l’importanza di proseguire nella lettura dei Tehillim,
i Salmi, quale espressione corale delle invocazioni e dei sentimenti
che ci uniscono tutti in questo momento. Segnaliamo in particolare i
capitoli 120-134, chiamati con il titolo di 'Shir Hama’alot', nonché i
capitoli 20,27, 70". È Quanto comunica, attraverso una nota scritta, il
Consiglio dell'Assemblea Rabbinica Italiana.
"Laddove vengono fatte preghiere pubbliche è bene parteciparvi:
ricordiamo a questo proposito - si legge ancora -che a Roma si terrà
lunedì sera una tefillà presso il tempio maggiore, dopo un collegamento
con le famiglie dei tre ragazzi; quando non è possibile svolgere o
partecipare a preghiere pubbliche, ogni ebreo può dedicare anche, in
forma privata, alcuni momenti di preghiera attraverso la lettura di
questi testi dei Salmi. Allo stato attuale - prosegue la nota - non
sono stati indetti in Israele giornate di digiuno, pertanto al momento
non si ritiene di proporre questo tipo di manifestazione religiosa. È
invece raccomandabile in generale in questa circostanza rafforzare
l’adempimento delle mizvot nella vita quotidiana e intensificare le
opere di zedakà e ghemilut chasadim."
Il messaggio si conclude con un auspicio: "Si possa realizzare al più
presto quanto affermato dal testo biblico: 'Torneranno i liberati dal
Signore, verranno a Zion con giubilo, letizia eterna sul loro capo,
avranno gioia e allegria, si allontaneranno sospiro e lamento' (Isaia
51,11)".
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cosa
dice la legge ebraica
Il Dna come fonte di prova
In
questi giorni si parla molto del Dna come fonte di prova per
identificare il colpevole di un assassinio o di altri crimini. Oltre a
queste situazioni di carattere penale ce ne sono altre in cui ci si può
chiedere che valore abbia tale prova dal punto di vista della halakhà,
la normativa giuridico-religiosa ebraica. La risposta non è univoca,
come del resto non lo è neanche per la normativa generale. Dipende per
cosa la prova è richiesta e se è affiancata da altri riscontri. Nel
mondo ebraico il problema si pose in modo massiccio dopo l’attentato
alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001. Dei molti ebrei che
morirono nell’incendio dei grattacieli non c’erano quasi più tracce e
l’identificazione dei loro resti risultava impossibile nei modi usuali.
Tuttavia, senza una dichiarazione certa di morte, le mogli delle
presunte vittime non potevano risposarsi. Si tratta della nota
questione delle agunòt, le donne che rimangono “vincolate” perché il
marito si rifiuta di concedere il divorzio o perché non si ha
testimonianza certa della sua morte. Questo è uno dei più difficili
problemi della halakhà, e notevoli facilitazioni vengono messe in atto
per arrivare a una soluzione che tuteli la donna. Ad esempio, si
accetta come valida anche una testimonianza singola, mentre
generalmente sono richiesti due testimoni. Il Dna estratto dai resti di
un corpo, se riconducibile in modo pressoché sicuro a quello di una
certa persona e se ci sono altri riscontri probatori, è accettato dalle
più importanti autorità halakhiche come prova valida per la
dichiarazione di morte. L’analisi del Dna viene anche utilizzata per
l’identificazione dei resti umani in modo da dargli una degna
sepoltura. Uno dei martiri delle Fosse Ardeatine, Marco Moscati z.l., è
stato recentemente identificato proprio grazie al suo Dna, così che ora
i suoi famigliari possono avere una tomba su cui pregare.
In altri casi, però, la prova del Dna non è valida. Per esempio, il Dna
non può essere portato come evidenza per attestare l’illegittimità
della prole. Il figlio di un rapporto adulterino o incestuoso (mamzer)
si trova in una condizione altrettanto difficile di quella della agunà.
In questo caso il Dna non è preso in considerazione. La logica in
entrambe le situazioni è in realtà la stessa: la prova del Dna si usa
solo per alleviare una condizione, non per inasprirla. La si accetta
per evitare la condizione di agunà ma non la si accetta per determinare
lo status di mamzer. La fonte per questo approccio si trova nella
Mishnà, alla fine del trattato di Eduyot (cap. 8:7, con il commento di
Ovadià da Bertinoro, rabbino italiano del ’400-’500), dove si afferma
che in futuro (si spera presto), quando il profeta Elia verrà ad
annunciare il Messia, avrà fra i suoi compiti anche quello di chiarire
lo stato civile delle famiglie. Mentre un’opinione afferma che Elia
allontanerà quelle famiglie che con la forza si sono fatte considerare
legittime pur non essendolo, un’altra opinione sostiene che il profeta
Elia accoglierà coloro che ingiustamente sono stati allontanati, ma non
allontanerà chi ormai è entrato a far parte della comunità, se pur con
la forza. Le prove, pertanto, si cercano per accogliere, non per
allontanare.
La Mishnà di Eduyot termina con il versetto del profeta Malakhì (3:23),
che recitiamo al sabato sera e conclude la haftarà del sabato che
precede Pesach, lo Shabbat Hagadol: “E farà tornare il cuore dei padri
verso i figli e il cuore dei figli verso i loro padri”.
Gianfranco Di Segni
Tratto
dal limmud organizzato dall’Ame (Associazione Medica Ebraica) al Tempio
dei Giovani, nell’Ospedale Israelitico dell’Isola Tiberina di Roma, a
un mese dalla scomparsa del Dott. Angelo Di Castro, medico ortopedico,
mio amico e compagno di classe dai tempi della scuola media. Che il suo
ricordo sia di benedizione e di consolazione per chiunque l’abbia
conosciuto.
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comics
& jews
"Being
Rutu", a Gerusalemme
La
troupe guidata da Giovanni Russo, coordinatore di Lucca Comics, è
arrivata in Israele e ha iniziato le riprese del documentario con Rutu
Modan, un progetto nato dalla collaborazione fra Lucca Comics,
l'Ambasciata israeliana in Italia e Pagine Ebraiche. L'illustratrice e
autrice di graphic novel israeliana sarà protagonista della mostra che
il più grande festival italiano dedicato al fumetto organizza ogni
edizione in onore dell’artista che ha vinto il Gran Guinigi – il premio
massimo – l’anno precedente. Giovanni Russo ogni giorno scriverà per
Pagine Ebraiche 24 una cronaca dal backstage. Oggi una giornata di
riprese a Gerusalemme.
Arriviamo
a Gerusalemme al seguito di Rutu, che il mercoledì insegna lì
all’accademia di Bezalel. La mattina se ne vola dietro a lei. Il
pomeriggio, mentre Rutu resta ad insegnare, ci spostiamo con Hila alla
città vecchia per riprendere qualche immagine iconica. La Cupola della
Roccia era chiusa per una qualche ragione, per cui ci si avvicina del
Muro del Pianto. E da qui in avanti la giornata prende una giornata
strana.
Giovanni
Russo, coordinatore di Lucca Comics
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Attualità
esasperata |
Spesso
ci siamo lamentati (a ragione) per lo scarso peso attribuito al ’900
nei programmi scolastici di storia e letteratura. Si parlava di una
scuola troppo attaccata al passato, lontana dalla vita di tutti i
giorni e dai problemi attuali. Come sempre la scuola italiana passa da
un estremo all’altro: quest’anno nella prova di italiano dell’esame di
stato il testo più “antico” tra tutti quelli proposti era un passo di
Walter Benjamin del 1921. Attualizzare significa negare lo spessore
della storia o interrogare testi antichi di millenni con gli occhi di
oggi?
Anna Segre, insegnante
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Romanzo
Viennese |
Romanzo
Viennese di David Vogel (Giuntina, 2014) è stato presentato in numerose
recensioni come un “romanzo erotico”. Un’indicazione forse troppo
riduttiva per un’opera sì frammentaria ma al tempo stesso così
completa, dove viene delineato il ritratto di un periodo storico –
quello della Vienna di inizio secolo – che aprendo la strada alla
modernità, porterà con sé un’intero mondo. Qui infatti, tra voci e
punti di vista che si alternano, oltre al tormentato triangolo amoroso
tra Michael Rost (il protagonista), Gertrud (padrona del suo
appartamento) e sua figlia Erna, si sente l’eco del primo femminismo,
di un sionismo in maturazione, del bundismo, della psicanalisi, delle
idee di Otto Weininger, e al centro si prospetta soprattutto il
disordine, la perdita di senso e l’alienazione di un’intera generazione
che stranamente non è poi così dissimile da quella attuale.
Francesco Moises Bassano, studente
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La
responsabilità del confronto |
Omosessualità:
cosa ne pensano gli ebrei e cosa troviamo nelle fonti rabbiniche di
ieri e di oggi? Un tema spinoso che Amedeo Spagnoletto, rabbino e sofer
romano, ha avuto il merito di affrontare proprio ieri con i giovani
ebrei d’Italia, con serietà e umiltà. Un percorso che ha svelato gli
strati e le sfumature della halachà, con fonti alla mano, domande,
questioni aperte, nel solco della classica procedura
ermeneutico-giuridica ebraica. Il primo passo allora è fatto: la
politica dell’esclusione non sorge dal fatto di pensarla diversamente,
ma dall’esimersi dal confronto frontale e generoso. Sottrarsi a questa
responsabilità significa allearsi con l’ignoranza e il pregiudizio.
Ilana Bahbout
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Balotelli |
Alla
fine dell’Ottocento George Bernard Show scriveva il suo famoso
aforisma: “Fondamentalmente il patriottismo è la convinzione che un
Paese sia il migliore al mondo perché ci sei nato tu”. Grazie al cielo,
sembrerebbe che da vari decenni gli italiani adottino un criterio meno
egocentrico. Spaghetti, sole е mare, chianti, tarallucci е roboanti
macchinone da corsa sono nutrimento del nostro orgoglio nazionale ben
più del narcisismo autoreferenziale. Anzi, il nostro italico
nazionalismo contempla semmai la fierezza di essere meno fanatici degli
Altri. Tuttavia, c’è un tipo di fanatismo nazionale (peraltro
geneticamente umano e quindi sovrannazionale), di cui noi italiani
siamo cultori privilegiati: è l’orgoglio calcistico.
Laura Salmon, slavista
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