Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Se
asimmetria significa mancanza di corrispondenza tra le parti di un
tutto, ogni elemento - da qualsiasi parte lo si osservi - è asimmetrico
rispetto all'altro. L'asimmetria non può dunque mai essere unilaterale.
Usare il termine, figurativamente, per dare un giudizio etico a un
conflitto è fuorviante e illegittimo.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Forse
c’è una possibilità di essere alla fine dopo 25 giorni. Comunque sia
resta aperta la questione del futuro, in due scenari diversi, distinti
anche se collegati.
Il primo scenario riguarda se e in che forma ci sarà un tavolo di
discussione al Cairo o chissà dove. Tavolo politico dove si sancisce la
fine della guerra e si definiscono i contorni di una carta geografica e
politica di una porzione di Medio Oriente. Riuscirà solo se a quel
tavolo ci saranno tutti i protagonisti.
Il secondo scenario riguarda ciò che sta avvenendo qui, in Europa dove
tutti parlano di Medio Oriente, ma nessuno parla della crisi
dell’Europa, di che cosa significa costruire una società aperta qui.
Nel frattempo: piccole patrie crescono; si innalza il livello di
intolleranza; il principio “sangue e suolo” è il paradigma culturale e
politico con cui un segmento rilevante di noi europei pensa di
costruire la futura Europa. Perché molti fanno conto che non esista
un’emergenza Europa?
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Iniziato il ritiro da Gaza
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Ritiro
unilaterale da alcune aree della Striscia di Gaza, senza aspettare una
tregua, e senza negoziare. Questo ha annunciato Netanyahu in un
discorso televisivo alla nazione. “Andremo avanti fino alla distruzione
di tutti i tunnel, l’operazione è quasi completata”, ha sottolineato il
premier (Davide Frattini, Corriere). Questa la risposta di Sami Abu
Zuhri, portavoce di Hamas: “Il ritiro unilaterale di Israele non ci
impegna a niente”. Quest’ultima dichiarazione è citata anche da Ugo
Tramballi sul Sole 24Ore, dove scrive anche delle scelte operate
dall’esercito israeliano, già chiare prima dell’inizio delle operazioni
sul terreno. Maurizio Molinari, corrispondente a Gerusalemme de La
Stampa, spiega che Israele ha declinato l’invito egiziano a trattare un
nuovo cessate il fuoco e che la scelta di Netanyahu è di agire in
maniera unilaterale per “ripristinare la calma nel Sud”. II ministro
per l’Intelligence Yuval Steinitz ha spiegato che non ha senso mandare
una delegazione al Cairo a trattare la tregua perché “Hamas ha già
violato cinque cessate il fuoco, non sono interessati a raggiungere
accordi e dunque noi procederemo unilateralmente”. Contemporaneamente
le forze armate hanno comunicato ai cittadini di Beit Lahiya e Beit
Hanoun che si stanno ritirando, e che possono rientrare nelle loro case
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la crisi e la leadership - 9 di av Il Sabato della visione
Sabato
della visione -shabat chazon- è il nome del sabato appena passato,
quello che precede il nove di Av, quest'anno lunedi sera. La visione è
quella del profeta Isaia e la parola "visione" sta proprio all'inizio
del suo libro, di cui abbiamo letto questo sabato il primo capitolo
come haftarà speciale, tanto speciale da meritare nel rito italiano una
melodia unica austera. La visione di cui si parla è terribile, quella
di una terra desolata che finirà distrutta del tutto se non si rifonda
la società su giustizia e solidarietà. Pur nel momento difficile che
attraversiamo, la nostra situazione, in eretz Israel e nella golà, non
è, grazie a D., così drammatica come quella descritta da Isaia ai suoi
tempi. Ma al di là delle questioni militari e di sicurezza la domanda
sul futuro, soprattutto qua, è aperta. Di una cosa certamente abbiamo
bisogno, qui e altrove, e facciamo fatica a trovarla: una visione vera,
soprattutto dalla nostra leadership, che garantisca un futuro al nostro
ebraismo.
Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
(nell'immagine
il Rav con la redazione giornalistica dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane nel corso dei lavori di Redazione aperta, il
tradizionale laboratorio estivo che si tiene a Trieste in estate)
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#israeledifendelapace
Tal-Or, una "luce" nel dolore
Il
Sergente Maggiore Bayhesain Kshaun aveva 39 anni, ed è stato ucciso
all’alba da un missile anticarro insieme ad altri tre soldati, dopo
aver intercettato un gruppo di terroristi di Hamas infiltrati nel sud
di Israele che volevano attaccare il Kibbutz Nir Am. Dieci giorni dopo
sua moglie Galaitu, di origini etiopi come lui, ha dato alla luce la
loro terza figlia. “Si chiama Tal-Or, luce, per ricordare i momenti
belli e luminosi, i momenti gioiosi che abbiamo vissuto”. Bayhesain
sapeva che sarebbe stata una bambina, e per Galaitu in questo momento
"la cosa che fa più male è non avere nessuno da chiamare, nessuno a cui
mandare un messaggio".
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qui milano - una mostra sulla grande guerra
1915-1918, l'appello del Cdec
Raccontare
il mondo ebraico all'epoca della Grande Guerra, le gesta e l'amor
patrio di coloro che combatterono, ma anche la vita delle comunità
dell'epoca, la forte integrazione nella società, la partecipazione alla
vita pubblica e il contributo alla costruzione di un’Italia moderna che
renderanno ancora più dolorosa, vent'anni dopo, la ferita delle leggi
razziste. Se nel mondo il centesimo anniversario dall'inizio della
prima guerra mondiale è appena stato ricordato, in Italia la ricorrenza
cadrà soltanto nel maggio del 2015. Un appuntamento che la Fondazione
Centro di Documentazione ebraica contemporanea sta preparando con cura:
l’iniziativa in cantiere è quella di una grande mostra che racconti il
periodo tra il 1910 e il 1920, come spiega a Italia ebraica Paola
Mortara, responsabile dell’archivio fotografico del Cdec e curatrice
dell’iniziativa (che si avvale della consulenza scientifica dello
storico Gadi Luzzatto Voghera). Un’iniziativa che appunto non vuole
solo dare conto dell’accaduto nel conflitto ’15‐’18 ma offrire
l’immagine di un’epoca che cambiò profondamente il paese e le sue
comunità ebraiche.
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Il prisma palestinese |
La
realtà palestinese è un universo composito, un vero e proprio prisma
identitario, costituito da una complessa stratificazione di elementi.
La presenza della popolazione interessa l’intera regione mediorientale,
contando su una pluralità di insediamenti. Rifacendosi ai dati
disponibili per il tramite del Palestinian Central Bureau of Statistics
(il PCBS), riguardo all’anno 2013, in Cisgiordania risiedono più di 2
milioni e settecentomila palestinesi, a Gaza un milione e
settecentomila seguiti a ruota dalla Giordania, dove il nucleo attuale
consta di ben 3 milioni e 240mila elementi; poi ancora la Siria, con
ancora 630mila soggetti (anche se il numero è qui soggetto alle
oscillazioni causate dal conflitto civile in corso), a sua volta
seguita dal Libano, soprattutto nella regione meridionale, dove abitano
più di 400mila persone, dall’Arabia Saudita e dall’Egitto con 280mila
palestinesi a testa, dagli Emirati arabi uniti (a quota 170mila), dal
Qatar (100mila), dal Kuwait (80mila), dall’Iraq e lo Yemen (55mila
ciascuno), dalla Libia (44mila) e, sempre per rimanere nell’area
mediorientale, dal Pakistan (10mila soggetti). Fuori dal circuito
mediorientale le migrazioni e la diaspora palestinese trovano i loro
presidi più rilevanti nel Cile (mezzo milione), negli Stati Uniti
(400mila), in Honduras (250mila), in Messico (120mila) e così via. In
Europa è la Germania, con 80mila presenze, a surclassare gli altri
paesi infracontinentali.
Claudio Vercelli
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Nugae
- Parole tra noi
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Passare
in rassegna colorati siti web di giornali secondo un preciso rituale
che richiede come minimo un'oretta di tempo dedicata a se stessi e al
proprio computerino sulle ginocchia, con accanto caffeina a portata di
mano e un esemplare cartaceo a vegliare con severa ma accondiscendente
aria paterna, ultimamente com'è inevitabile sta diventando da utilmente
dilettevole a vagamente angoscioso. Non potendoci far nulla, non resta
che andare alla ricerca spasmodica di buone notizie. Mica chissà che,
anche un trafiletto va bene per respirare un momentino tra le bracciate
a stile libero nei tormenti.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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