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28 agosto 2014 - 2 Elul 5774
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Il brano di questa settimana si conclude con una norma di non facile comprensione: quello della ‘eglà ‘arufà, la vitella decapitata. La Torà stabilisce che se si trova in un campo un morto ammazzato e non si ha alcun modo per scoprire chi ha commesso l’omicidio, i capi e i sacerdoti della città più vicina devono recarsi sul più vicino alveo di torrente, decapitarvi una vitella e, lavandosi le mani, dichiarare la propria estraneità al delitto. Questa è la regola, alla quale ho accennato molto brevemente perché non è direttamente ad essa che voglio appoggiarmi, bensì a un midràsh ad essa collegato. Il Midràsh sostiene che quando Yosèf fu mandato dal padre a vedere come stavano i fratelli, ed a seguito di ciò fu venduto, col padre stava studiando proprio questa regola; e solo quando, anni dopo, glielo ricordò tramite i fratelli, Ya‘aqòv si convinse che il suo figlio dato per sbranato era vivo.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Se è vero, come affermano i suoi dirigenti, che Hamas ha vinto l’attuale round del conflitto con Israele, non ci resta che augurare cento di queste vittorie a Khaled Meshaal e Ismail Haniyeh. Il cessate il fuoco può durare finché l’inevitabile stillicidio di ulteriori colpi di mortaio non supererà il limite di tolleranza, causando la reazione israeliana e la ripresa dei lanci di razzi da Gaza. Quello che invece si profila in Israele (a parte un possibile riscaldamento del confine siriano) sono nuove elezioni, in cui Benjamin Netanyahu dovrà cercare di farsi rinnovare il mandato alla luce della sua conduzione dell’ultima campagna. Come è noto, Churchill e Truman conclusero vittoriosamente la Seconda guerra mondiale ma, rispettivamente, i conservatori e i democratici persero le prime vere elezioni politiche del dopoguerra. Bibi rischia un destino simile.
 
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ROMA - Ultimo appuntamento, questa sera al cinelab Groupama dell'Isola Tiberina, per la rassegna “Le Notti del Museo Ebraico” organizzata dal Museo Ebraico di Roma in collaborazione con L’Isola del Cinema. In proiezione alle 22 il documentario "Woody" dedicato alla vita del grande Woody Allen.
 
Israele, attenzione al Nord
Firmata la tregua con Hamas, Israele guarda con attenzione a quanto accade a Nord, ai confini con la Siria. Sul valico di Quneitra, sulle alture del Golan, sventolano da ieri le bandiere nere dei ribelli qaedisti che hanno strappato l’area al controllo del regime di Assad. “Per ora — ripetono i capi rivoltosi — lo Stato ebraico e il Golan (tolto ai siriani nel 1967 e annesso 14 anni dopo) non rappresentano un obiettivo”, scrive sul Corriere della Sera Davide Frattini, ma l’attenzione israeliana a quanto accade in Siria è alta. I colpi di mortaio caduti ieri sul territorio israeliano, con il ferimento di un ufficiale di Tsahal, sono sì partiti dalla Siria ma le stesse autorità israeliane hanno derubricato l’accaduto a “fuoco accidentale”, ovvero colpi vaganti dovuti all’infuriare della battaglia oltre confine. Tornando a sud, Repubblica riporta il compito affidato al generale israeliano Yoav Mordechai, al premier palestinese della Cisgiordania Rainy Harndallah e all’inviato olandese dell’Onu Robert Serry: “vigilare sulla tregua ‘permanente e duratura’ che ha posto fine a cinquanta giorni di guerra tra Israele e Gaza”. “Saranno loro a controllare che gli aiuti umanitari e i materiali per la ricostruzione in arrivo sulla Striscia ( via terra e via mare ) non vengano usati da Hamas per riarmarsi o per costruire nuovi tunnel”. Nello stesso articolo si sottolineano le difficoltà del premier israeliano Benjamin Netanyahu all’indomani della tregua, fortemente criticato sia da uomini del suo governo sia dai cittadini del Sud del paese per aver firmato il cessate il fuoco di un mese.
 
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#IsraeleDifendeLaPace Domande e risposta
Domande chiare e risposte chiare e autorevoli, punto per punto, ai complessi problemi della crisi mediorientale. Aggiornamenti costanti ora per ora. L'impegno di fare chiarezza sui diversi nodi del conflitto tra lo Stato di Israele e i terroristi di Hamas.
Sul portale dell'ebraismo italiano www.moked.it il lancio di una nuova area informativa dedicata dalla redazione a notizie, schede, dichiarazioni. Tutti i cittadini che ritengono di poter aggiungere un contributo positivo per arricchire il notiziario possono mettersi in contatto scrivendo a desk@ucei.it.
 
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  davar
J-CIAK
Biennale, da Amos Gitai

al caso "Villa Touma"
La gran giostra della Biennale di Venezia anche quest’anno ci porta in dono qualche J-delizia. Cinema d’autore, of course. Pensoso, drammatico, talvolta tenero e attento alla poesia del quotidiano, che da parte israeliana sorprende per la carenza di attualità, ma sempre da soppesare con occhio attento. Il primo protagonista di questa carrellata è senz’altro Frederick Wiseman, filmaker statunitense che, assieme alla montatrice Thelma Schoonmaker, si è aggiudicato il Leone d’oro alla carriera. Documentarista strepitoso, dal 1967 Wiseman ci racconta la vita nelle istituzioni sociali del nostro tempo. L’ospedale psichiatrico, le compagnie di balletto, il tribunale minorile, la palestra di boxe, le scuole … Il suo occhio attento ha spaziato con minuziosa poesia, fino alle sale della prestigiosa National Gallery, presentato all’ultimo festival di Cannes, cogliendo sempre dettagli inattesi e scorci inconsueti. Un’interesse, quello di Wiseman, profondamente radicato nella sua infanzia bostoniana in cui – come ha ricordato lui stesso – “l’antisemitismo era ovunque” e la discriminazione sempre dietro l’angolo. Eccentrico, per certi aspetti, è anche lo sguardo dell’israeliano Idan Hubel che presenta in concorso “Pat Lehem” (Daily Bread, Israel, 18’). Hubel, già presente all’edizione 2012 con “Menatek HaMaim” (The Cut-Off Man), malinconico ritratto di un uomo che per lavoro taglia l’acqua alle famiglie insolventi, questa volta porta a Venezia un corto ispirato a un racconto di Berdyczewsky (1865-1921), popolare scrittore e giornalista di origine ucraina che scrisse in ebraico, ucraino e tedesco. La storia è minimale: un bambino ruba della cioccolata e per timore di essere punito dalla matrigna scappa di casa. Ma quando scende la notte la paura inizia a farsi sentire, sarà guidato da una scintilla. Fuori concorso Amos Gitai, uno dei beniamini del Festival del cinema di Venezia, propone “Tsili” (Israele, Russia,Italia, Francia, 88’) anch’esso basato su un’opera letteraria, l’omonimo romanzo del grande Aharon Appelfeld. Il film racconta di Tsili, giovane e semplice ragazza ebrea, che nascondendosi nei boschi riesce a sfuggire alla deportazione che colpisce la sua famiglia e dopo la guerra vaga in cerca di una nave che la porti altrove. Interamente girata in yiddish, la storia rispecchia quella dello stesso Appelfeld, anch’egli sopravvissuto alla Shoah rifugiandosi nella foresta.


(Nell'immagine una scena di "Tsili" di Amos Gitai)

Daniela Gross
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#israeledifendelapace
"Scudi umani, le Nazioni Unite intervengano contro Hamas"
L’ambasciatore israeliano Ron Prosor ha ufficialmente chiesto alle Nazioni Unite di prendere posizione contro i crimini di guerra commessi da Hamas. “L’ONU non deve solo riconoscere il dato di fatto ma anche prendere provvedimenti. I civili sono stati usati come scudi umani”. E proprio su questo punto arriva dall’IDF una importante novità: alcuni membri di Hamas, interrogati dallo Shin Bet, hanno ammesso di aver usato la popolazione come scudo. Dramma che ha coinvolto anche l’ospedale Rafah’s Al-Hajar, spesso usato come nascondiglio dei terroristi.
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#israeledifendelapace
Quelle ferite da alleviare
Due colpi, una alla mano e uno al petto. Il secondo potenzialmente fatale. A sparare, un cecchino di Hamas, nascosto in qualche anfratto di Gaza mentre attorno infuriava la battaglia. La vittima, Oz Ronen, faceva parte dell'unità di fanteria Golani, la più coinvolta negli scontri con i miliziani del movimento terroristico della Striscia di Gaza. A salvargli la vita, il tempestivo intervento dell'ufficiale medico Shahar Daysi. “Grazie alle cure di Shahar, la vita di Oz è salva”, ha dichiarato un famigliare del soldato ferito. Dopo aver servito a Gaza e contribuito a salvare la vita dei suoi compagni, il luogotenente Daysi è tornato a nord, sulle alture del Golan. Mercoledì due colpi l'hanno raggiunto, alla mano e al petto. Questa volta non era un cecchino di Hamas, ma proiettili vaganti partiti dalla Siria contro il territorio israeliano. Di là dal confine infuria un'altra guerra, tra i ribelli e il regime di Assad. Israele per ora non è coinvolta ma i proiettili non lo sanno, e hanno comunque ferito Daysi.
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VERSO ROMA FIORENTINA - LE MEMORIE DEL MORè
"Quella volta che il calcio

tornò a farmi sorridere"
Non è una partita come un'altra. E mai potrà esserlo. Per il rav Vittorio Della Rocca, “il Morè”, Roma-Fiorentina rappresenta molto più di un semplice incontro tra due squadre candidate all'alta classifica. È infatti uno dei primi raggi di luce di una gioventù difficile, segnata dalle persecuzioni e dall'uccisione del padre.
Una storia che la Gazzetta dello Sport fa oggi raccontare al collega Adam Smulevich dopo l'articolo, a firma dello stesso, apparso sul numero di agosto del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche dal titolo "Roma, storia di un grande amore".


Magari non va più allo stadio ogni domenica. Ma la passione è rimasta la stessa: la passione del ragazzino che si imbucava a Campo Testaccio sfidando le restrizioni delle leggi antiebraiche emanate dal fascismo, la passione della giovane mezzala della Stella Azzurra che sognava di ripetere sul campo le imprese di Amedeo Amadei, il mitico Fornaretto, da poco scomparso, impresso nella sua mente come “il più grande campione” ad aver onorato la maglia della lupa. Figura tra le più rappresentative e amate della Roma ebraica, Vittorio Della Rocca si diverte all’idea di essere etichettato come rabbino tifoso. “Dire che sono tifoso è dire poco. La Roma ce l’ho nel sangue, da sempre".
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PROTAGONISTI
Elvis Presley? Uno Shabbos Goy
Harold Fruchter era solo un bambino quando, nel suo appartamento in Alabama street a Memphis, si aggirava un adolescente fuori dal comune: Elvis Presley. Prima di iniziare la sua sfavillante carriera musicale, The King aveva un ruolo piuttosto singolare a casa Fruchter: lo shabbos goy. Durante lo shabbat, infatti, provvedeva a compiere mansioni proibite agli gli ebrei osservanti, come accendere la luce. "Mia mamma ovviamente non poteva chiederglielo direttamente - racconta Harold- quindi, quando Elvis arrivava, cominciava a spiegargli quanto buio ci fosse e come sarebbe stato utile avere un po' di luce". La storia viene riportata dal sito Tablet che la riprende dalla stazione radio KCRW. Harold Fruchter fa il cantante nei matrimoni e nonostante il suo repertorio sia prettamente ebraico non nasconde come ami ogni tanto inserire un grande classico di Presley. "Elvis aveva molto rispetto per mio padre, rabbino di professione, lo chiamava Sir Rabbi. Mia madre era una grande amica di sua madre e lo trovava un giovane adorabile. Per il suo diploma gli regalò dei gemelli. Sapeva quanto li desiderasse". Probabilmente fu questo l'incontrò che portò Presley ad essere affascinato dalla religione ebraica: gli innumerevoli siti a lui dedicati non mancano di ricordare che portava sempre con sé una kippah custodendola nel taschino e che fece molte donazioni ad associazioni ebraiche, oltre ad essere uno studioso di Kabbalah decenni prima del fenomeno Madonna. Si mormora perfino che sua nonna fosse ebrea. E pensare che tutto iniziò con una curiosa 'carriera' di shabbos goy.


Rachel Silvera
pilpul
Setirot - La partita del sogno
In cerca di speranze, riprendo in mano un libro di qualche anno fa, “I have a dream”, raccolta di indimenticabili discorsi pronunciati da altrettanto indimenticabili uomini che “hanno camminato con coraggio in direzione ostinata e contraria (…) per un mondo migliore”. Curato e introdotto da David Bidussa, lo considero – se così si può dire – un aiuto per i tempi bui e confusi come quello che stiamo vivendo. Perché, come scrive David, “non ci si dimette dalla storia, e neppure si può dichiararla chiusa a proprio piacimento (…) e proprio la riapertura della storia implica che si riapra la partita del sogno, una condizione che presume appunto la consapevolezza che niente è ineluttabile o già scritto”.

Stefano Jesurum, giornalista 




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