“Roma, storia di un grande amore”

vittorio della roccaMagari non va più allo stadio ogni domenica. Ma la passione è rimasta la stessa: la passione del ragazzino che si imbucava a Campo Testaccio sfidando le restrizioni delle leggi antiebraiche emanate dal fascismo, la passione della giovane mezzala della Stella Azzurra che sognava di ripetere sul campo le imprese di Amedeo Amadei, il mitico Fornaretto, da poco scomparso, impresso nella sua mente come “il più grande campione” ad aver onorato la maglia della lupa. Figura tra le più rappresentative e amate della Roma ebraica, Vittorio Della Rocca si diverte all’idea di essere etichettato come rabbino tifoso. “Dire che sono tifoso è dire poco. La Roma ce l’ho nel sangue, da sempre. Un legame – spiega – dal quale è impossibile separarsi come una storia d’amore che si rinnova continuamente nel tempo. Quando gioca la Roma, la realtà circostante perde importanza. Credo sia una fortuna provare queste emozioni ancora oggi, alla mia non più tenerissima età”. La mente torna ai primi contatti con la realtà giallorossa, frutto dell’infatuazione trasmessagli dal padre (abbonato della prima ora: dal 1927, anno di fondazione della so cietà). Sono anni difficili per gli ebrei italiani, privati dal ’38 dei più elementari diritti. Al Campo Testaccio, dove la Roma giocherà fino 1940, il piccolo Vittorio trova una zona franca. Un riparo dall’emarginazione, un luogo in cui sentirsi uguale agli altri coetanei. Come punto d’appoggio la casa dei nonni, situata a poche centinaia di metri dall’impianto. Allo Stadio Nazionale assisterà invece alla vittoria del primo scudetto (stagione 1941-1942) e alle gesta del tanto amato Fornaretto. “Come lui nessuno, un giocatore davvero unico”, commenta il rav. Nei mesi dell’occupazione nazista non ci sarà più tempo per pensare al calcio. Ci sarà da salvare la pelle e confidare in tempi migliori, che arriveranno soltanto a partire dall’estate del 1944. Ed ecco così ravvivarsi, soprattutto con il bar mitzvah celebrato un paio di anni dopo, l’antica magia. È un amico di famiglia a fargli il regalo più bello: una trasferta pagata per seguire la Roma, attesa in quei giorni da una gara di campionato a Firenze. Vittorio non può desiderare di più dalla vita e infatti quel giorno, così distante ma allo stesso tempo così significativo, non l’ha mai dimenticato. Anche il risultato: “1 a 1”. È un aneddoto che racconta molto della sua personalità, insieme ai tanti successi conseguiti in campo educativo e rabbinico. Memorabile anche l’affettuoso scontro con rav David Prato, tra gli artefici della rinascita comunitaria dopo la Shoah e il dramma delle persecuzioni. Giocava a piazza Cinque Scole (allora piazza de’ Cenci) il giovane Vittorio. E questo suscitava le ire del rabbino capo. “Un futuro rabbino non gioca a calcio”, il suo reiterato ammonimento. Un invito destinato a cadere nel vuoto. Della Rocca si sarebbe infatti ritagliato uno spazio nelle file della Stella Azzurra, squadra degli ebrei romani che fu punto di raccolta di molta gioventù. “Ero una mezzala. Una mezzala di ‘allora’, il che significa che praticamente giocavo da fermo. Comunque – ricorda – avevo un ottimo palleggio e questo faceva impazzire rav Prato”. Nella stessa squadra, un caro amico che avrebbe fatto strada nel settore: Giovanni Di Veroli, il “campione di piazza” che avrebbe disputato 58 partite di Serie A con la maglia della Lazio. Ma meglio non parlare di Lazio con un vecchio core giallorosso. Ed ecco che ad essere snocciolate sono memorie di un calcio forse più povero ma senz’altro più suggestivo e ricco di valori. Al seguito della “Magica” rav Della Rocca va infatti un po’ ovunque. Tra le trasferte predilette Firenze, Livorno e Torino. “Ci andavo con mio cugino Umberto, quanti bei momenti”. A Roma invece la meta è il settore distinti fino a quando, con maggiori certezze economiche, la scelta cadrà su settori con migliore fruibilità delle azioni sul campo. Il 17 maggio 1953 è un giorno storico per la città di Roma. Si inaugura infatti, alla presenza del capo dello Stato, il nuovo Stadio Olimpico. In campo l’Italia sfida la grande Ungheria di Puskas. Sugli spalti, tra gli oltre 80mila tifosi che gremiscono l’impianto, anche il rav Della Rocca. “Non potevo mancare – dice – Puskas e i suoi compagni hanno segnato un’epoca. Ricordo che fu un’emozione indescrivibile vedere le loro gesta”. Non si sarebbero smentiti neanche in quella circostanza: padroni di casa annichiliti, 3 a 0 per i magiari. E di calciatori che hanno lasciato una traccia, anche da un punto di vista morale, il rav ne elenca molti. Alcuni, chiosa, “sono passati da Roma”. Oggi il campione di riferimento è Francesco Totti. Anche se è il contorno umano di tutta la Serie A ad essersi degradato. “Vedo troppo nervosismo, troppa competitività esasperata. E questo – conclude – un po’ mi rattrista”.

Adam Smulevich, da Pagine Ebraiche agosto 2014

(28 agosto 2014)