
Paolo Sciunnach,
insegnante
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“Essere
o non essere”, questo non è il problema. In questi giorno ci si
interroga spesso sulla questione di “Chi è Ebreo?”, anche sulla scia di
recenti pubblicazioni sul tema. Rispondere a questa domanda è, a mio
modesto avviso, piuttosto semplice: “Chi è ebreo?”, fa parte del popolo
ebraico chi è figlio di madre ebrea. Ebrei si nasce o si diventa
attraverso il Ghiur. Ma ebrei si resta, anche dopo generazioni di
abbandono, come si è visto nel secolo breve, sia per il male che per il
bene, sia per la morte che per la vita. Un ebreo resterà sempre un
ebreo. Un ebreo rappresenta, simboleggia, proclama il proprio essere
ebreo persino malgrado se stesso.
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Anna
Foa,
storica
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Il
presidente israeliano Reuven Rivlin ha ieri deposto una corona di fiori
in commemorazione delle 43 vittime palestinesi di Kfar Kassem. “Qui è
stato commesso un crimine terribile” ha detto durante la
commemorazione. Il massacro è stato commesso nel 1956, il giorno
d’inizio della campagna del Sinai. I palestinesi, che stavano tornando
dal lavoro ignari che il coprifuoco fosse stato anticipato, furono
uccisi da una pattuglia israeliana vicino al loro villaggio, sulla
frontiera giordana. L’episodio suscitò un’ondata violentissima di
indignazione nel paese. Ben Gurion ne riferì alla Knesset, che tenne un
minuto di silenzio.
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La svolta di Reuven Rivlin |
Pur
se in poche righe sono numerose le testate che riprendono oggi il gesto
del Capo dello Stato israeliano Reuven Rivlin, che si è recato a Kafr
Qassem, sulla lapide che ricorda i 49 palestinesi uccisi da un reparto
della Guardia di frontiera israeliana il 29 ottobre 1956. Gli autori
della strage vennero processati e subirono condanne pesanti e, come ha
detto Rivlin durante la commemorazione “Qui ha avuto luogo un crimine
terribile. Ci fu un ordine illegale, su cui sventolava una bandiera
nera. Dovremo educare le generazioni future, e trarre le lezioni
necessarie”. Polemizzando a distanza con la destra radicale ebraica
Rivlin ha riconosciuto che “la popolazione araba in Israele ha sofferto
per anni di discriminazione”. (Repubblica) Il Quotidiano Nazionale
scrive che con “un gesto senza precedenti nella storia d’Israele, il
capo dello Stato, Reuven Rivlin (Likud), ha chinato ieri la testa e
deposto una corona di fiori a Kafr Qassem, località araba nel centro
del paese”, concetto ripreso anche da Messaggero, Secolo XIX e Gazzetta
dello Sport.
Furio Colombo, sul Fatto Quotidiano, scrive di Non era una donna, era
un bandito, il libro (Cierre edizioni) in cui Livio Isaak Sirovich
ricostruisce e racconta la storia di Rita Rosani, unica ragazza della
Resistenza a ricevere una medaglia d’oro al valor militare. Dopo aver
pubblicato a settembre una cronaca dell’evento con cui Rita Rosani
(nata Rosenzweig) è stata ricordata a Verona nell’anniversario della
sua morte – cronaca segnalata da Colombo nel suo articolo – il numero
di novembre di Pagine Ebraiche, in distribuzione in questi giorni,
dedica un approfondimento proprio a Rita Rosani e a Non era una donna,
era un bandito. Furio Colombo ne scrive: “Il libro è un fitto cespuglio
di storie, memorie e documenti scrupolosamente cercati e
scrupolosamente trovati, che si diramano lungo vari percorsi di vita
ebraica, italiana ed europea. Rita è al centro di questo intensa
circolazione di vita, che diventa, quasi all’improvviso, una grande
trappola di morte. E, mentre è ancora una ragazzina che si diverte a
fabbricare e regalare bambole di pezza, improvvisamente diventa una
resistente, diventa un soldato forte e tenace. Combatte e la uccidono,
non in combattimento, ma come esecuzione, per mano italiana, di una
ragazza italiana gravemente ferita. Dobbiamo molto a questo libro. E
dobbiamo molto a Rita Rosenzweig, e alle italiane come lei.”
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IL SUCCESSo ITALIANO DEL PROGETTO
Uno Shabbat per tutti
Dopo
il successo della prima edizione dello Shabbat Project in Sudafrica,
quest’anno il format ha preso una piega globale: più di 3000 persone si
sono date appuntamento a Londra per preparare ed impastare le challoth,
il pane del sabato. Miami ha raggiunto 4500 partecipazioni, Buenos
Aires 4000. Shabbat Project ha una missione chiara: tutti gli ebrei
delle diverse comunità sono stati invitati lo scorso 24-25 ottobre a
rispettare lo Shabbat insieme, keeping it together. Un’occasione che 65
stati e 465 città hanno deciso di non lasciarsi sfuggire. L’Italia
ebraica non è stata da meno con cene, pranzi, attività per bambini,
lezioni, accensione delle candele che hanno coinvolto centinaia di
persone. A fare il bilancio, Gadi Piperno, tra i coordinatori del
Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane: “La Comunità di Roma si è data da fare per promuovere
l’iniziativa, con la diffusione di video-inviti di diversi esponenti,
dal rabbino capo Riccardo Di Segni, al presidente della Comunità
ebraica Riccardo Pacifici. Al Tempio Bet Shalom è stato organizzato un
pranzo con ragazzi diversamente abili di Kaftor vaferach. Mentre
venerdì sera all’Oratorio di Castro di via Balbo c’è stata una cena. Il
Bet Michael ha inoltre registrato una partecipazione alle funzioni il
30% più alta del solito”. Cena di Shabbat di successo anche al Tempio
Centrale di Milano, il giorno dopo al Centro Noam hanno presenziato
alle lezioni oltre 200 persone. “Un riconoscimento – continua Gadi
Piperno – deve essere sicuramente dato alle comunità più piccole che
hanno partecipato con entusiasmo all’iniziativa. Torino, Livorno e
Bologna hanno potuto contare sul contributo dell’Ugn, l’Ufficio giovani
nazionale che ha animato il pomeriggio con attività per bambini. A
Venezia si sono preparate le challot, a Napoli sono arrivati
partecipanti anche da San Nicandro, Cosenza e Reggio Calabria. Nel
tempio di Trieste ci sono state il doppio delle persone rispetto ad uno
Shabbat abituale. A Padova, pur di essere presenti alcuni hanno
soggiornato in albergo”. “Dopo aver registrato l’entusiasmo generale,
da Bologna a Genova – conclude Piperno – abbiamo già la data del
prossimo Shabbat Project. Ci ritroveremo il prossimo 23-24 ottobre
2015″.
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inFORMAZIONE - INTERNATIONAL EDITION
Raccontare l'ebraismo italiano
Nuovi collaboratori dagli USA
Raccontare
al mondo l’Italia ebraica, le sue storie, i valori che la più antica
comunità della Diaspora testimonia. Con questi intenti prendeva il via,
poco più di sei mesi fa, l’edizione internazionale di Pagine Ebraiche,
ogni lunedì mattina nelle caselle di posta di giornalisti,
rappresentanti delle istituzioni ebraiche, semplici lettori dagli Stati
Uniti alla Francia, dal Regno Unito a Israele. L’inglese, yiddish degli
anni Duemila, la lingua prevalente della pagina, che si arricchisce in
queste settimane di una collaborazione speciale, quella del Muhlenberg
College della Pennsylvania. Protagonisti, gli studenti del corso
dedicato alla cultura ebraica italiana e alla Shoah nella letteratura
offerto dal Dipartimento di Lingue e tenuto dal professor Daniel
Leisawitz. Questa settimana le studentesse Sabina Muccigrosso e Jazmine
Pignatello firmano la traduzione dell’intervento dello storico David
Bidussa che riflette su come sia possibile trasmettere la memoria e il
significato di quanto avvenne negli anni più bui della storia d’Europa
alle nuove generazioni. Come di consueto, inglese ma non solo inglese.
Per la sezione Bechol Lashon, viene raccontata in francese la prima
campagna contro l’incitamento all’odio avviato da Unione degli studenti
ebrei di Francia, SOS Razzismo, il Movimento contro il razzismo e per
l’amicizia tra i popoli (MRAP) e la Lega internazionale contro il
razzismo e l’antisemitismo (Lycra), con il sostegno di Google. E un
passo importante per affermare come le conseguenze dell’odio perpetrato
a livello di Stato sovrano non possano godere di impunità è stato
sancito questa settimana dalla Corte costituzionale italiana, che ha
dichiarato come il principio di immunità degli Stati rispetto alle
cause civili non si applichi ai crimini contro l’umanità e crimini di
guerra, restituendo ai tribunali della Repubblica la giurisdizione
sugli atti compiuti dalla Germania in Italia durante la seconda guerra
mondiale, come viene spiegato al pubblico internazionale.
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QUI PARMA Adei Wizo, al premio letterario il nuovo filone giallo israeliano
Per
l'Adei Wizo, l'associazione che rappresenta le donne ebree d'Italia, è
un po' un fiore all'occhiello, l'occasione per aprirsi ai bibliofili
con proposte letterarie di prim'ordine che affrontino sia i temi
dell'identità ebraica sia il meglio di quello che la letteratura
israeliana è attualmente in grado di esprimere. Giunto alla
quattordicesima edizione, il premio intitolato alla memoria di Adelina
Della Pergola arriva quest'anno a Parma in collaborazione con la locale
Comunità ebraica. Appuntamento per mercoledì 29 ottobre, presso il
Salone Maria Luigia della Biblioteca Palatina. Una cornice tra le più
prestigiose della città emiliana che vedrà, adeine e non, rendere
omaggio alla bravura di Dror Mishani, scrittore la cui ultima prova –
Un caso di scomparsa (ed. Guanda) – ha subito raccolto numerosi
consensi. A Mishani è andato il maggior numero di voti della giuria
selezionatrice coordinata da Maria Modena. A seguire, in graduatoria, i
volumi Quel che resta della vita (ed. Feltrinelli) di Zeruya Shalev e
Traducendo Hannah (ed. Giuntina) di Ronaldo Wrobel. Leggi
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Oltremare
- Il posto della cucina |
Quando
si dice che intorno alla tavola si costruiscono le amicizie e le
alleanze più forti, forse si dice il vero. Ma nella mia vita non è a
tavola che succedono le cose davvero importanti. È un passo prima: in
cucina. Prima di tutto in casa, ma anche in cucine più grandi e
frequentate da molte persone contemporaneamente. Sono cresciuta a metà
fra Torino e Venezia, e provo una fitta di nostalgia ogni volta che
penso alle meraviglie culinarie di semplicità estrema ed estrema bontà
che escono dalla cucina del Cuore e Concordia (il centro sociale
veneziano). Ogni anno al seder di Pesach, il menù fisso giustamente da
secoli è uno dei segreti meglio conservati dell’Italia ebraica. Ma è
ovvio a chiunque si affacci nella cucina, che tutta quella bontà è
fatta tanto dal cibo quanto dalle mani, dalle storie e dalle
chiacchiere che annualmente riempiono quella cucina.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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Torino, al Salone gusto di Israele
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Mi
hanno chiamato e io ho sentito la chiamata esattamente nel momento in
cui la vocazione al martirio si è risvegliata nei miei precordi e mi è
preso un prurito alle mani incontrollabile: all’assalto della cucina
comunitaria, mi sono detta, usurpazione degli spazi delle buone signore
dell’Adei, sicuramente disperate per l’invasione. Al telefono: “C’è un
gruppo di ebrei israeliani e americani e altro venuti per il salone del
Gusto a Torino. Vogliono fare una cena venerdì sera in comunità, puoi
dar loro una mano suggerendo qualche piatto della cucina ebraica
italiana?”. Questo mi dicono, e io accetto, obbediente perché curiosa
di tuffarmi in questo clima internazionale, dentro alimenti, cibi, e
pentolame vario, ma non nel Salone Slow Food, che da tanti anni non
sopporto, per motivi profondi che non rivelo, ma anche perché la
pazza folla masticante, blaterante e sgomitante non mi sconfinfera
proprio più. Uno dei membri del gruppo eterogeneo che andrò a
incontrare, mi telefona dicendomi che sarà cucina di carne e non di
latte, come mi avevano preannunciato e per cui mi ero preparata, anche
spiritualmente. Andranno, mi dice, in delegazione al mercato di Porta
Palazzo, oramai in mani, diciamo così per farla breve, poco consone al
sionismo e acquisteranno le derrate necessarie. Il giovane si chiama
Hedai, per questo lo ricordo, per il suo entusiasmo saltereccio e quel
Dai, che avrebbe dovuto rispettare un po’ di più. Lo so persino io che
vuole dire Basta in ebraico.
Roberta Anau
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