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29 Gennaio 2015 - 9 Shevat 5775
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Non è particolarmente difficile immaginare la scena di ciò che poteva essere l’uscita dall’Egitto, la moltitudine di essere umani, di animali, di carri in marcia, il loro brusio, il pianto dei neonati… Possiamo anche immaginare lo sgomento di questa folla eterogenea nell’accorgersi di essere inseguita dalla veloce cavalleria egizia in assetto di guerra, armata di carri falcati (l’arma più micidiale dell’epoca), e capirne l’impaurita reazione. Moshè sa usare le parole giuste: “Non temete, state saldi e guardate la salvezza divina che Egli metterà in atto per voi oggi (…) Il Signore combatterà per voi; voi state quieti!”.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Ultimo commento sul Giorno della Memoria 2015, settant’anni dalla liberazione di Auschwitz. Fra le molte iniziative, alcune bellissime altre sconcertanti, fra il sorprendente e l’ovvio, in tutte le maggiori città italiane, nel dare atto all’alto profilo mediatico, televisivo e cartaceo, che quest’anno è stato accordato alla circostanza, captiamo anche il seguente commento emesso su Facebook da persona di non bassissima estrazione sociale: “Cos’è, oggi o domani che voi avete la vostra festa?…”. La vostra… Di chi è la Memoria? Certo è la vostra. Ma non dovrebbe essere anche la nostra? Noi siamo noi e voi siete gli altri. Ma non condividiamo nulla? Noi siamo rimasti noi e voi siete rimasti gli altri. Voi e noi, voi avete sofferto molto, noi non abbiamo metabolizzato nulla. E poi la festa… Si festeggia il Giorno della Memoria, o forse si celebra, si commemora, si segnala. Da domani, però, per favore, parliamo d’altro…
 
Hezbollah attacca Israele
Tensione al confine tra Israele e Libano dopo l’attacco lanciato da Hezbollah contro un convoglio dell’Idf e l’uccisione di due soldati (oltre al ferimento di altri sette). Nella risposta all’offensiva del gruppo terroristico alleato di Teheran è rimasto ucciso un casco blu spagnolo. “Le perdite di ieri sono le più gravi inflitte da Hezbollah a Israele sul fronte nord dal conflitto di nove anni fa” spiega Davide Frattini (Corriere). E il premier Benjamin Netanyahu intanto dichiara: “I responsabili pagheranno”.
Sulla Stampa Maurizio Molinari riporta un virgolettato ancora più forte. “Dia un’occhiata a quanto avvenuto quest’estate a Gaza, è quello che sta rischiando” l’avvertimento di Netanyahu a Nasrallah. Mentre il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman chiama Madrid per esprimere “condoglianze” e attribuisce la responsabilità dell’escalation ad Hezbollah: “Sono terroristi, dobbiamo difenderci”.

Sul tema del terrorismo islamico da segnalare la prosecuzione delle indagini su una cellula jihadista attiva a Milano che avrebbe terrorizzato i connazionali residenti nell’hinterland milanese “con agguati a colpi di bastoni e spranghe di ferro, minacce di morte e aggressioni”, per poi far perdere le sue tracce in Siria, al seguito dell’esercito libero in guerra contro il presidente Bashar Al-Assad, “lungo un percorso di progressiva radicalizzazione islamica” (Repubblica). Un video del settembre 2013 in Siria riprende alcuni esponenti della cellula mentre uccidono a raffiche di kalashnikov sette soldati legati e inginocchiati, e con i segni della tortura sul corpo.
 
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  davar
DIALOGO E INCOMPRENSIONI - IL PENSIERO DEL RAV
"Gemelli nati
da un unico tronco"
Gli interventi del rav Giuseppe Laras (
Corriere della sera, 13 gennaio) e del priore Enzo Bianchi (La Stampa, 18 gennaio) hanno suscitato una presa di posizione del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che denuncia oggi sul nostro notiziario quotidiano il pericolo, da parte cristiana, di una lettura a senso unico delle Scritture.

Un articolo di rav Giuseppe Laras pubblicato sul Corriere della Sera del 13 gennaio 2015, puntuale con l’urgenza dei tempi, ha richiamato ad un impegno condivisibile tra ebrei e cristiani: “Riportare la Bibbia a fondamento della cultura e dell’etica”; precisando: “Tuttavia senza il reale riferimento positivo e non ambiguo a Israele non sarà né autentico né produttivo il dialogo tra ebrei e cristiani”. Il riferimento, peraltro generico, a “Israele”, è stato ripreso e precisato il 18 gennaio dal priore Enzo Bianchi, che ha replicato a rav Laras su La Stampa, con alcune considerazioni che meritano attenzione. Bianchi parla di “un tema bruciante e sul quale non pare esserci comprensione; il tema della terra e dello Stato di Israele”. Premette: “Secondo le Scritture del Nuovo Testamento c’è un Israele di Dio, che sono gli ebrei in alleanza con Dio, ma non tutto Israele è l’Israele di Dio, è discendenza di Abramo”. E aggiunge: “È certo che spontaneamente la chiesa di sente legata agli ebrei credenti…ma non identifica questa alleanza …con una dimensione etnica, culturale o politica. Noi cristiani che non abbiamo più terra né patria perché ogni terra straniera è per noi patria…, essendo cittadini del mondo in grado di fare scelte politiche, possiamo volere o non volere lo Stato di Israele, ma teologicamente non abbiamo parole in merito…la mia fede non mi autorizza ad ipotizzare uno Stato d’Israele”

Effettivamente da queste parole emerge l’incomprensione. L’incomprensione di chi, come cristiano, non avrebbe “più terra né patria”, ma che ha sempre avuto terre e patrie, definite cristiane e talora cristianissime, nei confronti di chi – il popolo d’Israele – la terra ce l’aveva, promessa, ma l’ha perduta per millenni, senza tuttavia dimenticare il suo rapporto con essa. A molti cristiani, in quanto cristiani, è stato e viene ancora contestato il diritto di residenza nelle loro terre (persino oggi, nell’indifferenza della maggioranza dei loro fratelli), e ancora di più il diritto di dominio sul loro territorio; ma questo non serve a educare a un rapporto diverso con gli ebrei, ai quali, molto più radicalmente, viene spesso contestato sia il diritto di insediamento in altre terre che quello di ritorno nella propria, per non parlare del diritto di indipendenza.

Lo Stato d’Israele è una struttura politica, ma prima dello Stato c’è “il tema della terra”, che Bianchi cita ma poi non affronta; e il rapporto del popolo d’Israele (anche di chi non è credente) con la terra è qualcosa di ben diverso che precede e sovrasta la politica. La storia ha diverse chiavi di lettura. Parlando in termini laici, con laici non credenti, non ha senso parlare di promesse divine; un interlocutore laico può prendere atto della fede altrui, come forte movente della sua azione storica, ma non la considera causa sufficiente e giustificazione valida. Ma per chi ha fede il discorso è ben diverso. Ci sono le Scritture che possono essere interpretate e reinterpretate, ma non se ne può fare a meno. Dal discorso di Bianchi riemerge la posizione, ben radicata nella storia della sua fede, di una lettura a senso unico delle Scritture. Siccome noi le leggiamo così, fa capire l’autore, il resto non ha senso. Potete essere, voi ebrei (e neppure tutti, solo quelli credenti) nostri fratelli gemelli, ma le categorie interpretative delle Scritture che valgono sono solo quelle nostre. Se il cristiano non ha terra (forse), il rapporto ebraico con una terra (quella terra) non conta teologicamente. Eppure si tratta di un tema fondamentale nelle Scritture (per non parlare della fede successiva). Abramo viene mandato via dal suo luogo di origine non verso un posto qualsiasi, ma verso la terra che verrà promessa ai suoi discendenti. Dimenticare questo significa dimenticare le storie dei Patriarchi, il senso dell’Esodo, la conquista della terra, l’annuncio dell’Esilio e il ritorno dall’Esilio, e poi – nel seguito della storia ebraica – il costante legame di fede e di preghiera verso la terra che venne sottratta. Chi ha una fede che dice di fondarsi sulle Scritture non può dire che tutto questo non ha senso teologico; e non parlo ancora dello Stato, ma del recente ritorno di milioni di ebrei nella terra e la sua rifioritura. Può dargli tutte le interpretazioni che vuole, ma se non lo fa significa che “ha occhi ma non vedono, ha orecchie ma non sentono”. Non si può leggere la Bibbia facendo finta che pagine intere non esistano o non abbiano senso. O che una tradizione religiosa successiva di millenni sia senza significato. Come Bianchi non capisce il rapporto di Israele con la terra d’Israele, così noi non riusciamo a capire (o meglio, troppo bene la comprendiamo…) questa sua ostinata negazione di matrice cristiana (sarebbe meglio dire cattolica) di un elemento fondamentale della fede di Israele, basato sulle Scritture, che pure sono testi che dovremmo condividere.

L’incomprensione di Bianchi è in realtà espressione attuale e drammatica di quello che lui chiama e interpreta come “il grande originario scisma” tra ebrei e cristiani “a partire dalle stesse Scritture interpretate in modo diverso”. Stupisce un po’ questa sua semplificazione della storia (ma soprattutto della sua fede), in linea con correnti di pensiero attuale, come se si trattasse dello scisma tra Occidente e Oriente o tra la Chiesa di Roma e quella di Lutero. La rivoluzione cristiana in realtà sconvolge l’essenza dell’Israele originario, affermandosi contemporaneamente al disfacimento della sua unità territoriale intorno a un centro religioso, il Tempio di Gerusalemme. I cristiani costruirono i loro mondi su basi differenti e sostitutive, ma gli ebrei, privati del legame originario, non vi hanno mai rinunciato. Per i cristiani era la punizione che gli spettava per non avere accettato Gesù. Oggi, dopo la Shoah, ogni onesto cristiano si astiene dal dichiarare che la dispersione degli ebrei nel mondo, e la loro sofferenza conseguente, è la pena per la loro colpa originaria, ma fa fatica a interpretare il ritorno ebraico a Sion come qualcosa di teologicamente significativo. Costerebbe troppa fatica teologica, significherebbe mettere in discussione categorie millenarie. Allora ci si rifugia nel rifiuto teologico della politica, che sarebbe forse una scelta valida se fosse coerente. E chissà se lo è, se non riguarda solo lo Stato d’Israele. E poi non si può ignorare che alla base di questa opposizione c’è anche la radicalmente diversa comprensione della messianità, che è comunque sinonimo di regalità e che con tutte le varianti possibili del pensiero ebraico non può essere distinta da una dimensione politica, quale che essa sia. La messianità cristiana è ben differente, ma non può ignorare l’altra faccia della realtà. Se veramente c’è un rapporto tra fratelli gemelli (ma chi è Esaù e chi Giacobbe?) bisognerebbe capirlo meglio questo strano fratello. Il riferimento positivo a Israele, di cui parla rav Laras, comporta la messa in discussione di un’intera tradizione teologica tesa a umiliare e sottomettere, se non proprio eliminare il diverso, l’antico fratello. C’è stato un grande progresso su tanti aspetti di questo rapporto, ma la terra rimane uno scoglio. Eppure il chiarimento e la svolta su questo tema è una necessità teologica, che va chiarita spogliandosi di ostilità ancestrali e senza timore di mettere in discussione la propria fede.

Non ha senso invocare la fratellanza, anche gemellare, con Israele, se non si comprendono e si rispettano le sue basi identitarie, come popolo e non solo fede astratta, per cui tutto Israele è Israele ed è legato a Dio anche se forse non ci crede, ed è legato spiritualmente e materialmente a una terra, anche se ne è lontano.

Se non si accettano queste premesse non stupisce l’invito finale di Bianchi: “occorre restare sempre vigilanti per non giudaizzare da parte dei cristiani”. Invito allarmante, se non meglio chiarito. Cosa dovrebbero fare i cristiani per non giudaizzare? Eliminare dalla loro liturgia i Salmi di Davide, il “Santo, Santo, Santo”, o la Pasqua e la Pentecoste, o il calice del vino, o i Dieci Comandamenti, o il rito del battesimo, o le ore della preghiera scandite dai tempi dei sacrifici nel Tempio di Gerusalemme, o la recente attenzione per la ricchezza dell’esegesi rabbinica? O ci sono cose che vanno bene perché “ebraiche” e altre no perché “giudaiche”? I cristiani non possono togliersi di dosso l’ebraismo/giudaismo senza pregiudicare la loro natura, né ignorare o non dare senso a quanto succede oggi al popolo d’Israele, smettendo di interrogare la loro fede.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

DOPO L'ATTACCO DI HEZBOLLAH
Israele, al Nord calma apparente
Migliaia di persone hanno partecipato questa mattina a Gerusalemme al funerale del maggiore Yochai Kalengel, una delle due vittime dell'attacco di giovedì mattina compiuto da Hezbollah contro un convoglio militare israeliano nella zona di Har Dov, lungo il confine con il Libano. Kalengel, 25enne comandante di compagnia della Brigata Golani, è rimasto vittima assieme al sergente Dor Nini, vent'anni, del lancio di alcuni missili anticarro che hanno colpito il veicolo non corazzato su cui stavano viaggiando. Sei in totale i colpi esplosi da Hezbollah contro il convoglio militare israeliano, composto da due Jeep e tre furgoni non corazzati. Sei colpi che hanno ucciso i due giovani soldati e ne hanno feriti altri sette. A poche ore dall'attacco, il movimento terroristico di Hezbollah, dopo aver rivendicato l'azione, ha inviato un messaggio a Israele: non vogliamo un escalation di violenza. A confermarlo questa mattina, il ministro della Difesa di Israele Moshe Yaalon in un'intervista rilasciata alla radio israeliana. “Non posso dire che oramai gli eventi sono alle nostre spalle”, ha dichiarato Yaalon, sottolineando che “fino a che l'area non sarà completamente calma, l'esercito israeliano rimarrà pronto e preparato”. Secondo gli analisti l'attacco di ieri costituisce una vendetta per il raid aereo compiuto la scorsa settimana da Israele sul Golan siriano, in cui sono morti diversi miliziani di Hezbollah – tra cui Jihad Mughniyeh, a cui era stato affidato il controllo dell'area – e un generale iraniano. Dietro l'attacco ci sarebbe proprio la mano iraniana, secondo il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu.
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GIURISTI, MEDICI E POLITICI A CONFRONTO
La Costituzione e la "razza"

Recita l'articolo terzo della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. A 67 anni dalla stesura della stessa è ancora accettabile che il termine 'razza' compaia nella Carta fondamentale o è più opportuno procedere a una sostituzione?
Propendono per la seconda opzione i firmatari di un appello inviato in queste ore al presidente del Senato Pietro Grasso e alla presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini in cui si sottolinea come il termine 'razza' sia privo di qualunque riferimento “alla realtà delle differenze genetiche umane” e il cui uso e abuso sostenga e diffonda “manifestazioni di xenofobia e intolleranza”. Tra i firmatari il rettore dell'Università La Sapienza di Roma Eugenio Gaudio, il rettore emerito Luigi Frati, il rabbino capo Riccardo Di Segni, il Testimone della Shoah Sami Modiano, il direttore generale dell'ateneo Carlo Musto D'Amore e i rappresentanti della comunità accademica in seno al cda.
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qui bologna
Memoriale, il bando è online
“La triste pagina della Seconda guerra mondiale e della persecuzione nazista deve aiutarci a costruire un futuro per i nostri figli che abbia connessioni con il passato e con il presente nel quale vi è la piena accettazione della diversità. Se vogliamo davvero combattere il razzismo, dobbiamo imparare ad indossare i panni degli altri, dobbiamo comprendere che quello che accade al nostro vicino potrebbe capitare a noi. Proprio per questo siamo chiamati a costruire nuova Cultura, sia in Italia che nel resto dell’Europa”. Questa la premessa con cui si apre il bando internazionale di progettazione del Memoriale della Shoah di Bologna, ora online sul sito http://concorsi.archibo.it/shoahmemorialcompetition/home e cui sarà possibile partecipare fino al 27 aprile. Promosso dalla Comunità ebraica di Bologna e dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con il Comune e il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna, il progetto è stato presentato lo scorso lunedì dal presidente della Comunità ebraica Daniele De Paz con queste parole: “Il monumento che verrà realizzato dovrà riflettere un pensiero dello storico Yosef Hayim Yerushalmi, che individua nel senso della storia e dunque nella memoria una componente essenziale del concetto ebraico della vita. Far vivere la Memoria significa in questo senso non perdere la propria identità”.
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J-CIAK
In fuga verso la vita
Devi sopravvivere. Devi! Trova qualcuno che t’insegni a comportarti come un cristiano, a pregare e a farti la croce perché è l’unico modo in cui potrai trovare rifugio nelle fattorie. La cosa più importante, Srulik, è che dimentichi il tuo nome. Cancellalo dalla memoria… Ma anche se dimentichi tutto – anche me e la mamma – non dimenticare mai che sei ebreo”. Accompagnato dal disperato abbraccio del padre, Srulik a otto anni lascia il ghetto di Varsavia e cerca scampo nella foresta. Si fa chiamare Jurek, si dice orfano e cattolico. Per tre anni si sposta tra boschi e fattorie, incalzato dalla fame, dal terribile inverno polacco e dalla Gestapo. Magda, moglie e madre di partigiani, lo aiuta. Altri lo tradiscono, come il medico che rifiuta di operarlo perché ebreo e lo condanna così a perdere il braccio destro. Ma Srulik-Jurek (interpretato dai gemelli Andrzej e Kamil Tkacz) non si perde d’animo e sopravvive fino alla Liberazione.

Daniela Gross
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QUI TRIESTE - DASA DRNDIC
La
Memoria circolare
Per la prima presentazione italiana di “Trieste” è stata scelta la città che dà il titolo a questo “romanzo documentario”. Per la sua realizzazione Daša Drndić ha impiegato due anni, alternando la ricerca a una scrittura che richiese a sua volta, in modo costante, il recupero di altro materiale, altri tasselli da inserire, in un continuo moto circolare. Nella sala Auditorium del Museo Revoltella, dopo il saluto dell’assessore Antonella Grim in rappresentanza dell’amministrazione comunale e la presentazione di Alessandro Mezzena Lona, di circolarità si è parlato a lungo, soprattutto grazie a Mauro Covacich che, ben cogliendo lo spirito del testo, lo ha definito una costellazione di giganti, con i quali il ventesimo secolo è stato affrontato frontalmente attraverso la narrazione della storia di una persona qualunque, in cui il lettore quasi inciampa.


Paola Pini
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  pilpul
Setirot - Genocidio
Siamo dunque al centenario del “Metz Yeghérn” – “Grande Male” in lingua armena – il genocidio messo in atto dai Giovani Turchi nel bel mezzo della Prima Guerra mondiale. Antonia Arslan fa bene a ricordare, nella prefazione a “Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno” (Giuntina), che il termine genocidio fu coniato dal giurista Raphael Lemkin nel 1944 proprio con riferimento allo sterminio di quel popolo. Poche, pochissime le voci di denuncia che si sono levate in questi cento anni eccetto, naturalmente, quelle delle vittime, per lo più inascoltate. Tra le rare grida di dolore e di accusa ci sono quelle di Lewis Einstein, André Mandelstam, Aaron Aaronsohn e il succitato Raphael Lemkin che seguirono in prima persona il procedere della tragedia e vissero da vicino quei mesi e quegli anni. Le loro sono, appunto, le “voci ebraiche sul genocidio armeno”.

Stefano Jesurum, giornalista
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Time out - Tsipras
In una nota sul suo blog, Gad Lerner prende le distanze dai delusi di Tsipras. Non solo, sostiene che è sconcertante lo sconforto di chi non condivide la scelta delle sue alleanze e la mancanza di donne al governo. Per l’intellettuale di riferimento della sinistra ebraica l’alleanza con i ministri di destra vagamente xenofobi e antisemiti seppur imbarazzante è inevitabile, e che la sua scelta peggiore non sia questa, ma il suo orientamento filo Putin. Basta? Assolutamente no perché Gad ci ricorda ancora come tutto questo sia insignificante per il semplice fatto che la vittoria di Tsipras è necessaria per la rivolta contro la Troika, come a dire che il fine giustifica i mezzi e che gli antisemiti al governo diventano accettabili se permettono a un comunista 2.0 di salire al governo e sfasciare l’Europa.

Daniel Funaro
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Sui fatti di Parigi 
Le tragedie svoltesi a Parigi nei giorni scorsi hanno richiamato alla mia mente fatti lontani e riflessioni su tempi vicini. Premetto che, per motivi anagrafici, non ho bisogno di leggere sui libri di storia cosa avvenne durante la Shoah: c’ero e l’ho vista. Per grazia del Signore la mia famiglia è sfuggita alla Shoah con peripezie che hanno fatto oggetto di un libro. Ma non è di queste che voglio parlare, bensì dei pensieri che gli attacchi in Francia hanno suscitato in me, sfuggito alla Shoah.

Roberto Jona
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Sentimenti contrastanti
Nella giornata istituita in ricordo della Shoah ascolto, da sempre, pareri e punti di vista contrastanti tra chi crede che una sola giornata svilisca il profondo significato e chi attraverso ogni forma d’arte e di discussione chieda che venga perpetrato il ricordo e trasmesso alle nuove generazioni. Si susseguono staffette, interviste, film, dibattiti, presentazioni di libri, rappresentazioni teatrali e musicali.

Claudia Sermoneta
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