
Elia Richetti,
rabbino
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Non
è particolarmente difficile immaginare la scena di ciò che poteva
essere l’uscita dall’Egitto, la moltitudine di essere umani, di
animali, di carri in marcia, il loro brusio, il pianto dei neonati…
Possiamo anche immaginare lo sgomento di questa folla eterogenea
nell’accorgersi di essere inseguita dalla veloce cavalleria egizia in
assetto di guerra, armata di carri falcati (l’arma più micidiale
dell’epoca), e capirne l’impaurita reazione. Moshè sa usare le parole
giuste: “Non temete, state saldi e guardate la salvezza divina che Egli
metterà in atto per voi oggi (…) Il Signore combatterà per voi; voi
state quieti!”.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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Ultimo
commento sul Giorno della Memoria 2015, settant’anni dalla liberazione
di Auschwitz. Fra le molte iniziative, alcune bellissime altre
sconcertanti, fra il sorprendente e l’ovvio, in tutte le maggiori città
italiane, nel dare atto all’alto profilo mediatico, televisivo e
cartaceo, che quest’anno è stato accordato alla circostanza, captiamo
anche il seguente commento emesso su Facebook da persona di non
bassissima estrazione sociale: “Cos’è, oggi o domani che voi avete la
vostra festa?…”. La vostra… Di chi è la Memoria? Certo è la vostra. Ma
non dovrebbe essere anche la nostra? Noi siamo noi e voi siete gli
altri. Ma non condividiamo nulla? Noi siamo rimasti noi e voi siete
rimasti gli altri. Voi e noi, voi avete sofferto molto, noi non abbiamo
metabolizzato nulla. E poi la festa… Si festeggia il Giorno della
Memoria, o forse si celebra, si commemora, si segnala. Da domani, però,
per favore, parliamo d’altro…
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Hezbollah attacca Israele
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Tensione
al confine tra Israele e Libano dopo l’attacco lanciato da Hezbollah
contro un convoglio dell’Idf e l’uccisione di due soldati (oltre al
ferimento di altri sette). Nella risposta all’offensiva del gruppo
terroristico alleato di Teheran è rimasto ucciso un casco blu spagnolo.
“Le perdite di ieri sono le più gravi inflitte da Hezbollah a Israele
sul fronte nord dal conflitto di nove anni fa” spiega Davide Frattini
(Corriere). E il premier Benjamin Netanyahu intanto dichiara: “I
responsabili pagheranno”.
Sulla Stampa Maurizio Molinari riporta un virgolettato ancora più
forte. “Dia un’occhiata a quanto avvenuto quest’estate a Gaza, è quello
che sta rischiando” l’avvertimento di Netanyahu a Nasrallah. Mentre il
ministro degli Esteri Avigdor Lieberman chiama Madrid per esprimere
“condoglianze” e attribuisce la responsabilità dell’escalation ad
Hezbollah: “Sono terroristi, dobbiamo difenderci”.
Sul tema del terrorismo islamico da segnalare la prosecuzione delle
indagini su una cellula jihadista attiva a Milano che avrebbe
terrorizzato i connazionali residenti nell’hinterland milanese “con
agguati a colpi di bastoni e spranghe di ferro, minacce di morte e
aggressioni”, per poi far perdere le sue tracce in Siria, al seguito
dell’esercito libero in guerra contro il presidente Bashar Al-Assad,
“lungo un percorso di progressiva radicalizzazione islamica”
(Repubblica). Un video del settembre 2013 in Siria riprende alcuni
esponenti della cellula mentre uccidono a raffiche di kalashnikov sette
soldati legati e inginocchiati, e con i segni della tortura sul corpo.
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DIALOGO E INCOMPRENSIONI - IL PENSIERO DEL RAV
"Gemelli nati da un unico tronco"
Gli interventi del rav Giuseppe Laras (Corriere della sera,
13 gennaio) e del priore Enzo Bianchi (La Stampa, 18 gennaio) hanno
suscitato una presa di posizione del rabbino capo di Roma Riccardo Di
Segni, che denuncia oggi sul nostro notiziario quotidiano il pericolo,
da parte cristiana, di una lettura a senso unico delle Scritture.
Un articolo di rav Giuseppe Laras pubblicato sul Corriere della Sera
del 13 gennaio 2015, puntuale con l’urgenza dei tempi, ha richiamato ad
un impegno condivisibile tra ebrei e cristiani: “Riportare la Bibbia a
fondamento della cultura e dell’etica”; precisando: “Tuttavia senza il
reale riferimento positivo e non ambiguo a Israele non sarà né
autentico né produttivo il dialogo tra ebrei e cristiani”. Il
riferimento, peraltro generico, a “Israele”, è stato ripreso e
precisato il 18 gennaio dal priore Enzo Bianchi, che ha replicato a rav
Laras su La Stampa, con alcune considerazioni che meritano attenzione.
Bianchi parla di “un tema bruciante e sul quale non pare esserci
comprensione; il tema della terra e dello Stato di Israele”. Premette:
“Secondo le Scritture del Nuovo Testamento c’è un Israele di Dio, che
sono gli ebrei in alleanza con Dio, ma non tutto Israele è l’Israele di
Dio, è discendenza di Abramo”. E aggiunge: “È certo che spontaneamente
la chiesa di sente legata agli ebrei credenti…ma non identifica questa
alleanza …con una dimensione etnica, culturale o politica. Noi
cristiani che non abbiamo più terra né patria perché ogni terra
straniera è per noi patria…, essendo cittadini del mondo in grado di
fare scelte politiche, possiamo volere o non volere lo Stato di
Israele, ma teologicamente non abbiamo parole in merito…la mia fede non
mi autorizza ad ipotizzare uno Stato d’Israele”
Effettivamente da queste parole emerge l’incomprensione.
L’incomprensione di chi, come cristiano, non avrebbe “più terra né
patria”, ma che ha sempre avuto terre e patrie, definite cristiane e
talora cristianissime, nei confronti di chi – il popolo d’Israele – la
terra ce l’aveva, promessa, ma l’ha perduta per millenni, senza
tuttavia dimenticare il suo rapporto con essa. A molti cristiani, in
quanto cristiani, è stato e viene ancora contestato il diritto di
residenza nelle loro terre (persino oggi, nell’indifferenza della
maggioranza dei loro fratelli), e ancora di più il diritto di dominio
sul loro territorio; ma questo non serve a educare a un rapporto
diverso con gli ebrei, ai quali, molto più radicalmente, viene spesso
contestato sia il diritto di insediamento in altre terre che quello di
ritorno nella propria, per non parlare del diritto di indipendenza.
Lo Stato d’Israele è una struttura politica, ma prima dello Stato c’è
“il tema della terra”, che Bianchi cita ma poi non affronta; e il
rapporto del popolo d’Israele (anche di chi non è credente) con la
terra è qualcosa di ben diverso che precede e sovrasta la politica. La
storia ha diverse chiavi di lettura. Parlando in termini laici, con
laici non credenti, non ha senso parlare di promesse divine; un
interlocutore laico può prendere atto della fede altrui, come forte
movente della sua azione storica, ma non la considera causa sufficiente
e giustificazione valida. Ma per chi ha fede il discorso è ben diverso.
Ci sono le Scritture che possono essere interpretate e reinterpretate,
ma non se ne può fare a meno. Dal discorso di Bianchi riemerge la
posizione, ben radicata nella storia della sua fede, di una lettura a
senso unico delle Scritture. Siccome noi le leggiamo così, fa capire
l’autore, il resto non ha senso. Potete essere, voi ebrei (e neppure
tutti, solo quelli credenti) nostri fratelli gemelli, ma le categorie
interpretative delle Scritture che valgono sono solo quelle nostre. Se
il cristiano non ha terra (forse), il rapporto ebraico con una terra
(quella terra) non conta teologicamente. Eppure si tratta di un tema
fondamentale nelle Scritture (per non parlare della fede successiva).
Abramo viene mandato via dal suo luogo di origine non verso un posto
qualsiasi, ma verso la terra che verrà promessa ai suoi discendenti.
Dimenticare questo significa dimenticare le storie dei Patriarchi, il
senso dell’Esodo, la conquista della terra, l’annuncio dell’Esilio e il
ritorno dall’Esilio, e poi – nel seguito della storia ebraica – il
costante legame di fede e di preghiera verso la terra che venne
sottratta. Chi ha una fede che dice di fondarsi sulle Scritture non può
dire che tutto questo non ha senso teologico; e non parlo ancora dello
Stato, ma del recente ritorno di milioni di ebrei nella terra e la sua
rifioritura. Può dargli tutte le interpretazioni che vuole, ma se non
lo fa significa che “ha occhi ma non vedono, ha orecchie ma non
sentono”. Non si può leggere la Bibbia facendo finta che pagine intere
non esistano o non abbiano senso. O che una tradizione religiosa
successiva di millenni sia senza significato. Come Bianchi non capisce
il rapporto di Israele con la terra d’Israele, così noi non riusciamo a
capire (o meglio, troppo bene la comprendiamo…) questa sua ostinata
negazione di matrice cristiana (sarebbe meglio dire cattolica) di un
elemento fondamentale della fede di Israele, basato sulle Scritture,
che pure sono testi che dovremmo condividere.
L’incomprensione di Bianchi è in realtà espressione attuale e
drammatica di quello che lui chiama e interpreta come “il grande
originario scisma” tra ebrei e cristiani “a partire dalle stesse
Scritture interpretate in modo diverso”. Stupisce un po’ questa sua
semplificazione della storia (ma soprattutto della sua fede), in linea
con correnti di pensiero attuale, come se si trattasse dello scisma tra
Occidente e Oriente o tra la Chiesa di Roma e quella di Lutero. La
rivoluzione cristiana in realtà sconvolge l’essenza dell’Israele
originario, affermandosi contemporaneamente al disfacimento della sua
unità territoriale intorno a un centro religioso, il Tempio di
Gerusalemme. I cristiani costruirono i loro mondi su basi differenti e
sostitutive, ma gli ebrei, privati del legame originario, non vi hanno
mai rinunciato. Per i cristiani era la punizione che gli spettava per
non avere accettato Gesù. Oggi, dopo la Shoah, ogni onesto cristiano si
astiene dal dichiarare che la dispersione degli ebrei nel mondo, e la
loro sofferenza conseguente, è la pena per la loro colpa originaria, ma
fa fatica a interpretare il ritorno ebraico a Sion come qualcosa di
teologicamente significativo. Costerebbe troppa fatica teologica,
significherebbe mettere in discussione categorie millenarie. Allora ci
si rifugia nel rifiuto teologico della politica, che sarebbe forse una
scelta valida se fosse coerente. E chissà se lo è, se non riguarda solo
lo Stato d’Israele. E poi non si può ignorare che alla base di questa
opposizione c’è anche la radicalmente diversa comprensione della
messianità, che è comunque sinonimo di regalità e che con tutte le
varianti possibili del pensiero ebraico non può essere distinta da una
dimensione politica, quale che essa sia. La messianità cristiana è ben
differente, ma non può ignorare l’altra faccia della realtà. Se
veramente c’è un rapporto tra fratelli gemelli (ma chi è Esaù e chi
Giacobbe?) bisognerebbe capirlo meglio questo strano fratello. Il
riferimento positivo a Israele, di cui parla rav Laras, comporta la
messa in discussione di un’intera tradizione teologica tesa a umiliare
e sottomettere, se non proprio eliminare il diverso, l’antico fratello.
C’è stato un grande progresso su tanti aspetti di questo rapporto, ma
la terra rimane uno scoglio. Eppure il chiarimento e la svolta su
questo tema è una necessità teologica, che va chiarita spogliandosi di
ostilità ancestrali e senza timore di mettere in discussione la propria
fede.
Non ha senso invocare la fratellanza, anche gemellare, con Israele, se
non si comprendono e si rispettano le sue basi identitarie, come popolo
e non solo fede astratta, per cui tutto Israele è Israele ed è legato a
Dio anche se forse non ci crede, ed è legato spiritualmente e
materialmente a una terra, anche se ne è lontano.
Se non si accettano queste premesse non stupisce l’invito finale di
Bianchi: “occorre restare sempre vigilanti per non giudaizzare da parte
dei cristiani”. Invito allarmante, se non meglio chiarito. Cosa
dovrebbero fare i cristiani per non giudaizzare? Eliminare dalla loro
liturgia i Salmi di Davide, il “Santo, Santo, Santo”, o la Pasqua e la
Pentecoste, o il calice del vino, o i Dieci Comandamenti, o il rito del
battesimo, o le ore della preghiera scandite dai tempi dei sacrifici
nel Tempio di Gerusalemme, o la recente attenzione per la ricchezza
dell’esegesi rabbinica? O ci sono cose che vanno bene perché “ebraiche”
e altre no perché “giudaiche”? I cristiani non possono togliersi di
dosso l’ebraismo/giudaismo senza pregiudicare la loro natura, né
ignorare o non dare senso a quanto succede oggi al popolo d’Israele,
smettendo di interrogare la loro fede.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
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DOPO L'ATTACCO DI HEZBOLLAH
Israele, al Nord calma apparente
Migliaia
di persone hanno partecipato questa mattina a Gerusalemme al funerale
del maggiore Yochai Kalengel, una delle due vittime dell'attacco di
giovedì mattina compiuto da Hezbollah contro un convoglio militare
israeliano nella zona di Har Dov, lungo il confine con il Libano.
Kalengel, 25enne comandante di compagnia della Brigata Golani, è
rimasto vittima assieme al sergente Dor Nini, vent'anni, del lancio di
alcuni missili anticarro che hanno colpito il veicolo non corazzato su
cui stavano viaggiando. Sei in totale i colpi esplosi da Hezbollah
contro il convoglio militare israeliano, composto da due Jeep e tre
furgoni non corazzati. Sei colpi che hanno ucciso i due giovani soldati
e ne hanno feriti altri sette. A poche ore dall'attacco, il movimento
terroristico di Hezbollah, dopo aver rivendicato l'azione, ha inviato
un messaggio a Israele: non vogliamo un escalation di violenza. A
confermarlo questa mattina, il ministro della Difesa di Israele Moshe
Yaalon in un'intervista rilasciata alla radio israeliana. “Non posso
dire che oramai gli eventi sono alle nostre spalle”, ha dichiarato
Yaalon, sottolineando che “fino a che l'area non sarà completamente
calma, l'esercito israeliano rimarrà pronto e preparato”. Secondo gli
analisti l'attacco di ieri costituisce una vendetta per il raid aereo
compiuto la scorsa settimana da Israele sul Golan siriano, in cui sono
morti diversi miliziani di Hezbollah – tra cui Jihad Mughniyeh, a cui
era stato affidato il controllo dell'area – e un generale iraniano.
Dietro l'attacco ci sarebbe proprio la mano iraniana, secondo il primo
ministro di Israele Benjamin Netanyahu.
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GIURISTI, MEDICI E POLITICI A CONFRONTO La Costituzione e la "razza" Recita
l'articolo terzo della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”. A 67 anni dalla stesura della stessa è
ancora accettabile che il termine 'razza' compaia nella Carta
fondamentale o è più opportuno procedere a una sostituzione?
Propendono per la seconda opzione i firmatari di un appello inviato in
queste ore al presidente del Senato Pietro Grasso e alla presidente
della Camera dei deputati Laura Boldrini in cui si sottolinea come il
termine 'razza' sia privo di qualunque riferimento “alla realtà delle
differenze genetiche umane” e il cui uso e abuso sostenga e diffonda
“manifestazioni di xenofobia e intolleranza”. Tra i firmatari il
rettore dell'Università La Sapienza di Roma Eugenio Gaudio, il rettore
emerito Luigi Frati, il rabbino capo Riccardo Di Segni, il Testimone
della Shoah Sami Modiano, il direttore generale dell'ateneo Carlo Musto
D'Amore e i rappresentanti della comunità accademica in seno al cda.
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J-CIAK
In fuga verso la vita
Devi
sopravvivere. Devi! Trova qualcuno che t’insegni a comportarti come un
cristiano, a pregare e a farti la croce perché è l’unico modo in cui
potrai trovare rifugio nelle fattorie. La cosa più importante, Srulik,
è che dimentichi il tuo nome. Cancellalo dalla memoria… Ma anche se
dimentichi tutto – anche me e la mamma – non dimenticare mai che sei
ebreo”. Accompagnato dal disperato abbraccio del padre, Srulik a otto
anni lascia il ghetto di Varsavia e cerca scampo nella foresta. Si fa
chiamare Jurek, si dice orfano e cattolico. Per tre anni si sposta tra
boschi e fattorie, incalzato dalla fame, dal terribile inverno polacco
e dalla Gestapo. Magda, moglie e madre di partigiani, lo aiuta. Altri
lo tradiscono, come il medico che rifiuta di operarlo perché ebreo e lo
condanna così a perdere il braccio destro. Ma Srulik-Jurek
(interpretato dai gemelli Andrzej e Kamil Tkacz) non si perde d’animo e
sopravvive fino alla Liberazione.
Daniela Gross
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QUI TRIESTE - DASA DRNDIC
La Memoria circolare
Per
la prima presentazione italiana di “Trieste” è stata scelta la città
che dà il titolo a questo “romanzo documentario”. Per la sua
realizzazione Daša Drndić ha impiegato due anni, alternando la ricerca
a una scrittura che richiese a sua volta, in modo costante, il recupero
di altro materiale, altri tasselli da inserire, in un continuo moto
circolare. Nella sala Auditorium del Museo Revoltella, dopo il saluto
dell’assessore Antonella Grim in rappresentanza dell’amministrazione
comunale e la presentazione di Alessandro Mezzena Lona, di circolarità
si è parlato a lungo, soprattutto grazie a Mauro Covacich che, ben
cogliendo lo spirito del testo, lo ha definito una costellazione di
giganti, con i quali il ventesimo secolo è stato affrontato
frontalmente attraverso la narrazione della storia di una persona
qualunque, in cui il lettore quasi inciampa.
Paola Pini
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Setirot
- Genocidio |
Siamo
dunque al centenario del “Metz Yeghérn” – “Grande Male” in lingua
armena – il genocidio messo in atto dai Giovani Turchi nel bel mezzo
della Prima Guerra mondiale. Antonia Arslan fa bene a ricordare, nella
prefazione a “Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno”
(Giuntina), che il termine genocidio fu coniato dal giurista Raphael
Lemkin nel 1944 proprio con riferimento allo sterminio di quel popolo.
Poche, pochissime le voci di denuncia che si sono levate in questi
cento anni eccetto, naturalmente, quelle delle vittime, per lo più
inascoltate. Tra le rare grida di dolore e di accusa ci sono quelle di
Lewis Einstein, André Mandelstam, Aaron Aaronsohn e il succitato
Raphael Lemkin che seguirono in prima persona il procedere della
tragedia e vissero da vicino quei mesi e quegli anni. Le loro sono,
appunto, le “voci ebraiche sul genocidio armeno”.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - Tsipras |
In
una nota sul suo blog, Gad Lerner prende le distanze dai delusi di
Tsipras. Non solo, sostiene che è sconcertante lo sconforto di chi non
condivide la scelta delle sue alleanze e la mancanza di donne al
governo. Per l’intellettuale di riferimento della sinistra ebraica
l’alleanza con i ministri di destra vagamente xenofobi e antisemiti
seppur imbarazzante è inevitabile, e che la sua scelta peggiore non sia
questa, ma il suo orientamento filo Putin. Basta? Assolutamente no
perché Gad ci ricorda ancora come tutto questo sia insignificante per
il semplice fatto che la vittoria di Tsipras è necessaria per la
rivolta contro la Troika, come a dire che il fine giustifica i mezzi e
che gli antisemiti al governo diventano accettabili se permettono a un
comunista 2.0 di salire al governo e sfasciare l’Europa.
Daniel Funaro
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Sui fatti di Parigi |
Le
tragedie svoltesi a Parigi nei giorni scorsi hanno richiamato alla mia
mente fatti lontani e riflessioni su tempi vicini. Premetto che, per
motivi anagrafici, non ho bisogno di leggere sui libri di storia cosa
avvenne durante la Shoah: c’ero e l’ho vista. Per grazia del Signore la
mia famiglia è sfuggita alla Shoah con peripezie che hanno fatto
oggetto di un libro. Ma non è di queste che voglio parlare, bensì dei
pensieri che gli attacchi in Francia hanno suscitato in me, sfuggito
alla Shoah.
Roberto Jona
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Sentimenti contrastanti |
Nella
giornata istituita in ricordo della Shoah ascolto, da sempre, pareri e
punti di vista contrastanti tra chi crede che una sola giornata
svilisca il profondo significato e chi attraverso ogni forma d’arte e
di discussione chieda che venga perpetrato il ricordo e trasmesso alle
nuove generazioni. Si susseguono staffette, interviste, film,
dibattiti, presentazioni di libri, rappresentazioni teatrali e musicali.
Claudia Sermoneta
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