
Paolo Sciunnach,
insegnante
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Il
Baalshem diceva: “Io lascio che i peccatori mi vengano vicino, se non
sono orgogliosi; mi tengo lontani i dotti e quelli che sono senza
peccato, se sono orgogliosi. Poiché il peccatore che sa di esserlo, e
perciò nel suo animo si ritiene abbietto, ha D-o con lui; ma chi si
vanta di non portare alcun peso di peccati, di lui D-o dice: non c’è
posto nel mondo per me e per lui”.
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Anna
Foa,
storica
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“Noi,
gli ebrei d’Europa, non ci arrenderemo”, scrive Renzo Gattegna al
presidente della Comunità ebraica di Copenaghen. Cioè, resteremo a
difendere noi e i paesi di cui siamo cittadini. Ogni ebreo, come ogni
uomo e donna dei nostri paesi liberi e democratici, ha il diritto di
scegliere se restare nella Diaspora o fare aliyah, se diventare a pieno
titolo cittadino di Israele o identificarsi nella vita della diaspora
europea.
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La ferita di Copenaghen |
Un
duplice attacco mortale. Al convegno sulla libertà di espressione,
nella sinagoga in cui si celebrava un Bar Mitzvah. Tutti i giornali
aprono con la lunga giornata che ha segnato per sempre la Danimarca.
“Io me lo sentivo che sarebbe successo qualcosa di orribile. Quando ho
sentito del primo attentato sono andato a casa e ho detto alla mia
famiglia: vedrete che non è finita qui, per favore non uscite. Poi mi
hanno svegliato alle due di notte e ho saputo di Dan” racconta un
esponente della Comunità ebraica danese al Corriere della sera. Un
messaggio di solidarietà è stato immediatamente inviato ai vertici
comunitari dal presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna, che ha espresso “vicinanza e cordoglio da tutti gli
ebrei italiani”. Il messaggio è riportato con evidenza da Repubblica.
Dan, l’eroe. Tanti sono i quotidiani che ricordano Dan Uzan, il 37enne
che era di guardia davanti alla sinagoga è stato ucciso dal terrorista
islamico. “Era un uomo buono e aperto a tutte le religioni. Gentile,
tollerante, sempre disponibile” lo descrive il capo della Comunità
ebraica Dan Rosenberg Asmussen. Lavorava da vent’anni come addetto
della sicurezza e amava giocare a basket dall’alto dei suoi due metri e
12 centimetri, scrive Repubblica.
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dopo copenaghen
Gli ebrei e il futuro dell'Europa
Non
ci sarà un'altra Bruxelles. Non ci sarà un'altra Parigi. Non ci sarà
un'altra Copenaghen. Eppure, al di là dei moniti e delle parole di
rito, le uniche considerazioni che suonano dolorosamente vere sono
quelle di Jay Michaelson, editorialista dell'americano Forward: “Non
c'è nessuna ragione perché quanto accaduto non accada nuovamente”.
“Abbiamo assaggiato l'amaro sapore della paura e della debolezza che il
terrorismo vuole creare”, ha dichiarato il primo ministro danese Hellen
Thorning-Schmidt, ma gli ebrei danesi quell'indigesto boccone se lo
aspettavano. Nelle varie cronache nazionali e internazionali si
riportano le emozioni della Comunità ebraica di Copenaghen: “siamo
sotto shock ma non siamo sorpresi”, il leitmotiv delle dichiarazioni.
“Il livello della minaccia contro la società e la Comunità ebraica è
alto da molto tempo; tutti erano al corrente di questo, e ora è
accaduto quel che accaduto”, afferma Jeppe Juhl, rappresentante della
Comunità ebraica danese. “I terribili fatti di sangue delle scorse ore,
l'agguato alla sinagoga Krystalgalde e il precedente attacco al
convegno sulla libertà d'espressione, dimostrano come gli eventi di
Parigi non siano un caso isolato ma parte di una comune strategia per
diffondere terrore e insicurezza tra la popolazione”, aveva dichiarato
il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo
Gattegna a poche ore dall'attentato di Copenaghen, in un messaggio di
cordoglio inviato al presidente della Comunità ebraica della Capitale
danese Dan Rosenberg Asmussen. E ora? Cosa accadrà dopo Copenaghen, si
chiede sulle pagine del Times of Israel David Harris, direttore
esecutivo dell'American Jewish Committee (AJC).
(Sopra
una immagine circolata su Twitter che, attraverso i celebri
protagonisti dei Peanuts, collega gli attentati a Copenaghen con
l'attacco alla redazione francese del giornale satirico Charlie Hebdo)
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qui milano - un seminario per l'infanzia - Quei valori da trasmettere
È
il professor Shemuèl Wygoda, il noto filosofo e pedagogista franco
israeliano che da tempo sta lavorando con le scuole ebraiche italiane,
il protagonista del secondo giorno del seminario in corso a Milano nei
locali della comunità, dopo una prima giornata aperta da Daniela
Pavoncello, coordinatrice della commissione scuola, educazione e
giovani dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e da Guido Osimo,
componente della giunta Ucei con delega alle scuole in cui diversi sono
stati i relatori. Presenti oggi come partecipanti, insieme a una
ventina di insegnanti delle scuole ebraiche italiane, rav Alfonso Arbib
e rav Roberto Della Rocca avevano ieri approfondito i temi della
maldicenza e dell’ammonimento del prossimo. Argomento principale della
lezione del professor Wygoda è stato il valore delle middot – le buone
qualità dell’animo – che sono fondamentali per qualsiasi insegnamento,
indipendentemente dall’argomento, e dalle fonti cui si fa riferimento.
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fiera internazionale del libro a gerusalemme Editoria, l'Italia da sfogliare
La
Fiera Internazionale del libro di Gerusalemme che si è tenuta la scorsa
settimana ha riscosso grande successo e ha visto la partecipazione di
scrittori da tutto il mondo, tra gli altri la francese Katherine
Pancol, Katja Petrowskaja reduce dal successo di “Forse Esther”(ed.
Adelphi) e Aharon Appelfeld. Sono stati protagonisti anche gli
scrittori italiani grazie alla collaborazione con associazioni
culturali italiane fra cui la “Hevrat Yehudei Italia” (la comunità di
ebrei di origine italiana), l’Istituto di Cultura italiana di Tel Aviv
e di Haifa e gli Amici della Scuola “Dante Alighieri”.
Inizia con l’ascolto di brani musicali l’incontro con il celebre autore
Erri De Luca che ha espresso il legame presente in lui tra mondo
napoletano ed ebraico: “Io parlo yiddish con una pronuncia delle parole
assolutamente napoletana”, ha raccontato sorridendo. Simonetta De
Felicis (Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv) gli
domanda: “Caro Erri, io l’ho sempre vista come uno scrittore impegnato,
quale è il suo impegno sociale oggi?”. Dopo un mezzo minuto di
silenzio, risponde: “No, non sono un scrittore impegnato, si sbaglia,
sono un cittadino impegnato.” E continua: “Vede, non esiste un
scrittore impegnato socialmente. Il mio ruolo come scrittore è di
scrivere racconti, le mie idee e di quelle di altra gente. L’impegno
sociale non è un privilegio riservato solo agli scrittori. In ebraico
si dice ’petach picha’ le ilem’, apri la tua bocca al muto. Ed è
proprio quello che faccio, o che almeno provo di fare” . De Felicis poi
chiede: “Signor De Luca, cosa ha causato il suo grande interesse nel
mondo ebraico?”. ”Come dicono gli studiosi ebrei, questa è una
bella domanda – e aggiunge De Luca – Sono nato nella metà del secolo
scorso e fra i miei eroi di infanzia c’era Mark Edelman, tra gli
animatori della rivolta del ghetto di Varsavia. Una volta visitando un
museo, ho visto delle parole in yiddish. Sapevo già l’ebraico biblico e
riconoscevo le lettere ma non sapevo il significato delle parole.
Questa cosa mi ha dato molto fastidio e quindi ho deciso di dedicare un
anno allo studio di questa bellissima lingua”. Dal pubblico poi gli
viene domandato: “Signor De Luca nei suoi libri si ha l’impressione di
un ebreo povero, che non può difendersi e ha bisogno di aiuto. Oggi,
dopo la fondazione dello Stato d’Israele, l’impressione dell’ebreo in
Italia e nel mondo è cambiata e speriamo che cambierà sempre di più.
Lei che ne pensa?”. “Io sono uno del Novecento – risponde – e la cosa
migliore per me è vedere che la storia sia cambiata e che il
terribile periodo che ha sopportato il popolo ebraico sia finito”.
Michael Sierra
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Oltremare
- Centimetri |
Questo
è di gran lunga l’inverno più piovoso e freddo che ho passato, nei miei
ormai sette anni israeliani. Soprattutto, il tempo tende ad essere
pessimo nel weekend e bello durante la settimana, e dire che con tutte
le magagne locali uno penserebbe che almeno la legge di Murphy potrebbe
esserci risparmiata. Urge tener su il morale, anche in vista di
elezioni faticose. E c’è una cosa cui ci appigliamo come all’ultima
scialuppa di salvataggio del Titanic, ogni inverno bagnato o secco che
ci sia: l’altezza delle acque del Kinneret (il Lago di Tiberiade). Ogni
giorno, ad ogni ora tonda, il giornale radio scocca i centimetri
guadagnati nelle ultime piogge, e quando nevica sul monte Hermon è
festa grande non solo per gli sciatori: tutta quella neve presto, ma
davvero, molto presto, si scioglierà e porterà centimetri nuovi di
zecca al nostro beneamato Kinneret. Il quale sta lì, placido che
neanche il Piave, e poco più largo, in effetti.
Daniela Fubini, Tel Aviv
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