Elia Richetti,
rabbino
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Fra
i molteplici sacrifici per espiazione di colpe, spiccano quello da
offrirsi nel caso in cui il Cohèn Gadòl, o gli anziani, o un capo tribù
inducesse il popolo in errore. Il fatto in sé è già degno di nota,
specialmente se ricordiamo per quanti millenni i dominatori si sono
sempre considerati superiori alle leggi, liberi di agire, ed anche
liberi di non assumersi responsabilità a loro piacimento.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
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La
netta vittoria elettorale del Likud, guidato con indiscutibile bravura
da Benyamin Netanyahu, potrebbe tradursi in una storica sconfitta per
lo Stato d’Israele. Si pensava che il voto sarebbe stato aggiudicato
sulla piattaforma dei problemi economici e sociali. Su questi temi, il
Likud non aveva nemmeno sprecato il tempo di pubblicare il proprio
programma elettorale, sostituito dalla pregnante dichiarazione
dell’ineffabile Bibi: “Io non mi occupo del tenore di vita, io mi
occupo della vita”. Le cose sembravano mettersi male, ma con una grande
mobilitazione nelle ultime due ore del voto Netanyahu è riuscito a
portare alle urne una notevole quantità di assenteisti e scontenti,
scompigliando così le proiezioni di tutti i sondaggisti che avevano
chiuso le loro stazioni proprio nel momento in cui partivano le
carovane dei ritardatari allertate da centinaia di migliaia di
telefonate registrate e di SMS. In realtà, al di là dell’indiscutibile
trionfo elettorale personale di Bibi – che si conferma come il miglior
attore politico del paese – se consideriamo i maggiori blocchi di
partiti, rispetto al 2013 gli spostamenti del voto sono minimi: il
partito arabo unificato guadagna 2-3 seggi rispetto alla somma delle
sue componenti, il centro-sinistra ne guadagna 1-2, la destra ne
guadagna 1, il centro resta immutato, e i partiti religiosi perdono 5
seggi (di cui 4 di Eli Ishay se è confermata la sua eliminazione dopo
aver solo sfiorato, ma non raggiunto,nla soglia minima del 3,25%). È
avvenuta dunque soprattutto una redistribuzione del voto all’interno
dei maggiori blocchi e non fra i diversi blocchi.
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Tunisi, voci dall'orrore
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L’ambasciata
italiana ha confermato la morte di quattro suoi connazionali, tutti
passeggeri della Costa Fascinosa, vittime dell’attacco terroristico
perpetrato dall’Isis a Tunisi. “Esprimo, a nome mio personale e di
tutto il popolo italiano, la più netta e ferma condanna per un gesto
vile e odioso, commesso ai danni di persone inermi, in spregio alle più
elementari norme di convivenza civile e rispetto della vita umana” ha
dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
“Indipendentemente dal giudizio che verrà dato con più lucidità e calma
vi è un dato di fatto: dove si cerca di aggredire il sistema
democratico, la cultura, la moderazione del governo tunisino si
colpisce ciascuno di noi”, ha sottolineato il primo ministro Matteo
Renzi.
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Rapporti tra israele e Usa
Obama-Netanyahu, ferita aperta
Le ultime notizie che arrivano dalla Casa Bianca non faranno piacere al
primo ministro Benjamin Netanyahu ma forse non destano troppo stupore.
L'amministrazione del presidente Barack Obama, secondo fonti del New
York Times, starebbe seriamente pensando di accettare di far passare
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “che
incarna i principi di una soluzione a due Stati, che preveda i confini
israeliani del 1967 con la Palestina e uno scambio consensuale di
territorio”. Secondo diversi funzionari della Casa Bianca, il
presidente Obama potrebbe fare questo passo dopo le dichiarazioni di
Netanyahu in campagna elettorale, che sembravano chiudere la porta ai
negoziati di pace con i palestinesi. “La premessa della nostra
posizione internazionale è stata quella di supportare i negoziati
diretti tra israeliani e palestinesi – ha dichiarato un funzionario di
Washington al Times – Siamo adesso di fronte a una situazione in cui il
governo di Israele non sostiene più i negoziati diretti”. Quindi le
cose potrebbero cambiare e noi potremmo andare avanti secondo altre
strade, il commento della fonte della Casa Bianca del New York Times.
Potrebbe essere un modo per forzare la mano a Netanyahu, le cui ultime
uscite hanno dimostrato tutto il suo scetticismo verso le trattative di
pace e soprattutto verso la controparte palestinese. Per ora da
Gerusalemme non ci sono commenti, con il premier impegnato a discutere
con i partiti neoeletti la formazione di una coalizione di governo. Ma
siamo di fronte a un nuovo atto dei rapporti, sempre più tesi, tra
Obama e Netanyahu.
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israele La sfida di re Bibi
Nel
maggio del 2012 il noto magazine americano Time dedicò la sua copertina
al primo ministro Benjamin Netanyahu: a fianco al suo volto appariva a
caratteri cubitali la scritta, “King Bibi”, re Bibi. “Netanyahu è
pronto per diventare il più longevo primo ministro di Israele dai tempi
di David Ben-Gurion, padre fondatore di Israele. Non ha rivali in
patria”, scriveva il caporedattore del Time Richard Stegel nel suo
articolo-intervista al primo ministro israeliano. Le elezioni di
martedì (16 marzo) hanno dimostrato che la situazione non è molto
cambiata: Netanyahu continua a non avere rivali e il suo “regno” - alla
copertina del Time replicò, “Israele rimarrà una democrazia, non
diventerà mai una monarchia - può proseguire, forte dei trenta seggi
(confermati oggi) ottenuti alla Knesset dal Likud, il partito di cui è
leader. Un “regno” in realtà complicato da gestire, sottolinea il
direttore del Times Of Israel David Horovitz, perché Netanyahu si trova
di fronte a un paese diviso: “prenderà atto del fatto che una parte
considerevole dell'elettorato è scioccato e sconvolto dai risultati di
martedì mentre lui e i suoi sostenitori sono scioccati e felici?
Netanyahu cercherà, insomma, di passare da vittorioso leader con l'aria
di sfida della destra israeliana a primo ministro della nostra lacerata
Israele?”. Su queste pagine non nasconde il suo pessimismo Sergio Della
Pergola, demografo e docente dell'Università Ebraica di Gerusalemme che
sottolinea come la campagna del premier israeliano – caratterizzata
dalla chiusura verso i negoziati di pace con i palestinesi, dall'accusa
di un tentativo mediatico e internazionale di esautorarlo dal potere,
dal contrasto con la Casa Bianca e dalla delegittimazione degli
avversari laburisti, considerati anti-sionisti - abbia evidenziato
sempre più i contrasti all'interno della società israeliana.
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tunisi, la brutta avventura finita sui giornali
Alberto e Anna attesi a casa
I
primi spari, le prime urla, il sangue. La prontezza di spirito di
allontanarsi dall’edificio prima che la situazione diventasse
irreparabile. Si sono salvati così Alberto e Anna Di Porto,
rispettivamente 71 e 60 anni, la coppia di ebrei romani scampata
all’attacco condotto dall’Isis nel museo Bardo di Tunisi in cui hanno
perso la vita almeno quattro connazionali e che è stato definito dal
presidente della Repubblica Sergio Mattarella “un gesto vile e odioso,
commesso ai danni di persone inermi, in spregio alle più elementari
norme di convivenza civile e rispetto della vita umana”.
Messa in circolazione fra i giornalisti da ambienti comunitari romani,
la presenza dei coniugi Di Porto tra quanti sono riusciti a uscire
illesi dal museo ha fatto rapidamente il giro della rete e fatto sì che
le loro identità, e quelle dei loro familiari, fossero presto svelate.
Mantenendo l’anonimato dell’interlocutrice, e soltanto dopo che il
portavoce della comunità della Capitale aveva segnalato alle agenzie di
stampa il salvataggio della coppia, la redazione del portale
dell’ebraismo italiano www.moked.it e di Pagine Ebraiche aveva invece
raccolto dai familiari alcune impressioni a caldo. “Con mia madre sono
riuscita a parlare poco fa, è al sicuro in un bunker. Mio padre si è
ferito nei soccorsi e adesso è in ospedale. Non vedo l’ora che tornino
in Italia per riabbracciarli. Mi auguro oggi stesso” ci è stato detto
dalla figlia dei coniugi Di Porto.
Per tutelare al massimo la sicurezza delle persone coinvolte e
garantire il più sereno rientro a casa delle vittime dell’azione
terroristica la redazione aveva scelto di mantenere il riserbo anche
sull’identità di uno dei figli della coppia, il rabbino capo di Torino
Ariel Di Porto, che è stata poi però anch’essa in ogni caso fatta
trapelare alle redazioni dei giornali.
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qui torino In piazza contro il terrorismo
È
stato il sindaco Piero Fassino, a poche ore dall’attacco terroristico
che ha nuovamente colpito un luogo di cultura a chiamare a raccolta i
torinesi, con parole ferme: “Torino è contro il terrorismo. Invito la
città a scendere in piazza per esprimere solidarietà alle famiglie
delle vittime dell’attacco terroristico e per ribadire l’impegno di una
città democratica e la mobilitazione di tutte le coscienze per fare
argine e muro contro il terrorismo e violenza”.
Fassino, nella sua qualità di presidente dell’Associazione nazionale
comuni d’Italia ha rivolto a tutti i comuni italiani un appello a
manifestare uniti, chiedendo che in tutte le città si manifesti lo
sdegno contro la barbarie e si renda visibile il rifiuto del
terrorismo, in una prova di democrazia contro chi vuole seminare panico
e paura. Paura che ha colpito direttamente il rabbino capo della città
Ariel Di Porto i cui genitori – come reso noto ieri – sono stati
coinvolti nell’attentato, fortunatamente senza gravi conseguenze.
Alle parole del sindaco ha risposto immediatamente la Comunità ebraica,
che oltre ad aderire alla manifestazione che si terrà questa sera in
Piazza Palazzo di Città, di fronte al Municipio, ha inviato a tutti gli
iscritti l’appello a manifestare, “auspicando la più ampia
partecipazione degli ebrei torinesi”. Lo stesso invito è stato girato
dalla direzione scolastica a tutte le famiglie degli allievi e Dario
Disegni, nuovo presidente della Comunità, ha dichiarato: “La Comunità
Ebraica di Torino stringe in un forte abbraccio le famiglie delle
vittime del barbaro attentato di Tunisi ed è fraternamente vicina ai
feriti, cui augura una pronta guarigione.
La minaccia del terrorismo, che tocca ormai tutti, mira a distruggere
ogni possibilità di civile convivenza tra i popoli e le fondamenta
stesse della nostra democrazia. Dobbiamo perciò reagire tutti con la
massima determinazione affinché le forze dell’oscurantismo non riescano
a prevalere né a insinuarsi nelle nostre vite. La Comunità Ebraica di
Torino, in questa drammatica giornata di lutto per l’intera Città e
nella quale ricorre anche il terzo anniversario dell’orrenda strage
alla Scuola ebraica di Tolosa, è e sarà sempre in prima fila in questa
imprescindibile battaglia per la salvaguardia della democrazia, della
libertà e della pace tra i popoli".
a.t. twitter @atrevesmoked
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j-ciak
Il tabù del sacro seme
S’intitola
“Sacred Sperm” ed è uno dei documentari di cui più si discute in
Israele come negli Stati Uniti, dove sta girando nei circuiti dei
festival. In questo suo primo lavoro il regista Ori Gruder fa i conti
uno dei tabù più forti nel mondo ultraortodosso, quello della
masturbazione. Armato di telecamera entra nei mikveh e nelle yeshivot,
partecipa a bar mitzvah e matrimoni, incontra rabbini, uomini e
ragazzi. Obiettivo, capire in che modo e fino a che punto si tengono
sotto controllo le naturali pulsioni sessuali dei maschi.
Il tema, all’apparenza eccentrico, nasce dalla stessa esperienza del
regista. Gruder, 44 anni, nato a Herzliyah, oggi è ultraortodosso. Ma
ha alle spalle un lungo passato da laico, che lo vede servire
nell’esercito e poi lavorare in televisione (collabora anche con Mtv
Europe).
La svolta arriva dieci anni fa, quando viene mandato a girare a Uman,
in Ucraina, dov’è sepolto Rabbi Nachman, uno tzaddik del XVIII secolo,
la cui tomba ogni anno a Rosh Hashanah richiama in pellegrinaggio
migliaia di Hassidim. Gruder è impressionato dal calore e dal trasporto
mistico di quella folla e decide di cambiare vita.
Daniela Gross
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qui trieste Studiosi a lezione in sinagoga
“Sono giovani e interessati… e io quando parlo con i giovani sono felice”.
Questo il commento di Mauro Tabor, assessore alla cultura della
Comunità ebraica di Trieste, in seguito al doppio incontro con gli
studenti della DIAnet International School avvenuto ieri. Presentata
dagli organizzatori come una “escursione scientifica” e prevista
nell’ambito del programma didattico della terza edizione del progetto
cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo, la giornata ha portato al Museo
Ebraico e nella grande sinagoga una quarantina di giovani studiosi
provenienti dalle Università della Macro-Regione Danubiana (Italia,
Albania, Austria, Bulgaria, Croazia, Romania, Serbia, Slovacchia,
Slovenia e Ungheria).
Da Gorizia, quindi, dove si tiene il corso, il gruppo si è spostato a
Trieste ed è stato accolto prima al Museo ebraico e poi al Tempio, dove
due interventi di Mauro Tabor e di Diana Barillari su “The Trieste
Synangogue as cultural heritage: Its historical and architectural
meaning” e su “From hospital to museum: the functional development of
cultural heritage” sono stati accolti con grande interesse.
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qui venezia - cartoons on the bay
Premiato il mago Kaminski
Sarà
l’israeliano Albert Hanan Kaminski a ricevere quest’anno il Pulcinella
Award alla carriera di Cartoons on the Bay, il festival dell’animazione
e del crossmediale che torna a Venezia dal 16 al 18 aprile, dopo il
grande successo dello scorso anno. Palazzo Labia, sede della Rai, dopo
avere lo scorso anno ospitato nomi del calibro di Bruno Bozzetto,
Mordillo, Scott Ross e Alessandro Rak, ha scelto per il premio maggiore
uno dei più grandi registi di lungometraggi e serie televisive al
mondo. Nato a Bruxelles nel 1950, Kaminski si è trasferito a vent’anni
in Israele, dove si è diplomato alla Bezalel Academy of Art &
Design di Gerusalemme, per lavorare alla Israeli Broadcasting Authority
prima di un ulteriore periodo di studio ad Amsterdam, alla
Rijksacademie of visual arts.
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Setirot
- Dallo Shtetl al Lager |
Strade
che portano dallo shtetl al Lager, percorsi che conducono dallo shtetl
alla Lubjanka, tragitti lastricati di illusioni infrante. La capacità
visionaria di Israel J. Singer gli aveva permesso di descrivere
magistralmente, con “La famiglia Karnowski” (Adelphi), la tragica
miopia che colpì l’ebraismo europeo nel suo chimerico tentativo di
integrazione borghese. Ora che Bollati Boringhieri ha pubblicato “A
oriente del giardino dell’Eden” (traduzione di Marina Morpurgo)
scopriamo che un’operazione assai simile gli era già riuscita anni
prima, quando aveva profetizzato la drammaticità di un altro sogno di
riscatto e di emancipazione, quello delle immense masse ebraiche
est-europee che guardarono al sole dell’avvenire socialista.
L’illusione è il grande tema di Israel J. Singer, tema eterno quindi
attuale. Nell’illusione però non c’è solamente sciagura. Fin
dall’espulsione dal Gan Eden, uomini e donne compiono imprese al limite
dell’impossibile per cercare “l’immortalità” – sia essa spirituale,
sociale o politica. Impossibile trovarla, ma le illusioni non esistono
per essere realizzate, bensì per accelerare la realizzazione di ciò che
effettivamente è realizzabile.
Stefano Jesurum, giornalista
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Time
out - Al fianco di Israele |
Avevo scritto l’altra settimana che qualsiasi scelta Israele avrebbe fatto sarebbe stata la più giusta.
Israele ha scelto Netanyahu e il dovere degli ebrei della diaspora è
quello di sostenere Israele a prescindere dal governo in carica. Perché
– senza riaprire noiose polemiche sul sostegno incondizionato ad
Israele – è terribile vedere come l’amore di alcuni nei confronti dello
Stato ebraico dipenda più dalle posizioni ideologiche che questo
assume, piuttosto ai valori che rappresenta. Insomma se vince la
sinistra ne sono orgogliosi, se perde si sentono in dovere quasi di
giustificarsi.
Daniel Funaro
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