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25 marzo 2015 - 5 Nissan 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“... che essi dovranno presentare all’Eterno nel giorno della propria unzione …” (Vaikrà 6, 13). Uno dei Grandi Maestri ha detto a proposito di questo verso: Il Cohen semplice portava in offerta “... un decimo di efà di fior di farina ...” solamente  nel giorno in cui veniva unto e iniziava a prestare servizio nel Tabernacolo. Mentre il Cohen Gadòl- il Grande Sacerdote, aveva l’obbligo di presentare questa offerta ogni giorno.
 
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Davide
Assael,
ricercatore
Non sono rassicuranti le notizie di aggressioni, non solo verbali, che giungono da Israele. L'ultimo caso riguarda la celebre cantante Noah. Un ulteriore segno, certo, delle tensioni che agitano la società israeliana, ma anche di una crisi strutturale, che va ben al di là di Israele, del modello democratico, sempre più ridotto a guerra fra bande e a propaganda permanente.
 
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Italia, arrestati jihadisti
Una cellula di estremisti islamici che operava tra l’Italia e i Balcani è stata smantellata dall’Antiterrorismo della Polizia, al termine di una lunga indagine. La cellula, secondo le prime informazioni, era dedita al reclutamento di aspiranti combattenti verso le milizie dell’Is.
 
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  davar
israele
Bibi e la squadra di governo
Il presidente di Israele Reuven Rivlin affiderà questa sera a Benjamin Netanyahu il compito di formare il nuovo governo del paese. Il primo ministro israeliano e leader del Likud ha infatti ottenuto l'appoggio della maggioranza della Knesset (67 seggi totali), trovando il sostegno dei parlamentari di Kulanu, HaBait HaYehudi, Israel Beitenu, Shas e Yahadut HaTorah. Con loro da domani inizierà ufficialmente a discutere per costruire l'esecutivo. Avrà 28 giorni per farlo, prorogabili di due settimane in caso di difficoltà e ritardi.
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israele - l'analisi di sergio della pergola
Cinque questioni sul tavolo
Le elezioni del 17 marzo in Israele richiamano due tipi di analisi: una più tecnica per cercare di capire meglio come si è distribuito il voto rispetto alle elezioni precedenti, e l’altra più a fondo sulle conseguenze delle scelte politiche del popolo israeliano. La prima cosa che va detta, però, è che il Comitato elettorale nazionale è presieduto dal giudice della Corte Suprema Salim Joubràn, un giurista arabo. Il Comitato è formato dai rappresentanti dei diversi partiti, governa le operazioni di voto, ne controlla la correttezza e la trasparenza, decide sull’ammissibilità delle liste alla competizione, e commina multe e sanzioni nel caso di infrazioni alle regole prescritte durante la campagna elettorale. Si tratta dunque di un organismo molto potente le cui decisioni possono essere sovvertite solo dalla Corte Suprema. Il fatto che un membro della minoranza araba israeliana sia chiamato a svolgere un ruolo di tale critica importanza per il sistema democratico dovrebbe chiudere la bocca a chi parla di discriminazione o addirittura di apartheid in Israele.
Il voto per la 20esima Knesset ha coinvolto il 72,4% degli elettori, la più alta percentuale dal 1999. Si era molto parlato di assenteismo, di scarsa motivazione, di rassegnato qualunquismo da parte del pubblico. Ma alla fine l’afflusso, e nelle ultime ore il vero e proprio assalto alle urne ha dimostrato che la democrazia in Israele è ben viva. Gli elettori hanno scelto di esprimersi, sia pure nei limiti della non proprio ideale offerta politica e di un metodo elettorale che incoraggia la frammentazione dei partiti e non garantisce la rappresentanza geografica degli elettori. Proprio nelle ultime ore, quando i sondaggisti avevano già chiuso i loro punti di raccolta dei dati, Benjamin Netanyahu ha vinto la campagna con un richiamo massiccio agli istinti primordiali della popolazione attraverso telefonate, sms, Twitter e Facebook. Il presunto spauracchio del voto massiccio da parte dei cittadini arabi, e la provocatoria equazione Arabi=antisionisti= Herzog+Livni ha colpito nervi sensibili calpestando il fatto che la lista di Herzog e Livni si chiama Unione Sionista. La rimonta dell’ultima ora ha reso penosamente inadeguati i sondaggi di uscita dai seggi elettorali che davano un pareggio o un lieve vantaggio al Likud. La perentoria vittoria finale di Netanyahu (3
0-24) innegabilmente cattura l’umore del paese, ma anche le sue profonde contraddizioni. Una campagna elettorale giocata in gran parte sui temi dell’economia, del disagio sociale e della critica anti-Bibi si è conclusa con un drammatico ritorno ai temi dell’identità nazionale e della sicurezza tanto cari a Bibi. In realtà, se dividiamo i partiti in campo nelle cinque principali aree politiche, i cambiamenti sono stati minimi.
Il fatto più vistoso è la lista unificata araba che con 13 seggi ne aggiunge due alla somma delle sue componenti nella Knesset precedente. Lista che è in realtà un vero parlamentino dei diversi e che in caso di vittoria laburista si sarebbe prontamente scissa nella
componente massimalista e in quella possibilista. Ma con Netanyahu al potere, il blocco rimarrà unito costituendo il terzo maggiore partito. Ci vuole molta cocciutaggine per non voler ammettere che in termini reali anche se idealmente non dichiarati Israele è oggi formalmente uno stato bi-nazionale. La continua insistenza degli ambienti nazionalisti e messianici nel voler annettere più territori e più popolazioni palestinesi può solo ottenere il risultato di rendere ancora più bi-nazionale e meno ebraico quello che vorrebbe essere lo Stato degli ebrei.
Nell’area di centrosinistra, i laburisti di Herzog e i centristi di Livni uniti guadagnano tre seggi, da 21 a 24, rispetto alla loro somma precedente, ma Meretz perde un seggio, da 6 a 5 e anche voti in assoluto, in parte di cittadini arabi a favore del partito unificato. In totale dunque, il centrosinistra guadagna 2 seggi, tendenza che prosegue quella delle elezioni precedenti ma insufficiente a cambiare i grandi equilibri. Al centro il numero totale degli eletti resta immutato (21) ma cambia in modo significativo la loro distribuzione: nel 2013, 19 a Yesh Atid di Yair Lapid e 2 ai poveri resti di Kadima, ora 11 a Lapid e 10 al nuovo partito Kulanu di Moshe Kahlon. Quest’ultimo diventa la chiave di volta per la formazione del nuovo governo e potrà chiedere a Netanyahu un prezzo quasi illimitato per concedergli il suo appoggio. A destra, la grande vittoria del Likud (da 19 a 30 seggi) avviene in gran parte a spese degli alleati naturali Bayt Yehudi di Naftali Bennett, che cala da 12 a 8, e Israel Beitenu di Avigdor Liberman, che crolla da 12 a 6. Il totale netto per la destra è dunque un incremento di un solo seggio. Infine il vero dramma: la scissione di Shas ha causato grave danno ai partiti Haredim. Degli 11 seggi che aveva, Aryeh Deri ne conserva 7, mentre gli altri 4 che sarebbero passati a Eli Yishai finiscono nel nulla perché il suo nuovo partito Yahad fallisce di oltre 10mila voti la soglia minima del 3,25%. Ma Yishai ha sottratto voti anche a Yahadut Hatorah che così scende da 7 a 6 seggi, con una perdita complessiva di 5 per i partiti religiosi. Quello che i partiti arabi hanno capito (l’unione fa la forza), misteriosamente è sfuggito ai haredim, di solito molto accorti nella loro gestione politica. Ricapitolando: centrosinistra più arabi, +4; destra più religiosi, -4. Il popolo si sposta a sinistra, Bibi stravince le elezioni.
Si tratta ora di creare un governo e, fatto non meno cruciale, di elaborare una politica per Israele. La formazione di una coalizione sarà molto difficile e laboriosa perché tutti e sei i partiti vincenti arrivano alla trattativa con grande appetito. Kahlon vuole il tesoro, Liberman la difesa, Bennett gli Esteri, Deri gli interni, Yahadut Hatorah la potente commissione finanze. Ma qualcosa bisognerà pur lasciare anche agli assetati giovani turchi del Likud. Il problema è che Natanyahu ha spedito il paese alle elezioni anticipate perché non aveva saputo far passare il bilancio dello Stato, ma con tante richieste tanto disparate dopo le elezioni siamo lontanissimi da una soluzione concordata. Sul tavolo almeno cinque grandi questioni:
1. I palestinesi e l’Iran. Bibi ha detto no a ogni trattativa. Il problema in Medio Oriente è che Israele può fare tutti gli errori politici possibili, ma quando si guarda bene in faccia la controparte si deve ammettere che il margine di manovra è quasi inesistente. Se almeno Hamas, che fa parte della coalizione di governo a Ramallah, abolisse l’articolo 7 della sua carta (“Vieni Muhammed, e uccidi tutti gli ebrei”).
2. Obama. Nei confronti dell’alleanza strategica con gli Stati Uniti, invece, la militanza pro-repubblicana di Bibi ha causato danni colossali e forse irreversibili di fronte all’amministrazione democratica. Se gli Stati Uniti rinunciassero al potere di veto all’Onu, l’isolamento internazionale di Israele avrebbe costi incalcolabili, tanto più in un mondo in cui si diffonde il boicottaggio economico e culturale antiisraeliano.
3. Stato ebraico e democratico. Nel futuro governo Netanyahu aumenta il peso di chi vuole smantellare l’equilibrio fra i poteri costituzionali, imponendo la politica alla Corte Suprema che finora è stato il cane da guardia dell’equità. Si parla di controlli sui finanziamenti dei partiti di sinistra, ma non su quelli della destra che riceve fondi illimitati dal principe della roulette Sheldon Adelson. Aumenta la retorica nazionale mentre di fatto viene messa in causa la natura democratica dello Stato d’Israele.
4. Unità e tensioni interne. Nella campagna elettorale Netanyahu ha usato senza inibizione la strategia della tensione con almeno due filmini di carattere nazifascista (subito smentiti e rottamati). Bibi ha proclamato che una “voragine incolmabile” lo separa dai sionisti progressisti, ma non si è accorto che nelle basi dell’aviazione israeliana il partito più votato è stato l’Unione Sionista. Gli resta peraltro la fanteria.
5. Disuguaglianze sociali. Per chi vive in Israele la questione cruciale resta quella del costo della vita e delle pari opportunità. Non sarà facile mantenere i privilegi e le agevolazioni degli uni, e allo stesso tempo consentire agli altri di avere una casa propria e di arrivare a fine mese. Qui occorre un vero mago e Bibi lo è stato nel vincere le elezioni. Su quello che verrà dopo esistono legittimi e fondati dubbi.

Sergio Della Pergola, Pagine Ebraiche Aprile 2015
PAGINE EBRAICHE DI APRILE
Da Gerusalemme all'Italia:
cosa cambia dopo il voto

Elezioni in Israele, nella Comunità ebraica di Torino e di Milano. Il numero di aprile di Pagine Ebraiche è attualmente in distribuzione, dopo il frenetico lavoro della redazione e dei preziosi collaboratori, e offre ai suoi lettori notizie ed approfondimenti sul vento di cambiamento che ha portato migliaia di persone alle urne, ridisegnando un nuovo futuro per lo Stato ebraico e nella vita di due delle più grandi comunità ebraiche italiane. Un numero chiuso due giorni dopo le votazioni del Consiglio di Milano eppure ricco di riflessioni e informazioni.
Un mese di grandi arrivi e partenze. Un mese per iniziare nuove letture e ritrovarne di perdute: Pagine Ebraiche di aprile è proiettato verso il futuro. A partire dal bilancio di marzo, un mese contrassegnato da elezioni, urne e schede: dopo una campagna particolarmente animata, il 17 marzo Israele è andato a votare e ha confermato il premier Benjamin Netanyahu facendo guadagnare al suo partito, il Likud, 30 seggi e infliggendo una cocente sconfitta al laburista Buji, per mesi considerato l’homo novus. Ma la situazione è davvero come sembra? A ragionare con i lettori è il demografo Sergio Della Pergola che pone sul tavolo cinque questioni fondamentali per governare lo Stato di Israele. Tempo di elezioni anche per l'Italia ebraica che ha visto la nuova formazione del Consiglio della Comunità di Milano con un perfetto equilibrio tra le due liste WellCommunity e Lechaim (entrambe hanno guadagnato 8 consiglieri) e l'entrata in scena di Antonella Musatti, che si è presentata da sola ed è stata la seconda più votata dopo Raffaele Besso. Le elezioni raggiungono anche Torino dove il presidente Beppe Segre cede l'incarico a Dario Disegni, sostenuto sia dalla lista Anavim che da Beiachad e che si propone di guidare la comunità nel segno dell'unità. A ridisegnare il proprio Consiglio è infine l'Unione dei Giovani Ebrei d'Italia, alla cui presidenza è stata chiamata Talia Bidussa.
Si intitola “Leggere per crescere” il dossier di aprile, che ogni anno Pagine Ebraiche dedica alla letteratura per bambini e ragazzi in occasione della Bologna Childen’s Book Fair, la più importante fiera sulla letteratura per l’infanzia, dove il giornale, insieme a DafDaf, sarà distribuito in tutti i padiglioni. E nel programma della BCBF compaiono diversi incontri organizzati e promossi dalla redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: martedì 31, al Caffè degli Autori, Anna Castagnoli, Nadia Terranova, Paolo Cesari e Luisa Valenti si confronteranno sulla difficoltà di raccontare ai bambini “ciò che non si deve dire”, in una tavola rotonda promossa e coordinata dalla redazione di DafDaf. Nel programma “fuori salone” sono invece inseriti il laboratorio dedicato alla versione per bambini di “Portico d’Ottavia”, la suggestiva storia di un palazzo nel cuore del ghetto di Roma condotto dall’autrice, la storica Anna Foa, e con l’illustratore Matteo Berton, al Museo Ebraico della città, e la mostra su Rutu Modan, che aprirà negli stessi giorni sempre al MEB.  Tra le pagine del dossier spunti per tante letture, fra grandi classici e alcune novità: dall’autobiografia di Leo Lionni “Tra i miei mondi” all’intramontabile “I ragazzi della via Pal”, raccontato da Franco Palmieri. Esistono libri per bambini anche piccoli che siano senza immagini? Ebbene sì, e la provocazione è firmata dall’americano B.J. Novak, autore di “The Book with No Pictures”, a riprova del valore della parola, fonte prima di intelligenza e di incanto. Si parla poi di Patrick Modiano, recente premio Nobel per la letteratura autore di “Caterina Certezza” illustrato da Sempé, e non mancano storie dedicate a identità e libertà, per leggere, per crescere. 
Le pagine di economia si preparano ad accogliere l'Expo di Milano che aprirà i battenti il 1° maggio, offrendo ai lettori l'intervista a Giuseppe Sala, commissario unico dell'esposizione, che illustra le prossime sfide e le novità sul padiglione Israele.
Lontano da qualche anno dalla scena politica comunitaria torna a parlare Amos Luzzatto, intellettuale, attivista, medico ed indimenticabile voce dell'ebraismo italiano. L'ex presidente UCEI si racconta a colloquio con il direttore di Pagine Ebraiche Guido Vitale e parla di futuro e dialogo. Scrittore eclettico, Luzzatto cura il libro appena uscito "Cultura ed etica ebraica" di Dante Lattes (ed. Bonanno), nato dalla collaborazione con l'associazione Hans Jonas, di cui presentiamo uno stralcio in anteprima.
Le pagine di Cultura si aprono invece con la Biennale Democrazia di Torino, giunta alla quarta edizione, che è dedicata al tema Passaggi e viene presentata dal suo presidente Gustavo Zagrebelsky.
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qui torino 
In cammino, nel nome di Artom
“Non c'è futuro senza Memoria”. È lo slogan che a Torino ha accompagnato la tradizionale marcia in memoria di Emanuele Artom, il giovane partigiano ucciso dai nazifascisti. Promosso dalle Comunità ebraiche di Torino, Casale Monferrato e Vercelli, dalla Comunità di Sant'Egidio e dall'amministrazione cittadina e con l'adesione dell'Anpi, l'evento ha visto raccogliersi anche quest'anno molte centinaia di persone e gli studenti delle scuole del quartiere di S.Salvario. Partito dalla stazione di Porta Nuova davanti alla lapide che ricorda le deportazioni, il corteo è sfilato davanti alla scuola ebraica per giungere in piazzetta Primo Levi, davanti alla sinagoga, dove ad intervenire sono stati il sindaco Piero Fassino, la presidente della sezione torinese di Sant'Egidio Daniela Sironi e il presidente della Comunità ebraica Dario Disegni. Tra i partecipanti anche la vicepresidente della Comunità ebraica Alda Guastalla, l'ex presidente Beppe Segre, numerosi esponenti del Consiglio, la consigliera dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti.
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Un saluto a Beppe Segre
Il Presidente della misura
Tanti leader ebraici italiani e primi fra tutti i presidenti delle Comunità meritano ammirazione per la dedizione che dimostrano nell’affrontare da volontari, con generosità e dedizione, situazioni spesso difficilissime. Quando viene per loro il momento di lasciare l’incarico, meriterebbero un grande ringraziamento per quanto sono stati capaci di donare.
Nel caso di Giuseppe, Beppe, Segre, che ha appena lasciato la guida della Comunità di Torino dopo averla pazientemente condotta nel corso di un mandato molto difficile, sento però il bisogno di farmi interprete di un ringraziamento e di un saluto speciale.
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qui torino - oggi al via biennaledemocrazia
I "Passaggi" di Zagrebelsky
II tema della quarta edizione della Biennale Democrazia di Torino è “Passaggi”, e il collegamento con l’attraversamento del Mar Rosso da parte del popolo ebraico è talmente ovvio che il professor Gustavo Zagrebelsky - che della manifestazione è presidente - liquida la domanda con un sorriso sornione e un commento sommesso: “Ne è l’esempio classico, no? Questa idea di lasciare qualcosa di noto per mettersi in cammino, senza sapere se e dove si arriverà ha valore universale, ed è di una attualità quasi impressionante di questi tempi”. Si tratta di “passaggi” declinati nel programma in una moltitudine di incontri in cui spesso pare dominare una certa preoccupazione per il futuro, e proprio l’inquietudine sembra essere la cifra caratteristica di questa edizione di un festival culturale nato in maniera quasi spontanea: “L’anno successivo alla morte di Norberto Bobbio - ricorda Zagrebelsky - un gruppo di amici e allievi organizzò insieme ai suoi figli una serie di lezioni a lui dedicate, che videro una partecipazione davvero straordinaria. Nacque allora l’idea della Biennale Democrazia, per cercare di rispondere a questa esigenza fortissima, al bisogno di cultura civile che si era così manifestato”.
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qui roma - master ucei
A confronto sul Medio Oriente
"C'è un insegnamento che porto sempre nel cuore e me lo ha dato il celebre giornalista Arrigo Levi. Quando avevo appena iniziato la mia carriera, mi disse: ricordati, se davvero vorrai fare questo lavoro, sappi che non si 'fa' il giornalista, si 'è' giornalista. Ed è proprio così: chi si impegna in questa missione sa che non ci sono orari o confini prestabiliti: se c'è una storia bisogna inseguirla, non si può rimandare". Con questo incipit il giornalista Maurizio Molinari, autore tra gli altri de "Il Califfato del terrore" (ed. Rizzoli), ha aperto la sua lezione al Master in Cultura e Comunicazione Ebraica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ospite del direttore del dipartimento Informazione e Relazioni Esterne UCEI Emanuele Ascarelli.
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adei-wizo - 17 e 18 maggio l'assemblea generale
A Torino, l'Adei si rinnova
qui venezia - l'ex presidente della knesset
Avraham Burg visita la Laguna
Qui Roma 
Identità in dialogo
pilpul
Ticketless - Vivante a Mestre
Non è la prima volta, e non sarà nemmeno l’ultima, che mi capita di trovare qualche cosa di nuovo sul sito www.storiamestre.it. Il 9 marzo scorso i bravissimi redattori, che non cerca lo scandalo storiografico, ma predilige il ragionamento critico, hanno messo in rete un ricordo di Cesare Vivante (1920-2014) firmato da Benjamin Arbel. Si tratta di una appassionata rilettura del capolavoro, “Memoria dei padri”, un’autobiografia che insieme è anche una rievocazione della presenza veneziana nel Mediterraneo e del ruolo degli ebrei in questo contesto.

Alberto Cavaglion
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Periscopio - Chi decide
Commentare le reazioni suscitate dall’esito delle elezioni israeliane è davvero un compito triste e deprimente, tanto i giornali di tutto il mondo paiono grondare di giudizi duri e sprezzanti, quando non di veri e propri insulti, contro non tanto i vincitori della competizione elettorale, quanto gli elettori, che, con la loro infausta scelta, avrebbero confermato la cieca deriva razzista, aggressiva e militarista presa, al di là del benché minimo dubbio, dal popolo d’Israele, che avrebbe protervamente deciso di legare il proprio destino al peggiore leader in assoluto che si potesse immaginare, la cui folle conferma non avrebbe altro significato, a quanto pare, che quello di una catastrofe annunciata.

Francesco Lucrezi, storico
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