David
Sciunnach,
rabbino
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“...
che essi dovranno presentare all’Eterno nel giorno della propria
unzione …” (Vaikrà 6, 13). Uno dei Grandi Maestri ha detto a proposito
di questo verso: Il Cohen semplice portava in offerta “... un decimo di
efà di fior di farina ...” solamente nel giorno in cui veniva
unto e iniziava a prestare servizio nel Tabernacolo. Mentre il Cohen
Gadòl- il Grande Sacerdote, aveva l’obbligo di presentare questa
offerta ogni giorno.
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Davide
Assael,
ricercatore | Non
sono rassicuranti le notizie di aggressioni, non solo verbali, che
giungono da Israele. L'ultimo caso riguarda la celebre cantante Noah.
Un ulteriore segno, certo, delle tensioni che agitano la società
israeliana, ma anche di una crisi strutturale, che va ben al di là di
Israele, del modello democratico, sempre più ridotto a guerra fra bande
e a propaganda permanente.
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Italia, arrestati jihadisti
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Una
cellula di estremisti islamici che operava tra l’Italia e i Balcani è
stata smantellata dall’Antiterrorismo della Polizia, al termine di una
lunga indagine. La cellula, secondo le prime informazioni, era dedita
al reclutamento di aspiranti combattenti verso le milizie dell’Is.
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israele - l'analisi di sergio della pergola
Cinque questioni sul tavolo
Le
elezioni del 17 marzo in Israele richiamano due tipi di analisi: una
più tecnica per cercare di capire meglio come si è distribuito il voto
rispetto alle elezioni precedenti, e l’altra più a fondo sulle
conseguenze delle scelte politiche del popolo israeliano. La prima cosa
che va detta, però, è che il Comitato elettorale nazionale è presieduto
dal giudice della Corte Suprema Salim Joubràn, un giurista arabo. Il
Comitato è formato dai rappresentanti dei diversi partiti, governa le
operazioni di voto, ne controlla la correttezza e la trasparenza,
decide sull’ammissibilità delle liste alla competizione, e commina
multe e sanzioni nel caso di infrazioni alle regole prescritte durante
la campagna elettorale. Si tratta dunque di un organismo molto potente
le cui decisioni possono essere sovvertite solo dalla Corte Suprema. Il
fatto che un membro della minoranza araba israeliana sia chiamato a
svolgere un ruolo di tale critica importanza per il sistema democratico
dovrebbe chiudere la bocca a chi parla di discriminazione o addirittura
di apartheid in Israele.
Il voto per la 20esima Knesset ha coinvolto il 72,4% degli elettori, la
più alta percentuale dal 1999. Si era molto parlato di assenteismo, di
scarsa motivazione, di rassegnato qualunquismo da parte del pubblico.
Ma alla fine l’afflusso, e nelle ultime ore il vero e proprio assalto
alle urne ha dimostrato che la democrazia in Israele è ben viva. Gli
elettori hanno scelto di esprimersi, sia pure nei limiti della non
proprio ideale offerta politica e di un metodo elettorale che
incoraggia la frammentazione dei partiti e non garantisce la
rappresentanza geografica degli elettori. Proprio nelle ultime ore,
quando i sondaggisti avevano già chiuso i loro punti di raccolta dei
dati, Benjamin Netanyahu ha vinto la campagna con un richiamo massiccio
agli istinti primordiali della popolazione attraverso telefonate, sms,
Twitter e Facebook. Il presunto spauracchio del voto massiccio da parte
dei cittadini arabi, e la provocatoria equazione Arabi=antisionisti=
Herzog+Livni ha colpito nervi sensibili calpestando il fatto che la
lista di Herzog e Livni si chiama Unione Sionista. La rimonta
dell’ultima ora ha reso penosamente inadeguati i sondaggi di uscita dai
seggi elettorali che davano un pareggio o un lieve vantaggio al Likud.
La perentoria vittoria finale di Netanyahu (30-24) innegabilmente cattura l’umore del paese, ma anche le sue
profonde contraddizioni. Una campagna elettorale giocata in gran parte
sui temi dell’economia, del disagio sociale e della critica anti-Bibi
si è conclusa con un drammatico ritorno ai temi dell’identità nazionale
e della sicurezza tanto cari a Bibi. In realtà, se dividiamo i partiti
in campo nelle cinque principali aree politiche, i cambiamenti sono
stati minimi.
Il fatto più vistoso è la lista unificata araba che con 13 seggi ne
aggiunge due alla somma delle sue componenti nella Knesset precedente.
Lista che è in realtà un vero parlamentino dei diversi e che in caso di
vittoria laburista si sarebbe prontamente scissa nella componente
massimalista e in quella possibilista. Ma con Netanyahu al potere, il
blocco rimarrà unito costituendo il terzo maggiore partito. Ci vuole
molta cocciutaggine per non voler ammettere che in termini reali anche
se idealmente non dichiarati Israele è oggi formalmente uno stato
bi-nazionale. La continua insistenza degli ambienti nazionalisti e
messianici nel voler annettere più territori e più popolazioni
palestinesi può solo ottenere il risultato di rendere ancora più
bi-nazionale e meno ebraico quello che vorrebbe essere lo Stato degli
ebrei.
Nell’area di centrosinistra, i laburisti di Herzog e i centristi di
Livni uniti guadagnano tre seggi, da 21 a 24, rispetto alla loro somma
precedente, ma Meretz perde un seggio, da 6 a 5 e anche voti in
assoluto, in parte di cittadini arabi a favore del partito unificato.
In totale dunque, il centrosinistra guadagna 2 seggi, tendenza che
prosegue quella delle elezioni precedenti ma insufficiente a cambiare i
grandi equilibri. Al centro il numero totale degli eletti resta
immutato (21) ma cambia in modo significativo la loro distribuzione:
nel 2013, 19 a Yesh Atid di Yair Lapid e 2 ai poveri resti di Kadima,
ora 11 a Lapid e 10 al nuovo partito Kulanu di Moshe Kahlon.
Quest’ultimo diventa la chiave di volta per la formazione del nuovo
governo e potrà chiedere a Netanyahu un prezzo quasi illimitato per
concedergli il suo appoggio. A destra, la grande vittoria del Likud (da
19 a 30 seggi) avviene in gran parte a spese degli alleati naturali
Bayt Yehudi di Naftali Bennett, che cala da 12 a 8, e Israel Beitenu di
Avigdor Liberman, che crolla da 12 a 6. Il totale netto per la destra è
dunque un incremento di un solo seggio. Infine il vero dramma: la
scissione di Shas ha causato grave danno ai partiti Haredim. Degli 11
seggi che aveva, Aryeh Deri ne conserva 7, mentre gli altri 4 che
sarebbero passati a Eli Yishai finiscono nel nulla perché il suo nuovo
partito Yahad fallisce di oltre 10mila voti la soglia minima del 3,25%.
Ma Yishai ha sottratto voti anche a Yahadut Hatorah che così scende da
7 a 6 seggi, con una perdita complessiva di 5 per i partiti religiosi.
Quello che i partiti arabi hanno capito (l’unione fa la forza),
misteriosamente è sfuggito ai haredim, di solito molto accorti nella
loro gestione politica. Ricapitolando: centrosinistra più arabi, +4;
destra più religiosi, -4. Il popolo si sposta a sinistra, Bibi
stravince le elezioni.
Si tratta ora di creare un governo e, fatto non meno cruciale, di
elaborare una politica per Israele. La formazione di una coalizione
sarà molto difficile e laboriosa perché tutti e sei i partiti vincenti
arrivano alla trattativa con grande appetito. Kahlon vuole il tesoro,
Liberman la difesa, Bennett gli Esteri, Deri gli interni, Yahadut
Hatorah la potente commissione finanze. Ma qualcosa bisognerà pur
lasciare anche agli assetati giovani turchi del Likud. Il problema è
che Natanyahu ha spedito il paese alle elezioni anticipate perché non
aveva saputo far passare il bilancio dello Stato, ma con tante
richieste tanto disparate dopo le elezioni siamo lontanissimi da una
soluzione concordata. Sul tavolo almeno cinque grandi questioni:
1. I palestinesi e l’Iran. Bibi ha detto no a ogni trattativa. Il
problema in Medio Oriente è che Israele può fare tutti gli errori
politici possibili, ma quando si guarda bene in faccia la controparte
si deve ammettere che il margine di manovra è quasi inesistente. Se
almeno Hamas, che fa parte della coalizione di governo a Ramallah,
abolisse l’articolo 7 della sua carta (“Vieni Muhammed, e uccidi tutti
gli ebrei”).
2. Obama. Nei confronti dell’alleanza strategica con gli Stati Uniti,
invece, la militanza pro-repubblicana di Bibi ha causato danni
colossali e forse irreversibili di fronte all’amministrazione
democratica. Se gli Stati Uniti rinunciassero al potere di veto
all’Onu, l’isolamento internazionale di Israele avrebbe costi
incalcolabili, tanto più in un mondo in cui si diffonde il boicottaggio
economico e culturale antiisraeliano.
3. Stato ebraico e democratico. Nel futuro governo Netanyahu aumenta il
peso di chi vuole smantellare l’equilibrio fra i poteri costituzionali,
imponendo la politica alla Corte Suprema che finora è stato il cane da
guardia dell’equità. Si parla di controlli sui finanziamenti dei
partiti di sinistra, ma non su quelli della destra che riceve fondi
illimitati dal principe della roulette Sheldon Adelson. Aumenta la
retorica nazionale mentre di fatto viene messa in causa la natura
democratica dello Stato d’Israele.
4. Unità e tensioni interne. Nella campagna elettorale Netanyahu ha
usato senza inibizione la strategia della tensione con almeno due
filmini di carattere nazifascista (subito smentiti e rottamati). Bibi
ha proclamato che una “voragine incolmabile” lo separa dai sionisti
progressisti, ma non si è accorto che nelle basi dell’aviazione
israeliana il partito più votato è stato l’Unione Sionista. Gli resta
peraltro la fanteria.
5. Disuguaglianze sociali. Per chi vive in Israele la questione
cruciale resta quella del costo della vita e delle pari opportunità.
Non sarà facile mantenere i privilegi e le agevolazioni degli uni, e
allo stesso tempo consentire agli altri di avere una casa propria e di
arrivare a fine mese. Qui occorre un vero mago e Bibi lo è stato nel
vincere le elezioni. Su quello che verrà dopo esistono legittimi e
fondati dubbi.
Sergio Della Pergola, Pagine Ebraiche Aprile 2015
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PAGINE EBRAICHE DI APRILE
Da Gerusalemme all'Italia:
cosa cambia dopo il voto
Elezioni
in Israele, nella Comunità ebraica di Torino e di Milano. Il numero di
aprile di Pagine Ebraiche è attualmente in distribuzione, dopo il
frenetico lavoro della redazione e dei preziosi collaboratori, e offre
ai suoi lettori notizie ed approfondimenti sul vento di cambiamento che
ha portato migliaia di persone alle urne, ridisegnando un nuovo futuro
per lo Stato ebraico e nella vita di due delle più grandi comunità
ebraiche italiane. Un numero chiuso due giorni dopo le votazioni del
Consiglio di Milano eppure ricco di riflessioni e informazioni.
Un mese di grandi arrivi e partenze. Un mese per iniziare nuove letture
e ritrovarne di perdute: Pagine Ebraiche di aprile è proiettato verso
il futuro. A partire dal bilancio di marzo, un mese contrassegnato da
elezioni, urne e schede: dopo una campagna particolarmente animata, il
17 marzo Israele è andato a votare e ha confermato il premier Benjamin
Netanyahu facendo guadagnare al suo partito, il Likud, 30 seggi e
infliggendo una cocente sconfitta al laburista Buji, per mesi
considerato l’homo novus. Ma la situazione è davvero come sembra? A
ragionare con i lettori è il demografo Sergio Della Pergola che pone
sul tavolo cinque questioni fondamentali per governare lo Stato di
Israele. Tempo di elezioni anche per l'Italia ebraica che ha visto la
nuova formazione del Consiglio della Comunità di Milano con un perfetto
equilibrio tra le due liste WellCommunity e Lechaim (entrambe hanno
guadagnato 8 consiglieri) e l'entrata in scena di Antonella Musatti,
che si è presentata da sola ed è stata la seconda più votata dopo
Raffaele Besso. Le elezioni raggiungono anche Torino dove il presidente
Beppe Segre cede l'incarico a Dario Disegni, sostenuto sia dalla lista
Anavim che da Beiachad e che si propone di guidare la comunità nel
segno dell'unità. A ridisegnare il proprio Consiglio è infine l'Unione
dei Giovani Ebrei d'Italia, alla cui presidenza è stata chiamata Talia
Bidussa. Si
intitola “Leggere per crescere” il dossier di aprile, che ogni anno
Pagine Ebraiche dedica alla letteratura per bambini e ragazzi in
occasione della Bologna Childen’s Book Fair, la più importante fiera
sulla letteratura per l’infanzia, dove il giornale, insieme a DafDaf,
sarà distribuito in tutti i padiglioni. E nel programma della BCBF
compaiono diversi incontri organizzati e promossi dalla redazione
giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: martedì 31,
al Caffè degli Autori, Anna Castagnoli, Nadia Terranova, Paolo Cesari e
Luisa Valenti si confronteranno sulla difficoltà di raccontare ai
bambini “ciò che non si deve dire”, in una tavola rotonda promossa e
coordinata dalla redazione di DafDaf. Nel programma “fuori salone” sono
invece inseriti il laboratorio dedicato alla versione per bambini di
“Portico d’Ottavia”, la suggestiva storia di un palazzo nel cuore del
ghetto di Roma condotto dall’autrice, la storica Anna Foa, e con
l’illustratore Matteo Berton, al Museo Ebraico della città, e la mostra
su Rutu Modan, che aprirà negli stessi giorni sempre al MEB. Tra
le pagine del dossier spunti per tante letture, fra grandi classici e
alcune novità: dall’autobiografia di Leo Lionni “Tra i miei mondi”
all’intramontabile “I ragazzi della via Pal”, raccontato da Franco
Palmieri. Esistono libri per bambini anche piccoli che siano senza
immagini? Ebbene sì, e la provocazione è firmata dall’americano B.J.
Novak, autore di “The Book with No Pictures”, a riprova del valore
della parola, fonte prima di intelligenza e di incanto. Si parla poi di
Patrick Modiano, recente premio Nobel per la letteratura autore di
“Caterina Certezza” illustrato da Sempé, e non mancano storie dedicate
a identità e libertà, per leggere, per crescere.
Le pagine di economia si preparano ad accogliere l'Expo di Milano che
aprirà i battenti il 1° maggio, offrendo ai lettori l'intervista a
Giuseppe Sala, commissario unico dell'esposizione, che illustra le
prossime sfide e le novità sul padiglione Israele.
Lontano da qualche anno dalla scena politica comunitaria torna a
parlare Amos Luzzatto, intellettuale, attivista, medico ed
indimenticabile voce dell'ebraismo italiano. L'ex presidente UCEI si
racconta a colloquio con il direttore di Pagine Ebraiche Guido Vitale e
parla di futuro e dialogo. Scrittore eclettico, Luzzatto cura il libro
appena uscito "Cultura ed etica ebraica" di Dante Lattes (ed. Bonanno),
nato dalla collaborazione con l'associazione Hans Jonas, di cui
presentiamo uno stralcio in anteprima.
Le pagine di Cultura si aprono invece con la Biennale Democrazia di
Torino, giunta alla quarta edizione, che è dedicata al tema Passaggi e
viene presentata dal suo presidente Gustavo Zagrebelsky. Leggi
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qui torino
In cammino, nel nome di Artom
“Non
c'è futuro senza Memoria”. È lo slogan che a Torino ha accompagnato la
tradizionale marcia in memoria di Emanuele Artom, il giovane partigiano
ucciso dai nazifascisti. Promosso dalle Comunità ebraiche di Torino,
Casale Monferrato e Vercelli, dalla Comunità di Sant'Egidio e
dall'amministrazione cittadina e con l'adesione dell'Anpi, l'evento ha
visto raccogliersi anche quest'anno molte centinaia di persone e gli
studenti delle scuole del quartiere di S.Salvario. Partito dalla
stazione di Porta Nuova davanti alla lapide che ricorda le
deportazioni, il corteo è sfilato davanti alla scuola ebraica per
giungere in piazzetta Primo Levi, davanti alla sinagoga, dove ad
intervenire sono stati il sindaco Piero Fassino, la presidente della
sezione torinese di Sant'Egidio Daniela Sironi e il presidente della
Comunità ebraica Dario Disegni. Tra i partecipanti anche la
vicepresidente della Comunità ebraica Alda Guastalla, l'ex presidente
Beppe Segre, numerosi esponenti del Consiglio, la consigliera
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti. Leggi
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Ticketless
- Vivante a Mestre |
Non
è la prima volta, e non sarà nemmeno l’ultima, che mi capita di trovare
qualche cosa di nuovo sul sito www.storiamestre.it. Il 9 marzo scorso i
bravissimi redattori, che non cerca lo scandalo storiografico, ma
predilige il ragionamento critico, hanno messo in rete un ricordo di
Cesare Vivante (1920-2014) firmato da Benjamin Arbel. Si tratta di una
appassionata rilettura del capolavoro, “Memoria dei padri”,
un’autobiografia che insieme è anche una rievocazione della presenza
veneziana nel Mediterraneo e del ruolo degli ebrei in questo contesto.
Alberto Cavaglion
Leggi
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Periscopio
- Chi decide |
Commentare
le reazioni suscitate dall’esito delle elezioni israeliane è davvero un
compito triste e deprimente, tanto i giornali di tutto il mondo paiono
grondare di giudizi duri e sprezzanti, quando non di veri e propri
insulti, contro non tanto i vincitori della competizione elettorale,
quanto gli elettori, che, con la loro infausta scelta, avrebbero
confermato la cieca deriva razzista, aggressiva e militarista presa, al
di là del benché minimo dubbio, dal popolo d’Israele, che avrebbe
protervamente deciso di legare il proprio destino al peggiore leader in
assoluto che si potesse immaginare, la cui folle conferma non avrebbe
altro significato, a quanto pare, che quello di una catastrofe
annunciata.
Francesco Lucrezi, storico
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