Qui Torino – La democrazia? Ha un futuro

biennale democraziaIl tema della quarta edizione della Biennale Democrazia di Torino è “Passaggi”, e il collegamento con l’attraversamento del Mar Rosso da parte del popolo ebraico è talmente ovvio che il professor Gustavo Zagrebelsky – che della manifestazione è presidente – liquida la domanda con un sorriso sornione e un commento sommesso: “Ne è l’esempio classico, no? Questa idea di lasciare qualcosa di noto per mettersi in cammino, senza sapere se e dove si arriverà ha valore universale, ed è di una attualità quasi impressionante di questi tempi”. Si tratta di “passaggi” declinati nel programma in una moltitudine di incontri in cui spesso pare dominare una certa preoccupazione per il futuro, e proprio l’inquietudine sembra essere la cifra caratteristica di questa edizione di un festival culturale nato in maniera quasi spontanea: “L’anno successivo alla morte di Norberto Bobbio – ricorda Zagrebelsky – un gruppo di amici e allievi organizzò insieme ai suoi figli una serie di lezioni a lui dedicate, che videro una partecipazione davvero straordinaria. Nacque allora l’idea della Biennale Democrazia, per cercare di rispondere a questa esigenza fortissima, al bisogno di cultura civile che si era così manifestato”. È poi impressionante elencare i nomi di coloro che insieme a Zagrebelsky fanno parte del comitato dei garanti, del comitato scientifico e del comitato scientifico- organizzativo della manifestazione: una trentina di studiosi e intellettuali di grande rilievo, tra cui sono compresi i massimi nomi della cultura italiana. “Ci ritroviamo tutti insieme, certo, soprattutto quando va deciso il tema dell’edizione successiva, ed è sempre un’esperienza di grande piacevolezza, in cui si parla, si discute, e la circolazione di idee porta sempre a un dialogo costruttivo, democratico nel vero senso del termine”. Un gruppo di amici e colleghi, che mettono in pratica quello che concretamente dovrebbe significare il termine democrazia: “Quella nel titolo della manifestazione non intende essere la democrazia come forma politica. Noi l’abbiamo pensata come democrazia deliberativa, a cui cerca di rispondere uno spazio in cui esistono tante idee che si confrontano liberamente, con la speranza di riuscire a diffondere consapevolezza. Il confronto delle diverse posizioni soprattutto oggi mi pare essere più importante della volontà decisionale. Proprio la spinta alla decisione è una delle peggiori semplificazioni del dibattito politico attuale, l’optimum sarebbe arrivare a non avere bisogno di decidere. Nella democrazia non esiste l’idea di vincitore e sconfitto, si parte dal principio di tolleranza, una tolleranza laica, illuminista, in cui la diversità delle posizioni è una ricchezza. Proprio perché nessuno di noi è in grado di vedere le cose da tutti i punti di vista, non bisogna dimenticarlo. Io ho ovviamente una mia visione delle cose, ma devo sapere che è solo il mio punto di vista. E questa è una enorme ricchezza… Un principio molto ebraico, no?”.
La scelta degli invitati, che apre a posizioni anche molto diverse fra di loro, rispetta da sempre un patto non scritto, ma ferreo: niente politici, e niente uomini di partito. “Il nostro materiale non è il potere, così come non è il denaro: noi lavoriamo con le idee, con le riflessioni, con quella cultura che ritengo essere la base della vita civile”. Dopo “Partecipare attiva(la)mente” nel 2009, dedicata programmaticamente all’intreccio tra impegno civile e arricchimento culturale, nel 2011 “Tutti. Molti. Pochi” ha portato la riflessione sul rapporto tra democrazia e oligarchie, tra partecipazione ed esclusione, mentre la terza edizione, dedicata a “Utopico. Possibile?” ha decretato definitivamente l’enorme successo della manifestazione, che nel 2013 ha portato l’interesse verso dimensioni della vita sociale e politica poste al di là dell’ordinaria amministrazione e del già noto. Successo tale da far dire a Zagrebelsky che il problema più complesso che si trova ora ad affrontare la quarta edizione della Biennale Democrazia è il pubblico: “Ne abbiamo troppo, e quest’anno abbiamo deciso di offrire la possibilità di prenotare con una spesa minima i posti a sedere, sperando così di evitare a chi seguirà gli incontri le code infinite che hanno funestato la scorsa edizione, segno di un successo di cui ovviamente siamo lieti e fieri, ma che ci ha oggettivamente messo un poco in difficoltà”. I “Passaggi” e l’inquietudine per un futuro ancora sconosciuto e preoccupante sono declinati nel programma intorno ad alcuni temi da sempre molto presenti, dal lavoro alla cittadinanza del futuro, dai confini fra popoli, idee e merci che vanno ripensati, ai retaggi del Novecento. “Mi pare importante ragionare sull’avvenire per provare a pensare a una prospettiva comune. È proprio questo il compito della cultura politica”. Per cercare forse una risposta alla domanda che pose proprio Norberto Bobbio, in uno dei suoi ultimi saggi: “La democrazia ha un futuro?”.

Ada Treves, Pagine Ebraiche Aprile 2015

(25 marzo 2015)