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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Nove
ragazzi tra gli undici ed i tredici anni della comunità ebraica di
Trieste in viaggio in Israele, ieri a Yerushalaim hanno
incontrato e dialogato con quattro ragazzi italkim nati in Israele o
emigrati da piccoli. Molte le domande e tutte interessanti: si è
parlato di lingua madre, cultura di appartenenza, maggioranza e
minoranza, sogni in ebraico o in italiano ed affinità con più culture.
Completamenti assenti erano alcuni appiattimenti identitari e
schematici di un pro e contro Israele, del bianco e nero degli
schieramenti e delle separazioni da stadio così forti altrove. Sembra
che ci sia speranza per una generazione da crescere ebraicamente in una
fluida consapevolezza che l'essere figli di una tradizione unica e
millenaria possa significare essere figli di mondi plurimi, in Diaspora
come in Eretz HaKodesh.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Le
comunità ebraiche della Penisola, per quanto piccole e diverse fra
loro, condividono una storia comune lunga molti secoli. Migrazioni
provenienti dall’Europa e dal bacino del Mediterraneo, spostamenti e
ricollocazioni interne, scambi matrimoniali, società commerciali che
operavano in diversi luoghi. E poi condivisione di tradizioni
culinarie, rituali liturgici, linguaggi, oggetti. Tutto questo permette
di considerare le donne e gli uomini che hanno popolato nei secoli
queste comunità come una sola grande famiglia, che fra l’altro ha
prodotto nel corso del tempo un numero incredibile di documenti
d’archivio e un numero molto alto di pubblicazioni di vario tipo. Una
parte di questa documentazione è conservata negli archivi e nelle
biblioteche pubbliche, e ci sono esempi di eccellenza in questo senso
nel campo della fruibilità.
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L'ultradestra alla guerra
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Stati
Uniti sotto shock dopo l’attacco razzista a Charleston, in Carolina del
Nord, in cui hanno perso la vita nove afroamericani che frequentavano
un corso sulla Bibbia. La minaccia alle libertà individuali e
collettive sembra adesso arrivare da molteplici fronti. Neonazisti,
skinhead, omofobi: è, scrive la Stampa, un’ultradestra “che va alla
guerra”.
In un editoriale che appare sulla prima pagina del quotidiano torinese
Gianni Riotta mette in rilievo l’assenza di comunicazione e dialogo che
caratterizza gli ambienti rurali d’America e le conseguenze che questo
fatto ha nel rapporto tra carnefici e vittime: “Isolati tra di loro, i
bianchi odiano di più che frequentando minoranze nella vita di ogni
giorno, non di meno”.
Dall’Ungheria alla Danimarca, nuovi venti populisti minacciano intanto
l’Europa (di ieri l’affermazione del ‘Partito del popolo’ danese).
Osserva il Corriere: “Il fatto che ciò avvenga nei Paesi ricchi e di
solida tradizione democratica come in quelli in difficoltà economiche
conferma che la paura della ‘invasione’, reale o percepita, è parte del
nostro vissuto e condiziona l’agenda politica delle nostre democrazie”.
Sul tema dei profughi e dell’assistenza umanitaria a chi è in
difficoltà, il tema dominante questi giorni sui media, si impone
l’appuntamento con la giornata mondiale del rifugiato in programma a
Firenze nelle prossime ore. Nell’occasione, ricorda Repubblica, si
parlerà in particolare di pratiche della “buona accoglienza”
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APRE I BATTENTI LA GRANDE INIZIATIVA CULTURALE
Padova rinnova le radici ebraiche
Storia e futuro nel nuovo museo
Un
museo nuovo e prestigioso per testimoniare e rendere evidenza alla
Padova ebraica. Ma non solo la presentazione di preziose testimonianze
storiche artistiche che raccontano il patrimonio culturale della
Comunità ebraica di Padova e della città. Anche un punto di incontro e
di raccordo per un percorso da sviluppare all’interno dell’antica,
affascinante quartiere ebraico che tanto rilievo ha assunto nei secoli
per le vicende italiane ed europee. E anche una spettacolare
disposizione multimediale che restituisca luce e movimento sulle pareti
dell’edificio dove la storia ha segnato le sue ferite.
La sala del tempio tedesco restituita a nuova gloria e risanata dopo le
fiamme che l’avevano distrutta negli anni bui della Shoah, luminosa di
luce interna e schermata da quella esterna, è così divenuta su tutte le
sue pareti teatro di una rievocazione vivida e appassionata, una
sperimentazione che non ha precedenti nelle esperienze museali ebraiche
italiane.
Ad accogliere le autorità e il numeroso pubblico intervenuto alla
cerimonia ufficiale di apertura del Museo della Padova ebraica, il
presidente della Comunità Davide Romanin Jacur e il rabbino capo della
città Adolfo Locci hanno illustrato i risultati di un impegno
straordinario e il lavoro protrattosi essenzialmente nel breve spazio
del primo semestre di quest’anno.
Un
valore di tutti e per tutti, di cui la realtà patavina si è dimostrata
consapevole entrando per la prima volta nell’area del museo con
l’emozione di riappropriarsi di un patrimonio culturale inestimabile e
a lungo negato o misconosciuto.
Lo ha ricordato l’assessore alla Cultura di Padova Flavio Rodeghiero,
che a nome dell’amministrazione municipale ha ribadito il forte impegno
della città per diffondere la consapevolezza e la valorizzazione della
propria radice ebraica.
Lo hanno confermato il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Renzo Gattegna e il Presidente della Comunità ebraica di Torino (oltre
che della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia) Dario Disegni,
che non hanno voluto mancare al fianco di Romanin Jacur e del rav Locci
in questo giorno di festa per la realtà ebraica di Padova e di tutto
l’ebraismo italiano.
Molti, poi, prima della presentazione del nuovo allestimento del museo
e della suggestiva, coinvolgente presentazione multimediale, i nomi da
ringraziare. E fra i primi quello dello storico Gadi Luzzatto Voghera,
che ha offerto un contributo determinante nell’ideazione,
dell’architetto David Palterer, del giovane regista Denis Brotto.
“Generazione
va, generazione viene”, questo il titolo del pezzo forte della serata,
la sua videoinstallazione, che racconta la storia della Comunità
ebraica di Padova attraverso le vicende di dieci sue personalità
illustri, ma vuole essere idealmente il racconto di tutte le donne e di
tutti gli uomini che ne hanno fatto parte e che l’hanno rappresentata,
nonché di quelli chiamati a ricevere il testimone e poi a loro volta a
trasmetterlo ad altri: da una generazione a quella successiva. Dieci
attori interpretano dunque altrettante personalità della Padova
ebraica, dal Quattrocento sino ai giorni nostri: Jeudah Minz, Meir
Katzenellenbogen, Isaac Abravanel, Samuel David Luzzatto (SHaDaL),
Moshè Chayyim Luzzatto (RaMHaL), Moshè David Valle, fino a Leone
Romanin Jacur, Giacomo Levi Civita, Leone Wollemborg e Vittorio
Polacco. Ogni racconto si sviluppa in un differente luogo della Padova
ebraica: dalla sinagoga italiana ai sotterranei dell’ex sinagoga di
rito tedesco, dalle corti del ghetto ai cimiteri ebraici, all’ex
Convitto rabbinico all’Università di Padova, per eccellenza luogo di
integrazione tra differenti culture.
Per il regista è stato necessario trovare un modo originale, non
consueto, per poter raccontare la vita della comunità ebraica locale,
così come cercare e adottare un insieme di soluzioni (narrative,
visive, sonore) nuove, capaci soprattutto di evidenziare la compresenza
di personalità e di epoche differenti, tutti e tutte ancora oggi
presenti. Il video vuole trasmettere come la storia possa essere vista
sotto molteplici punti di vista, sotto diverse angolazioni, sotto lo
sguardo di esperienze e racconti di vita plurimi, tutti ugualmente
indispensabili a formare una comunità. La soluzione scelta sono sei
fonti visive, sei immagini: cinque proiettate direttamente sulle
nicchie dell’antica sinagoga tedesca e una a lato, ad estendere il
campo visivo. Si tratta di immagini pensate proprio per rappresentare
un insieme di vite, di persone, di pensieri che continuano a convivere
tra loro, e assieme a noi, in particolare proprio nel Museo, luogo così
carico di significati.
E proprio dal Museo il video prende le mosse e in esso si conclude, con
un finale che vuole segnare un nuovo inizio per la Comunità ebraica di
Padova.
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RINNOVATE LE CARICHE CONSILIARI
Cdec, conferma per Sacerdoti
Conferma
alla presidenza della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea per il giurista e consigliere dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Giorgio Sacerdoti, che svolgerà l’incarico affiancato
da Raffaelle Mortara (confermata vicepresidente, con ampie deleghe) e
da un Consiglio di amministrazione composto da Giorgio Barba Navaretti,
Giuseppe Calabi, Anselmo Calò (consigliere UCEI anch’egli), Leone
Hassan, Rony Hamaui, Baruch Lampronti, Piergaetano Marchetti e Claudia
Shammah.
Consiglio di cui entrerà presto a far parte un undicesimo rappresentante, nominato dalla Comunità ebraica romana.
Nel corso della prima riunione si è proceduto alla nomina della Giunta
(composta da Sacerdoti, Mortara, Calabi, Hassan e Shammah), sono state
esaminate le prospettive economiche e culturali del Cdec (che festeggia
quest’anno i 60 anni di vita) ed è stato approvato un nutrito programma
di iniziative, in particolare la mostra itinerante sulla partecipazione
degli ebrei italiani alla Prima Guerra Mondiale e la pubblicazione
della ricerca della storica (e consigliere UCEI) Liliana Picciotto dal
titolo “Memoria della Salvezza”.
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QUI FIRENZE - BALAGAN CAFè
Un ponte tra musica e sapori
La
musica si mescola ai racconti, le antiche ricette della tradizione
ebraica si fondono con nuovi sapori, Firenze incontra Ferrara: apre
sotto il segno dei ‘ponti’ la terza edizione del Balagan Cafè,
appuntamento ormai tradizionale dell’estate fiorentina che, sotto la
direzione artistica di Enrico Fink, vede la Comunità ebraica aprire le
proprie porte alla città per condividerne i luoghi, le storie, le
tradizioni. “Ognuno degli incontri che animeranno i mesi estivi avrà
come carattere principale e simbolico ‘i ponti’, ponti tra culture,
ponti di dialogo, ponti come punto di incontro”, ha spiegato la
presidente della Comunità ebraica Sara Cividalli accogliendo il folto
pubblico accorso. Evento centrale lo spettacolo “La mamma, l’angelo e
la ciambella”, ideato da Fink, che racconta in musica (con la
partecipazione della Balagan Cafè Orkestar e del coro dei giovani della
Comunità) l’ebraismo fiorentino e ferrarese sulle tracce di Jenny
Bassani Liscia, sorella del Giorgio autore del Giardino dei Finzi
Contini e fiorentina d’adozione
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al MEMORIALE DELLA SHOAH DI MILANO Emergenza profughi, i testimoni: "L'indifferenza un veleno"
“Ignorare
la memoria delle violenze perpetrate dal nazismo e dal fascismo
significa facilitare la giustificazione delle violenze odierne in nome
dello ‘stato di emergenza’, della ‘guerra al terrorismo’ o della ‘crisi
economica’ e favorire il silenzio e l’indifferenza verso chi oggi
chiede asilo e riparo da ingiustizie e discriminazioni”. È l’allarme
lanciato soltanto poche settimane fa, al Senato, dal testimone della
Shoah Piero Terracina.Parole che tornano d’attualità in queste ore,
segnate da un’emergenza umanitaria profonda e terribile. Parole che
costituiscono la premessa per una nuova “lezione morale contro
l’indifferenza”, così sottotitolata “L’Europa e i perseguitati di oggi
e di ieri”.
Vuol essere infatti prima di tutto una lezione, un monito da
raccogliere e diffondere in tutta la società italiana, l’evento (il via
alle 16) in preparazione per martedì prossimo al BINARIO 21 della
stazione centrale di Milano, frutto della collaborazione tra il
Memoriale della Shoah e la commissione straordinaria per la tutela e la
promozione dei diritti umani del Senato.
Ospite d’onore Liliana Segre (nell’immagine), sopravvissuta adolescente
ad Auschwitz-Birkenau. Una testimonianza, la sua, che intreccerà
passato e presente, i valori e le conquiste per cui è doveroso
battersi. In un luogo, il Memoriale, che ha saputo ergersi a modello di
umanità, aprendo le proprie porte per alleviare la difficile situazione
dei profughi che ormai da molti mesi affollano la stazione del
capoluogo lombardo. Perché, come ha ricordato Roberto Jarach,
vicepresidente del Memoriale oltre che dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, “partecipare a una situazione di emergenza è un
gesto dal quale non vogliamo e non possiamo sottrarci, anche nel valore
simbolico di questo luogo, emblema per eccellenza della necessità di
accogliere le diversità”. Leggi
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CALCIO E DINTORNI Mandzukic, Nietzsche, la Juve.
E quella scritta al contrario
Agile,
possente, veloce, un prolifico bomber d’area di rigore. Con Mario
Mandzukic, approdato in queste ore alla corte di Allegri, la Juventus
sembra puntare a un’altra stagione da protagonista.
La speranza dei tifosi bianconeri è che il marcantonio croato sappia
circondarsi di validi collaboratori che possano aiutarlo a calarsi al
più presto nella difficile realtà del calcio italiano. Collaboratori
senz’altro migliori di quelli che lo hanno consigliato per il suo
ultimo tatuaggio.
Realizzato in caratteri ebraici, avrebbe dovuto riportare la celebre
massima di Nietzsche: “Quello che non uccide, fortifica”. Il risultato
è stato invece grottesco, visto che il tatuatore ha riportato il motto
nel verso sbagliato, infarcendolo inoltre di errori grammaticali nella scelta dei pronomi. E così, sulla schiena di Mandzukic si legge oggi: “acifitrof, ediccu im non ehc olleuQ”.
Perlomeno Buffon è avvisato. Se Mandzukic, invece di aggredire le porte
avversarie tenterà sciaguratamente di trafiggerlo, sarà solo per via di
cattivi consiglieri. Magari col cuore viola o granata.
a.s twitter @asmulevichmoked
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qui torino Se la Memoria è un trauma
Continua
a raccogliere consensi in tutta Italia la pellicola “I figli della
Shoah”, scritta da Cesare Israel Moscati e dedicata ai traumi ereditati
dai figli e dai nipoti dei Testimoni dell'orrore nazifascista. Numerose
le interviste condotte da Moscati, scaturite in particolare dalla
lettura del racconto “Le candele della memoria” (ed. Sansoni) di Dina
Wardi.
Ieri a Torino, nella sede della Comunità ebraica, una nuova proiezione
dell'opera prodotta da RaiCinema con regia di Beppe Tufarulo.
"Mia
madre è rimasta orfana a 9 anni. Di tutta la sua famiglia sono stati
uccisi in trenta ed è tornato soltanto un cuginetto: Isacco Sermonetta.
Mio padre ha avuto due fratelli ad Auschwitz e due alle Fosse
Ardeatine. Quando ero bambino ho ricreato fantasticamente il loro
dolore e davanti alle foto delle vit‐time di quell'abominio, davanti
alle immagini degli zii Marco, Emanuele e Davide, tante volte mi sono
trovato a raccontare gli alti e bassi della mia vita. A loro, gli zii
mai conosciuti, ho parlato della scuola, delle partite a pallone, dei
primi sentimenti amorosi. Ho creato una dimensione tutta mia. È stato e
continua ad essere difficile. Oggi come allora. Ma questo film - ha
raccontato Moscati a Pagine Ebraiche - mi ha senz'altro aiutato ad
elaborare".
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valdesi - parla il moderatore bernardini
"Le minoranze e il pluralismo,
con Bergoglio sarò franco"
“Per
la prima volta un papa esce dalla sua casa per entrare in una delle
nostre. Un fatto epocale, frutto del cammino ecumenico percorso negli
ultimi decenni e che sono certo saprà dare una spinta ulteriore nel
presente e nel futuro”. Eugenio Bernardini, moderatore della
Tavola valdese, si prepara all'incontro che avrà con papa Bergoglio a
Torino.
Un appuntamento, quella di lunedì mattina, cui la comunità valdese
guarda con forti aspettative, ma anche con la sobrietà che da sempre la
contraddistingue perché, spiega il moderatore, “questo è il nostro
stile”.
Pluralismo e diversità di vedute: un patrimonio imprescindibile per la
società italiana, sottolinea Bernardini ricordando la storica vicinanza
tra ebrei e valdesi.
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Gli ebrei degli ebrei |
Vivendo
fuori dai social network e leggendo quotidianamente questa newsletter
posso facilmente cullarmi nell’immagine ingenua e fiabesca di un
ebraismo italiano civile e capace di dialogo al proprio interno.
Ogni tanto, è vero, mi giungono voci di qualche insulto o falsità, ma
non ci ho mai fatto troppo caso, come cose che non hanno nessuna
influenza sulla vita reale. Un assaggio dello stile che probabilmente
domina i social network si può gustare anche dai commenti rapidi on
line che spesso accompagnano notizie e articoli, e di questi vorrei
parlare per analizzare un fenomeno curioso e dal mio punto di vista
inspiegabile: potrei definirlo antitorinesità.
Recentemente una newsletter ha ripreso un articolo da un giornale
ebraico torinese (non comunitario, si badi bene). Ed ecco piovere
insulti di ogni genere non solo sull’articolo stesso (il cui contenuto,
peraltro, non sembra essere stato letto troppo attentamente), ma anche
sul giornale che lo ha pubblicato – che pure aveva preso le distanze
con una nota redazionale – e sull’intera Comunità di Torino, città su
cui pesa per l’eternità l’infamia di aver visto nascere più di
ottant’anni fa un giornale ebraico fascista.
Inutile ricordare che la stessa città si è distinta per antifascismo e
partecipazione alla Resistenza, come è purtroppo spesso inutile cercare
di lottare contro stereotipi e demonizzazioni. D’altra parte non è la
prima volta che mi arriva alle orecchie qualche sciocchezza (falsità,
malignità, pregiudizi, o anche le tre cose insieme) sugli ebrei
torinesi, e nessuno sembra trovarci niente da ridire. Ai tempi in cui
la Comunità era spaccata si poteva almeno sperare che i detrattori
avrebbero salvato una metà ‘buona’, ma oggi pare proprio che una
maledizione biblica pesi su tutti noi, qualunque siano le nostre idee e
il nostro livello di osservanza. Spesso ancora oggi se bisogna
prendersela con qualcuno si usano gli ebrei, ma gli ebrei chi possono
usare? Per fortuna ci sono sempre gli ebrei torinesi.
Anna Segre, insegnante
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La collina
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Chi
ha letto la “Collina” di Assaf Gavron (ed. Giuntina) e si aspettava la
tipica rappresentazione dei “coloni” (il termine con il quale vengono
denominati spesso dai giormali) come violenti e imbevuti di fanatismo
religioso ne rimarrà senza dubbio deluso, ugualmente non rimarrà fin
troppo soddisfatto chi si aspettava una visione dei “coloni” salvifica
o troppo positiva.
Nel romanzo, come probabilmente negli stessi territori, si incontrano
persone in fuga dalla metropoli o da un’esistenza tormentata, in cerca
di una vita più a contatto con il creato ed una terra di Israele
concepita ancora biblicamente, in cerca della realizzazione dei propri
sogni, o semplicemente in cerca di una soluzione abitativa più
economica.
Francesco Moises Bassano, studente
Leggi
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Bene e male |
"Unire
i due istinti significa munire la potenza senza meta della passione
dell'unico orientamento che la rende capace di un grande amore e di un
grande servizio. Così, e non diversamente, l'uomo può diventare
completo" (Martin Buber "Immagini del bene e del male").
Ilana Bahbout
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