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2 luglio 2015 - 15 Tamuz 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Nei reiterati tentativi di ottenere la maledizione su Israele, Balàq porta Bil‘àm in un posto dal quale possa vedere solo una parte del popolo, ma non tutto. Il motivo scritturale è che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ ha promesso al popolo d’Israele di non sterminarlo mai completamente, ma a mio avviso c’è anche un motivo più profondo: a vedere nel particolare, si coglie sempre qualcosa di sbagliato, o guasto, o non meritevole; mentre nella complessità, le eccezioni possono passare inosservate.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
Di Gerusalemme
Secondo una notizia riportata da alcune testate, fra cui Yediot Aharonot e il Times di Londra, il popolo ebraico avrebbe recuperato le dimensioni demografiche che esistevano prima della Shoah. Bibi Netanyahu si è affrettato a citare la notizia definendola incoraggiante. Purtroppo si tratta di una classica papera giornalistica in cui – come nel gioco del telefono senza fili – uno studio già esistente viene citato in modo impreciso da un rapporto di ricerca, che a sua volta viene commentato con parole approssimative da un giornalista, a cui infine un titolista appone un titolo che poco ha a che fare col testo. Tutto questo è avvenuto questa settimana in occasione della pubblicazione del rapporto annuale, peraltro interessante, del JPPI – il Jewish People Policy Institute a Gerusalemme. In realtà l’odierna popolazione ebraica mondiale è valutata a 14,3 milioni, di cui 6,2 in Israele, mentre alla vigilia della seconda guerra mondiale gli ebrei nel mondo erano 16,5 milioni. I ritmi di crescita sono completamente diversi in Israele dove continua un notevole incremento naturale accompagnato da una certa ripresa dell’immigrazione, con un aumento totale dell’1.85% nel 2014, e nella Diaspora, dove invece continua a prevalere una lenta erosione (-0,22% nel 2014). Il peso di Israele sul totale mondiale della popolazione ebraica dunque continua ad aumentare e costituisce oggi il 43,5%. Tutto questo appare nella prossima edizione dell’American Jewish Year Book. Quanto al ritorno alle dimensioni antecedenti la Shoah, le proiezioni demografiche indicano che ciò non è impossibile, ma ci vorranno ancora almeno trent’anni, sempre supponendo che le tendenze attualmente in corso non cambino radicalmente.
 
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In Egitto, alta tensione
La tensione resta alta in Egitto a ventiquattro ore dall’assalto nel Sinai di cinque basi militari da parte di jihadisti locali. Drammatico il bilancio delle vittime: 70 morti tra soldati, poliziotti e civili egiziani e 38 tra i miliziani islamisti, che hanno rivendicato l’attacco nel nome dello Stato Islamico. Un’aggressione che destabilizza ulteriormente l’area e che preoccupa Israele, come riporta il Corriere della Sera: “Ieri i droni israeliani monitoravano dal cielo la barriera tra Gaza e l’Egitto. Se i jet del Cairo hanno potuto volare sul Sinai, così vicino alla frontiera tra i due paesi, è solo perché Israele ha concesso il via libera: una cooperazione per fermare l’offensiva dello Stato Islamico”. Ieri inoltre, riporta il Corriere, le forze speciali egiziane hanno eliminato nove militanti dei Fratelli musulmani in un raid nei sobborghi del Cairo. Un azione risultato della politica di repressione del generale Al Sisi nei confronti del movimento islamico salito al potere con la presidenza Morsi nel dopo Mubarak ma destituito proprio dai soldati di Al Sisi un anno dopo. Lo scontro tra le due fazioni in Egitto continua, acuendo le spaccature all’interno della società.

Isis dichiara guerra ad Hamas. “Rovesceremo i tiranni di Gaza”; questa la minaccia lanciata dai miliziani dell’Isis e rivolta al gruppo di Hamas, che detiene il controllo della Striscia, attraverso un video nel quale compaiono degli jihadisti armati. I miliziani poi continuano: “sradicheremo lo Stato degli ebrei e anche Al Fatah”. L’accusa che l’Isis muove ad Hamas, spiega La Stampa, è duplice: “vi siete alleati con gli Hezbollah sciiti e i gruppi laici” considerati infedeli e “non fate rispettare la legge islamica”.
 
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  davar
israele
Energia, in attesa delle regole
Quando cinque anni fa fu rilanciata la notizia della scoperta a largo delle coste israeliane dei giacimenti di gas Tamar (2009) e Leviathan (2010), si parlò di una vera e propria rivoluzione energetica per Israele: per la prima volta il Paese poteva contare su una risorsa naturale propria, senza doversi affidare alle importazioni. Non solo, la sua posizione si era totalmente ribaltata, catapultando il paese tra le nazioni esportatrici di gas. Ma per dare corso alla rivoluzione era – ed è – necessario mettere a punto un serio e trasparente piano di regolamentazione del nuovo settore energetico a disposizione di Israele. Un piano che in questi giorni il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha cercato di portare a casa, senza però ottenere i risultati sperati. Anzi scatenando una polemica che ha messo a nudo le instabilità all'interno della sua stessa maggioranza.
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la scomparsa dello "schindler inglese"
Nicholas Winton (1909-2015)
“Quale è stato il momento più emozionante della mia vita? Quando mi sono ritrovato faccia a faccia con i bambini che avevo salvato, dei bambini oramai divenuti adulti”.

Per cinquanta anni Sir Nicholas Winton aveva mantenuto un segreto. Per cinquanta anni non aveva rivelato a nessuno il gesto eroico con il quale, nel 1939, aveva portato in Inghilterra 669 bambini ebrei della Cecoslovacchia, salvandoli dalla deportazione e dalla morte certa.
Un silenzio mantenuto fino a quando, nel 1988, sua moglie Grete si ritrovò tra le mani un vecchio quaderno sul quale erano scarabocchiati dei nomi dei bambini accompagnati da foto e documenti (testimonianza ora conservata allo Yad Vashem di Gerusalemme) e gli chiese spiegazioni.
È a quel punto che, Winton invitato dal programma della BBC “That’s life” si ritrova inconsapevolmente seduto accanto ad una delle ex bambine che li devono la vita. Dopo averla abbracciata timidamente, la presentatrice invita il pubblico ad alzarsi in piedi e mostra allo “Schindler inglese” altre decine di ex ragazzi oramai anziani, e Winton non riesce a trattenere le lacrime.
Nato nel 1909 ad Hampstead da una famiglia tedesca di origine ebraica, Nicholas Winton si è spento ieri a 106 anni nel Berkshire.
A ricordare il suo valore sono stati, tra gli altri, il premier inglese David Cameron che attraverso Twitter ha dichiarato: “Il mondo ha perso un grande uomo, non dobbiamo mai dimenticarlo”, ma anche l’esponente del partito laburista David Miliband, di origine ebraico-polacca, che ha scritto: “Winton è stato un eroe umile e onorevole”. Il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu ha poi espresso l’eterna gratitudine che il popolo ebraico e lo Stato di Israele devono a Winton: “In un mondo macchiato dalla malvagità e l’indifferenza, si è dedicato a salvare innocenti e indifesi”. Messaggi di cordoglio sono poi stati espressi dal rabbino capo del Commonwealth Ephraim Mirvis: “Sir Nicholas è stato una delle persone più grandiose che abbia mai incontrato. La sua perdita segnerà profondamente il mondo ebraico” e dall’ex rabbino capo Jonathan Sacks: “è stato un eroe dei nostri tempi ed è ancora più impressionante il fatto che non abbia mai cercato onori o riconoscimenti. I nostri saggi dicono che chi salva una vita salvi il mondo intero. Sir Nicholas ha salvato centinaia di mondi”.
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parigi - nasce l'european center for judaism
Il presidente Hollande: "Costruire è la risposta all'antisemitismo"
La nascita a Parigi dell'European Center for Judaism è “la miglior risposta chi pensa che il futuro degli ebrei in Francia sia da un’altra parte”. Così il presidente francese François Hollande ha commentato la realizzazione del nuovo polo culturale ebraico che aprirà le porte nel 2017, finanziato in parte dal Governo francese. Il futuro dell’ebraismo francese ed europeo è stato il tema al centro dell’incontro svoltosi lunedì all’Eliseo con il presidente dello European Jewish Congress Moshe Kantor, nominato Officier de la Légion d'Honneur, la più alta onorificenza dello Stato. “Gli ebrei meritano di vivere qui, di rimanere qui, e di essere al sicuro”, ha affermato Hollande.
Una nuova risposta al dibattito scatenato, tra gli altri,dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con il suo invito rivolto agli ebrei francesi all’indomani degli attentati alla redazione di Charlie Hebdo e all’Hypercacher di Porte de Vincennes. A toccare il tema cruciale del numero crescente di aliyot dalla Francia anche Joël Mergui, presidente del Consistoire Central de France, l’Unione delle Comunità ebraiche del paese. “C'è chi si chiede se sia il giusto momento per costruire, proprio mentre molti ebrei se ne stanno andando”, ha affermato al gala di raccolta fondi svoltosi domenica al Municipio di Parigi, alla presenza di molti rappresentanti delle istituzioni nazionali. “Nessuno ha il diritto né di criticare chi parte né di decidere del futuro della maggioranza che resta – la risposta di Mergui – e questo nuovo centro dimostra che solo noi e nessun altro disponiamo di quel futuro”.
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libri - il successo di katja petrowskaja
Strega Europeo a "Forse Esther"

Continua il successo di “Forse Esther”, il romanzo della giornalista Katja Petrowskaja, nata a Kiev nel 1970 ma da quindici anni residente a Berlino.

Dopo la carriera universitaria che l’ha portata da Tartu, in Estonia, a Mosca, alla Columbia University di New York e a Stanford ha deciso trentenne di imparare il tedesco, un modo apparentemente illogico per ritrovare il suo passato e, in un certo senso, sfidare il nemico. Una sfida che “per me è giunta come una liberazione”, ha spiegato. Ed è proprio in tedesco che ha scritto “Vielleicht Esther”, che ha vinto nel 2013 l’Ingeborg-Bachmann-Preis, fra i premi più prestigiosi dedicati agli autori in lingua tedesca.
L’autrice è stata protagonista al Salone del libro di Torino, lo scorso maggio, e nei giorni della manifestazione è stata ospite della libreria Bardotto insieme alla redazione di Pagine Ebraiche per la presentazione del suo libro – pubblicato in Italia nel 2014 da Adelphi, con la traduzione di Ada Vigliani. Il suo fascinoso mosaico di racconto autobiografico, vicende storiche, documentazione d’archivio e ricordi personali, intitolato a quella bisnonna che si chiamava, appunto, forse Esther, ha ora vinto il Premio Strega Europeo.
Nato in occasione del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, il premio intende rendere omaggio alla cultura del vecchio continente e per il secondo anno ha scelto fra cinque voci rappresentative di aree linguistiche diverse che, recentemente tradotti e pubblicati in Italia, abbiano vinto un riconoscimento nazionale importante.
E la Petrowskaja ha convinto la giuria, composta da vincitori e finalisti dello Strega, dal direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea Lucio Battistotti, dalla direttrice di Casa delle Letterature di Roma e del Festival Internazionale Letterature Maria Ida Gaeta e dal direttore della Fondazione Bellonci Stefano Petrocchi. Di poche settimane fa invece la vittoria della XV edizione del Premio Adelina Della Pergola, assegnato dall’Adei-Wizo (l’Associazione Donne Ebree d’Italia).

j-ciak
Il gusto aspro dei documentari
Non è un caso che, con parecchie settimane d’anticipo sull’apertura, a dare fuoco alle polveri del Jerusalem Film Festival sia stato un documentario, quel “Beyond the Fear”, dedicato a Yigal Amir, l’uomo che assassinò Rabin. Delle minacce del ministro Miri Regev, che ha ventilato la sospensione dei finanziamenti pubblici al festival abbiamo già parlato. Come della soluzione definita ‘di compromesso’ per cui il film sarà proiettato in una sala privata.

Colpisce però che un genere fino a vent’anni fa confinato nei circuiti degli addetti ai lavori sia divenuto oggi così potente da scatenare perfino scontri di questo tipo. A confermarne l’incisività provvederanno, al festival, i lavori di due maestri del genere: il regista ebreo-americano Frederick Wiseman, di cui si proietterà “National Gallery”, e Albert Maysles, di recente scomparso, che ha dedicato il suo recente lavoro “Iris” alla profetessa della moda americana Iris Apfel. E molto ci si aspetta dai filmaker israeliani, che hanno dato finora notevoli prove di sé.
Difficile dire quale dei lavori in lizza per i Van Leer Awards riuscirà ad catturare il pubblico (ma i documentari in proiezione sono molti di più, non ultimi quelli dedicati all’esperienza ebraica nel mondo). I film in concorso entrano di prepotenza nell’attualità, con incursioni nel sociale e nell’arte. Silvina Landsmann in “Hotline” ci conduce nel cuore di una piccola ong che a Tel Aviv lavora con i rifugiati e i migranti, mettendo loro a disposizione una linea telefonica per informazioni e aiuto (la hotline del titolo) e patrocini legali.

Daniela Gross
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qui Torino
Dieta casher, cultura alimentare
Ultimo appuntamento ieri sera per l’Asset, Associazione ex allievi e amici della scuola ebraica di Torino, con la presentazione di “La dieta kasher. Storia, regole e benefici dell’alimentazione ebraica”, curato da Rossella Tercatin, giornalista della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il volume è strutturato in dieci capitoli, di autori diversi che portano al volume competenze diverse, proprio perché cibo e la casherut hanno natura interdisciplinare. Alla presentazione erano presenti tre degli autori: Victoria Acik, medico chirurgo, Francesca Modiano, dietista e giornalista e il rav Alberto Moshè Somekh. Tra i relatori anche Rosanna Supino, membro dell’AME, Associazione Medica Ebraica, che ha promosso la realizzazione del volume, realizzato con il sostegno dell’UCEI e pubblicato da Giuntina.


Alice Fubini
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  pilpul
Setirot - La Brigata del Lavoro
Questioni personali (gioiose) mi spingono a un momento di riflessione; rileggo qua e là "La mia terra promessa" di Ari Shavit. Lui parla della Brigata del Lavoro, io ci leggo una straordinaria sintesi del diventare adulti, del conquistare la responsabilità individuale. Perché non essendoci più padri, non esistono più limiti né divieti; non essendoci più madri, vengono a mancare sollievo e consolazione; non esistendo Dio, non c'è più pietà. Nessuna seconda opportunità. Nessuna speranza di un miracolo.

Stefano Jesurum, giornalista

Time out - I primi della classe
La Stampa riporta dell’intenzione dell’Isis di scalzare Hamas. La sua colpa? Essere alleato di sciiti e gruppi laici. Quello che a noi può sembrare un paradosso in quell’area rappresenta ormai la normalità. La gara all’estremismo sembra prendere sempre più piede e a vincere è ovviamente chi si propone come il più fondamentalista. Il risultato sembra essere un vecchio motto dei democristiani: “Ad essere il più puro, si trova sempre qualcuno che ti epura.”

Daniel Funaro


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