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10 Agosto 2015 - 25 Av 5775
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav

Paolo Sciunnach,
insegnante
A 70 anni da Hiroshima non abbiamo imparato nulla: facciamo gli accordi con l'Iran sul nucleare.
 
Anna
Foa,
storica
Le polemiche intorno alle pietre d’inciampo nella Comunità ebraica di Monaco non mi stupiscono, ne avevo sentito qualcosa anche a proposito del mondo ebraico italiano. Ma confesso che non capisco. L’idea di far inciampare l’attenzione dei passanti, cosa che non sarebbe possibile con una pietra apposta sul muro, mi sembra straordinaria. E l’attenzione inciampa davvero, turisti e passanti si fermano e leggono. Non vogliamo ricordare l’orrore? Allora aboliamo la memoria. Pensiamo che l’artista ci guadagni? E allora, gli architetti dei memoriali e dei musei dell’ebraismo e della Shoah lavorano forse gratis? O forse ciò che infastidisce davvero è che accanto agli ebrei che sono usciti da quei portoni per la deportazione ci siano anche non ebrei, partigiani, oppositori?
 
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Iran, Obama a Bibi:
"Non ti intromettere"
“Il leader di Israele non si intrometta in vista del voto del Congresso. Non c’è alternativa all’intesa”. Sono parole di Barack Obama, intervistato dalla Cnn. Il colloquio con la prestigiosa emittente televisiva, nei suoi passaggi dedicati all’accordo sul nucleare iranino, è raccontato oggi da Repubblica. Sostiene Obama: “Nessuno mi ha presentato un’alternativa plausibile, al di là degli attacchi militari, per evitare che l’Iran acquisisca armi atomiche”.

Nove arresti in Israele, negli ambienti estremisti, per i fatti di sangue di Kfar Douma. Riporta la Stampa: “Lo Shin Bet, il controspionaggio, ha guidato i blitz avvenuti in altrettanti avamposti illegali in Cisgiordania: due persone sono finite in manette ad Adei Ad, non lontano dal villaggio di Douma, ed altre sette a Baladin, nei pressi dell’insediamento di Kochav Haschachar”.
Nell’articolo si riferisce inoltre dell’accoltellamento di un civile israeliano avvenuto ieri in una stazione di benzina in Cisgiordania. Una pattuglia militare è intervenuta, uccidendo l’aggressore. La vittima non è in pericolo di vita.
Di estremismi e di ferma reazione del governo israeliano parla anche il Fatto Quotidiano. Pessima però la titolazione, in cui gli estremisti vengono definiti “Barabba sionisti”. Come se il sionismo fosse un crimine e non l’elemento fondante di uno stato democratico quale è Israele.

Rifaat Turk, primo calciatore arabo a diventare una stella del campionato israeliano, entra a gamba tesa contro i razzisti. E svela al Corriere il suo auspicio: “Voglio un arabo nel Beitar”. Dove con Beitar si intende la squadra di Gerusalemme la cui tifoseria si è resa protagonista in passato di molteplici episodi di intolleranza e di violenza. E spesso non soltanto verbale.
 
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  davar
ISRAELE
La solitudine del Presidente
In concomitanza con il primo anniversario del suo insediamento alla presidenza dello Stato di Israele, Reuven Rivlin si è trovato a doversi confrontare con uno dei momenti più duri della sua carriera politica. La sua ferma condanna degli attentati al gay pride di Gerusalemme e contro la famiglia palestinese a Kfar Douma  nell'immagine il presidente Rivlin in visita a Hussein Dawabsha, che ha ripreso conoscenza in queste ore ed è tra le vittime dell'attentato di Douma, in cui sono morti il padre e il fratellino di 18 mesi  hanno ricevuto un ampio appoggio e sostegno da parte degli israeliani.
“Più che vergogna provo dolore - aveva scritto Rivlin in un messaggio postato in arabo sui social network e diretto alle vittime di Douma - perché membri del mio popolo hanno scelto la via del terrorismo e hanno perso il volto umano. La loro strada non è la mia, la loro strada non è la nostra”. Non tutti hanno apprezzato le parole di Rivlin e sotto il suo post sono cominciate ad apparire oltre alle critiche vere e proprie minacce di morte, fotomontaggi con il presidente ritratto come un nazista o come un arabo, insulti di vario grado. In un primo momento Rivlin ha minimizzato la situazione – dopo le minacce un gruppo di persone ha organizzato una manifestazione di solidarietà nei pressi della sua residenza – per poi tornare a parlarne in una recente intervista al canale televisivo nazionale Arutz 2.
“Se qualcuno avesse additato una persona che conosco, non dico il presidente d'Israele ma un semplice cittadino, come uno che odia Israele, che ne vuole la distruzione, mi sarei alzato e l'avrei difeso”.

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nuove rivelazioni sulLO SPORTIVO FIORENTINO
Nutini, campione di altruismo
È il primo assaggio artistico riservato al viaggiatore che, da Roma, arriva in treno a Firenze e che dal finestrino finisce inevitabilmente per rivolgervi lo sguardo. Centinaia di sculture distese nell’incantevole scenario della vecchia Rovezzano, in un vasto prato verde, la vista che si apre sulle colline di Settignano e Fiesole. Quello che porta il nome di Enzo Pazzagli, il suo artefice, è un parco dalle mille suggestioni. Un luogo misterioso ed enigmatico, che celerebbe un ulteriore segreto. Un segreto rivelato ora a Pagine Ebraiche.
La chiave di accesso in un’opera composta trenta anni fa. Si chiama “Esplosione umana” e Pazzagli, che la espone nel parco, la volle dedicare all’amico Mario. Che nella vita faceva tutt’altro: correva in sella a una moto, si cimentava in mille imprese ardite, rubava i sospiri delle fanciulle abbinando numeri su strada ed eleganza nel vestire. Un carattere forgiato dal coraggio e dall’ardire della gioventù: neanche adolescente, si sarebbe infatti impegnato personalmente per mettere in salvo due signore ebree, ritrovate sulle rive dell’Arno a Bellariva, prima periferia di Firenze. Si chiamavano Alice e Ione d’Ancona: avevano superato entrambe la sessantina, erano sole al mondo, portavano la traccia del terrore sul volto. Vagavano senza meta, stordite da un recente bombardamento alleato. Siamo nell’autunno del ’43. Mario, che trascorre molto tempo in quella zona, districandosi tra i giunchi del fiume, non ha esitazioni e si fionda dai genitori con una richiesta perentoria: nascondiamole fino a che non verranno tempi migliori. Carlo e Maria Nutini accettano di buon grado.
Mario altri non era che Mario Nutini (1931-2013) e, per lungo tempo, il suo nome ha fatto sognare Firenze. Seguito in ogni dove da un gruppo appassionati, si destreggiava su una Beta 175, tra i ronzini più veloci dell’epoca, e scriveva pagine memorabili del motociclismo Anni Cinquanta. Autentiche maratone su strada, come il Motogiro e la Milano-Taranto. Affermazioni in Toscana e fuori dai confini regionali, come a Bolzano o alla Sassi-Superga. Sempre da protagonista, sempre col cuore oltre l’ostacolo. Inevitabile quindi che fosse l’idolo degli abitanti di Bellariva, che ogni fine settimana si davano appuntamento sulle sue strade per sostenerlo. “Forza Nutini! Dagli gasse!”, lo striscione affisso permanentemente nel quartiere.
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Informazione - international edition
Una estate di cultura
La sfida e i successi nella valorizzazione della cultura ebraica in Italia aprono l’edizione odierna di Pagine Ebraiche rivolta al pubblico internazionale. Tra gli ultimi stanziamenti stabiliti dal Ministero dei Beni culturali anche nuovi fondi per il Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah con sede a Ferrara. Al Meis i lavori sono intanto in corso: l’inaugurazione del giardino è prevista per il 2016 e quella della prima delle strutture in vetro per il 2017. Si avvicina l’appuntamento con la sedicesima edizione della Giornata europea della Cultura ebraica che verrà celebrata in oltre venti paesi del Vecchio continente e in decine di località in tutta la penisola. “Ponti” il filo conduttore scelto per il 2015, che vedrà la città di Firenze come capofila, con un programma particolarmente ricco che abbraccerà diversi giorni oltre a domenica 6 settembre, data ufficiale della manifestazione. “Gettare ponti, favorire momenti di incontro e confronto, in un periodo storico difficile e complesso come questo, è estremamente importante” ha sottolineato il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, presentando la Giornata. “La cultura è lo strumento principale, forse l’unico che abbiamo, per difendere valori, per raccontare ciò in cui crediamo e per ragionare insieme sulle problematiche di questi tempi complessi”.
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pilpul
 Gli amici sbagliati
Il testo di Michele Steindler apparso su questo notiziario rappresenta abbastanza fedelmente un piccolo torrente di lettere critiche – alcune anche con vene personali – del mio intervento qui di giovedì scorso. Un altro piccolo torrente di persone ha espresso invece parere positivo e sostegno al mio intervento.
Segno evidente che siamo divisi, cosa per lo meno utile ai fini della promozione del dibattito, purché civile. Per rispondere subito all’obiezione di Steindler sul mio uso del plurale maiestatis, posso dire con certezza che non solamente gli amici che mi hanno sostenuto ora, ma milioni di ebrei in Israele e nella Diaspora condividono il punto di vista che ho espresso. Quello che Steindler non ha capito è quale fosse il punto centrale della mia opinione. Mi assumo la piena responsabilità di tale incomprensione e cerco allora di chiarire meglio il mio pensiero.
Io sostengo, appoggiandomi a numerose ricerche recenti, che il popolo ebraico – al di là della sua grande diversità interna e nonostante gli intensi processi di secolarizzazione delle ultime generazioni – è ancora in larga parte un popolo normativo.
I dettati delle norme tradizionali ebraiche costituiscono una base di riferimento quotidiana vincolante per una cospicua minoranza della popolazione ebraica e, cosa non meno importante, rappresentano un punto di riferimento non strettamente vincolante ma comunque forte e significativo per l’identità ebraica di una massa molto maggiore di persone.
Per chiarire il punto, in Israele oltre il 40% della popolazione ebraica si definisce secolare/non religiosa. Di questi, una buona metà digiunano il giorno di Kippur e dunque compiono un importante atto simbolico volontario che dimostra come le radici religiose della società ebraica siano ben più diffuse e profonde rispetto a schematiche classificazioni fra ‘religiosi’ e ‘non religiosi’.
Da questa ben dimostrata realtà culturale sociologica deriva il corollario che l’autorità rabbinica svolge e continua a svolgere un compito fondamentale nell’interpretare, nell’ispirare, nel dirigere le comunità ebraiche sia in Israele sia attraverso il mondo. Una società fortemente normativa come quella ebraica non può sussistere senza la guida, l’aiuto, ma anche la sanzione e il timore dell’autorità rabbinica. Questa funzione essenziale dei Maestri al centro della vita ebraica collettiva non li esenta però da critiche che possono essere mosse da chiunque abbia a cuore la sopravvivenza, la continuità, la qualità, l’integrità, la rilevanza dell’insegnamento dell’ebraismo verso il proprio interno e verso il mondo esterno. Ecco dunque che una costruttiva critica al rabbinato – per lo meno da parte di chi condivida quanto esposto fin qui – non intende contestare la funzione rabbinica in quanto tale ma al contrario intende rafforzarne il prestigio e l’efficacia nell’interesse comune di tutti gli aderenti all’ebraismo. Dove si ritenga di rilevare un’insufficienza da parte della corporazione rabbinica, che chiaramente è molto differenziata al suo interno, emerge la richiesta – anzi la pretesa – di avere qualche cosa di meglio e di più. Il timore è che un rabbinato che non sente bene il polso e non legge bene nella mente della propria comunità possa perdere rilevanza, con conseguenze preoccupanti per il collettivo.
Nei casi concreti dei delitti degli ultimi giorni, a molti è apparso che le voci di condanna emerse chiaramente da parte di larghi settori del rabbinato non fossero sufficientemente assertive.
Proclamare, come è stato fatto dalle personalità più autorevoli, che l’ebraismo ha orrore del sangue e santifica la vita è certamente vero. Ma non è abbastanza. Si sarebbe allora dovuto aggiungere che gli assassini non erano, non potevano essere, ebrei. Oppure si sarebbe dovuto chiarire qual è la sanzione secondo l’ebraismo normativo nei confronti di un ebreo che uccide una persona innocente, sia questo un ebreo o un non ebreo. Fin qui le voci della saggezza ebraica, che sono apparse giuste, ma troppo deboli.
Ma esistono pur sempre anche altre voci rabbiniche che non solamente non condannano fatti come quelli degli ultimi giorni, ma semmai li raccomandano. La crescita di fenomeni di estremismo che hanno una radice e un supporto in scuole rabbiniche, sia pure piccole e marginali, suscita preoccupazione.
Chiariamo qui l’estensione demografica del fenomeno.
Secondo un sondaggio abbastanza recente, circa l’un per cento della popolazione ebraica della Cisgiordania/Giudea e Samaria ha dichiarato che in caso di divergenza con le autorità dello Stato d’Israele, sarebbe disposto a opporsi con tutti i mezzi, incluse le armi. Su una popolazione totale di 350-400.000 persone (esclusi beniteso i quartieri urbani periferici di Gerusalemme edificati dopo il 1967) l'un per cento rappresenta circa 3-4mila persone. Quantità trascurabile, se vogliamo, oppure l’equivalente di un corpo militare a capo del quale potrebbe stare un generale di brigata, dunque quantità non tanto trascurabile.
Ricordiamo dunque Yigal Amir, l’assassino di Yitzhak Rabin, in un periodo nel quale esperti di halakhah si esercitavano nei riti di pulsa-de-nura al limite della magia; oppure Baruch Goldstein, che ha ammazzato 29 arabi nella Me’aràt Hamakhpelàh, l’edificio delle tombe dei Padri e delle Madri a Hebron, in seguito al quale si è creato un memoriale al nome di Baruch Hagever (gioco di parole sul tema Benedetto sia l’Uomo); oppure coloro i quali hanno scagliato un macigno sulla testa di uno dei comandanti dell’esercito israeliano in Giudea e Samaria; oppure gli incendiari del corpo del ragazzo arabo di Gerusalemme dopo il criminale rapimento e l’assassinio dei tre studenti ebrei nella zone del Gush Etzion; oppure gli incendiari della scuola bilingue a Gerusalemme; oppure gli incendiari della Chiesa della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci sul Lago di Tiberiade; fino all’accoltellamento della giovane donna ebrea alla marcia gay a Gerusalemme. In tutti questi casi vi sono autori noti e rei confessi. Ricordiamo poi le minacce di questi giorni alla vita del Presidente di Israele Rivlin, e ricordiamo anche (sebbene questo ci porterebbe ad ampliare molto il discorso, cosa che non può essere fatta qui) la dichiarazione del deputato alla Knesset Yoguev del partito Hayihud Haleumi che ha proposto di lanciare un bulldozer contro l’edificio della Corte Suprema di Israele.
Nel caso dell’atto incendiario che ha causato la morte di un bambino in un villaggio arabo in prossimità del villaggio ebraico di Izhar, non esiste ancora in questo momento un reo confesso. Una signora israeliana, una cara amica, mi scrive che forse si tratta dell’atto di un provocatore di sinistra o di un palestinese. Io non sono un criminologo ma leggo che le forze di sicurezza israeliane hanno compiuto diversi arresti negli ambienti degli estremisti ebrei.
Michele Steindler afferma di non sapere se Yigal Amir e gli altri assassini abbiano studiato e dove. Si documenti, allora, perché la risposta è facile da reperire. Michele aggunge giustamente che le maggiori yeshivot (ne cita tre: Merkaz Harav, Ponovich, Porat Yosef) non sono coinvolte in questa sequela. In nessun modo ho inteso dire o si può inferire da quanto ho scritto che vi sia un tale coinvolgimento. Contrariamente all’asserzione di Steindler nessuno ha mai voluto colpevolizzare un’intera parte di società israeliana che nulla ha a che spartire con questi barbari assassini. Ma è anche tragicamente vero che nel gioco delle prossimità, delle alleanze, della solidarietà, avviene talvolta che si finisca per condonare ai propri vicini quello che non si ammetterebbe da parte degli altri.
Questa è forse la sfida maggiore per un vero leader spirituale: saper essere severo con i propri seguaci devianti.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
Oltremare - Kibbutz in città
Il massimo dell’ossimoro: un kibbutz in città. Nel profondo dell’estate telavivese, quando l’unica cosa che si desidera (oltre ad essere in vacanza, possibilmente in alta montagna) è di stare in luoghi muniti di aria condizionata, può capitare di incontrare esseri umani che vivono in comuni nel bel mezzo della città. Si tratta di giovani, ovviamente, nell’accezione antica della parola giovane, e cioè giovane davvero, non quarantenne che crede ancora di avere venticinque anni. In alcuni casi possono essere giovani che per ragioni di studio o lavoro si sono inurbati, ma non hanno voluto abbandonare completamente la dinamica comunitaria della vita in kibbutz. Altri, si aggregano per affinità di stile di vita o perché essere diversi è ancora e sempre cool, soprattutto sotto i trent’anni.
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