
Paolo Sciunnach,
insegnante
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A 70 anni da Hiroshima non abbiamo imparato nulla: facciamo gli accordi con l'Iran sul nucleare.
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Anna
Foa,
storica
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Le
polemiche intorno alle pietre d’inciampo nella Comunità ebraica di
Monaco non mi stupiscono, ne avevo sentito qualcosa anche a proposito
del mondo ebraico italiano. Ma confesso che non capisco. L’idea di far
inciampare l’attenzione dei passanti, cosa che non sarebbe possibile
con una pietra apposta sul muro, mi sembra straordinaria. E
l’attenzione inciampa davvero, turisti e passanti si fermano e leggono.
Non vogliamo ricordare l’orrore? Allora aboliamo la memoria. Pensiamo
che l’artista ci guadagni? E allora, gli architetti dei memoriali e dei
musei dell’ebraismo e della Shoah lavorano forse gratis? O forse ciò
che infastidisce davvero è che accanto agli ebrei che sono usciti da
quei portoni per la deportazione ci siano anche non ebrei, partigiani,
oppositori?
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Iran, Obama a Bibi:
"Non ti intromettere"
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“Il
leader di Israele non si intrometta in vista del voto del Congresso.
Non c’è alternativa all’intesa”. Sono parole di Barack Obama,
intervistato dalla Cnn. Il colloquio con la prestigiosa emittente
televisiva, nei suoi passaggi dedicati all’accordo sul nucleare
iranino, è raccontato oggi da Repubblica. Sostiene Obama: “Nessuno mi
ha presentato un’alternativa plausibile, al di là degli attacchi
militari, per evitare che l’Iran acquisisca armi atomiche”.
Nove arresti in Israele, negli ambienti estremisti, per i fatti di
sangue di Kfar Douma. Riporta la Stampa: “Lo Shin Bet, il
controspionaggio, ha guidato i blitz avvenuti in altrettanti avamposti
illegali in Cisgiordania: due persone sono finite in manette ad Adei
Ad, non lontano dal villaggio di Douma, ed altre sette a Baladin, nei
pressi dell’insediamento di Kochav Haschachar”.
Nell’articolo si riferisce inoltre dell’accoltellamento di un civile
israeliano avvenuto ieri in una stazione di benzina in Cisgiordania.
Una pattuglia militare è intervenuta, uccidendo l’aggressore. La
vittima non è in pericolo di vita.
Di estremismi e di ferma reazione del governo israeliano parla anche il
Fatto Quotidiano. Pessima però la titolazione, in cui gli estremisti
vengono definiti “Barabba sionisti”. Come se il sionismo fosse un
crimine e non l’elemento fondante di uno stato democratico quale è
Israele.
Rifaat Turk, primo calciatore arabo a diventare una stella del
campionato israeliano, entra a gamba tesa contro i razzisti. E svela al
Corriere il suo auspicio: “Voglio un arabo nel Beitar”. Dove con Beitar
si intende la squadra di Gerusalemme la cui tifoseria si è resa
protagonista in passato di molteplici episodi di intolleranza e di
violenza. E spesso non soltanto verbale.
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ISRAELE
La solitudine del Presidente
In
concomitanza con il primo anniversario del suo insediamento alla
presidenza dello Stato di Israele, Reuven Rivlin si è trovato a doversi
confrontare con uno dei momenti più duri della sua carriera politica.
La sua ferma condanna degli attentati al gay pride di Gerusalemme e
contro la famiglia palestinese a Kfar Douma –
nell'immagine il presidente Rivlin in visita a Hussein Dawabsha, che ha
ripreso conoscenza in queste ore ed è tra le vittime dell'attentato di
Douma, in cui sono morti il padre e il fratellino di 18 mesi – hanno ricevuto un ampio appoggio e sostegno da parte degli israeliani.
“Più
che vergogna provo dolore - aveva scritto Rivlin in un messaggio
postato in arabo sui social network e diretto alle vittime di Douma -
perché membri del mio popolo hanno scelto la via del terrorismo e hanno
perso il volto umano. La loro strada non è la mia, la loro strada non è
la nostra”. Non tutti hanno apprezzato le parole di Rivlin e sotto il
suo post sono cominciate ad apparire oltre alle critiche vere e proprie
minacce di morte, fotomontaggi con il presidente ritratto come un
nazista o come un arabo, insulti di vario grado. In un primo momento
Rivlin ha minimizzato la situazione – dopo le minacce un gruppo di
persone ha organizzato una manifestazione di solidarietà nei pressi
della sua residenza – per poi tornare a parlarne in una recente
intervista al canale televisivo nazionale Arutz 2.
“Se
qualcuno avesse additato una persona che conosco, non dico il
presidente d'Israele ma un semplice cittadino, come uno che odia
Israele, che ne vuole la distruzione, mi sarei alzato e l'avrei
difeso”.
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nuove rivelazioni sulLO SPORTIVO FIORENTINO
Nutini, campione di altruismo
È
il primo assaggio artistico riservato al viaggiatore che, da Roma,
arriva in treno a Firenze e che dal finestrino finisce inevitabilmente
per rivolgervi lo sguardo. Centinaia di sculture distese
nell’incantevole scenario della vecchia Rovezzano, in un vasto prato
verde, la vista che si apre sulle colline di Settignano e Fiesole.
Quello che porta il nome di Enzo Pazzagli, il suo artefice, è un parco
dalle mille suggestioni. Un luogo misterioso ed enigmatico, che
celerebbe un ulteriore segreto. Un segreto rivelato ora a Pagine
Ebraiche.
La chiave di accesso in un’opera composta trenta anni fa. Si chiama
“Esplosione umana” e Pazzagli, che la espone nel parco, la volle
dedicare all’amico Mario. Che nella vita faceva tutt’altro: correva in
sella a una moto, si cimentava in mille imprese ardite, rubava i
sospiri delle fanciulle abbinando numeri su strada ed eleganza nel
vestire. Un carattere forgiato dal coraggio e dall’ardire della
gioventù: neanche adolescente, si sarebbe infatti impegnato
personalmente per mettere in salvo due signore ebree, ritrovate sulle
rive dell’Arno a Bellariva, prima periferia di Firenze. Si chiamavano
Alice e Ione d’Ancona: avevano superato entrambe la sessantina, erano
sole al mondo, portavano la traccia del terrore sul volto. Vagavano
senza meta, stordite da un recente bombardamento alleato. Siamo
nell’autunno del ’43. Mario, che trascorre molto tempo in quella zona,
districandosi tra i giunchi del fiume, non ha esitazioni e si fionda
dai genitori con una richiesta perentoria: nascondiamole fino a che non
verranno tempi migliori. Carlo e Maria Nutini accettano di buon grado.
Mario altri non era che Mario Nutini (1931-2013) e, per lungo tempo, il
suo nome ha fatto sognare Firenze. Seguito in ogni dove da un gruppo
appassionati, si destreggiava su una Beta 175, tra i ronzini più veloci
dell’epoca, e scriveva pagine memorabili del motociclismo Anni
Cinquanta. Autentiche maratone su strada, come il Motogiro e la
Milano-Taranto. Affermazioni in Toscana e fuori dai confini regionali,
come a Bolzano o alla Sassi-Superga. Sempre da protagonista, sempre col
cuore oltre l’ostacolo. Inevitabile quindi che fosse l’idolo degli
abitanti di Bellariva, che ogni fine settimana si davano appuntamento
sulle sue strade per sostenerlo. “Forza Nutini! Dagli gasse!”, lo
striscione affisso permanentemente nel quartiere.
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Informazione - international edition
Una estate di cultura
La
sfida e i successi nella valorizzazione della cultura ebraica in Italia
aprono l’edizione odierna di Pagine Ebraiche rivolta al pubblico
internazionale. Tra gli ultimi stanziamenti stabiliti dal Ministero dei
Beni culturali anche nuovi fondi per il Museo dell’Ebraismo italiano e
della Shoah con sede a Ferrara. Al Meis i lavori sono intanto in corso:
l’inaugurazione del giardino è prevista per il 2016 e quella della
prima delle strutture in vetro per il 2017. Si avvicina l’appuntamento
con la sedicesima edizione della Giornata europea della Cultura ebraica
che verrà celebrata in oltre venti paesi del Vecchio continente e in
decine di località in tutta la penisola. “Ponti” il filo conduttore
scelto per il 2015, che vedrà la città di Firenze come capofila, con un
programma particolarmente ricco che abbraccerà diversi giorni oltre a
domenica 6 settembre, data ufficiale della manifestazione. “Gettare
ponti, favorire momenti di incontro e confronto, in un periodo storico
difficile e complesso come questo, è estremamente importante” ha
sottolineato il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Renzo Gattegna, presentando la Giornata. “La cultura è lo strumento
principale, forse l’unico che abbiamo, per difendere valori, per
raccontare ciò in cui crediamo e per ragionare insieme sulle
problematiche di questi tempi complessi”.
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Gli amici sbagliati
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Il testo di Michele Steindler
apparso su questo notiziario rappresenta abbastanza fedelmente un
piccolo torrente di lettere critiche – alcune anche con vene personali
– del mio intervento qui di giovedì scorso. Un altro piccolo torrente di persone ha espresso invece parere positivo e sostegno al mio intervento.
Segno evidente che siamo divisi, cosa per lo meno utile ai fini della
promozione del dibattito, purché civile. Per rispondere subito
all’obiezione di Steindler sul mio uso del plurale maiestatis, posso
dire con certezza che non solamente gli amici che mi hanno sostenuto
ora, ma milioni di ebrei in Israele e nella Diaspora condividono il
punto di vista che ho espresso. Quello che Steindler non ha capito è
quale fosse il punto centrale della mia opinione. Mi assumo la piena
responsabilità di tale incomprensione e cerco allora di chiarire meglio
il mio pensiero.
Io
sostengo, appoggiandomi a numerose ricerche recenti, che il popolo
ebraico – al di là della sua grande diversità interna e nonostante gli
intensi processi di secolarizzazione delle ultime generazioni – è
ancora in larga parte un popolo normativo.
I dettati delle norme tradizionali ebraiche costituiscono una base di
riferimento quotidiana vincolante per una cospicua minoranza della
popolazione ebraica e, cosa non meno importante, rappresentano un punto
di riferimento non strettamente vincolante ma comunque forte e
significativo per l’identità ebraica di una massa molto maggiore di
persone.
Per chiarire il punto, in Israele oltre il 40% della popolazione
ebraica si definisce secolare/non religiosa. Di questi, una buona metà
digiunano il giorno di Kippur e dunque compiono un importante atto
simbolico volontario che dimostra come le radici religiose della
società ebraica siano ben più diffuse e profonde rispetto a schematiche
classificazioni fra ‘religiosi’ e ‘non religiosi’.
Da questa ben dimostrata realtà culturale sociologica deriva il
corollario che l’autorità rabbinica svolge e continua a svolgere un
compito fondamentale nell’interpretare, nell’ispirare, nel dirigere le
comunità ebraiche sia in Israele sia attraverso il mondo. Una società
fortemente normativa come quella ebraica non può sussistere senza la
guida, l’aiuto, ma anche la sanzione e il timore dell’autorità
rabbinica. Questa funzione essenziale dei Maestri al centro della vita
ebraica collettiva non li esenta però da critiche che possono essere
mosse da chiunque abbia a cuore la sopravvivenza, la continuità, la
qualità, l’integrità, la rilevanza dell’insegnamento dell’ebraismo
verso il proprio interno e verso il mondo esterno. Ecco dunque che una
costruttiva critica al rabbinato – per lo meno da parte di chi
condivida quanto esposto fin qui – non intende contestare la funzione
rabbinica in quanto tale ma al contrario intende rafforzarne il
prestigio e l’efficacia nell’interesse comune di tutti gli aderenti
all’ebraismo. Dove si ritenga di rilevare un’insufficienza da parte
della corporazione rabbinica, che chiaramente è molto differenziata al
suo interno, emerge la richiesta – anzi la pretesa – di avere qualche
cosa di meglio e di più. Il timore è che un rabbinato che non sente
bene il polso e non legge bene nella mente della propria comunità possa
perdere rilevanza, con conseguenze preoccupanti per il collettivo.
Nei casi concreti dei delitti degli ultimi giorni, a molti è apparso
che le voci di condanna emerse chiaramente da parte di larghi settori
del rabbinato non fossero sufficientemente assertive.
Proclamare, come è stato fatto dalle personalità più autorevoli, che
l’ebraismo ha orrore del sangue e santifica la vita è certamente vero.
Ma non è abbastanza. Si sarebbe allora dovuto aggiungere che gli
assassini non erano, non potevano essere, ebrei. Oppure si sarebbe
dovuto chiarire qual è la sanzione secondo l’ebraismo normativo nei
confronti di un ebreo che uccide una persona innocente, sia questo un
ebreo o un non ebreo. Fin qui le voci della saggezza ebraica, che sono
apparse giuste, ma troppo deboli.
Ma esistono pur sempre anche altre voci rabbiniche che non solamente
non condannano fatti come quelli degli ultimi giorni, ma semmai li
raccomandano. La crescita di fenomeni di estremismo che hanno una
radice e un supporto in scuole rabbiniche, sia pure piccole e
marginali, suscita preoccupazione.
Chiariamo qui l’estensione demografica del fenomeno.
Secondo un sondaggio abbastanza recente, circa l’un per cento della
popolazione ebraica della Cisgiordania/Giudea e Samaria ha dichiarato
che in caso di divergenza con le autorità dello Stato d’Israele,
sarebbe disposto a opporsi con tutti i mezzi, incluse le armi. Su una
popolazione totale di 350-400.000 persone (esclusi beniteso i quartieri
urbani periferici di Gerusalemme edificati dopo il 1967) l'un per cento
rappresenta circa 3-4mila persone. Quantità trascurabile, se vogliamo,
oppure l’equivalente di un corpo militare a capo del quale potrebbe
stare un generale di brigata, dunque quantità non tanto trascurabile.
Ricordiamo dunque Yigal Amir, l’assassino di Yitzhak Rabin, in un
periodo nel quale esperti di halakhah si esercitavano nei riti di
pulsa-de-nura al limite della magia; oppure Baruch Goldstein, che ha
ammazzato 29 arabi nella Me’aràt Hamakhpelàh, l’edificio delle tombe
dei Padri e delle Madri a Hebron, in seguito al quale si è creato un
memoriale al nome di Baruch Hagever (gioco di parole sul tema Benedetto
sia l’Uomo); oppure coloro i quali hanno scagliato un macigno sulla
testa di uno dei comandanti dell’esercito israeliano in Giudea e
Samaria; oppure gli incendiari del corpo del ragazzo arabo di
Gerusalemme dopo il criminale rapimento e l’assassinio dei tre studenti
ebrei nella zone del Gush Etzion; oppure gli incendiari della scuola
bilingue a Gerusalemme; oppure gli incendiari della Chiesa della
Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci sul Lago di Tiberiade; fino
all’accoltellamento della giovane donna ebrea alla marcia gay a
Gerusalemme. In tutti questi casi vi sono autori noti e rei confessi.
Ricordiamo poi le minacce di questi giorni alla vita del Presidente di
Israele Rivlin, e ricordiamo anche (sebbene questo ci porterebbe ad
ampliare molto il discorso, cosa che non può essere fatta qui) la
dichiarazione del deputato alla Knesset Yoguev del partito Hayihud
Haleumi che ha proposto di lanciare un bulldozer contro l’edificio
della Corte Suprema di Israele.
Nel caso dell’atto incendiario che ha causato la morte di un bambino in
un villaggio arabo in prossimità del villaggio ebraico di Izhar, non
esiste ancora in questo momento un reo confesso. Una signora
israeliana, una cara amica, mi scrive che forse si tratta dell’atto di
un provocatore di sinistra o di un palestinese. Io non sono un
criminologo ma leggo che le forze di sicurezza israeliane hanno
compiuto diversi arresti negli ambienti degli estremisti ebrei.
Michele Steindler afferma di non sapere se Yigal Amir e gli altri
assassini abbiano studiato e dove. Si documenti, allora, perché la
risposta è facile da reperire. Michele aggunge giustamente che le
maggiori yeshivot (ne cita tre: Merkaz Harav, Ponovich, Porat Yosef)
non sono coinvolte in questa sequela. In nessun modo ho inteso dire o
si può inferire da quanto ho scritto che vi sia un tale coinvolgimento.
Contrariamente all’asserzione di Steindler nessuno ha mai voluto
colpevolizzare un’intera parte di società israeliana che nulla ha a che
spartire con questi barbari assassini. Ma è anche tragicamente vero che
nel gioco delle prossimità, delle alleanze, della solidarietà, avviene
talvolta che si finisca per condonare ai propri vicini quello che non
si ammetterebbe da parte degli altri.
Questa è forse la sfida maggiore per un vero leader spirituale: saper essere severo con i propri seguaci devianti.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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Oltremare - Kibbutz in città |
Il
massimo dell’ossimoro: un kibbutz in città. Nel profondo dell’estate
telavivese, quando l’unica cosa che si desidera (oltre ad essere in
vacanza, possibilmente in alta montagna) è di stare in luoghi muniti di
aria condizionata, può capitare di incontrare esseri umani che vivono
in comuni nel bel mezzo della città. Si tratta di giovani, ovviamente,
nell’accezione antica della parola giovane, e cioè giovane davvero, non
quarantenne che crede ancora di avere venticinque anni. In alcuni casi
possono essere giovani che per ragioni di studio o lavoro si sono
inurbati, ma non hanno voluto abbandonare completamente la dinamica
comunitaria della vita in kibbutz. Altri, si aggregano per affinità di
stile di vita o perché essere diversi è ancora e sempre cool,
soprattutto sotto i trent’anni.
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