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20 agosto 2015 - 5 Elul 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
“Banìm attèm l-Ha-Shèm E-lokekhèm, lo’ thithgodedù we-lo’ thasìmu qorchà ben ‘enekhèm la-mèth”, “Voi siete figli del Signore D.o vostro, non fatevi incisioni e non radetevi tra i vostri occhi per un morto”.
Queste disposizioni sono evidentemente legate a usanze pagane dalle quali l’ebreo deve tenersi lontano. Così le classifica il Maimonide, così le intende la maggioranza dei commentatori. Ma il midràsh dà anche un’altra interpretazione: siccome siete tutti figli di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, “lo’ thithgodedù”, non suddividetevi in “agudòth” (gruppuscoli) e non mettete alcuna “qorchà” (radura, spazio vuoto) in mezzo ai vostri occhi: pur nel rispetto della pluralità delle opinioni (che è ricordata da Proverbi 19:21, “Molti sono i pensieri nel cuore dell’uomo ...”), questa non deve portarci al frazionamento in gruppi che non hanno dialogo fra di loro, fra i quali c’è uno spazio, una radura, incolmabile. Anche l’eccessivo frazionamento è parte di una forma di paganesimo: il pensiero individuale diventa talmente preponderante da diventare una specie di idolo assoluto, da non lasciare spazio ad una visione più globale, una visione che vede nella molteplicità delle idee uno stimolo anziché un’aberrazione.
Che quest’interpretazione non sia affatto peregrina è testimoniato anche dal fatto che l’ammonizione della Torà “lo’ thithgodedù” (non suddividetevi in gruppuscoli) è inserita tra due regole che hanno a che fare con la Qedushà, l’elevazione spirituale: l’obbligo di aborrire ogni forma di idolatria ed il divieto di contaminarci con cibi impuri.
Il Midràsh conosce a fondo la psicologia e l’animo umano: sa perfettamente che è cosa molto diffusa la radicalizzazione delle proprie idee. È per questo che ci mette in guardia, avvisandoci nel contempo che saper superare i propri personalismi è segno di elevatezza morale, di un livello che ci rende degni di definirci figli di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, creati veramente con il Suo sigillo ed il Suo conio.
Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Danilo Taino è uno scrittore molto attento alle problematiche della società ebraica contemporanea. Giorni fa su Sette parlando dei giochi delle Maccabiadi Europee svoltisi per la prima volta a Berlino, Taino citava una riflessione su cosa sarebbero Berlino e la Germania, oggi, se non ci fosse stato il nazismo, Hitler e l'Olocausto. Secondo un'opinione, "sarebbe un Paese ancora più potente dal punto di vista economico, sarebbe la patria dell'innovazione e dell'alta tecnologia. La tradizione scientifica e ingegneristica tedesca assieme alla capacità di innovare e di avere visione di mercato e internazionale della comunità ebraica avrebbero fatto mangiare la polvere alla Silicon Valley". Ecco un buon esempio di counterintuitive history – storia controintuitiva – al quale si possono proporre diverse varianti. La prima, tanto per sfuggire alla stereotipizzazione dell'ebreo, è la semplice inversione dei fattori: la tradizione scientifica e ingegneristica ebraica (oggi ben dimostrata in Israele) assieme alla capacità di innovare e di avere una visione di mercato internazionale della nazione tedesca (come ben dimostrano le tendenze della globalizzazione). E poi: è stato calcolato che se non ci fosse stato l'Olocausto, gli ebrei al mondo non sarebbero 14 milioni e mezzo, come sono, bensì 25-30 milioni. Ci sarebbe stato lo Stato d'Israele senza la Shoah? Io penso senz'altro di sì, se non altro sotto tanta pressione demografica e poi con la summenzionata capacità ebraica di innovare e di fare mercato (e un tempo anche di fare politica). Ma gli Stati Uniti? Ben accertate le simpatie filo-tedesche del Re britannico Edoardo VIII, che magari non avrebbe dovuto abdicare per la sua Wally per cui forse il nome Churchill sarebbe rimasto quello di un oscuro sottosegretario in un vecchio governo inglese, e se i giapponesi non avessero commesso la provocazione di Pearl Harbor, e con un Roosevelt occupatissimo nel rammendare l'economia dopo la grande depressione, gli States sarebbero probabilmente restati alla finestra a guardare, e appunto a mangiare la polvere. Storia controintuitiva, o forse gli effetti allucinanti della calura di agosto.
Il presidente Mattarella:
"Fermiamo il terrore"
“Il terrorismo di matrice islamista, basato su fanatiche distorsioni della fede in Dio, sta cercando di introdurre nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa i germi di una terza guerra mondiale. Sta alla nostra responsabilità fermarla”. È il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini. L'intervento, riporta il Corriere, avviene proprio mentre si discute di una prossima azione militare in Libia con possibile guida italiana e fa il giro del mondo la notizia della decapitazione dell'archeologo (a capo del sito di Palmira) Khaled Asaad.
Il Fatto Quotidiano pubblica intanto uno stralcio del reportage realizzato da Robert Fisk per il giornale britannico The Indipendent che fa luce sugli equilibri e sugli orrori della guerra che sconvolge la Siria, mentre La Stampa racconta i traffici illeciti da centinaia di milioni di dollari dell'Isis nel paese (ma anche in Iraq), derivanti dai saccheggi da parte delle milizie di siti archeologici.

Tony il mediatore. Il Corriere della sera riporta anche che l'ex primo ministro britannico ed ex inviato speciale del Quartetto Tony Blair avrebbe, secondo quanto scritto da giornali arabi, incontrato due volte nell'ultimo mese il leader di Hamas Khaled Meshaal, per discutere i termini di un accordo con Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tuttavia subito negato i contatti, che sarebbero avvenuti a Doha in Qatar, e di essere in contatto con Blair.

Una barriera a Betlemme. Sono iniziati i lavori nella valle di Cremisan, alle porte di Betlemme, per la costruzione di una barriera protettiva dopo il sì dell'Alta corte di giustizia dello scorso 6 luglio. Non sono mancati i tafferugli da parte degli abitanti, per la gran parte cristiani palestinesi, che da nove anni cercano di fermare la costruzione del muro (Avvenire).
 
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  davar
un pizzico d'italia nella festa israeliana
Zahavi, l'urlo che fa sognare
la Tel Aviv del calcio

Si sa, le reti in trasferta valgono doppio. Se poi ti capita di segnarle all'ultimo secondo dell'ultimo minuto di recupero (ben sei), la cosa acquista un peso specifico supplementare.
Sogna uno storico approdo alla fase conclusiva della Champions League il Maccabi Tel Aviv, uscito ieri indenne dallo scontro con i rivali del Basilea nel terzo (e ultimo) preliminare che precede la fase a gironi della più importante competizione europea. Dentro o fuori: chi vince in Champions, chi perde nell'assai più modesta Europa League. Il primo set ha detto bene: 2 a 2 in Svizzera, un ottimo viatico per la gara di ritorno che si svolgerà in Israele tra una settimana.
C'è un po' di Italia in questa impresa: protagonista di giornata infatti è Eran Zahavi, fantasioso centrocampista approdato alcuni anni fa alla corte palermitana di Zamparini. Fu un'annata niente male, anche se non gli valse la conferma in rosanero.
Ieri Eran sembrava una furia: doppietta e molte giocate di classe. Suo il goal che ha aperto le marcature e suo soprattutto l'imperioso stacco di testa vincente al 96esimo minuto d'orologio.
Poi la grande euforia collettiva e Zahavi, quasi incredulo, che si lancia in un corsa urlata degna del miglior Tardelli (o Schillaci). Il sogno continua.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
la grande voce dell'ebreo franco-algerino
I motivetti di Osama Bin Laden
Enrico Macias era il preferito  

Mentre Barack Obama pubblica le sue playlist su Spotify e il mondo si riscopre intellettuale ascoltando la sua musica d'autore preferita e suda al ritmo delle canzoni da allenamento di Michelle, viene alla luce anche un'altra libreria audio, completamente diversa sotto moltissimi punti di vista. Innanzitutto perché appartiene all'ex nemico numero uno degli Stati Uniti, Osama Bin Laden, e ad altri leader talebani, e poi perché è composta da 1500 cassette decisamente più retro e più ingombranti di un servizio di streaming. Il ritrovamento è l'oggetto di anni di ricerca e di ascolto da parte dello studioso Flagg Miller, il cui libro ora in uscita (The Audacious Ascetic, Oxford University Press) svela finalmente al pubblico i contenuti della raccolta, venuta alla luce nel 2001. Ma ciò che ci si aspettava ancora meno era di trovare fra la musica ascoltata da Bin Laden e i suoi anche quella di Enrico Macias, celebre cantante algerino ma soprattutto, ebbene sì, ebreo.
I contenuti della collezione sono invero i più vari e sorprendenti, e la storia del suo ritrovamento è parte del suo fascino. Quando quattordici anni fa, dopo l'invasione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti, Bin Laden dovette lasciare Kandahar, dove risiedeva dal 1997, molti rifugi furono liberati in fretta e furia, tra cui quello situato proprio di fronte al ministero degli Esteri talabano, dove i pezzi grossi di Al Qaeda svolgevano le loro riunioni. Lì sono dunque rimaste le centinaia di audiocassette (una nell'immagine), fino a che una famiglia afghana che si aggirava nella proprietà saccheggiata non le ha trovate e non è corsa in un negozio di cassette lì vicino, sperando di fare fortuna rivendendo un po' di musica pop che i talebani ormai andati avevano vietato per anni. Per la fortuna invece di tutto il resto del mondo, un cameraman della rete americana Cnn ha sentito parlare del bottino, e ha convinto il negoziante a restituire i nastri, affermando che essi potevano contenere informazioni importanti. E in effetti aveva ragione: nelle cassette sono contenute registrazioni che vanno dalla fine degli anni '60 al 2001, tra cui sermoni e conversazioni intime dei terroristi, ma anche canti e musica. L'unico ad averle ascoltate tutte per ora è ancora Miller, studioso esperto di cultura e letteratura araba presso l'Università della California, nelle cui mani è finito tutto il prezioso materiale perché ne venisse a capo.
Così, tra inneggiamenti contro il nemico sciita e solo dopo anche quello americano, dichiarazioni di fatti che hanno cambiato la storia dell'umanità e qualche inno islamico, ecco fare capolino le chanson di Enrico Macias. Il suo vero nome è Gaston Ghrenassia, ed è nato nel 1938 a Constantina, nell'Algeria francese, in una famiglia ebraica. Ex insegnante, compone musica dai primi annni '60, da quando cioè è arrivato a Parigi con la mogie Suzy per fuggire la violenza antisemita collaterale alla guerra d'indipendenza algerina. La sua struggente “Adieu mon pays” ha decretato il suo successo immediato, in tutto il mondo, dall'Europa agli Stati Uniti a Israele, dove è davvero una celebrità. Il suo sostegno a Israele tra l'altro è stata la ragione per cui, nonostante il suo attaccamento espresso anche attraverso l'album “Mon Algerie”, non ha mai più potuto fare ritorno in patria dopo il suo esilio. Il governo algerino ha infatti espresso più volte il divieto, in particolare nel 2007, quando il primo ministro Abdelaziz Belkhadem non gli permise di venire in visita insieme a una delegazione che accompagnava il presidente francese Nicolas Sarkozy.
Ma cosa ci fa dunque la musica di Macias nelle cassette di Osama Bin Laden? “Queste canzoni indicano che a qualcuno, a un certo punto della sua vita, piaceva ascoltare le canzoni di questo ebreo algerino, e che abbiano poi continuato ad ascoltarle nonostante le battaglie che chiaramente avrebbero suggerito che farlo era un'eresia”, risponde Miller. Che sottolinea che in ogni caso questo costituisce un dato indicativo: “Credo – afferma – che questa collezione di canzoni francesi riveli il grado a cui gli arabi-afghani di Kandahar fossero poliglotti e avessero una grande esperienza del mondo”. “Molti di loro – prosegue – avevano vissuto in Occidente per lunghi periodi e non si può certo negare che essi abbiano davvero vissuto molteplici vite”. Una caratteristica d'altra parte condivisa con Macias, che nell'album “Voyage d'une mélodie” canta in francese, spagnolo, berbero, arabo, ebraico e yiddish. Peccato sia uscito solo nel 2011, magari a Osama sarebbe piaciuto.


Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

una comunicazione disastrosa e imbarazzante
BT Italia, la sua pubblicità
si rivela un clamoroso passo falso

Fino a che punto può spingersi il cattivo gusto?
Una domanda da porre ai guru di BT Italia, realtà del gruppo British Telecom che da 20 anni offre servizi di comunicazione alle imprese e alla pubblica amministrazione e che si prefigge di contribuire, questo si legge nella sua missione, “all'affermazione delle tante eccellenze italiane e allo sviluppo del paese”.
Partner tra gli altri di Eni, Bnl, Fiat e Mediaset, la società per azioni guidata da Gianluca Cimini lancia in questi giorni una campagna pubblicitaria per celebrare l'anniversario sui principali magazine (tra gli altri sul numero 34 di Panorama in circolazione, pagina 38).
In un Pantheon illuminato da un timido raggio di sole, fanno capolino i volti di alcuni protagonisti di BT Italia. I volti sono radiosi e rassicuranti. Il messaggio è chiaro: fidatevi di noi.
Una scena già vista? Sì, anche se in un contesto assai meno spensierato. Inequivocabile è infatti la fonte che ha ispirato i pubblicitari: una delle sale, forse la più nota, in cui lo Yad Vashem ricorda i sei milioni di ebrei uccisi nella Shoah.
Le foto sono ovviamente diverse e diverso è il messaggio, ma l'analogia appare imbarazzante. Chi ha buoni occhi non potrà essere tratto in inganno.

a.s twitter @asmulevichmoked

j-ciak
Spielberg, da Obama allo spazio
È notizia di questi giorni che tra i suoi nuovi impegni c’è la regia della prossima carriera di Barack Obama. Steven Spielberg sarebbe stato chiamato per aiutarlo a sviluppare una narrativa per gli anni del post presidenza, secondo il New York Times. Il progetto sarebbe partito subito dopo la rielezione di Obama e non stupisce che a dare il la sia stata la proiezione alla Casa bianca di “Lincoln”, monumentale storia del presidente che abolì la schiavitù con Daniel Day Lewis nella parte del protagonista e il grande Tony Kushner come sceneggiatore.
Da allora fra il regista e il presidente si è avviato un dialogo sulle nuove tecnologie e sulle loro potenzialità narrative (che, Spielberg docet, sono infinite e potentissime). Il discorso di certo si è alimentato della sensibilità, non solo politica, che accomuna il primo presidente afro-americano e il regista ebreo su razzismo e sperequazione sociale ed economica, due temi che in vista delle prossime elezioni stanno spaccando gli Stati Uniti.
Quali saranno gli esiti concreti ancora non è dato di sapere. Fra i traguardi ci sarebbe comunque la libreria presidenziale con annessa fondazione in fieri a Chicago, destinata a sfruttare al massimo i mezzi digitali per coinvolgere un pubblico planetario. Un obiettivo che ci rimanda per direttissima allo straordinario lavoro portato avanti da Spielberg dal 1994, dopo “Schindler’s List”, con la sua Shoah Foundation che ha finora raccolto 52 mila testimonianze di sopravvissuti in 39 lingue diverse.
In attesa di vedere cosa ci aspetta nel dopo-Obama, fra poco ritroveremo Spielberg sul grande schermo con “Il ponte delle spie” con Tom Hanks, film di spionaggio ambientato negli anni della Guerra fredda su sceneggiatura dei fratelli Coen. E a dicembre del prossimo anno potremmo gustarci un nuovo sci-fi. La Warner Bros ha infatti annunciato che è in preparazione il film tratto da Player One, best seller di Ernest Cline.
Come nel libro, la storia è ambientata in un universo virtuale chiamato Oasis, dove il diciottenne Wade trascorre la maggior parte del suo tempo. Quando Oasis si troverà in pericolo sarà Wade a vincere una serie di prove necessarie a salvarlo – ad esempio recitare a memoria le battute di Wargames, penetrare nella Tyrell Corporation di Blade Runner, giocare la partita perfetta a Pac-Man o sfidare giganteschi robot giapponesi.
Spielberg sarà senz’altro capace di ricavarne un nuovo blockbuster. Si annuncia però assai più intrigante un altro film in lavorazione, quello dedicato al rapimento del piccolo Edgardo Mortara, il bimbo ebreo sottratto con la forza alla sua famiglia dalla Chiesa nel 1858, cresciuto da cattolico e divenuto prete. Film senza probabili effetti speciali ma dalla trama mozzafiato, forte della scrittura impeccabile di Tony Kushner che adatterà per il grande schermo il libro dello storico David Kertzer e del talento visuale di un regista che in “Schindler’s List” con un semplice cappottino rosso è riuscito a spezzarci il cuore.

Daniela Gross
  pilpul
Setirot - Per avvicinare
Secondo un'antica tradizione dei Maestri di Israele, conservata nella Mishnah, l'appalesarsi dell'epoca messianica sarà accompagnato dalla presenza del profeta Elia, il quale "non dichiarerà puro o impuro chicchessia, né allontanerà o avvicinerà se non, rispettivamente, coloro che si sono imposti con la violenza e coloro che sono stati esclusi con la violenza". Secondo altri Maestri, Elia verrà "solo per avvicinare, ma non per allontanare". O, ancora, "esclusivamente per comporre le polemiche più distruttive". Oppure, ed è l'opinione della maggioranza dei Maestri, "né per allontanare né per avvicinare, ma per imporre la pace nel mondo", in ciò appoggiandosi e richiamando le parole di Malachia (3,23-24), secondo cui l'obiettivo principale del profeta Elia, nella sua venuta, sarà quello di operare una riconciliazione universale tra tutte le creature.
Se rav Giuseppe Laras ha voluto concludere così i due tomi della sua storia del pensiero ebraico ("Ricordati dei giorni del mondo", Edizioni Dehoniane Bologna) un motivo ci dovrà pur essere. Proviamo a cercarlo e riflettiamoci.


Stefano Jesurum, giornalista
Spielberg, Obama e noi
Il regista ebreo americano Steven Spielberg si è impegnato per la memoria della Shoah come pochi altri, basti ricordare il film Schindler’s list e la colossale opera di interviste ai sopravvissuti ai campi di sterminio.
Il regista ebreo americano Steven Spielberg - a quanto riporta il Corriere della sera - intende impegnarsi con il presidente Obama per la realizzazione di una Fondazione che raccolga testi e documenti riguardanti la sua presidenza.
Viene facile domandarsi cosa farà Steven Spielberg quando dovrà documentare le memorie del presidente Obama riguardo all’accordo con l’Iran.
Appare sempre più forte la dicotomia tra l’ebraismo europeo e quello americano. Da una parte un ebraismo che dice chiaramente che la nostra identità è Israele, con ebrei francesi, italiani, e inglesi che manifestano per le strade – in molti casi anche a costo di grandi rischi – con la bandiera della Medinah.
Non mi sembra una caso che Fiamma Nirenstein sia stata nominata ambasciatrice in Italia – e non mi riferisco al fatto che sia nata in Italia – ma alla fortissima identità sionista che caratterizza le comunità ebraiche europee e quindi i loro leader.
Vi è poi un ebraismo americano che – salvo alcune significative eccezioni – volta le spalle a Israele. Se i figli e i nipoti della Shoah avessero ancora la forza dell’identità e fratellanza ebraica che pure hanno avuto negli anni passati, mai il presidente Obama avrebbe potuto proporre un accordo con l’Iran come quello che ha fatto, perché i suoi elettori si sarebbero ribellati.
Eppure il silenzio di molti ebrei americani è tremendamente assordante.
Il mio bisnonno HYD è morto insieme a sei milioni di suoi fratelli ad Auschwitz, e quindi non posso non essere grato a Steven Spielberg per il suo lavoro di documentazione della Shoah.
Ma io, mio fratello, e i miei cugini e i nostri figli viviamo in Eretz Israel, e spero quindi che ci siano tante Fiamma Nirenstein che si impegnino e urlino al mondo che mai più permetteremo una nuova Shoah, con o senza il sorriso del nuovo Chamberlain.

Michele Steindler 

Time out - "Rabbino, discolpati!"

"Rabbino discolpati!" Così, richiamando a un ben più famoso appello, potremmo definire il tentativo di tanti personaggi del mondo ebraico che, anche su queste colonne, continuano a pretendere una presa di posizione dei rabbini italiani sulle vicende terribili del mese scorso. Non basta che lo abbiano fatto e a breve, così come non va bene che lo abbiano fatto in linea con il rabbinato israeliano e le maggiori autorità rabbiniche in generale. E non si capisce neanche cosa dovrebbero fare, visto che sebbene la responsabilità collettiva sia centrale nell'ebraismo è anche vero che non ci si può assumere le responsabilità che non si hanno. Eppure è andata così, le terribili morti causate da estremisti religiosi sono diventate l'opportunità per scatenare l'ennesima ondata di polemiche contro il nostro rabbinato che pare sbagli sempre e a prescindere. Si potrà discutere e dovremmo farlo, ma forse sarebbe il caso di capire se certe polemiche nascano davvero per migliorare la vita civile delle comunità ebraiche o per aumentare le divisioni e gli scontri al suo interno.

Daniel Funaro
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Non sarà troppo tardi
Forse un mattino andando in un’aria di vetro, non verso il vuoto ma per un sentiero di montagna, d’estate alla vigilia di Shabbat, capita ad una famigliola di incontrare un viandante un po’ sperso. Il sentiero per il rifugio, indica la direzione il babbo della famigliola, e dal suo accento il viandante inizia a conversare su provenienza e amicizie locali. E scoprono, si dà il caso, di avere un conoscente in comune. Il babbo un po’ titubante, perché la prudenza non è mai eccessiva, accenna all'origine ebraica del conoscente nella sua piccola città. Il viandante si sbilancia maggiormente, dichiarandosi ebreo egli stesso e al “cento per cento”. Con stupita gioia, anche i membri della famigliola si dichiarano ebrei, e quale occasione migliore di vedersi la sera insieme per il Kiddush? E di conversare trovando altri legami di amicizie comuni? Il viandante commosso osserva i ragazzini e parla, da anziano, di come sia bello e raro trovare della gioventù ebraica anche in piccolissime realtà.
Otto naarim conta la piccola keillah della cittadina da cui proviene la famigliola, e la commozione del viandante nel conoscerne l’esistenza sarebbe ancora maggiore se sapesse che di questi, tre nascono da nonna materna non ebrea, due da madre non ebrea e tre da una ghieret. Forse anche lui, come Montale, penserà rivolgendosi di vedere un (piccolo) miracolo. E forse non sarà troppo tardi. 


Sara Valentina Di Palma, ricercatrice
 
Madri d'Israele - Tchia

Se mai vi dovesse capitare di incontrare questa donna in qualche sconosciuta via nel nord di Israele, non esitate a darle un forte abbraccio e a ringraziarla per ciò che fa, ogni giorno.
Tchia Ditesheim, nata a Rechovot, moglie di un commerciante svizzero, madre di quattro figli, Madre di Israele. Provate a pensare a Superman in versione yemenita: ecco, è proprio lei.
Capello corto, sbarazzino, scuro. Sguardo profondo, che la dice lunga sulla sua persona.
Tchia, infatti, trascorre le sue giornate in cima ad un grattacielo o tra le fiamme di un incendio indomabile, come volontaria nelle forze dei vigili del fuoco.
"Cominciai quattordici anni fa, quando nel quartiere in cui abito cercavano volontari disposti a dedicare il loro tempo per una causa comune. Mi feci immediatamente avanti."
Sette anni fa Tchia si rese conto che non le bastava più salvare una persona dalla minaccia delle fiamme. Tchia voleva, doveva, andare oltre: soccorrere il ferito in questione e fornirgli tutti gli strumenti necessari per sopravvivere alla tragedia.
"Feci così un corso per diventare paramedico e cominciai a trascorrere parte delle mie giornate sull'ambulanza."
Probabilmente le due divise riposte con cura nel guardaroba non le erano sufficienti; due anni fa, infatti, se ne aggiunse una terza.
"L'ultima follia arrivò tutta d'un tratto, senza preavviso, senza pensarci troppo: volevo entrare a far parte delle forze dell'ordine, volevo diventare una poliziotta". E così fu.
Secondo Tchia la cosa più gratificante del suo 'lavoro' sono i sorrisi delle persone, i loro occhi illuminati di una luce particolare quando la ringraziano.
E come non ringraziarla d'altronde.
"Progetti futuri?", le domando in chiusura. Lei ride animatamente e risponde con entusiasmo trasportatore "tanti, tantissimi".


David Zebuloni
http://moked.it/unione_informa/150819/150819.html
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