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Elia Richetti,
rabbino
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“Banìm
attèm l-Ha-Shèm E-lokekhèm, lo’ thithgodedù we-lo’ thasìmu qorchà ben
‘enekhèm la-mèth”, “Voi siete figli del Signore D.o vostro, non fatevi
incisioni e non radetevi tra i vostri occhi per un morto”.
Queste disposizioni sono evidentemente legate a usanze pagane dalle
quali l’ebreo deve tenersi lontano. Così le classifica il Maimonide,
così le intende la maggioranza dei commentatori. Ma il midràsh dà anche
un’altra interpretazione: siccome siete tutti figli di Ha-Qadòsh Barùkh
Hu’, “lo’ thithgodedù”, non suddividetevi in “agudòth” (gruppuscoli) e
non mettete alcuna “qorchà” (radura, spazio vuoto) in mezzo ai vostri
occhi: pur nel rispetto della pluralità delle opinioni (che è ricordata
da Proverbi 19:21, “Molti sono i pensieri nel cuore dell’uomo ...”),
questa non deve portarci al frazionamento in gruppi che non hanno
dialogo fra di loro, fra i quali c’è uno spazio, una radura,
incolmabile. Anche l’eccessivo frazionamento è parte di una forma di
paganesimo: il pensiero individuale diventa talmente preponderante da
diventare una specie di idolo assoluto, da non lasciare spazio ad una
visione più globale, una visione che vede nella molteplicità delle idee
uno stimolo anziché un’aberrazione.
Che quest’interpretazione non sia affatto peregrina è testimoniato
anche dal fatto che l’ammonizione della Torà “lo’ thithgodedù” (non
suddividetevi in gruppuscoli) è inserita tra due regole che hanno a che
fare con la Qedushà, l’elevazione spirituale: l’obbligo di aborrire
ogni forma di idolatria ed il divieto di contaminarci con cibi impuri.
Il Midràsh conosce a fondo la psicologia e l’animo umano: sa
perfettamente che è cosa molto diffusa la radicalizzazione delle
proprie idee. È per questo che ci mette in guardia, avvisandoci nel
contempo che saper superare i propri personalismi è segno di elevatezza
morale, di un livello che ci rende degni di definirci figli di
Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, creati veramente con il Suo sigillo ed il Suo
conio.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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Danilo
Taino è uno scrittore molto attento alle problematiche della società
ebraica contemporanea. Giorni fa su Sette parlando dei giochi delle
Maccabiadi Europee svoltisi per la prima volta a Berlino, Taino citava
una riflessione su cosa sarebbero Berlino e la Germania, oggi, se non
ci fosse stato il nazismo, Hitler e l'Olocausto. Secondo un'opinione,
"sarebbe un Paese ancora più potente dal punto di vista economico,
sarebbe la patria dell'innovazione e dell'alta tecnologia. La
tradizione scientifica e ingegneristica tedesca assieme alla capacità
di innovare e di avere visione di mercato e internazionale della
comunità ebraica avrebbero fatto mangiare la polvere alla Silicon
Valley". Ecco un buon esempio di counterintuitive history – storia
controintuitiva – al quale si possono proporre diverse varianti. La
prima, tanto per sfuggire alla stereotipizzazione dell'ebreo, è la
semplice inversione dei fattori: la tradizione scientifica e
ingegneristica ebraica (oggi ben dimostrata in Israele) assieme alla
capacità di innovare e di avere una visione di mercato internazionale
della nazione tedesca (come ben dimostrano le tendenze della
globalizzazione). E poi: è stato calcolato che se non ci fosse stato
l'Olocausto, gli ebrei al mondo non sarebbero 14 milioni e mezzo, come
sono, bensì 25-30 milioni. Ci sarebbe stato lo Stato d'Israele senza la
Shoah? Io penso senz'altro di sì, se non altro sotto tanta pressione
demografica e poi con la summenzionata capacità ebraica di innovare e
di fare mercato (e un tempo anche di fare politica). Ma gli Stati
Uniti? Ben accertate le simpatie filo-tedesche del Re britannico
Edoardo VIII, che magari non avrebbe dovuto abdicare per la sua Wally
per cui forse il nome Churchill sarebbe rimasto quello di un oscuro
sottosegretario in un vecchio governo inglese, e se i giapponesi non
avessero commesso la provocazione di Pearl Harbor, e con un Roosevelt
occupatissimo nel rammendare l'economia dopo la grande depressione, gli
States sarebbero probabilmente restati alla finestra a guardare, e
appunto a mangiare la polvere. Storia controintuitiva, o forse gli
effetti allucinanti della calura di agosto.
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Il presidente Mattarella:
"Fermiamo il terrore" |
“Il
terrorismo di matrice islamista, basato su fanatiche distorsioni della
fede in Dio, sta cercando di introdurre nel Mediterraneo, in Medio
Oriente, in Africa i germi di una terza guerra mondiale. Sta alla
nostra responsabilità fermarla”. È il monito del presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al Meeting per
l'amicizia fra i popoli di Rimini. L'intervento, riporta il Corriere,
avviene proprio mentre si discute di una prossima azione militare in
Libia con possibile guida italiana e fa il giro del mondo la notizia
della decapitazione dell'archeologo (a capo del sito di Palmira) Khaled
Asaad.
Il Fatto Quotidiano pubblica intanto uno stralcio del reportage
realizzato da Robert Fisk per il giornale britannico The Indipendent
che fa luce sugli equilibri e sugli orrori della guerra che sconvolge
la Siria, mentre La Stampa racconta i traffici illeciti da centinaia di
milioni di dollari dell'Isis nel paese (ma anche in Iraq), derivanti
dai saccheggi da parte delle milizie di siti archeologici.
Tony il mediatore.
Il Corriere della sera riporta anche che l'ex primo ministro britannico
ed ex inviato speciale del Quartetto Tony Blair avrebbe, secondo quanto
scritto da giornali arabi, incontrato due volte nell'ultimo mese il
leader di Hamas Khaled Meshaal, per discutere i termini di un accordo
con Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tuttavia subito
negato i contatti, che sarebbero avvenuti a Doha in Qatar, e di essere
in contatto con Blair.
Una barriera a Betlemme.
Sono iniziati i lavori nella valle di Cremisan, alle porte di Betlemme,
per la costruzione di una barriera protettiva dopo il sì dell'Alta
corte di giustizia dello scorso 6 luglio. Non sono mancati i tafferugli
da parte degli abitanti, per la gran parte cristiani palestinesi, che
da nove anni cercano di fermare la costruzione del muro (Avvenire).
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un pizzico d'italia nella festa israeliana
Zahavi, l'urlo che fa sognare
la Tel Aviv del calcio
Si
sa, le reti in trasferta valgono doppio. Se poi ti capita di segnarle
all'ultimo secondo dell'ultimo minuto di recupero (ben sei), la cosa
acquista un peso specifico supplementare.
Sogna uno storico approdo alla fase conclusiva della Champions League
il Maccabi Tel Aviv, uscito ieri indenne dallo scontro con i rivali del
Basilea nel terzo (e ultimo) preliminare che precede la fase a gironi
della più importante competizione europea. Dentro o fuori: chi vince in
Champions, chi perde nell'assai più modesta Europa League. Il primo set
ha detto bene: 2 a 2 in Svizzera, un ottimo viatico per la gara di
ritorno che si svolgerà in Israele tra una settimana.
C'è un po' di Italia in questa impresa: protagonista di giornata
infatti è Eran Zahavi, fantasioso centrocampista approdato alcuni anni
fa alla corte palermitana di Zamparini. Fu un'annata niente male, anche
se non gli valse la conferma in rosanero.
Ieri Eran sembrava una furia: doppietta e molte giocate di classe. Suo
il goal che ha aperto le marcature e suo soprattutto l'imperioso stacco
di testa vincente al 96esimo minuto d'orologio.
Poi la grande euforia collettiva e Zahavi, quasi incredulo, che si
lancia in un corsa urlata degna del miglior Tardelli (o Schillaci). Il
sogno continua.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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la grande voce dell'ebreo franco-algerino I motivetti di Osama Bin Laden
Enrico Macias era il preferito
Mentre
Barack Obama pubblica le sue playlist su Spotify e il mondo si riscopre
intellettuale ascoltando la sua musica d'autore preferita e suda al
ritmo delle canzoni da allenamento di Michelle, viene alla luce anche
un'altra libreria audio, completamente diversa sotto moltissimi punti
di vista. Innanzitutto perché appartiene all'ex nemico numero uno degli
Stati Uniti, Osama Bin Laden, e ad altri leader talebani, e poi perché
è composta da 1500 cassette decisamente più retro e più ingombranti di
un servizio di streaming. Il ritrovamento è l'oggetto di anni di
ricerca e di ascolto da parte dello studioso Flagg Miller, il cui libro
ora in uscita (The Audacious Ascetic, Oxford University Press) svela
finalmente al pubblico i contenuti della raccolta, venuta alla luce nel
2001. Ma ciò che ci si aspettava ancora meno era di trovare fra la
musica ascoltata da Bin Laden e i suoi anche quella di Enrico Macias,
celebre cantante algerino ma soprattutto, ebbene sì, ebreo.
I
contenuti della collezione sono invero i più vari e sorprendenti, e la
storia del suo ritrovamento è parte del suo fascino. Quando quattordici
anni fa, dopo l'invasione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti,
Bin Laden dovette lasciare Kandahar, dove risiedeva dal 1997, molti
rifugi furono liberati in fretta e furia, tra cui quello situato
proprio di fronte al ministero degli Esteri talabano, dove i pezzi
grossi di Al Qaeda svolgevano le loro riunioni. Lì sono dunque rimaste
le centinaia di audiocassette (una nell'immagine), fino a che una
famiglia afghana che si aggirava nella proprietà saccheggiata non le ha
trovate e non è corsa in un negozio di cassette lì vicino, sperando di
fare fortuna rivendendo un po' di musica pop che i talebani ormai
andati avevano vietato per anni. Per la fortuna invece di tutto il
resto del mondo, un cameraman della rete americana Cnn ha sentito
parlare del bottino, e ha convinto il negoziante a restituire i nastri,
affermando che essi potevano contenere informazioni importanti. E in
effetti aveva ragione: nelle cassette sono contenute registrazioni che
vanno dalla fine degli anni '60 al 2001, tra cui sermoni e
conversazioni intime dei terroristi, ma anche canti e musica. L'unico
ad averle ascoltate tutte per ora è ancora Miller, studioso esperto di
cultura e letteratura araba presso l'Università della California, nelle
cui mani è finito tutto il prezioso materiale perché ne venisse a capo.
Così, tra inneggiamenti contro il nemico sciita e solo dopo anche
quello americano, dichiarazioni di fatti che hanno cambiato la storia
dell'umanità e qualche inno islamico, ecco fare capolino le chanson di
Enrico Macias. Il suo vero nome è Gaston Ghrenassia, ed è nato nel 1938
a Constantina, nell'Algeria francese, in una famiglia ebraica. Ex
insegnante, compone musica dai primi annni '60, da quando cioè è
arrivato a Parigi con la mogie Suzy per fuggire la violenza antisemita
collaterale alla guerra d'indipendenza algerina. La sua struggente
“Adieu mon pays” ha decretato il suo successo immediato, in tutto il
mondo, dall'Europa agli Stati Uniti a Israele, dove è davvero una
celebrità. Il suo sostegno a Israele tra l'altro è stata la ragione per
cui, nonostante il suo attaccamento espresso anche attraverso l'album
“Mon Algerie”, non ha mai più potuto fare ritorno in patria dopo il suo
esilio. Il governo algerino ha infatti espresso più volte il divieto,
in particolare nel 2007, quando il primo ministro Abdelaziz Belkhadem
non gli permise di venire in visita insieme a una delegazione che
accompagnava il presidente francese Nicolas Sarkozy.
Ma cosa ci fa dunque la musica di Macias nelle cassette di Osama Bin
Laden? “Queste canzoni indicano che a qualcuno, a un certo punto della
sua vita, piaceva ascoltare le canzoni di questo ebreo algerino, e che
abbiano poi continuato ad ascoltarle nonostante le battaglie che
chiaramente avrebbero suggerito che farlo era un'eresia”, risponde
Miller. Che sottolinea che in ogni caso questo costituisce un dato
indicativo: “Credo – afferma – che questa collezione di canzoni
francesi riveli il grado a cui gli arabi-afghani di Kandahar fossero
poliglotti e avessero una grande esperienza del mondo”. “Molti di loro
– prosegue – avevano vissuto in Occidente per lunghi periodi e non si
può certo negare che essi abbiano davvero vissuto molteplici vite”. Una
caratteristica d'altra parte condivisa con Macias, che nell'album
“Voyage d'une mélodie” canta in francese, spagnolo, berbero, arabo,
ebraico e yiddish. Peccato sia uscito solo nel 2011, magari a Osama
sarebbe piaciuto.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
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una comunicazione disastrosa e imbarazzante
BT Italia, la sua pubblicità
si rivela un clamoroso passo falso
Fino a che punto può spingersi il cattivo gusto?
Una
domanda da porre ai guru di BT Italia, realtà del gruppo British
Telecom che da 20 anni offre servizi di comunicazione alle imprese e
alla pubblica amministrazione e che si prefigge di contribuire, questo
si legge nella sua missione, “all'affermazione delle tante eccellenze
italiane e allo sviluppo del paese”.
Partner
tra gli altri di Eni, Bnl, Fiat e Mediaset, la società per azioni
guidata da Gianluca Cimini lancia in questi giorni una campagna
pubblicitaria per celebrare l'anniversario sui principali magazine (tra
gli altri sul numero 34 di Panorama in circolazione, pagina 38).
In
un Pantheon illuminato da un timido raggio di sole, fanno capolino i
volti di alcuni protagonisti di BT Italia. I volti sono radiosi e
rassicuranti. Il messaggio è chiaro: fidatevi di noi.
Una scena già vista? Sì, anche se in un contesto assai meno
spensierato. Inequivocabile è infatti la fonte che ha ispirato i
pubblicitari: una delle sale, forse la più nota, in cui lo Yad Vashem
ricorda i sei milioni di ebrei uccisi nella Shoah.
Le foto sono ovviamente diverse e diverso è il messaggio, ma l'analogia
appare imbarazzante. Chi ha buoni occhi non potrà essere tratto in
inganno.
a.s twitter @asmulevichmoked
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j-ciak
Spielberg, da Obama allo spazio
È
notizia di questi giorni che tra i suoi nuovi impegni c’è la regia
della prossima carriera di Barack Obama. Steven Spielberg sarebbe stato
chiamato per aiutarlo a sviluppare una narrativa per gli anni del post
presidenza, secondo il New York Times. Il progetto sarebbe partito
subito dopo la rielezione di Obama e non stupisce che a dare il la sia
stata la proiezione alla Casa bianca di “Lincoln”, monumentale storia
del presidente che abolì la schiavitù con Daniel Day Lewis nella parte
del protagonista e il grande Tony Kushner come sceneggiatore.
Da allora fra il regista e il presidente si è avviato un dialogo sulle
nuove tecnologie e sulle loro potenzialità narrative (che, Spielberg
docet, sono infinite e potentissime). Il discorso di certo si è
alimentato della sensibilità, non solo politica, che accomuna il primo
presidente afro-americano e il regista ebreo su razzismo e
sperequazione sociale ed economica, due temi che in vista delle
prossime elezioni stanno spaccando gli Stati Uniti.
Quali saranno gli esiti concreti ancora non è dato di sapere. Fra i
traguardi ci sarebbe comunque la libreria presidenziale con annessa
fondazione in fieri a Chicago, destinata a sfruttare al massimo i mezzi
digitali per coinvolgere un pubblico planetario. Un obiettivo che ci
rimanda per direttissima allo straordinario lavoro portato avanti da
Spielberg dal 1994, dopo “Schindler’s List”, con la sua Shoah
Foundation che ha finora raccolto 52 mila testimonianze di
sopravvissuti in 39 lingue diverse.
In attesa di vedere cosa ci aspetta nel dopo-Obama, fra poco
ritroveremo Spielberg sul grande schermo con “Il ponte delle spie” con
Tom Hanks, film di spionaggio ambientato negli anni della Guerra fredda
su sceneggiatura dei fratelli Coen. E a dicembre del prossimo anno
potremmo gustarci un nuovo sci-fi. La Warner Bros ha infatti annunciato
che è in preparazione il film tratto da Player One, best seller di
Ernest Cline.
Come nel libro, la storia è ambientata in un universo virtuale chiamato
Oasis, dove il diciottenne Wade trascorre la maggior parte del suo
tempo. Quando Oasis si troverà in pericolo sarà Wade a vincere una
serie di prove necessarie a salvarlo – ad esempio recitare a memoria le
battute di Wargames, penetrare nella Tyrell Corporation di Blade
Runner, giocare la partita perfetta a Pac-Man o sfidare giganteschi
robot giapponesi.
Spielberg sarà senz’altro capace di ricavarne un nuovo blockbuster. Si
annuncia però assai più intrigante un altro film in lavorazione, quello
dedicato al rapimento del piccolo Edgardo Mortara, il bimbo ebreo
sottratto con la forza alla sua famiglia dalla Chiesa nel 1858,
cresciuto da cattolico e divenuto prete. Film senza probabili effetti
speciali ma dalla trama mozzafiato, forte della scrittura impeccabile
di Tony Kushner che adatterà per il grande schermo il libro dello
storico David Kertzer e del talento visuale di un regista che in
“Schindler’s List” con un semplice cappottino rosso è riuscito a
spezzarci il cuore.
Daniela Gross
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Setirot
- Per avvicinare |
Secondo
un'antica tradizione dei Maestri di Israele, conservata nella Mishnah,
l'appalesarsi dell'epoca messianica sarà accompagnato dalla presenza
del profeta Elia, il quale "non dichiarerà puro o impuro chicchessia,
né allontanerà o avvicinerà se non, rispettivamente, coloro che si sono
imposti con la violenza e coloro che sono stati esclusi con la
violenza". Secondo altri Maestri, Elia verrà "solo per avvicinare, ma
non per allontanare". O, ancora, "esclusivamente per comporre le
polemiche più distruttive". Oppure, ed è l'opinione della maggioranza
dei Maestri, "né per allontanare né per avvicinare, ma per imporre la
pace nel mondo", in ciò appoggiandosi e richiamando le parole di
Malachia (3,23-24), secondo cui l'obiettivo principale del profeta
Elia, nella sua venuta, sarà quello di operare una riconciliazione
universale tra tutte le creature.
Se rav Giuseppe Laras ha voluto concludere così i due tomi della sua
storia del pensiero ebraico ("Ricordati dei giorni del mondo", Edizioni
Dehoniane Bologna) un motivo ci dovrà pur essere. Proviamo a cercarlo e
riflettiamoci.
Stefano Jesurum, giornalista
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Spielberg, Obama e noi |
Il
regista ebreo americano Steven Spielberg si è impegnato per la memoria
della Shoah come pochi altri, basti ricordare il film Schindler’s list
e la colossale opera di interviste ai sopravvissuti ai campi di
sterminio.
Il regista ebreo americano Steven Spielberg - a quanto riporta il
Corriere della sera - intende impegnarsi con il presidente Obama per la
realizzazione di una Fondazione che raccolga testi e documenti
riguardanti la sua presidenza.
Viene facile domandarsi cosa farà Steven Spielberg quando dovrà
documentare le memorie del presidente Obama riguardo all’accordo con
l’Iran.
Appare sempre più forte la dicotomia tra l’ebraismo europeo e quello
americano. Da una parte un ebraismo che dice chiaramente che la nostra
identità è Israele, con ebrei francesi, italiani, e inglesi che
manifestano per le strade – in molti casi anche a costo di grandi
rischi – con la bandiera della Medinah.
Non mi sembra una caso che Fiamma Nirenstein sia stata nominata
ambasciatrice in Italia – e non mi riferisco al fatto che sia nata in
Italia – ma alla fortissima identità sionista che caratterizza le
comunità ebraiche europee e quindi i loro leader.
Vi è poi un ebraismo americano che – salvo alcune significative
eccezioni – volta le spalle a Israele. Se i figli e i nipoti della
Shoah avessero ancora la forza dell’identità e fratellanza ebraica che
pure hanno avuto negli anni passati, mai il presidente Obama avrebbe
potuto proporre un accordo con l’Iran come quello che ha fatto, perché
i suoi elettori si sarebbero ribellati.
Eppure il silenzio di molti ebrei americani è tremendamente assordante.
Il mio bisnonno HYD è morto insieme a sei milioni di suoi fratelli ad
Auschwitz, e quindi non posso non essere grato a Steven Spielberg per
il suo lavoro di documentazione della Shoah.
Ma io, mio fratello, e i miei cugini e i nostri figli viviamo in Eretz
Israel, e spero quindi che ci siano tante Fiamma Nirenstein che si
impegnino e urlino al mondo che mai più permetteremo una nuova Shoah,
con o senza il sorriso del nuovo Chamberlain.
Michele Steindler
Time out - "Rabbino, discolpati!"
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"Rabbino
discolpati!" Così, richiamando a un ben più famoso appello, potremmo
definire il tentativo di tanti personaggi del mondo ebraico che, anche
su queste colonne, continuano a pretendere una presa di posizione dei
rabbini italiani sulle vicende terribili del mese scorso. Non basta che
lo abbiano fatto e a breve, così come non va bene che lo abbiano fatto
in linea con il rabbinato israeliano e le maggiori autorità rabbiniche
in generale. E non si capisce neanche cosa dovrebbero fare, visto che
sebbene la responsabilità collettiva sia centrale nell'ebraismo è anche
vero che non ci si può assumere le responsabilità che non si hanno.
Eppure è andata così, le terribili morti causate da estremisti
religiosi sono diventate l'opportunità per scatenare l'ennesima ondata
di polemiche contro il nostro rabbinato che pare sbagli sempre e a
prescindere. Si potrà discutere e dovremmo farlo, ma forse sarebbe il
caso di capire se certe polemiche nascano davvero per migliorare la
vita civile delle comunità ebraiche o per aumentare le divisioni e gli
scontri al suo interno.
Daniel Funaro
Leggi
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Non sarà troppo tardi
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Forse
un mattino andando in un’aria di vetro, non verso il vuoto ma per un
sentiero di montagna, d’estate alla vigilia di Shabbat, capita ad una
famigliola di incontrare un viandante un po’ sperso. Il sentiero per il
rifugio, indica la direzione il babbo della famigliola, e dal suo
accento il viandante inizia a conversare su provenienza e amicizie
locali. E scoprono, si dà il caso, di avere un conoscente in comune. Il
babbo un po’ titubante, perché la prudenza non è mai eccessiva, accenna
all'origine ebraica del conoscente nella sua piccola città. Il
viandante si sbilancia maggiormente, dichiarandosi ebreo egli stesso e
al “cento per cento”. Con stupita gioia, anche i membri della
famigliola si dichiarano ebrei, e quale occasione migliore di vedersi
la sera insieme per il Kiddush? E di conversare trovando altri legami
di amicizie comuni? Il viandante commosso osserva i ragazzini e parla,
da anziano, di come sia bello e raro trovare della gioventù ebraica
anche in piccolissime realtà.
Otto naarim conta la piccola keillah della cittadina da cui proviene la
famigliola, e la commozione del viandante nel conoscerne l’esistenza
sarebbe ancora maggiore se sapesse che di questi, tre nascono da
nonna materna non ebrea, due da madre non ebrea e tre da una ghieret.
Forse anche lui, come Montale, penserà rivolgendosi di vedere un
(piccolo) miracolo. E forse non sarà troppo tardi.
Sara Valentina Di Palma, ricercatrice
Madri d'Israele - Tchia
Se
mai vi dovesse capitare di incontrare questa donna in qualche
sconosciuta via nel nord di Israele, non esitate a darle un forte
abbraccio e a ringraziarla per ciò che fa, ogni giorno.
Tchia Ditesheim, nata a Rechovot, moglie di un commerciante svizzero,
madre di quattro figli, Madre di Israele. Provate a pensare a Superman
in versione yemenita: ecco, è proprio lei.
Capello corto, sbarazzino, scuro. Sguardo profondo, che la dice lunga sulla sua persona.
Tchia, infatti, trascorre le sue giornate in cima ad un grattacielo o
tra le fiamme di un incendio indomabile, come volontaria nelle forze
dei vigili del fuoco.
"Cominciai
quattordici anni fa, quando nel quartiere in cui abito cercavano
volontari disposti a dedicare il loro tempo per una causa comune. Mi
feci immediatamente avanti."
Sette anni fa Tchia si rese conto che non le bastava più salvare una
persona dalla minaccia delle fiamme. Tchia voleva, doveva, andare
oltre: soccorrere il ferito in questione e fornirgli tutti gli
strumenti necessari per sopravvivere alla tragedia.
"Feci così un corso per diventare paramedico e cominciai a trascorrere parte delle mie giornate sull'ambulanza."
Probabilmente le due divise riposte con cura nel guardaroba non le
erano sufficienti; due anni fa, infatti, se ne aggiunse una terza.
"L'ultima follia arrivò tutta d'un tratto, senza preavviso, senza
pensarci troppo: volevo entrare a far parte delle forze dell'ordine,
volevo diventare una poliziotta". E così fu.
Secondo Tchia la cosa più gratificante del suo 'lavoro' sono i sorrisi
delle persone, i loro occhi illuminati di una luce particolare quando
la ringraziano.
E come non ringraziarla d'altronde.
"Progetti futuri?", le domando in chiusura. Lei ride animatamente e risponde con entusiasmo trasportatore "tanti, tantissimi".
David Zebuloni
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http://moked.it/unione_informa/150819/150819.html
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