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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Michele Serra, autore di molti bei libri tra cui “Gli Sdraiati “, e della pungente rubrica “L’amaca”
su Repubblica del 18 ottobre, torna a rimestare nel conflitto
israelo-palestinese, ponendo sullo stesso piano vittime e aggressori e
riconducendo a un sedicente fanatismo religioso i motivi di ciò che non
è altro che terrorismo antiebraico. Questa volta, per farlo Serra si
inerpica, con abborracciata disinvoltura, sui sentieri della storia
ebraica, discettando sulla figura biblica di Giuseppe e sulla sua
sepoltura. Come se l’inequivocabile evocazione storica del Colosseo,
monumento e simbolo della Roma antica, potesse essere destituita, dopo
che, dal diciassettesimo secolo, assunse il carattere di luogo sacro in
memoria dei molti martiri cristiani ivi condannati al supplizio.
Sebbene sia vero che la maggior parte delle vittime ebree degli atti
terroristici palestinesi di questi ultimi giorni in Israele, uomini,
donne, bambini, indossavano divise militari o un copricapo religioso
(la kippà per i maschi e turbanti per le donne), solo perché più
facilmente identificabili come bersagli, Serra dovrebbe sapere che lo
Stato di Israele è popolato per la sua maggioranza da “laici” e da
“miscredenti”, ce ne sono anche tra i cosiddetti “coloni”. Si tratta
poi di capire cosa significhi “laicità” (si può essere credenti e
laici, come osservanti e non credenti) di cui Serra auspica un’
epidemia salvifica. La storia di Israele è da sempre una storia
complessa e la distinzione tra ciò che è “laico” e ciò che è “sacro” ,
sfugge a quelle convenzionali schematizzazioni preconfezionate evocate
surrettiziamente dal nostro graffiante opinionista, in questo caso, un
po’ troppo ‘sdraiato’ e spiaggiato sulla sua “amaca” del pregiudizio e
del luogo comune.
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Dario
Calimani,
anglista
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Non
mi sono mai interessati i risvolti positivi della sofferenza e del
male, perché quel male, a suo tempo, qualcuno lo ha pagato caro, magari
con la vita. Le grandi crisi, tuttavia, possono servire almeno a
riflettere sulle cose, e a rivedere posizioni.
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Le minacce di Hamas
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“L’Intifada
proseguirà fino alla liberazione di Gerusalemme, della Cisgiordania e
della Palestina”. È la minaccia di Hamas – così titola Repubblica – che
tenta dunque di prendere il controllo politico della spirale di
attentati sulla popolazione ebraica da parte di palestinesi e arabi
israeliani che fino a questo momento sono stati definiti solo “lupi
solitari”. L’organizzazione avrebbe anche attivato le sue cellule “in
sonno” in Cisgiordania.
Per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è quindi
“necessaria” la presenza di check-point agli ingressi e alle uscite dei
quartieri arabi di Gerusalemme. Stop invece alle nuove barriere di
cemento erette come provvedimento temporaneo per isolare le zone da cui
proviene la maggior parte dei terroristi responsabili degli attacchi
degli ultimi giorni.
Al lavoro anche le diplomazie. Il ministero degli Esteri israeliano,
riporta il Corriere, ha convocato l’ambasciatore francese Patrick
Maissonave per esprimere la “decisa opposizione” alla proposta di
Parigi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di istituire
osservatori internazionali sul Monte del Tempio. Oggi a Berlino invece
incontro tra Netanyahu e il segretario di Stato americano John Kerry,
che incontrerà anche il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen
e il re giordano Abdullah II e ieri da Madrid ha sottolineato il
diritto di Israele a difendersi, come riporta tra gli altri Avvenire.
Il Giornale cita inoltre le parole dell’ex premier italiano Silvio
Berlusconi, che ha criticato la “inaccettabile equidistanza” della
comunità internazionale “tra aggressori e aggrediti”.
Parzialità mediatica.
Sul Foglio Giulio Meotti denuncia la parzialità dei mezzi
d’informazione internazionali nel raccontare la realtà delle tensioni
di questi giorni tra israeliani e palestinesi. Ad essere riportate le
parole rivolte dall’ex presidente della rete inglese Bbc Michael Grade
ai vertici dell’azienda. “Devo oppormi – ha affermato Grade – al fatto
che promuovete l’equivalenza fra gli israeliani vittime del terrorismo
e i palestinesi che sono stati uccisi dalle forze di sicurezza
israeliane nell’atto di compiere attacchi terroristici”.
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israele
#Eatifada, cibo per la vita
La
risposta più forte al terrore? Andare a cena fuori, fare acquisti nei
luoghi affollati, servirsi dei mezzi pubblici. Andare avanti
normalmente. Come se niente sia accaduto o stia accadendo. Una lezione
che – come dimostrano i molti video diffusi in rete – pervade la
quotidianità israeliana e il comportamento di molti suoi cittadini. E
così, dove la sera prima vittime innocenti cadevano al suolo, oggi
centinaia di giovani cantano stretti in un unico abbraccio
testimoniando al mondo la propria voglia di vivere e il proprio
disprezzo della violenza. Il confine appare così inequivocabile,
davanti a occhi sinceri: da una parte chi arma o si immola per
l’Intifada, dall’altra chi crede in una assai più pacifica #Eatifada.
Lo ricorda ad esempio il titolo di una iniziativa, lanciata attraverso
i social network, che chiama a raccolta questo straordinario serbatoio
di coraggio, dinamismo, speranza. “Andate nei negozi e nei ristoranti
delle città colpite dal terrorismo. Fate un video e mandatecelo.
Incoraggiate i vostri amici a fare lo stesso” l’invito formulato dagli
animatori di #Eatifada.
Sempre il cibo, e l'idea di consumarlo in amicizia e senza paure, ha
spinto un ristoratore di Netanya a farsi avanti con una simbolica
proposta: sconto del cinquanta per cento su tutte le portate del suo
hummus bar ai clienti arabi ed ebrei che scelgono di condividere il
pasto allo stesso tavolo. “Hai paura degli arabi? Hai paura degli
ebrei? Non ti devi preoccupare, qua non ci sono. Né arabi, né ebrei.
Soltanto esseri umani” recita un cartello posto all’ingresso.
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premio letterario adei - katja petrowskaja
"Scrivo per colmare un vuoto"
Far
conoscere la multiforme realtà ebraica contemporanea attraverso il
potere della letteratura: questo la sfida che ha caratterizzato, 15
anni, fa l’istituzione del premio letterario dell’Adei Wizo,
l’associazione donne ebree d’Italia. Un ampio lasso di tempo in cui la
giuria del concorso (intitolato oggi alla memoria di Adelina Della
Pergola) ha vagliato oltre 500 titoli, scegliendo di premiare per il
2015 “Forse Esther” (ed. Adelphi), il caso letterario firmato dalla
scrittrice Katja Petrowskaja. Già protagonista di una grande intervista
sul giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, Petrowskaja ha
accolto il riconoscimento nel corso di un affollato evento svoltosi
presso i Musei Capitolini. A Lia Levi, autrice de “Il braccialetto”
(ed. e/0), è andato invece il Premio Ragazzi. La duplice premiazione è
stata inquadrata nella rassegna di più ampio respiro “Immagini e
parole” proposta dall’Adei per permettere al pubblico di conoscere
attività e obiettivi dell’associazione attraverso mostre, spettacoli e
incontri culturali (la tre giorni romana, realizzata con il sostegno
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha avuto una medaglia dal
Quirinale).
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qui milano - le attività kesher
Cosa vuol dire essere Comunità
Perché
una comunità sia effettivamente tale è necessario che ciascuno agisca
per la comunità stessa, si impegni, condivida sofferenze e gioie degli
altri, metta a confronto idee e pensieri, anche litigando, anche
scontrandosi. “Il sistema delle deleghe nell'ebraismo non funziona,
ognuno ha le sue responsabilità come singolo e nei confronti degli
altri”, ricordava ieri rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano nel
corso della serata inaugurale della nuova edizione di Kesher, progetto
guidato da rav Roberto Della Rocca, responsabile dell'area Cultura ed
educazione dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Tema centrale
di questo primo e molto partecipato appuntamento di Kesher, il
significato di comunità attraverso diverse prospettive ebraiche. A
discutere e confrontarsi sul tema, oltre ai rabbanim Arbib e Della
Rocca, i Consiglieri UCEI Claudia De Benedetti e Victor Magiar assieme
a Vittorio Bendaud e Claudia Shammah. A condurre la serata il
giornalista Enrico Mentana.
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Cosa è cambiato |
Due
mesi fa, il 20 agosto, a quest’ora stavo terminando il mio test
settimanale all’Ulpan (scuola intensiva di ebraico) dell’Università di
Tel Aviv. Il pomeriggio – in agenda non ho segnato nulla – credo di
essere andato al mare, poi essere passato per il mercato comprando
qualcosa e infine aver preso un aperitivo in omaggio al weekend
incipiente. Oggi non sarebbe stato lo stesso. Alla fermata del 13, il
mio autobus di riferimento, non si può essere stralunati come chi si è
svegliato troppo presto: bisogna fare molta attenzione a chi si
avvicina, nel timore che nasconda un coltello in tasca. E poi si
scrutano gli altri passeggeri, immaginando chi di loro può essere
armato e reagire nell’emergenza.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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