David
Sciunnach,
rabbino
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“Dove Avrahàm ed Yitzhàk avevano risieduto…”(Bereshìt 32, 12).
Il grande commentatore italiano Rabbì Ovadià Sforno spiega questo verso
dicendo che il ricordo e la misericordia dei Giusti, nella terra dove
hanno risieduto, porta del bene ai loro figli concedendoli un buon nome
agli occhi degli abitanti di quello stesso luogo. Il contrario è nel
caso dei malvagi dei quali è detto (Isaia 14, 21): “Preparate il
massacro dei suoi figli a causa dell’iniquità di loro padre, perché
essi non sorgano e possiedano la terra”.
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Davide
Assael,
ricercatore
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La
retorica di guerra tenta sempre di fare una caricatura del nemico per
creare terrore e compattare di fronte alla minaccia comune. Fra le
tante che si sentono in questi giorni, uno spazio negli annali della
cronaca se lo ritaglierà di diritto questa immagine dell’invasione
islamica finalizzata a conquistare l’Europa in un inedito scenario da
battaglia di Lepanto in chiave moderna.
L’immagine di un Al Baghdadi (o chi per lui), che, come un Hitler
allucinato chiuso nel bunker, immagina di conquistare la Francia e
tutto il Continente con qualche centinaia di potenziali attentatori
suicidi è davvero divertente.
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L'ultimo saluto a Valeria
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“Niente
rabbia né paura, noi crediamo nei valori che non dividono”. A parlare,
Alberto, il padre di Valeria Solesin, uccisa lo scorso 13 novembre a
Parigi dai terroristi dell’Isis, a cui Venezia e l’Italia intera hanno
dato ieri l’ultimo in piazza San Marco. A raccontare la cerimonia, che
ha visto la partecipazione della più alte carico dello Stato, tutti i
maggiori quotidiani nazionali che rimarcano la presenza in piazza di
rappresentanti del mondo ebraico, cristiano e musulmano (Repubblica, La
Stampa, tra gli altri). Sul Corriere della Sera – che nelle pagine di
Venezia pubblica il testo dell’intervento di Alberto Solesin – Aldo
Cazzullo sottolinea le parole di rav Scialom Bahbout, rabbino capo di
Venezia, intervenuto durante la cerimonia. “I giusti non muoiono mai,
le loro azioni vivono in noi, – le parole del rav in memoria di Valeria
– tu continuerai a vivere se ognuno di noi sarà all’altezza dei tuoi
ideali di solidarietà”. Per l’imam di Venezia Hamad al Mohamad “tocca a
noi musulmani sconfiggere il terrorismo, visto che moltissime vittime
sono musulmane”. E Cazzullo ricorda nuovamente le parole di Bahbout,
“Le promesse non basta farle, bisogna mantenerle”.
Bologna, il manuale del jihadista. Nel computer di Abdelkrim Kaimoussi,
uno dei quattro marocchini recentemente espulsi dall’Italia per il loro
legame con il terrorismo, la Digos di Bologna ha trovato una sorta di
decalogo illustrato da un predicatore, scrive il Corriere della Sera,
per “organizzare la guerriglia urbana” e costruire cellule
terroristiche. Tra i loro compiti, filmare gli attentati “per garantire
il condizionamento dell’opinione pubblica mondiale e controbattere alla
propaganda nemica: ‘Nell’attentato di Mombasa – sostiene il predicatore
jihadista – i morti ebrei erano 167 invece le autorità hanno dichiarato
che i morti erano in totale 17 ; 3 ebrei e 14 kenioti’”.
Kerry e la condanna al terrorismo palestinese. “Le persone non
dovrebbero essere aggredite né con i coltelli, né con le forbici e
tantomeno investite con le auto”, ha dichiarato il Segretario di Stato
Usa John Kerry, arrivato in Israele per cercare di fermare il clima di
violenza che oramai si protrae da diverse settimane, con attacchi a
civili e soldati israeliani. Kerry ha condannato “ogni atto di
terrorismo che colpisce vite innocenti” e ribadito il diritto di
Israele di difendersi. Secondo Avvenire – il cui tono dell’articolo
sembra suggerire che la sola esistenza degli insediamenti israeliani
sia il motore degli attentati palestinesi – il Premier israeliano
Benjamin Netanyahu “starebbe spingendo gli americani a riconoscere le
colonie in cambio di alcuni piani di investimento volti a favorire
l’economia palestinese nei Territori. Netta però la posizione
dell’Amministrazione Obama”. Il Fatto riporta intanto la stretta voluta
da Gerusalemme (e non da Tel Aviv come riporta il titolo) anche sui
minorenni che prendono parte alle rivolte.
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LO SPECIALE DOSSIER DI PAGINE EBRAICHE
Parigi, l'anno del coraggio
A
pochi giorni dai drammatici fatti di Parigi il giornale dell’ebraismo
italiano Pagine Ebraiche pubblica sul numero di dicembre prossimamente
in distribuzione un ampio dossier curato da Ada Treves e vari servizi (clicca qui per consultare le pagine).
Dal racconto del giornalista israeliano inviato nelle viscere di Daesh
alla testimonianza dei giovani medici italiani in servizio negli
ospedali della Capitale francese. E ancora le analisi di Ilan
Greilsammer, Philippe Ridet, Gérard Haddad, Alain Finkielkraut, Georges
Bensoussan. Da Charlie al Bataclan molte pagine per raccontare la
ferita d’Europa e la riscossa della libertà. “Mai come oggi, in questi
giorni di minaccia e di paura, ma anche di risveglio degli ideali di
libertà e di orgoglio identitario, vogliamo ascoltare e pronunciare
chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei italiani, di cittadini,
di giornalisti” scrive il direttore Guido Vitale nell’editoriale che
apre le pagine di “Parigi, l’anno del coraggio”. Leggi
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je suis paris - pagine ebraiche
Parole chiare, le nostre armi
nella guerra al terrorismo
Mai
come oggi, in questi giorni di minaccia e di paura, ma anche di
risveglio degli ideali di libertà e di orgoglio identitario, vogliamo
ascoltare e pronunciare chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei
italiani, di cittadini, di giornalisti. In questo anno terribile che si
è aperto a Parigi con la strage nella redazione del settimanale
satirico Charlie Hebdo e che a Parigi è tornato alle porte
dell’inverno seguente con le stragi di novembre, tutti i valori che
sostengono e garantiscono la possibilità di essere davvero ebrei a
testa alta, cittadini e giornalisti sono stati minacciati. Occorrono
chiare parole di cittadini a tutti i concittadini. Per dire che la
società aperta, plurale, tollerante, libera che queste ultime
generazioni di italiani si sono conquistata al prezzo di indicibili
sacrifici, non ce la faremo portare via da quattro manovali della morte.
E per dire che non rinunceremo ai nostri ideali di libertà, di
giustizia e di tolleranza, non ci faremo vincere dalla paura, non ci
chiuderemo dietro alle nostre porte, non rinunceremo a vivere la nostra
vita. Ma non basta. Parole chiare, le stesse chiare parole scelte dal
presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna
e da molte altre voci che contano nel mondo ebraico, a cominciare dal
presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi Josef Schuster,
per dire ai musulmani cui è toccato il privilegio di condividere con
noi la libertà e il progresso dell’Europa, che il momento di scegliere
è arrivato. Oggi non si tratta, ammesso che sia mai stato opportuno o
accettabile in passato, di pietire sommessamente una formale
dissociazione dalle azioni dei terroristi, di dissociarsi
dall’antisemitismo e dall’odio per la vita che immancabilmente li
contraddistingue. Si tratta di passare ai fatti. Di imbracciare tutti
gli strumenti di cui una democrazia che si rispetti deve essere dotata
per schiacciare chi pratica l’odio. Si tratta di denunciare, di offrire
la propria piena collaborazione, di assumersi la completa
responsabilità, di assicurare alle autorità i malfattori che
assediano e minacciano la nostra società.
E occorrono chiare parole di ebrei all’interno del mondo ebraico. Se la
lezione di Parigi è in effetti determinante per ogni società che
vuole continuare a credere nel futuro e nella vita, resta un passaggio
importante anche per ognuno di noi.
Ora possiamo comprendere che quello che sta avvenendo ci impone la
conquista di una grande maturità e un vero e proprio salto di qualità
nel nostro modo di stare assieme.
La difesa dell’identità e la sicurezza non potranno certo passare
attraverso quella mutazione avvelenata che proprio le forze del terrore
sperano di ingenerare. Non siamo e non potremo mai davvero essere una
piccola minoranza accerchiata, incapace di vivere la gioia della vita
quotidiana e della nostra identità, in balia di duci cinici e
cialtroni, carica d’odio e di desiderio di vendetta. Al contrario, è
proprio restando noi stessi, conducendo rettamente la nostra vita
quotidiana, vivendo appieno la gioia della vita ebraica autentica, dei
valori di rettitudine, tolleranza e amore per lo studio che abbiamo
ricevuto integri in consegna dalle generazioni che ci hanno preceduto,
reagendo con estrema, inflessibile durezza, ma senza odio, a ogni
aggressione, che l’ebraismo della Diaspora e l’ebraismo di Israele
vinceranno uniti la terribile sfida che si trovano di fronte.
L’attacco generalizzato a un’intera civiltà, di cui siamo da sempre
orgogliosi protagonisti, ma di cui condividiamo i valori e la
responsabilità con l’insieme dei cittadini, impone al mondo ebraico di
rafforzare relazioni solide e trasparenti con le istituzioni e con
l’opinione pubblica, di costituire per tutti un modello di rettitudine
e di misura, di fornire esempi di concordia, di solidarietà, di
rigoroso rispetto dei ruoli e delle responsabilità.
E parole chiare di giornalisti ebrei a tutti gli operatori
dell’informazione. Chi finge di non vedere come gli antisemiti
minaccino l’intera collettività e non solo gli ebrei è oggi
ridicolmente messo a nudo nella sua malafede. Ma cade il velo anche su
chi non vuole vedere come coloro che minacciano i giornalisti
professionisti minaccino tutta la democrazia e costituiscano un
pericolo in primo luogo per le libere identità minoritarie.
Chi ha relativizzato la strage nella redazione di Charlie Hebdo, chi si
è affrettato a classificarla come un esecrabile attacco alla vita
umana, ma non ai cardini del nostro vivere comune, la libertà
d’espressione e la libertà di stampa, o non ha saputo capire, o non ha
voluto capire. E chi nega il valore professionale dell’informazione per
affidarsi ai cialtroni della propaganda e della demenza digitale
suscitando turbini di dicerie e puerili chiacchericci non fa altro che
rafforzare proprio quegli strumenti che, fatti alla mano, hanno
costituito il fertile terreno di ignoranza, di odio e di pregiudizio su
cui prospera il terrorismo.
In questi pochi giorni febbrili che hanno seguito i drammi di Parigi,
la redazione ha fatto del suo meglio per raccogliere parole chiare e
raccontare le storie e le idee di ebrei, di cittadini e di giornalisti
in un dossier che il lettore trova nelle pagine seguenti e negli altri
notiziari redatti ogni giorno. Ora il motto del vascello di Parigi,
“Fluctuat nec mergitur” (fende il mare in tempesta senza mai
affondare), torna a risplendere vivo su tutti i muri. Nelle vele di
quel simbolico vascello hanno da soffiare ancora più forte quei venti
della libertà che solo le chiare parole di tutti noi assieme possono
sollevare.
gv
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israele - la decisione della corte suprema
"Dignità e libertà individuali
davanti a ogni altra aspettativa"
"Questa
decisione rispetta le volontà della defunta, che includono il diritto
sul proprio corpo sancito dalla Legge fondamentale (d'Israele) sulla
Dignità umana e la libertà. May Peleg aveva espresso il desiderio
categorico, forte, coerente e inequivocabile che il suo corpo fosse
cremato dopo la morte”. Sono le parole con cui Anat Baron, giudice
della Corte Suprema d'Israele, ha messo fine alla dolorosa vicenda
processuale legata a May Peleg, attivista transgender per i diritti
lgbt che, prima di togliersi la vita, aveva disposto la propria
cremazione. Una scelta libera e consapevole, afferma la Corte, contro
cui la madre di Peleg, proveniente dagli ambienti dell'ultraortodossia
israeliana, ha cercato per vie legali di imporre la propria volontà,
ovvero la sepoltura secondo le regole della tradizione ebraica
(nell'ebraismo la cremazione del corpo è proibita) e usando il nome al
maschile della figlia, quello che lei le aveva dato alla nascita. Leggi
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il cordoglio del presidente obama
Ezra Schwartz (1997-2015)
Una
settimana fa Ezra Schwartz era un ragazzo diciottenne spensierato e
pieno di sogni: originario di Sharon, in Massachusetts, era partito in
Israele, dopo il diploma della Maimonides Highschool, per studiare in
Yeshiva e fare volontariato. Carismatico, riusciva a fare amicizia con
tutti, amava gli sport, in particolare (da bravo americano) il baseball
e football. Faceva inoltre l’animatore in un campo estivo ebraico.
Fino ad una settimana fa aveva tutta la vita davanti e non si aspettava
certo di morire lontano da casa, per mano di un terrorista palestinese
che lo ha freddato nei pressi di Gush Etzion mentre portava da mangiare
ai soldati israeliani.
Una morte tragica che si aggiunge alla dolorosa lunga lista che negli
ultimi mesi ha colpito Israele e che questa volta ha ferito anche il
cuore dell’America, dove si sono levate diverse dimostrazioni di
solidarietà.
Tra queste spicca quella del presidente Usa Barack Obama che ha
contattato la famiglia Schwartz, papà Ari e mamma Ruth, per porgere le
sue condoglianze. Leggi
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Ticketless
- La Marsigliese |
Leggo
che Rossana Rossanda, dopo gli ultimi eventi, ha dichiarato di non
sentirsela più di indicarci una linea. Pur non provando nostalgia per
il tempo in cui si dettavano le linee, pare difficile darle torto.
Andrebbe tuttavia precisato come il caos nel quale stiamo sprofondando
abbia radici lontane, molto molto lontane e la linea che Rossanda dice
di aver smarrito era già un arabesco oscuro, un segmento a zig zag
quando a lei sembrava un diritto, luminoso cammino.
Per quanto possa sembrare stravagante il caos che ci circonda si misura proprio ascoltando la Marsigliese.
È cantata a gran voce ovunque, ma non vedo in giro molti che che
abbiano il coraggio di riconoscere quanto gli ideali borghesi di
democrazia e di libertà nati dalla Rivoluzione francese siano stati
derisi nel secondo dopoguerra, come un attrezzo del passato. Anche in
Francia erano altre le fascinazioni. Capita, in queste tragiche ore,
fatte le debite proporzioni, di provare la stessa malinconia che in
Italia avvertiamo quando ascoltiamo le note di Bella Ciao ripetute
nelle più diverse situazioni, da chi nulla sa di Resistenza.
Alberto Cavaglion
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Periscopio - Pollard
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La
vicenda di Jonathan Pollard, l’ebreo americano oggi sessantunenne,
imprigionato a Washington nel novembre 1985 con l’accusa di spionaggio
a favore di Israele, condannato all’ergastolo nel 1987 e finalmente
rilasciato (sia pure in regime di libertà vigilata, e col divieto per
cinque anni di lasciare il suolo statunitense) dopo tre lunghi decenni
di prigionia, si presta a diverse valutazioni.
Dal punto di vista strettamente legale, non c’è dubbio che la condanna
sia stata tecnicamente giustificata, in quanto è vero che Pollard ha
passato a Israele numerose informazioni, relative agli armamenti dei
Paese arabi, coperte da segreto e acquisite nella sua funzione di
funzionario del Ministero della Difesa statunitense. Il suo era un
incarico altamente fiduciario e tale fiducia è risultata tradita, da
cui la severa condanna.
Francesco Lucrezi, storico
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