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25 novembre 2015 - 13 Kislev 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“Dove Avrahàm ed Yitzhàk avevano risieduto…”(Bereshìt 32, 12).
Il grande commentatore italiano Rabbì Ovadià Sforno spiega questo verso dicendo che il ricordo e la misericordia dei Giusti, nella terra dove hanno risieduto, porta del bene ai loro figli concedendoli un buon nome agli occhi degli abitanti di quello stesso luogo. Il contrario è nel caso dei malvagi dei quali è detto (Isaia 14, 21): “Preparate il massacro dei suoi figli a causa dell’iniquità di loro padre, perché essi non sorgano e possiedano la terra”.
 
Davide
Assael,
ricercatore
La retorica di guerra tenta sempre di fare una caricatura del nemico per creare terrore e compattare di fronte alla minaccia comune. Fra le tante che si sentono in questi giorni, uno spazio negli annali della cronaca se lo ritaglierà di diritto questa immagine dell’invasione islamica finalizzata a conquistare l’Europa in un inedito scenario da battaglia di Lepanto in chiave moderna.
L’immagine di un Al Baghdadi (o chi per lui), che, come un Hitler allucinato chiuso nel bunker, immagina di conquistare la Francia e tutto il Continente con qualche centinaia di potenziali attentatori suicidi è davvero divertente.
 
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L'ultimo saluto a Valeria
“Niente rabbia né paura, noi crediamo nei valori che non dividono”. A parlare, Alberto, il padre di Valeria Solesin, uccisa lo scorso 13 novembre a Parigi dai terroristi dell’Isis, a cui Venezia e l’Italia intera hanno dato ieri l’ultimo in piazza San Marco. A raccontare la cerimonia, che ha visto la partecipazione della più alte carico dello Stato, tutti i maggiori quotidiani nazionali che rimarcano la presenza in piazza di rappresentanti del mondo ebraico, cristiano e musulmano (Repubblica, La Stampa, tra gli altri). Sul Corriere della Sera – che nelle pagine di Venezia pubblica il testo dell’intervento di Alberto Solesin – Aldo Cazzullo sottolinea le parole di rav Scialom Bahbout, rabbino capo di Venezia, intervenuto durante la cerimonia. “I giusti non muoiono mai, le loro azioni vivono in noi, – le parole del rav in memoria di Valeria – tu continuerai a vivere se ognuno di noi sarà all’altezza dei tuoi ideali di solidarietà”. Per l’imam di Venezia Hamad al Mohamad “tocca a noi musulmani sconfiggere il terrorismo, visto che moltissime vittime sono musulmane”. E Cazzullo ricorda nuovamente le parole di Bahbout, “Le promesse non basta farle, bisogna mantenerle”.

Bologna, il manuale del jihadista. Nel computer di Abdelkrim Kaimoussi, uno dei quattro marocchini recentemente espulsi dall’Italia per il loro legame con il terrorismo, la Digos di Bologna ha trovato una sorta di decalogo illustrato da un predicatore, scrive il Corriere della Sera, per “organizzare la guerriglia urbana” e costruire cellule terroristiche. Tra i loro compiti, filmare gli attentati “per garantire il condizionamento dell’opinione pubblica mondiale e controbattere alla propaganda nemica: ‘Nell’attentato di Mombasa – sostiene il predicatore jihadista – i morti ebrei erano 167 invece le autorità hanno dichiarato che i morti erano in totale 17 ; 3 ebrei e 14 kenioti’”.

Kerry e la condanna al terrorismo palestinese. “Le persone non dovrebbero essere aggredite né con i coltelli, né con le forbici e tantomeno investite con le auto”, ha dichiarato il Segretario di Stato Usa John Kerry, arrivato in Israele per cercare di fermare il clima di violenza che oramai si protrae da diverse settimane, con attacchi a civili e soldati israeliani. Kerry ha condannato “ogni atto di terrorismo che colpisce vite innocenti” e ribadito il diritto di Israele di difendersi. Secondo Avvenire – il cui tono dell’articolo sembra suggerire che la sola esistenza degli insediamenti israeliani sia il motore degli attentati palestinesi – il Premier israeliano Benjamin Netanyahu “starebbe spingendo gli americani a riconoscere le colonie in cambio di alcuni piani di investimento volti a favorire l’economia palestinese nei Territori. Netta però la posizione dell’Amministrazione Obama”. Il Fatto riporta intanto la stretta voluta da Gerusalemme (e non da Tel Aviv come riporta il titolo) anche sui minorenni che prendono parte alle rivolte.
 
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  davar
LO SPECIALE DOSSIER DI PAGINE EBRAICHE
Parigi, l'anno del coraggio
A pochi giorni dai drammatici fatti di Parigi il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica sul numero di dicembre prossimamente in distribuzione un ampio dossier curato da Ada Treves e vari servizi (
clicca qui per consultare le pagine). Dal racconto del giornalista israeliano inviato nelle viscere di Daesh alla testimonianza dei giovani medici italiani in servizio negli ospedali della Capitale francese. E ancora le analisi di Ilan Greilsammer, Philippe Ridet, Gérard Haddad, Alain Finkielkraut, Georges Bensoussan. Da Charlie al Bataclan molte pagine per raccontare la ferita d’Europa e la riscossa della libertà. “Mai come oggi, in questi giorni di minaccia e di paura, ma anche di risveglio degli ideali di libertà e di orgoglio identitario, vogliamo ascoltare e pronunciare chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei italiani, di cittadini, di giornalisti” scrive il direttore Guido Vitale nell’editoriale che apre le pagine di “Parigi, l’anno del coraggio”.
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je suis paris - pagine ebraiche
Parole chiare, le nostre armi
nella guerra al terrorismo

Mai come oggi, in questi giorni di minaccia e di paura, ma anche di risveglio degli ideali di libertà e di orgoglio identitario, vogliamo ascoltare e pronunciare chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei italiani, di cittadini, di giornalisti. In questo anno terribile che si è aperto a Parigi con la strage nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e che a Parigi è tornato alle porte dell’inverno seguente con le stragi di novembre, tutti i valori che sostengono e garantiscono la possibilità di essere davvero ebrei a testa alta, cittadini e giornalisti sono stati minacciati. Occorrono chiare parole di cittadini a tutti i concittadini. Per dire che la società aperta, plurale, tollerante, libera che queste ultime generazioni di italiani si sono conquistata al prezzo di indicibili sacrifici, non ce la faremo portare via da quattro manovali della morte.
E per dire che non rinunceremo ai nostri ideali di libertà, di giustizia e di tolleranza, non ci faremo vincere dalla paura, non ci chiuderemo dietro alle nostre porte, non rinunceremo a vivere la nostra vita. Ma non basta. Parole chiare, le stesse chiare parole scelte dal presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e da molte altre voci che contano nel mondo ebraico, a cominciare dal presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi Josef Schuster, per dire ai musulmani cui è toccato il privilegio di condividere con noi la libertà e il progresso dell’Europa, che il momento di scegliere è arrivato. Oggi non si tratta, ammesso che sia mai stato opportuno o accettabile in passato, di pietire sommessamente una formale dissociazione dalle azioni dei terroristi, di dissociarsi dall’antisemitismo e dall’odio per la vita che immancabilmente li contraddistingue. Si tratta di passare ai fatti. Di imbracciare tutti gli strumenti di cui una democrazia che si rispetti deve essere dotata per schiacciare chi pratica l’odio. Si tratta di denunciare, di offrire la propria piena collaborazione, di assumersi la completa responsabilità, di assicurare alle autorità i malfattori che assediano e minacciano la nostra società.
E occorrono chiare parole di ebrei all’interno del mondo ebraico. Se la lezione di Parigi è in effetti determinante per ogni società che vuole continuare a credere nel futuro e nella vita, resta un passaggio importante anche per ognuno di noi.
Ora possiamo comprendere che quello che sta avvenendo ci impone la conquista di una grande maturità e un vero e proprio salto di qualità nel nostro modo di stare assieme.
La difesa dell’identità e la sicurezza non potranno certo passare attraverso quella mutazione avvelenata che proprio le forze del terrore sperano di ingenerare. Non siamo e non potremo mai davvero essere una piccola minoranza accerchiata, incapace di vivere la gioia della vita quotidiana e della nostra identità, in balia di duci cinici e cialtroni, carica d’odio e di desiderio di vendetta. Al contrario, è proprio restando noi stessi, conducendo rettamente la nostra vita quotidiana, vivendo appieno la gioia della vita ebraica autentica, dei valori di rettitudine, tolleranza e amore per lo studio che abbiamo ricevuto integri in consegna dalle generazioni che ci hanno preceduto, reagendo con estrema, inflessibile durezza, ma senza odio, a ogni aggressione, che l’ebraismo della Diaspora e l’ebraismo di Israele vinceranno uniti la terribile sfida che si trovano di fronte.
L’attacco generalizzato a un’intera civiltà, di cui siamo da sempre orgogliosi protagonisti, ma di cui condividiamo i valori e la responsabilità con l’insieme dei cittadini, impone al mondo ebraico di rafforzare relazioni solide e trasparenti con le istituzioni e con l’opinione pubblica, di costituire per tutti un modello di rettitudine e di misura, di fornire esempi di concordia, di solidarietà, di rigoroso rispetto dei ruoli e delle responsabilità.
E parole chiare di giornalisti ebrei a tutti gli operatori dell’informazione. Chi finge di non vedere come gli antisemiti minaccino l’intera collettività e non solo gli ebrei è oggi ridicolmente messo a nudo nella sua malafede. Ma cade il velo anche su chi non vuole vedere come coloro che minacciano i giornalisti professionisti minaccino tutta la democrazia e costituiscano un pericolo in primo luogo per le libere identità minoritarie.
Chi ha relativizzato la strage nella redazione di Charlie Hebdo, chi si è affrettato a classificarla come un esecrabile attacco alla vita umana, ma non ai cardini del nostro vivere comune, la libertà d’espressione e la libertà di stampa, o non ha saputo capire, o non ha voluto capire. E chi nega il valore professionale dell’informazione per affidarsi ai cialtroni della propaganda e della demenza digitale suscitando turbini di dicerie e puerili chiacchericci non fa altro che rafforzare proprio quegli strumenti che, fatti alla mano, hanno costituito il fertile terreno di ignoranza, di odio e di pregiudizio su cui prospera il terrorismo.
In questi pochi giorni febbrili che hanno seguito i drammi di Parigi, la redazione ha fatto del suo meglio per raccogliere parole chiare e raccontare le storie e le idee di ebrei, di cittadini e di giornalisti in un dossier che il lettore trova nelle pagine seguenti e negli altri notiziari redatti ogni giorno. Ora il motto del vascello di Parigi, “Fluctuat nec mergitur” (fende il mare in tempesta senza mai affondare), torna a risplendere vivo su tutti i muri. Nelle vele di quel simbolico vascello hanno da soffiare ancora più forte quei venti della libertà che solo le chiare parole di tutti noi assieme possono sollevare.

gv

israele - la decisione della corte suprema
"Dignità e libertà individuali
davanti a ogni altra aspettativa"
"Questa decisione rispetta le volontà della defunta, che includono il diritto sul proprio corpo sancito dalla Legge fondamentale (d'Israele) sulla Dignità umana e la libertà. May Peleg aveva espresso il desiderio categorico, forte, coerente e inequivocabile che il suo corpo fosse cremato dopo la morte”. Sono le parole con cui Anat Baron, giudice della Corte Suprema d'Israele, ha messo fine alla dolorosa vicenda processuale legata a May Peleg, attivista transgender per i diritti lgbt che, prima di togliersi la vita, aveva disposto la propria cremazione. Una scelta libera e consapevole, afferma la Corte, contro cui la madre di Peleg, proveniente dagli ambienti dell'ultraortodossia israeliana, ha cercato per vie legali di imporre la propria volontà, ovvero la sepoltura secondo le regole della tradizione ebraica (nell'ebraismo la cremazione del corpo è proibita) e usando il nome al maschile della figlia, quello che lei le aveva dato alla nascita.
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il cordoglio del presidente obama
Ezra Schwartz (1997-2015)
Una settimana fa Ezra Schwartz era un ragazzo diciottenne spensierato e pieno di sogni: originario di Sharon, in Massachusetts, era partito in Israele, dopo il diploma della Maimonides Highschool, per studiare in Yeshiva e fare volontariato. Carismatico, riusciva a fare amicizia con tutti, amava gli sport, in particolare (da bravo americano) il baseball e football. Faceva inoltre l’animatore in un campo estivo ebraico.
Fino ad una settimana fa aveva tutta la vita davanti e non si aspettava certo di morire lontano da casa, per mano di un terrorista palestinese che lo ha freddato nei pressi di Gush Etzion mentre portava da mangiare ai soldati israeliani.
Una morte tragica che si aggiunge alla dolorosa lunga lista che negli ultimi mesi ha colpito Israele e che questa volta ha ferito anche il cuore dell’America, dove si sono levate diverse dimostrazioni di solidarietà.
Tra queste spicca quella del presidente Usa Barack Obama che ha contattato la famiglia Schwartz, papà Ari e mamma Ruth, per porgere le sue condoglianze.
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pilpul
Ticketless - La Marsigliese
Leggo che Rossana Rossanda, dopo gli ultimi eventi, ha dichiarato di non sentirsela più di indicarci una linea. Pur non provando nostalgia per il tempo in cui si dettavano le linee, pare difficile darle torto. Andrebbe tuttavia precisato come il caos nel quale stiamo sprofondando abbia radici lontane, molto molto lontane e la linea che Rossanda dice di aver smarrito era già un arabesco oscuro, un segmento a zig zag quando a lei sembrava un diritto, luminoso cammino.
Per quanto possa sembrare stravagante il caos che ci circonda si misura proprio ascoltando la Marsigliese.
È cantata a gran voce ovunque, ma non vedo in giro molti che che abbiano il coraggio di riconoscere quanto gli ideali borghesi di democrazia e di libertà nati dalla Rivoluzione francese siano stati derisi nel secondo dopoguerra, come un attrezzo del passato. Anche in Francia erano altre le fascinazioni. Capita, in queste tragiche ore, fatte le debite proporzioni, di provare la stessa malinconia che in Italia avvertiamo quando ascoltiamo le note di Bella Ciao ripetute nelle più diverse situazioni, da chi nulla sa di Resistenza.


Alberto Cavaglion
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Periscopio - Pollard
La vicenda di Jonathan Pollard, l’ebreo americano oggi sessantunenne, imprigionato a Washington nel novembre 1985 con l’accusa di spionaggio a favore di Israele, condannato all’ergastolo nel 1987 e finalmente rilasciato (sia pure in regime di libertà vigilata, e col divieto per cinque anni di lasciare il suolo statunitense) dopo tre lunghi decenni di prigionia, si presta a diverse valutazioni.
Dal punto di vista strettamente legale, non c’è dubbio che la condanna sia stata tecnicamente giustificata, in quanto è vero che Pollard ha passato a Israele numerose informazioni, relative agli armamenti dei Paese arabi, coperte da segreto e acquisite nella sua funzione di funzionario del Ministero della Difesa statunitense. Il suo era un incarico altamente fiduciario e tale fiducia è risultata tradita, da cui la severa condanna.


Francesco Lucrezi, storico
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