David
Sciunnach,
rabbino
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“…
e fecero vivere i bambini” (Shemòt 1, 17). Il Midrash ci dice che
spesso nascono bambini fragili senza forza vitale che spesso dopo la
loro nascita muoiono. Le levatrici ebbero timore che il popolo
d’Israele potesse pensare che i bambini morti potessero essere stati
uccisi per mano loro. Allora pregarono e chiesero al Santo Benedetto
Egli Sia che anche quei bambini che non erano destinati a vivere a
causa della loro fragile natura rimanessero in vita. Così che nessuno
potesse dubitare di loro. Ed è proprio per questo che la Torah dice “…
e fecero vivere i bambini”.
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David
Assael,
ricercatore
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Fino ad ora Iran ed Arabia Saudita si erano fatte la guerra per procura
in Siria, Iraq ed in ogni conflitto che vede la partecipazione di Paesi
islamici. Ora, con l’esecuzione della condanna dell’Imam Nimr al Nimr,
i nodi sembrano arrivare al pettine e lo scontro si è fatto frontale.
Se un merito dobbiamo trovare ad un conflitto che può avere conseguenze
in tutto il mondo è che induce ad affrontare la principale causa che ha
permesso il prosperare dell’Isis: l’eterno scontro fra sciiti e
sunniti, che ha creato un’insanabile divisione interna al fronte
alleato, dove ognuno persegue propri interessi spesso contrapposti a
quelli dei partner. Le divergenze non sono più procrastinabili, o si
affrontano o il sistema crolla. Certo, con il Brasile e la Russia in
profonda crisi economica, la Cina che maschera una crescita sempre più
appannata, le elezioni statunitensi alle porte, il 2016 non si apre
sotto i migliori auspici.
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Teheran mostra
i muscoli |
Si
inaspriscono ancora le tensioni tra Arabia Saudita e Iran, e dunque tra
mondo sunnita e sciita, con la decisione di Teheran di bloccare i
pellegrinaggi verso la Mecca. A essa si coniuga il linguaggio esplicito
della minaccia militare, con la diffusione per la prima volta sui media
iraniani delle immagini del nuovo missile ‘Imad’, in grado di
raggiungere Riad e le altre capitali sunnite nel Golfo. La situazione
s’indurisce anche in Yemen, dove da oltre due anni l’esercito saudita
interviene direttamente contro le milizie sciite sostenute dall’Iran e
nelle ultime 48 ore ha effettuato ripetuti raid aerei (Corriere).
Ad analizzare la situazione sul Giornale è Fiamma Nirenstein, che
spiega le radici e gli sviluppi nell’attualità del conflitto tra sciiti
e sunniti. Ad accomunare le due correnti terroristiche, nell’analisi di
Furio Colombo sul Fatto Quotidiano, è la “competizione durissima
intorno al dominio della guerra e della vittoria contro Israele”.
Charlie, un anno dopo.
Sono iniziate in Francia le commemorazioni ufficiali dell’anniversario
delle stragi parigine alla redazione del settimanale satirico Charlie
Hebdo e del supermercato Hypercacher, in memoria delle cui vittime sono
state scoperte ieri delle targhe (presenti i leader ebraici nazionali e
locali). Spicca l’errore nella grafia del nome del vignettista ebreo
Georges Wolinski – nota tra gli altri La Stampa. Sul Fatto Quotidiano
un estratto dell’introduzione di Se Dio esiste, il nuovo graphic novel
del fumettista Joann Sfar, raccontato su Pagine Ebraiche di gennaio.
Capodanno da incubo a Colonia.
Sono partite novantadue denunce a Colonia dopo che la notte di
Capodanno si è trasformata in un incubo per le donne che si sono
trovate a passare tra la stazione ferroviaria e il duomo, accerchiate e
aggredite da circa un migliaio di uomini in piccoli gruppi, descritti
come giovani tra i 15 e i 35 anni, dall’aspetto nordafricano e
mediorientale. La cancelliera Angela Merkel ha espresso “indignazione”
e ha chiesto “una risposta ferma”. Lo sforzo delle autorità tedesche,
scrive il Corriere, è anche indirizzato a non permettere alle forze
populiste e xenofobe, in crescita nei sondaggi sull’onda del
malcontento anti-immigrati, di sfruttare questo gravissimo episodio.
Previsto intanto per oggi il vertice straordinario dell’Unione Europea
convocato d’urgenza dal commissario all’immigrazione, Dimitris
Avramopoulos, con i rappresentanti di Svezia, Danimarca e Germania in
seguito alla decisione di ripristinare i controlli alle frontiere in
deroga temporanea a Schengen.
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je suis paris - un anno dopo
L'ultimo sberleffo e la denuncia
dei perbenisti e degli antisemiti A
un anno esatto dal mostruoso massacro terroristico che ne ha decimato
la redazione, il settimanale satirico parigino Charlie Hebdo è in
edicola questa mattina con un memorabile numero straordinario che
impartisce una lezione di coraggio, di professionalità e di
intelligenza alla stampa di tutto il mondo. Si torna a parlare di
laicità e di libertà d’espressione e si dimostra, con molte voci e
molte matite, come la difesa di questi capisaldi della democrazia
costituisca l’unica possibile tutela contro i deliri del terrorismo
islamico.
Per essere fedele alla propria vocazione di impertinente a oltranza il
giornale pubblica una copertina quantomai provocatoria: un dio con le
mani sporche di sangue, avverte uno spiacevole disegno, sarebbe ancora
a piede libero.
Qualche ebreo si sarà forse morso le labbra, altri cittadini di buona
fede avranno magari sofferto in silenzio, ma la stampa cattolica ci
casca in pieno, esecrando questa ennesima goliardata e scivolando
consapevolmente o inconsapevolmente nella trappola censoria.
Ma al di là dei mille sberleffi che costellano le pagine di questo
numero straordinario, c’è un testo, l’editoriale del direttore Gerard
Biard, che a Charlie molti non potranno perdonare.
Il titolo porta i nomi di alcune vittime di quei momenti terribili:
Yoav Hattab, Yohan Cohen, Philippe Braham, François-Michel Saada. Ma
questi nomi appartengono a chi fu assassinato, a poche ora di distanza
dal massacro in redazione, nell’assalto islamico all’Hypercacher dove
alla vigilia dello Shabbat molti ebrei si trovavano per acquistare
qualche cibo. Nel testo Biard lascia chiaramente comprendere quale sia
la relazione fra la libertà d’espressione e la lotta all’antisemitismo
e come sia illusoria l’idea di perseguire l’una accantonando l’altra.
“Ogni
genere di esperto e di intellettuale – commenta – si è industriato a
spiegare/giustificare gli attentati contro la redazione di Charlie, poi
quelli di Parigi e di Saint Denis. Non si è invece inteso alcun
tentativo di ‘spiegazione’ per la presa di ostaggi e il massacro
all’Hyper Cacher della Porta di Vincennes, il 9 gennaio, e per la morte
di Yoav, Yohan, Philippe e Francois-Michel. Niente di diverso, del
resto, dal silenzio che ha circondato il massacro del Museo ebraico di
Bruxelles del maggio del 2014. Come se queste carneficine fossero da
dare per scontate… Per gli antisemiti e i rabbiosi antisionisti
sappiamo benissimo perché questi massacri dovrebbero essere dati per
scontati: tutti gli ebrei del mondo porterebbero secondo loro la
responsabilità della politica dello Stato di Israele. Fa molto comodo,
la geopolitica. Per tutti gli altri la spiegazione è più complicata:
Siamo talmente assuefatti all’idea che degli ebrei siano assassinati
perché sono ebrei…”.
Gli assassini antisemiti sono così finiti nel dimenticatoio del
terrorismo islamico e anche del terrorismo in generale. “È questo –
conclude il direttore di Charlie Hebdo – un grave errore, e non solo
sotto il profilo della dignità umana. Perché è il boia che decide chi è
ebreo. Il 13 novembre ne è stata la controprova. Quel giorno gli
assassini ci hanno notificato la loro decisione di considerarci tutti
ebrei”.
gv
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je suis paris - l'iniziativa
'Questo Shabbat tutti in sinagoga'
Gli ebrei francesi si mobilitano
Come
Charlie-Hebdo, l’Hypercacher di Porte de Vincennes è un “simbolo di
tutte le vite innocenti spezzate da dei fanatici che minacciano il
nostro modo di vita”. Per questo, spiega il presidente Roger Cukierman,
il Conseil Représentatif des Institutions juives de France, massima
rappresentanza ebraica del paese, ha chiamato a raccolta le autorità
insieme a tutti i cittadini francesi per una commemorazione delle
vittime dell’attentato terroristico al supermercato casher, ma anche
alla redazione del giornale satirico, nel primo anniversario dalla
strage perpetrata il 9 di gennaio scorso, che si svolgerà sabato subito
dopo la fine dello Shabbat. E mentre “il dolore è ancora vivo
nonostante sia passato un anno”, sono numerose le iniziative ebraiche
in memoria di una strage che – ha ricordato ancora Cukierman in
occasione dello scoprimento ieri da parte
del presidente della Repubblica François Hollande della targa in
memoria delle vittime dell’Hypercacher – “non riguarda solo la
Comunità, dei poliziotti e dei disegnatori, ma tutta la società”.
Insieme al Crif, tutte le maggiori istituzioni ebraiche francesi erano
rappresentate nella cerimonia di ieri, che ha visto riunirsi di fronte
a quei luoghi dolorosi anche gli ostaggi sopravvissuti e le famiglie
delle quattro vittime, Philippe Braham, Yohan Cohen, Yoav Hattab e
François-Michel Saada. Accanto a loro c’erano infatti, tra gli altri,
anche il gran rabbino di Francia Haïm Korsia e il presidente del
Consistoire Central de France Joël Mergui, insieme a Lassana Bathily,
l’impiegato musulmano dell’Hypercacher che è riuscito a nascondere
alcuni ostaggi.
Anche lo Shabbat che precederà il presidio del Crif sarà speciale. Il
Consistoire ha infatti indetto un “Hyperchabbat”, invitando tutti a
rispettare il giorno di riposo per poter riflettere sul valore della
vita e ricordare quei “quattro guardiani dello Shabbat” che l’hanno
persa un venerdì proprio facendo le compere per il giorno di festa. “È
un appello – ha detto Mergui – che lanciamo a tutte le Comunità
ebraiche di Francia, a chi è osservante ma anche a chi non ha
l’abitudine di andare in sinagoga. Andiamoci tutti, per difendere la
nostra libertà di coscienza, di credere, la libertà di essere ebrei in
Francia, di mangiare casher, di fare Shabbat e di vivere la nostra
identità”.
(Nelle immagini: in alto
lo scoprimento della targa davanti all’Hypercacher, sotto – da sinistra
– il presidente del Consitoir Joël Mergui, l’eroe dell’Hypercacher
Lassana Bathily e il presidente del Crif Roger Cuckierman)
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je suis paris - pagine ebraiche
Charlie e la menzogna islamista
“Certo
che un po’ se la sono cercata”. Sono stati in molti a pensare che la
redazione di Charlie Hebdo, colpita il 7 gennaio scorso da un attentato
durante una riunione di redazione “avesse esagerato”. In dodici, tra
cui il direttore Stèphane Charbonnier, detto Charb, e Cabu, Tignous,
Wolinski e Honoré, collaboratori storici della testata, sarebbero morti
perché “non si insulta Maometto”. Ma davvero Charlie Hebdo è stato un
giornale offensivo, blasfemo e “ostinatamente islamofobo”? Lo scorso
febbraio i sociologi Jean-François Mignot e Céline Goffette, in un
articolo pubblicato su Le
Monde e intitolato “No, Charlie Hebdo non è ossessionato dall’Islam”,
hanno cercato di capire di cosa si facesse beffe il giornale
analizzando 10 anni di prime pagine, ossia quelle dei 523 numeri
pubblicati tra il gennaio del 2005 e il 7 gennaio 2015. È vero – lo
ammettono anche gli autori della ricerca – che le prime pagine non
bastano a raccontare tutto un giornale, ma sono comunque le immagini
simbolo, e anche quelle esposte nelle edicole, accessibili a tutti,
compresi coloro che non erano abbonati. Assassini inclusi,
presumibilmente.
a.t. twitter @atrevesmoked
da Pagine Ebraiche, gennaio 2016
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je suis paris - pagine ebraiche
Ridere, la resistenza al male
Ripercorrere
da Parigi questo 2015 terribile e inquietante non suscita certo facili
ed esilaranti emozioni, eppure nello sconquasso generale di una
stagione che molto probabilmente passerà alla storia come quella della
frattura, della morte dell’ottimismo e della vita spensierata, qualcosa
cambia anche sul fronte della risata. La sfrontatezza della vignetta in
prima pagina dello Charlie Hebdo in edicola all’indomani delle stragi
di novembre (“Loro hanno le armi, noi lo champagne”, afferma spavaldo
tracannando alcolici un tale crivellato di colpi) assume in questo modo
un significato che va al di là della pura e semplice provocazione.
Proprio
la redazione del settimanale satirico preso di mira nei primi giorni
del 2015 ha costituito e continua a costituire un laboratorio dove la
risata libera e disinibita va al di là del puro sfogo nervoso e in
qualche modo fa il suo ingresso nell’universo politico. Ridere, e farlo
pubblicamente, potrebbe costituire, se non un bell’ideale, per lo meno
una forma di resistenza. E in definitiva, a giudicare dai risultati di
uno studio collettivo imponente coordinato dallo storico e specialista
di Rivoluzione francese Pierre Serna (La politique
du rire. Satires, caricature et blasphèmes. XVI-XXI siècles),
dal Rinascimento a oggi una politica del ridere si è sempre fatta
sentire. Ridere per sdrammatizzare, ma anche per sminuire, per sviare i
propri avversari.
da Pagine Ebraiche, gennaio 2016
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je suis paris - pagine ebraiche Joann Sfar, la libertà a processo
“Sette
e otto gennaio 2007. Torno ad essere uno dei disegnatori di Charlie per
seguire il processo per le caricature di Maometto. Non sono né
giornalista né disegnatore per la stampa. Vorrei prendere degli appunti
come autore di fumetti: rendere conto di tutto il dibattito, non andare
all’essenziale. (…) Sono figlio di un avvocato e mi è capitato di
frequentare molto presto i tribunali e credo che raccontare un processo
dall’inizio alla fine sia istruttivo. Per questa storia delle
caricature Philippe Val ha scelto di convocare dei grandi pensatori:
vuole un dibattito filosofico per ricordare una ennesima volta le
regole della nostra agorà democratica”. Così Joann Sfar, disegnatore,
autore, sceneggiatore e anche regista, apre Greffier, il sesto e uno dei suoi “Carnet” più noti. Tutta la serie, arrivata all’undicesimo volume con Je t’aime ma chatte
– di cui questo giornale si è occupato negli scorsi mesi insieme al
volume precedente – raccoglie appunti, pensieri, storie in un
rincorrersi di testi, segni e disegni di grande interesse, ma in
particolare in Greffier Sfar
racconta i due giorni clou di quello che è stato un vero e proprio
feuilleton giudiziario, concluso con una sentenza in cui i giudici
hanno scritto che “in una società laica e pluralista il rispetto di
tutte le fedi procede di pari passo con la libertà di criticare le
religioni, quali che siano”. Sarebbe bello sapere che il decimo “Carnet
de Joann Sfar”, Si dieu existe, che uscirà a inizio gennaio in italiano, per Lizard, fosse solo l’inizio di un’opera di traduzione completa della serie.
a.t. twitter @atrevesmoked
da Pagine Ebraiche, gennaio 2016
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JE suis paris - segnalibro "Ecco perché non sono un eroe"
È
un eroe riluttante, timido. “Non sono un eroe – ripete Lassana Bathily
– il vero eroe è colui che combatte per la pace. La gente spesso mi
chiede perché io, che sono musulmano, ho salvato degli ebrei. Io ho
aiutato degli uomini e delle donne, ho nascosto degli esseri umani che
stavano facendo la spesa. Il mio cuore ha parlato e io ho reagito”. E
per rendere chiara una volta per tutte quale fu il suo ruolo, il
ragazzo che ha commosso la Francia ha scritto un libro, pubblicato oggi
dall’editore Flammarion, dal titolo, appunto, Je ne suis pas un héros. Un
anno fa, il 9 gennaio 2015, Lassana Bathily, 25 anni, originario del
Mali e residente in Francia senza aver ancora ottenuto la cittadinanza,
si trovava nel magazzino del supermercato Hypercacher di Vincennes. Da
qualche anno lavorava lì come tuttofare ed era stimato dai suoi
colleghi; specialmente da Yohan Cohen con cui scherzava tra un turno e
l’altro. Era quasi l’ora di chiusura per il supermercato in vista
dell’entrata di Shabbat e i clienti si affrettavano a fare gli ultimi
acquisti. Fino all’irruzione del terrorista Amedy Coulibaly, un
trentenne del Mali come Bathily, affiliato ai fratelli Kouachi che due
giorni prima avevano scioccato il Paese macchiandosi del sanguinoso
attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo
(Nell’immagine, Lassana Bathily viene premiato a Los Angeles dal Simon Wiesenthal Center)
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Ticketless
- Bruxelles |
Dio esiste e vive a Bruxelles
è un film diretto da Jaco Van Dormael. Uscito in tempi non sospetti,
anteriori al coprifuoco cui la città belga è stata costretta nelle
scorse settimane, offre uno specchio surreale della società postmoderna
in cui viviamo. Ebrei se ne vedono pochi, nel film, soltanto nella
scena finale, nella catarsi in riva al mare di scorcio transitano
due-tre ebrei ortodossi, ma non è questo il punto. Comunque lo si
voglia interpretare, il film è una rivistazione della Scrittura in
chiave surreale. Il capitolo sul Cantico dei Cantici – e quello su
Esodo – è fra i meglio riusciti, certamente è la narrazione evangelica
(12 apostoli che diventano 18 come una squadra di rugby) che il regista
prende di mira, dissacrandola… ma fino ad un certo punto.
Alberto Cavaglion
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Periscopio
- Mai più |
Com’è
facile mostrarsi altruisti, sensibili e coraggiosi di fronte alle
ingiustizie del passato, ed essere contemporaneamente egoisti, cinici e
vili di fonte a quelle di oggi; indignarsi per le violenze di ieri,
(quando i cattivi sono ormai inoffensivi, sconfitti e archiviati nei
libri di storia, e le vittime sono morte, e della nostra solidarietà
possono beneficiare solo nell’Aldilà, se esiste), e fare spallucce di
fronte ai soprusi di oggi (quando i cattivi sono vivi, vegeti e
potenti, e le vittime avrebbero tanto bisogno del nostro attivo aiuto e
sostegno).
Francesco Lucrezi, storico
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