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6 gennaio 2016 - 25 Tevet 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“… e fecero vivere i bambini” (Shemòt 1, 17). Il Midrash ci dice che spesso nascono bambini fragili senza forza vitale che spesso dopo la loro nascita muoiono. Le levatrici ebbero timore che il popolo d’Israele potesse pensare che i bambini morti potessero essere stati uccisi per mano loro. Allora pregarono e chiesero al Santo Benedetto Egli Sia che anche quei bambini che non erano destinati a vivere a causa della loro fragile natura rimanessero in vita. Così che nessuno potesse dubitare di loro. Ed è proprio per questo che la Torah dice “… e fecero vivere i bambini”.
David
Assael,
ricercatore

Fino ad ora Iran ed Arabia Saudita si erano fatte la guerra per procura in Siria, Iraq ed in ogni conflitto che vede la partecipazione di Paesi islamici. Ora, con l’esecuzione della condanna dell’Imam Nimr al Nimr, i nodi sembrano arrivare al pettine e lo scontro si è fatto frontale. Se un merito dobbiamo trovare ad un conflitto che può avere conseguenze in tutto il mondo è che induce ad affrontare la principale causa che ha permesso il prosperare dell’Isis: l’eterno scontro fra sciiti e sunniti, che ha creato un’insanabile divisione interna al fronte alleato, dove ognuno persegue propri interessi spesso contrapposti a quelli dei partner. Le divergenze non sono più procrastinabili, o si affrontano o il sistema crolla. Certo, con il Brasile e la Russia in profonda crisi economica, la Cina che maschera una crescita sempre più appannata, le elezioni statunitensi alle porte, il 2016 non si apre sotto i migliori auspici.
 
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Teheran mostra
i muscoli
Si inaspriscono ancora le tensioni tra Arabia Saudita e Iran, e dunque tra mondo sunnita e sciita, con la decisione di Teheran di bloccare i pellegrinaggi verso la Mecca. A essa si coniuga il linguaggio esplicito della minaccia militare, con la diffusione per la prima volta sui media iraniani delle immagini del nuovo missile ‘Imad’, in grado di raggiungere Riad e le altre capitali sunnite nel Golfo. La situazione s’indurisce anche in Yemen, dove da oltre due anni l’esercito saudita interviene direttamente contro le milizie sciite sostenute dall’Iran e nelle ultime 48 ore ha effettuato ripetuti raid aerei (Corriere).
Ad analizzare la situazione sul Giornale è Fiamma Nirenstein, che spiega le radici e gli sviluppi nell’attualità del conflitto tra sciiti e sunniti. Ad accomunare le due correnti terroristiche, nell’analisi di Furio Colombo sul Fatto Quotidiano, è la “competizione durissima intorno al dominio della guerra e della vittoria contro Israele”.

Charlie, un anno dopo. Sono iniziate in Francia le commemorazioni ufficiali dell’anniversario delle stragi parigine alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e del supermercato Hypercacher, in memoria delle cui vittime sono state scoperte ieri delle targhe (presenti i leader ebraici nazionali e locali). Spicca l’errore nella grafia del nome del vignettista ebreo Georges Wolinski – nota tra gli altri La Stampa. Sul Fatto Quotidiano un estratto dell’introduzione di Se Dio esiste, il nuovo graphic novel del fumettista Joann Sfar, raccontato su Pagine Ebraiche di gennaio.

Capodanno da incubo a Colonia. Sono partite novantadue denunce a Colonia dopo che la notte di Capodanno si è trasformata in un incubo per le donne che si sono trovate a passare tra la stazione ferroviaria e il duomo, accerchiate e aggredite da circa un migliaio di uomini in piccoli gruppi, descritti come giovani tra i 15 e i 35 anni, dall’aspetto nordafricano e mediorientale. La cancelliera Angela Merkel ha espresso “indignazione” e ha chiesto “una risposta ferma”. Lo sforzo delle autorità tedesche, scrive il Corriere, è anche indirizzato a non permettere alle forze populiste e xenofobe, in crescita nei sondaggi sull’onda del malcontento anti-immigrati, di sfruttare questo gravissimo episodio.
Previsto intanto per oggi il vertice straordinario dell’Unione Europea convocato d’urgenza dal commissario all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, con i rappresentanti di Svezia, Danimarca e Germania in seguito alla decisione di ripristinare i controlli alle frontiere in deroga temporanea a Schengen.
 
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  davar
je suis paris - un anno dopo 
L'ultimo sberleffo e la denuncia
dei perbenisti e degli antisemiti

A un anno esatto dal mostruoso massacro terroristico che ne ha decimato la redazione, il settimanale satirico parigino Charlie Hebdo è in edicola questa mattina con un memorabile numero straordinario che impartisce una lezione di coraggio, di professionalità e di intelligenza alla stampa di tutto il mondo. Si torna a parlare di laicità e di libertà d’espressione e si dimostra, con molte voci e molte matite, come la difesa di questi capisaldi della democrazia costituisca l’unica possibile tutela contro i deliri del terrorismo islamico.
Per essere fedele alla propria vocazione di impertinente a oltranza il giornale pubblica una copertina quantomai provocatoria: un dio con le mani sporche di sangue, avverte uno spiacevole disegno, sarebbe ancora a piede libero.
Qualche ebreo si sarà forse morso le labbra, altri cittadini di buona fede avranno magari sofferto in silenzio, ma la stampa cattolica ci casca in pieno, esecrando questa ennesima goliardata e scivolando consapevolmente o inconsapevolmente nella trappola censoria.
Ma al di là dei mille sberleffi che costellano le pagine di questo numero straordinario, c’è un testo, l’editoriale del direttore Gerard Biard, che a Charlie molti non potranno perdonare.
Il titolo porta i nomi di alcune vittime di quei momenti terribili: Yoav Hattab, Yohan Cohen, Philippe Braham, François-Michel Saada. Ma questi nomi appartengono a chi fu assassinato, a poche ora di distanza dal massacro in redazione, nell’assalto islamico all’Hypercacher dove alla vigilia dello Shabbat molti ebrei si trovavano per acquistare qualche cibo. Nel testo Biard lascia chiaramente comprendere quale sia la relazione fra la libertà d’espressione e la lotta all’antisemitismo e come sia illusoria l’idea di perseguire l’una accantonando l’altra.
“Ogni genere di esperto e di intellettuale – commenta – si è industriato a spiegare/giustificare gli attentati contro la redazione di Charlie, poi quelli di Parigi e di Saint Denis. Non si è invece inteso alcun tentativo di ‘spiegazione’ per la presa di ostaggi e il massacro all’Hyper Cacher della Porta di Vincennes, il 9 gennaio, e per la morte di Yoav, Yohan, Philippe e Francois-Michel. Niente di diverso, del resto, dal silenzio che ha circondato il massacro del Museo ebraico di Bruxelles del maggio del 2014. Come se queste carneficine fossero da dare per scontate… Per gli antisemiti e i rabbiosi antisionisti sappiamo benissimo perché questi massacri dovrebbero essere dati per scontati: tutti gli ebrei del mondo porterebbero secondo loro la responsabilità della politica dello Stato di Israele. Fa molto comodo, la geopolitica. Per tutti gli altri la spiegazione è più complicata: Siamo talmente assuefatti all’idea che degli ebrei siano assassinati perché sono ebrei…”.
Gli assassini antisemiti sono così finiti nel dimenticatoio del terrorismo islamico e anche del terrorismo in generale. “È questo – conclude il direttore di Charlie Hebdo – un grave errore, e non solo sotto il profilo della dignità umana. Perché è il boia che decide chi è ebreo. Il 13 novembre ne è stata la controprova. Quel giorno gli assassini ci hanno notificato la loro decisione di considerarci tutti ebrei”.

gv

je suis paris - l'iniziativa 
'Questo Shabbat tutti in sinagoga'
Gli ebrei francesi si mobilitano

Come Charlie-Hebdo, l’Hypercacher di Porte de Vincennes è un “simbolo di tutte le vite innocenti spezzate da dei fanatici che minacciano il nostro modo di vita”. Per questo, spiega il presidente Roger Cukierman, il Conseil Représentatif des Institutions juives de France, massima rappresentanza ebraica del paese, ha chiamato a raccolta le autorità insieme a tutti i cittadini francesi per una commemorazione delle vittime dell’attentato terroristico al supermercato casher, ma anche alla redazione del giornale satirico, nel primo anniversario dalla strage perpetrata il 9 di gennaio scorso, che si svolgerà sabato subito dopo la fine dello Shabbat. E mentre “il dolore è ancora vivo nonostante sia passato un anno”, sono numerose le iniziative ebraiche in memoria di una strage che – ha ricordato ancora Cukierman in occasione dello scoprimento ieri da
parte del presidente della Repubblica François Hollande della targa in memoria delle vittime dell’Hypercacher – “non riguarda solo la Comunità, dei poliziotti e dei disegnatori, ma tutta la società”.
Insieme al Crif, tutte le maggiori istituzioni ebraiche francesi erano rappresentate nella cerimonia di ieri, che ha visto riunirsi di fronte a quei luoghi dolorosi anche gli ostaggi sopravvissuti e le famiglie delle quattro vittime, Philippe Braham, Yohan Cohen, Yoav Hattab e François-Michel Saada. Accanto a loro c’erano infatti, tra gli altri, anche il gran rabbino di Francia Haïm Korsia e il presidente del Consistoire Central de France Joël Mergui, insieme a Lassana Bathily, l’impiegato musulmano dell’Hypercacher che è riuscito a nascondere alcuni ostaggi.
Anche lo Shabbat che precederà il presidio del Crif sarà speciale. Il Consistoire ha infatti indetto un “Hyperchabbat”, invitando tutti a rispettare il giorno di riposo per poter riflettere sul valore della vita e ricordare quei “quattro guardiani dello Shabbat” che l’hanno persa un venerdì proprio facendo le compere per il giorno di festa. “È un appello – ha detto Mergui – che lanciamo a tutte le Comunità ebraiche di Francia, a chi è osservante ma anche a chi non ha l’abitudine di andare in sinagoga. Andiamoci tutti, per difendere la nostra libertà di coscienza, di credere, la libertà di essere ebrei in Francia, di mangiare casher, di fare Shabbat e di vivere la nostra identità”.

(Nelle immagini: in alto lo scoprimento della targa davanti all’Hypercacher, sotto – da sinistra – il presidente del Consitoir Joël Mergui, l’eroe dell’Hypercacher Lassana Bathily e il presidente del Crif Roger Cuckierman)
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je suis paris - pagine ebraiche
Charlie e la menzogna islamista 
“Certo che un po’ se la sono cercata”. Sono stati in molti a pensare che la redazione di Charlie Hebdo, colpita il 7 gennaio scorso da un attentato durante una riunione di redazione “avesse esagerato”. In dodici, tra cui il direttore Stèphane Charbonnier, detto Charb, e Cabu, Tignous, Wolinski e Honoré, collaboratori storici della testata, sarebbero morti perché “non si insulta Maometto”. Ma davvero Charlie Hebdo è stato un giornale offensivo, blasfemo e “ostinatamente islamofobo”? Lo scorso febbraio i sociologi Jean-François Mignot e Céline Goffette, in un articolo pubblicato su Le Monde e intitolato “No, Charlie Hebdo non è ossessionato dall’Islam”, hanno cercato di capire di cosa si facesse beffe il giornale analizzando 10 anni di prime pagine, ossia quelle dei 523 numeri pubblicati tra il gennaio del 2005 e il 7 gennaio 2015. È vero – lo ammettono anche gli autori della ricerca – che le prime pagine non bastano a raccontare tutto un giornale, ma sono comunque le immagini simbolo, e anche quelle esposte nelle edicole, accessibili a tutti, compresi coloro che non erano abbonati. Assassini inclusi, presumibilmente.

a.t. twitter @atrevesmoked

da Pagine Ebraiche, gennaio 2016
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je suis paris - pagine ebraiche
Ridere, la resistenza al male
Ripercorrere da Parigi questo 2015 terribile e inquietante non suscita certo facili ed esilaranti emozioni, eppure nello sconquasso generale di una stagione che molto probabilmente passerà alla storia come quella della frattura, della morte dell’ottimismo e della vita spensierata, qualcosa cambia anche sul fronte della risata. La sfrontatezza della vignetta in prima pagina dello Charlie Hebdo in edicola all’indomani delle stragi di novembre (“Loro hanno le armi, noi lo champagne”, afferma spavaldo tracannando alcolici un tale crivellato di colpi) assume in questo modo un significato che va al di là della pura e semplice provocazione.
Proprio la redazione del settimanale satirico preso di mira nei primi giorni del 2015 ha costituito e continua a costituire un laboratorio dove la risata libera e disinibita va al di là del puro sfogo nervoso e in qualche modo fa il suo ingresso nell’universo politico. Ridere, e farlo pubblicamente, potrebbe costituire, se non un bell’ideale, per lo meno una forma di resistenza. E in definitiva, a giudicare dai risultati di uno studio collettivo imponente coordinato dallo storico e specialista di Rivoluzione francese Pierre Serna (La politique
du rire. Satires, caricature et blasphèmes. XVI-XXI siècles), dal Rinascimento a oggi una politica del ridere si è sempre fatta sentire. Ridere per sdrammatizzare, ma anche per sminuire, per sviare i propri avversari.

da Pagine Ebraiche, gennaio 2016

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je suis paris - pagine ebraiche
Joann Sfar, la libertà a processo
“Sette e otto gennaio 2007. Torno ad essere uno dei disegnatori di Charlie per seguire il processo per le caricature di Maometto. Non sono né giornalista né disegnatore per la stampa. Vorrei prendere degli appunti come autore di fumetti: rendere conto di tutto il dibattito, non andare all’essenziale. (…) Sono figlio di un avvocato e mi è capitato di frequentare molto presto i tribunali e credo che raccontare un processo dall’inizio alla fine sia istruttivo. Per questa storia delle caricature Philippe Val ha scelto di convocare dei grandi pensatori: vuole un dibattito filosofico per ricordare una ennesima volta le regole della nostra agorà democratica”. Così Joann Sfar, disegnatore, autore, sceneggiatore e anche regista, apre Greffier, il sesto e uno dei suoi “Carnet” più noti. Tutta la serie, arrivata all’undicesimo volume con Je t’aime ma chatte – di cui questo giornale si è occupato negli scorsi mesi insieme al volume precedente – raccoglie appunti, pensieri, storie in un rincorrersi di testi, segni e disegni di grande interesse, ma in particolare in Greffier Sfar racconta i due giorni clou di quello che è stato un vero e proprio feuilleton giudiziario, concluso con una sentenza in cui i giudici hanno scritto che “in una società laica e pluralista il rispetto di tutte le fedi procede di pari passo con la libertà di criticare le religioni, quali che siano”. Sarebbe bello sapere che il decimo “Carnet de Joann Sfar”, Si dieu existe, che uscirà a inizio gennaio in italiano, per Lizard, fosse solo l’inizio di un’opera di traduzione completa della serie.

a.t. twitter @atrevesmoked

da Pagine Ebraiche, gennaio 2016

JE suis paris - segnalibro
"Ecco perché non sono un eroe"
È un eroe riluttante, timido. “Non sono un eroe – ripete Lassana Bathily – il vero eroe è colui che combatte per la pace. La gente spesso mi chiede perché io, che sono musulmano, ho salvato degli ebrei. Io ho aiutato degli uomini e delle donne, ho nascosto degli esseri umani che stavano facendo la spesa. Il mio cuore ha parlato e io ho reagito”. E per rendere chiara una volta per tutte quale fu il suo ruolo, il ragazzo che ha commosso la Francia ha scritto un libro, pubblicato oggi dall’editore Flammarion, dal titolo, appunto, Je ne suis pas un héros. Un anno fa, il 9 gennaio 2015, Lassana Bathily, 25 anni, originario del Mali e residente in Francia senza aver ancora ottenuto la cittadinanza, si trovava nel magazzino del supermercato Hypercacher di Vincennes. Da qualche anno lavorava lì come tuttofare ed era stimato dai suoi colleghi; specialmente da Yohan Cohen con cui scherzava tra un turno e l’altro. Era quasi l’ora di chiusura per il supermercato in vista dell’entrata di Shabbat e i clienti si affrettavano a fare gli ultimi acquisti. Fino all’irruzione del terrorista Amedy Coulibaly, un trentenne del Mali come Bathily, affiliato ai fratelli Kouachi che due giorni prima avevano scioccato il Paese macchiandosi del sanguinoso attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo

(Nell’immagine, Lassana Bathily viene premiato a Los Angeles dal Simon Wiesenthal Center)

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 israele
Tel Aviv rende omaggio
a Carlo Alberto Viterbo

Avvocato, linguista, dirigente comunitario, giornalista. Una figura straordinaria, anche per il ruolo che ebbe nel mettere in relazione culture e mondi diversi.
Commosso e partecipato omaggio, a Tel Aviv, alla memoria di Carlo Alberto Viterbo (1889-1974).
Coordinato da Jack Arbib con la partecipazione di Barbara Tagliacozzo e della neo addetta culturale Elena Loewenthal, l'incontro si è svolto nei locali dell'Istituto Italiano di Cultura ed è stato arricchito dalla presentazione del libro di recente uscita Il giorno del ritorno che verrà (ed. Aska), raccolta di lettere scritte da Viterbo nel campo di internamento di Urbisaglia.
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pilpul
Ticketless - Bruxelles
Dio esiste e vive a Bruxelles è un film diretto da Jaco Van Dormael. Uscito in tempi non sospetti, anteriori al coprifuoco cui la città belga è stata costretta nelle scorse settimane, offre uno specchio surreale della società postmoderna in cui viviamo. Ebrei se ne vedono pochi, nel film, soltanto nella scena finale, nella catarsi in riva al mare di scorcio transitano due-tre ebrei ortodossi, ma non è questo il punto. Comunque lo si voglia interpretare, il film è una rivistazione della Scrittura in chiave surreale. Il capitolo sul Cantico dei Cantici – e quello su Esodo – è fra i meglio riusciti, certamente è la narrazione evangelica (12 apostoli che diventano 18 come una squadra di rugby) che il regista prende di mira, dissacrandola… ma fino ad un certo punto.

Alberto Cavaglion
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Periscopio - Mai più
Com’è facile mostrarsi altruisti, sensibili e coraggiosi di fronte alle ingiustizie del passato, ed essere contemporaneamente egoisti, cinici e vili di fonte a quelle di oggi; indignarsi per le violenze di ieri, (quando i cattivi sono ormai inoffensivi, sconfitti e archiviati nei libri di storia, e le vittime sono morte, e della nostra solidarietà possono beneficiare solo nell’Aldilà, se esiste), e fare spallucce di fronte ai soprusi di oggi (quando i cattivi sono vivi, vegeti e potenti, e le vittime avrebbero tanto bisogno del nostro attivo aiuto e sostegno).

Francesco Lucrezi, storico
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