Paolo Sciunnach,
insegnante
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Una
delle teorie sostenute dal pensiero ebraico tradizionale a proposito
della Shoah è quella del nascondimento del volto divino (Ester Panim),
avanzata nella Torah, nei Profeti e nel Talmud, ma anche da Maimonide,
da Eliezer Berkovits, Norman Lamm, Joseph B. Soloveitchik, Abraham
Joshua Heschel, Elie Wiesel, Martin Buber, André Neher, Eliahu E.
Dessler, Emmanuel Levinas. Ragionando in termini di Provvidenza e
Presenza Divina (Ashgachah e Shechinah), si ritiene che D-o, per
ragioni legate all’esclusione di D-o da parte dell’uomo, abbia voltato
la sua faccia dal mondo (Provvidenza diretta) e in particolare dal
popolo di Israele, che per un attimo non sarebbe più stato sotto
l'occhio divino.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Un
mio compagno di banco nel mio Bet Hakenesset mi ha insegnato ieri nel
leggere la parashah di Bo come il momento della liberazione segni
l’inizio del calendario. (“Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi,
sarà per voi il primo mese dell’anno”, Es., 12, 2). Intraprendere il
processo per diventare liberi significa diventare padroni del proprio
tempo e del suo uso, ovvero responsabili delle proprie scelte.
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La visita di Bergoglio
al Tempio di Roma
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Grande
spazio sui quotidiani odierni per la visita di Bergoglio al Tempio
Maggiore di Roma, prevista per oggi pomeriggio. Nel giorno dedicato al
dialogo ebraico-cristiano, il papa argentino sarà il terzo pontefice a
recarsi alla sinagoga della Capitale, sottolinea l’Osservatore Romano.
Ad accoglierlo, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni assieme al
presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna,
al presidente della Comunità capitolina Ruth Dureghello e a una
delegazione di rappresentanti dell’ebraismo internazionale e di
Israele. Avvenire e Repubblica mettono in evidenza le parole del
presidente Gattegna alla vigilia della visita: “un’occasione storica –
afferma il presidente UCEI – per trasformare l’amicizia e il dialogo
avviati 50 anni fa con la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio
Vaticano II in un processo irreversibile di fratellanza. Non dobbiamo
sprecarla”.
Il significato dell’incontro. Tra le diverse analisi legate alla visita
di Bergoglio alla sinagoga della Capitale, Gavriel Levy, docente
emerito della Sapienza, spiega su La Stampa attraverso i 10
comandamenti l’importanza del dialogo che non essere fatto tra le
diverse religioni ma “fra uomini di diverse religioni, perché ognuno
impari a rispettare la religiosità dell’altro”. Sul quotidiano torinese
compare anche la valutazione del cardinale Walter Kasper che evidenzia
il passo avanti fatto dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II e parla
di un rapporto speciale tra ebrei e cristiani che si rinsalda con la
visita odierna. Ricorda invece sul Sole 24 Ore il messaggio inviato
assieme al presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia rav Giuseppe
Momigliano, in occasione della giornata del dialogo ebraico-cristiano,
il presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il
dialogo interreligioso Bruno Forte: “mentre rinnoviamo la nostra
fedeltà ai principi e ai precetti che, con distinte peculiarità,
caratterizzano le nostre fedi, sentiamo l’urgente necessità di ribadire
la fiducia che, proprio dal fecondo dialogo da noi intrapreso, dalla
ricerca di valori morali e spirituali condivisi nei quali operare in
sintonia”. Sul dorso romano di Repubblica, invece, il rabbino Alberto
Funaro racconta le visite dei tre papi alla sinagoga della Capitale.
Una visita in sicurezza. Tema al centro di molti quotidiani, la grande
attenzione delle autorità per garantire la massima sicurezza nel corso
dell’incontro al Tempio Maggiore. Ottocento, sottolineano il Corriere e
il Messaggero, gli agenti mobilitati per l’evento.
La Francia e la tutela degli ebrei. Repubblica racconta il clima che si
respira tra gli ebrei di Marsiglia, ultima città francese dove si è
verificato un attacco antisemita, incontrando tra gli altri Zvi Ammar,
presidente del Concistoro israelita, contestato da diverse voci della
comunità ebraica per aver invitato a non portare la kippah fuori dalla
sinagoga. “Se non avessi parlato con il cuore saremmo rimasti
nell’indifferenza generale”, afferma Ammar. Sul Mattino, invece,
parlando del boom dell’aliyah di ebrei francesi dell’ultimo periodo
(7500 le persone che nel 2015 si sono trasferiti in Israele), si
ricorda l’appello del rabbino capo di Francia rav Haim Korsia alla
“mobilitazione generale dei cittadini contro l’antisemitismo”.
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roma - a pOCHE ORE DALLA VISITA DI BERgoGLIO
Rav Di Segni: “Ebrei e cristiani,
il dialogo si costruisce per gradi”
“Questo
nuovo incontro ha due significati. Da una parte dare continuità alla
storica visita di Wojtyla e alla più recente conferma di Ratzinger.
Dall’altro rilanciare un modello di convivenza pacifica tra le
religioni in un momento in cui segnali che vanno esattamente nella
direzione opposta rischiano di travolgere l’insieme delle nostre
società e i valori su cui si fondano”. È la seconda volta che il rav
Riccardo Di Segni accoglie un papa in sinagoga. La terza volta in
assoluto invece che un pontefice varca la soglia del Tempio Maggiore.
Cosa è cambiato rispetto alle precedenti visite? Quali gli specifici
elementi di novità apportati in questa ultima circostanza? Per il
rabbino capo sarebbe fuorviante parlare soltanto di una consolidata e
amichevole abitudine che si è rinnovata. Più corretto parlare di
un’occasione più significativa di tante altre per modulare sfide e
orizzonti che appaiono sempre più irrinunciabili. “Attraversiamo
un’epoca difficile e complessa. Un’epoca in cui si avverte più che mai
l’esigenza di parlare in modo chiaro e di agire coerentemente. Le
religioni – dice – non possono e non devono sottrarsi a questo compito”.
La visita è stata
annunciata nel solco delle celebrazioni del cinquantenario della
Dichiarazione Nostra Aetate. Mezzo secolo di impegno, confronto,
coraggio. Da una parte e dall’altra. I risultati raggiunti sono
significativi?
In generale direi di sì, in particolare in campo educativo i motivi di
soddisfazione sono molti. Se oggi è venuto meno un certo insegnamento
al disprezzo antiebraico piuttosto frequente in ambito cattolico lo si
deve infatti anche e soprattutto al diverso approccio sancito nel
documento conciliare. Le cose sono cambiate radicalmente e sarebbe una
grave miopia non rendersene conto. Attenzione comunque a non lasciarsi
andare a euforia e trionfalismi ben oltre il dovuto: la strada da fare
è ancora molta. Serve prudenza, come sempre nella vita, anche se si può
e si deve essere ottimisti.
Questo papato ha impresso in qualche modo una svolta nei rapporti?
Bergoglio ha dimostrato in più circostanze la sua amicizia e la sua
vicinanza al mondo ebraico, anche attraverso l’incontro con numerose
delegazioni politiche e rabbiniche internazionali che gli hanno fatto
visita in questi tre anni di pontificato. Scherzando, si potrebbe dire
che da quelle parti ci si dovrebbe adoperare perché, tra tante chiese e
luoghi di culto, si trovi lo spazio anche per una sinagoga. Le ripetute
presenza ebraiche sembrerebbero suggerire questa necessità.
Si è trattato di incontri che hanno lasciato il segno?
Quella di Bergoglio con gli ebrei è una azione fortemente incisiva, che
ha consolidato una tradizione e un’apertura che erano già proprie dei
suoi predecessori. Non parlerei quindi di un particolare valore
aggiunto, ma anche in questo caso di una conferma. Le relazioni stesse
tra ebrei e cristiani, la cui evoluzione è oggi in senso positivo, va
interpretata e letta come un fatto graduale. Ogni cosa ha il suo tempo.
Ogni situazione è peculiare e richiede un’attenta verifica e un
confronto sincero. Soltanto così il rapporto potrà continuare a
progredire e a dare i suoi frutti.
All’interno di questa gradualità esistono però circostanze o iniziative che hanno un peso più rilevante?
Le visite dei papi in sinagoga appartengono a questa categoria, anche
per la risonanza mondiale che esse immediatamente assumono. In questo
senso Roma e la sua Comunità ebraica si confermano una porta che
diventa difficile ignorare se davvero si vuole dare concretezza. Roma
ebraica e Roma cristiana: due poli ravvicinati, due mondi in relazione
da secoli. Nel bene e nel male. Il loro è un incontro inevitabile
determinato da ragioni non solo di vicinanza geografica. C’è molto di
più. E questa visita ne è, per la terza volta, una chiara testimonianza.
Testimonianze importanti
sono anche i numerosi testi e i numerosi impegni assunti sull’altra
sponda del Tevere in questi mesi. L’ultimo dei quali il documento
licenziato in dicembre dalla Pontificia commissione per i rapporti
religiosi con l’ebraismo in cui si enuncia il particolare legame con
gli ebrei e la rinuncia alla conversione. Che impressione ha ricavato
dalla sua lettura?
Si tratta di un testo rilevante sotto molteplici punti di vista. Un
documento che non può essere ignorato e che richiede la massima
attenzione e una articolata e consapevole risposta da parte del mondo
ebraico.
A parte alcune eccezioni, non le sembra che questa risposta stia tardando ad arrivare?
All’esterno può apparire così, ma la situazione è
diversa. C’è infatti bisogno che i problemi siano approfonditi in modo
adeguato, come sta facendo ad esempio una Commissione di rabbini
europei, di cui mi onoro di far parte, che è al lavoro da alcuni mesi
sul tema delle relazioni con il mondo cattolico. Posso garantire che il
confronto è quotidiano e appassionante e che i risultati saranno
all’altezza delle sollecitazioni che ci sono giunte.
Non crede comunque che ci
sia una certa lentezza in questi processi, anche a confronto con una
élite cattolica che ha imparato a comunicare con immediatezza e
tempestività?
A verificarsi è quella che definirei l’espressione dell’asimmetria del
dialogo. Inutile girarci attorno: i numeri e le forze in campo sono
diverse. La Chiesa rappresenta oltre un miliardo di persone nel mondo,
noi siamo soltanto pochi milioni. E poi ci sono anche altre ragioni,
riconducibili principalmente a queste sfere: organizzativa, gerarchica,
dottrinale, nel rapporto storico. Una rapida analisi delle stesse porta
alla conclusione che queste lacune, se così vogliamo chiamarle, sono
inevitabili.
In un dialogo che si vuole paritario gli ebrei non rischiano così di apparire soltanto come dei soggetti passivi?
È evidente che il rischio esiste, ma la storia recente ci viene in
soccorso dimostrandoci che può non essere così. Si devono infatti
all’impegno e al nostro attivismo alcuni importanti successi, come il
chiarimento sul popolo ebraico che è “popolo di Dio” e l’allacciamento
di relazioni diplomatiche tra Vaticano e Stato di Israele. Risultati
cui non si sarebbe giunti senza un pressing, senza una nostra richiesta
di chiarimento.
Nelle stesse ore in cui la
pontificia commissione divulgava gli esiti del suo lavoro, diventava di
dominio pubblico un testo firmato da diversi rabbini che si dichiarano
ortodossi in cui si interpreta la nascita del Cristianesimo come
componente del un piano divino per la comune redenzione del mondo. Che
idea si è fatto?
È un testo che corre il rischio di essere presuntuoso, anche perché
dichiara l’intenzione dei suoi firmatari di farsi interpreti con
certezza della volontà del “nostro Padre in cielo”. Sul piano
squisitamente teologico sono diverse le espressioni e i riferimenti non
solo dubbi, ma decisamente avventati. La dimostrazione che con la
fretta spesso si va poco lontano o, ancora peggio, si possono fare dei
danni.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
Nell’immagine, il rav
Riccardo Di Segni ospite della redazione giornalistica dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane nel tradizionale seminario estivo di
Redazione aperta che si tiene a Trieste. Il ritratto è stato realizzato
per Pagine Ebraiche dal fotografo Giovanni Montenero. La foto è stata
ora selezionata dalla Comunità ebraica di Roma per realizzare la
grafica del proprio sito dedicato all’incontro con il papa.
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qui milano - il ricordo dell'attentato di parigi
Hypercacher, il coraggio di Yoav
Il
rav Benjamin Hattab, rabbino capo di Tunisi e padre di Yoav, l'eroe
dell'Hypercascher assassinato un anno fa dai terroristi islamici mentre
tentava di salvare i molti ostaggi presenti. Il rabbino capo di Milano
Alfonso Arbib. Un documentario straordinario che racconta la drammatica
vicenda della spaventosa strage parigina dettata dall'odio antisemita.
In una serata organizzata nelle sale del cinema Anteo di Milano e
condotta dal direttore della redazione giornalistica dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale, storia ed emozioni si
sommeranno per non dimenticare. Intensità e allo stesso tempo
pacatezza, e poi volontà di dialogo, spiritualità e grande voglia di
vivere. Sono queste le qualità di Yoav Hattab che hanno colpito Sabina
Fedeli, Stefania Miretti e Amelia Visintini, che hanno realizzato il
documentario Io sono Yoav, da loro autoprodotto, montato da Mescalito
Sangiovanni, e andato in onda su Rai 3. Il film sarà proiettato domani
a Milano per iniziativa della Comunità ebraica della città e sarà
preceduto da una tavola rotonda che metterà a confronto rav Hattab,
rabbino capo di Tunisi e padre di Yoav, con il rabbino capo di Milano
Arbib assieme al giornalista Riccardo Franco Levi, al direttore del
programma DOC 3 di Rai 3 Fabio Mancini, che ha trasmesso il
documentario, e le realizzatrici Miretti e Fedeli. Un’occasione che
costituisce “un primo evento per parlare di attualità e di temi
importanti da comunicare alla società per aprire le celebrazioni dei
150 anni della Comunità di Milano”, ha spiegato l’assessore comunitario
alla Cultura Gadi Schoenheit. Leggi
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Liste d’infamia |
Qual
è il senso del ripetersi della pubblicazione in rete di liste, a volte
compilate anche con una discreta bizzarria di merito, di nomi di
‘ebrei’, ‘giudei’ e di ‘sionisti’, quand’anche una parte dei menzionati
non appartenga all’uno o all’altro gruppo?
Perché alcuni personaggi, perlopiù schierati e allineati – quanto meno
in origine – nell’orizzonte della destra radicale (ma non solo) ed oggi
variamente devoti alla causa a favore dei palestinesi, e non solo (con
significative ricadute nel campo del radicalismo islamista), si
adoperano in questa attività? Non di meno, ed è un pensiero che ci
permettiamo di avanzare, le liste della vergogna non potrebbero
incontrarsi in un qualche futuro con quelle del boicottaggio dei
prodotti israeliani, come anche dei rapporti con le istituzioni
accademiche, sulla falsariga di quanto già avviene in altre parti
dell’Europa? Gli estensori delle seconde si dichiarano da sempre
estranei a qualsiasi forma di antisemitismo. Continueranno a farlo,
alcuni anche strenuamente.
Claudio Vercelli
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Il settimanAle – La bandiera |
In
centinaia, domenica scorsa, hanno marciato a Varsavia dietro alle
bandiera d’Israele, riferisce la Jewish Telegraphic Agency. La marcia,
che comprendeva canti, balli e anche bandiere polacche, era organizzata
da gruppi di simpatizzanti cristiani, preoccupati dall’ondata di
violenza, e di critiche sui media, che Israele deve fronteggiare.
L’ambasciatrice israeliana Anna Azari era contentissima, mai visto niente di simile. 70 anni dopo il pogrom di Kielce.
Alessandro Treves, neuroscienziato
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