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17 gennaio 2016 - 7 Shevat 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Paolo Sciunnach,
insegnante
Una delle teorie sostenute dal pensiero ebraico tradizionale a proposito della Shoah è quella del nascondimento del volto divino (Ester Panim), avanzata nella Torah, nei Profeti e nel Talmud, ma anche da Maimonide, da Eliezer Berkovits, Norman Lamm, Joseph B. Soloveitchik, Abraham Joshua Heschel, Elie Wiesel, Martin Buber, André Neher, Eliahu E. Dessler, Emmanuel Levinas. Ragionando in termini di Provvidenza e Presenza Divina (Ashgachah e Shechinah), si ritiene che D-o, per ragioni legate all’esclusione di D-o da parte dell’uomo, abbia voltato la sua faccia dal mondo (Provvidenza diretta) e in particolare dal popolo di Israele, che per un attimo non sarebbe più stato sotto l'occhio divino.
 
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David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Un mio compagno di banco nel mio Bet Hakenesset mi ha insegnato ieri nel leggere la parashah di Bo come il momento della liberazione segni l’inizio del calendario. (“Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno”, Es., 12, 2). Intraprendere il processo per diventare liberi significa diventare padroni del proprio tempo e del suo uso, ovvero responsabili delle proprie scelte.
 
La visita di Bergoglio
al Tempio di Roma
Grande spazio sui quotidiani odierni per la visita di Bergoglio al Tempio Maggiore di Roma, prevista per oggi pomeriggio. Nel giorno dedicato al dialogo ebraico-cristiano, il papa argentino sarà il terzo pontefice a recarsi alla sinagoga della Capitale, sottolinea l’Osservatore Romano. Ad accoglierlo, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni assieme al presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, al presidente della Comunità capitolina Ruth Dureghello e a una delegazione di rappresentanti dell’ebraismo internazionale e di Israele. Avvenire e Repubblica mettono in evidenza le parole del presidente Gattegna alla vigilia della visita: “un’occasione storica – afferma il presidente UCEI – per trasformare l’amicizia e il dialogo avviati 50 anni fa con la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II in un processo irreversibile di fratellanza. Non dobbiamo sprecarla”.

Il significato dell’incontro. Tra le diverse analisi legate alla visita di Bergoglio alla sinagoga della Capitale, Gavriel Levy, docente emerito della Sapienza, spiega su La Stampa attraverso i 10 comandamenti l’importanza del dialogo che non essere fatto tra le diverse religioni ma “fra uomini di diverse religioni, perché ognuno impari a rispettare la religiosità dell’altro”. Sul quotidiano torinese compare anche la valutazione del cardinale Walter Kasper che evidenzia il passo avanti fatto dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II e parla di un rapporto speciale tra ebrei e cristiani che si rinsalda con la visita odierna. Ricorda invece sul Sole 24 Ore il messaggio inviato assieme al presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia rav Giuseppe Momigliano, in occasione della giornata del dialogo ebraico-cristiano, il presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso Bruno Forte: “mentre rinnoviamo la nostra fedeltà ai principi e ai precetti che, con distinte peculiarità, caratterizzano le nostre fedi, sentiamo l’urgente necessità di ribadire la fiducia che, proprio dal fecondo dialogo da noi intrapreso, dalla ricerca di valori morali e spirituali condivisi nei quali operare in sintonia”. Sul dorso romano di Repubblica, invece, il rabbino Alberto Funaro racconta le visite dei tre papi alla sinagoga della Capitale.

Una visita in sicurezza. Tema al centro di molti quotidiani, la grande attenzione delle autorità per garantire la massima sicurezza nel corso dell’incontro al Tempio Maggiore. Ottocento, sottolineano il Corriere e il Messaggero, gli agenti mobilitati per l’evento.

La Francia e la tutela degli ebrei. Repubblica racconta il clima che si respira tra gli ebrei di Marsiglia, ultima città francese dove si è verificato un attacco antisemita, incontrando tra gli altri Zvi Ammar, presidente del Concistoro israelita, contestato da diverse voci della comunità ebraica per aver invitato a non portare la kippah fuori dalla sinagoga. “Se non avessi parlato con il cuore saremmo rimasti nell’indifferenza generale”, afferma Ammar. Sul Mattino, invece, parlando del boom dell’aliyah di ebrei francesi dell’ultimo periodo (7500 le persone che nel 2015 si sono trasferiti in Israele), si ricorda l’appello del rabbino capo di Francia rav Haim Korsia alla “mobilitazione generale dei cittadini contro l’antisemitismo”.
 
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  davar
roma - a pOCHE ORE DALLA VISITA DI BERgoGLIO
Rav Di Segni: “Ebrei e cristiani,
il dialogo si costruisce per gradi”

“Questo nuovo incontro ha due significati. Da una parte dare continuità alla storica visita di Wojtyla e alla più recente conferma di Ratzinger. Dall’altro rilanciare un modello di convivenza pacifica tra le religioni in un momento in cui segnali che vanno esattamente nella direzione opposta rischiano di travolgere l’insieme delle nostre società e i valori su cui si fondano”. È la seconda volta che il rav Riccardo Di Segni accoglie un papa in sinagoga. La terza volta in assoluto invece che un pontefice varca la soglia del Tempio Maggiore. Cosa è cambiato rispetto alle precedenti visite? Quali gli specifici elementi di novità apportati in questa ultima circostanza? Per il rabbino capo sarebbe fuorviante parlare soltanto di una consolidata e amichevole abitudine che si è rinnovata. Più corretto parlare di un’occasione più significativa di tante altre per modulare sfide e orizzonti che appaiono sempre più irrinunciabili. “Attraversiamo un’epoca difficile e complessa. Un’epoca in cui si avverte più che mai l’esigenza di parlare in modo chiaro e di agire coerentemente. Le religioni – dice – non possono e non devono sottrarsi a questo compito”.

La visita è stata annunciata nel solco delle celebrazioni del cinquantenario della Dichiarazione Nostra Aetate. Mezzo secolo di impegno, confronto, coraggio. Da una parte e dall’altra. I risultati raggiunti sono significativi?

In generale direi di sì, in particolare in campo educativo i motivi di soddisfazione sono molti. Se oggi è venuto meno un certo insegnamento al disprezzo antiebraico piuttosto frequente in ambito cattolico lo si deve infatti anche e soprattutto al diverso approccio sancito nel documento conciliare. Le cose sono cambiate radicalmente e sarebbe una grave miopia non rendersene conto. Attenzione comunque a non lasciarsi andare a euforia e trionfalismi ben oltre il dovuto: la strada da fare è ancora molta. Serve prudenza, come sempre nella vita, anche se si può e si deve essere ottimisti.

Questo papato ha impresso in qualche modo una svolta nei rapporti?

Bergoglio ha dimostrato in più circostanze la sua amicizia e la sua vicinanza al mondo ebraico, anche attraverso l’incontro con numerose delegazioni politiche e rabbiniche internazionali che gli hanno fatto visita in questi tre anni di pontificato. Scherzando, si potrebbe dire che da quelle parti ci si dovrebbe adoperare perché, tra tante chiese e luoghi di culto, si trovi lo spazio anche per una sinagoga. Le ripetute presenza ebraiche sembrerebbero suggerire questa necessità.

Si è trattato di incontri che hanno lasciato il segno?
 

Quella di Bergoglio con gli ebrei è una azione fortemente incisiva, che ha consolidato una tradizione e un’apertura che erano già proprie dei suoi predecessori. Non parlerei quindi di un particolare valore aggiunto, ma anche in questo caso di una conferma. Le relazioni stesse tra ebrei e cristiani, la cui evoluzione è oggi in senso positivo, va interpretata e letta come un fatto graduale. Ogni cosa ha il suo tempo. Ogni situazione è peculiare e richiede un’attenta verifica e un confronto sincero. Soltanto così il rapporto potrà continuare a progredire e a dare i suoi frutti.

All’interno di questa gradualità esistono però circostanze o iniziative che hanno un peso più rilevante?

Le visite dei papi in sinagoga appartengono a questa categoria, anche per la risonanza mondiale che esse immediatamente assumono. In questo senso Roma e la sua Comunità ebraica si confermano una porta che diventa difficile ignorare se davvero si vuole dare concretezza. Roma ebraica e Roma cristiana: due poli ravvicinati, due mondi in relazione da secoli. Nel bene e nel male. Il loro è un incontro inevitabile determinato da ragioni non solo di vicinanza geografica. C’è molto di più. E questa visita ne è, per la terza volta, una chiara testimonianza.

Testimonianze importanti sono anche i numerosi testi e i numerosi impegni assunti sull’altra sponda del Tevere in questi mesi. L’ultimo dei quali il documento licenziato in dicembre dalla Pontificia commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo in cui si enuncia il particolare legame con gli ebrei e la rinuncia alla conversione. Che impressione ha ricavato dalla sua lettura?

Si tratta di un testo rilevante sotto molteplici punti di vista. Un documento che non può essere ignorato e che richiede la massima attenzione e una articolata e consapevole risposta da parte del mondo ebraico.

A parte alcune eccezioni, non le sembra che questa risposta stia tardando ad arrivare?

All’esterno può apparire così, ma la situazione è diversa. C’è infatti bisogno che i problemi siano approfonditi in modo adeguato, come sta facendo ad esempio una Commissione di rabbini europei, di cui mi onoro di far parte, che è al lavoro da alcuni mesi sul tema delle relazioni con il mondo cattolico. Posso garantire che il confronto è quotidiano e appassionante e che i risultati saranno all’altezza delle sollecitazioni che ci sono giunte.

Non crede comunque che ci sia una certa lentezza in questi processi, anche a confronto con una élite cattolica che ha imparato a comunicare con immediatezza e tempestività?

A verificarsi è quella che definirei l’espressione dell’asimmetria del dialogo. Inutile girarci attorno: i numeri e le forze in campo sono diverse. La Chiesa rappresenta oltre un miliardo di persone nel mondo, noi siamo soltanto pochi milioni. E poi ci sono anche altre ragioni, riconducibili principalmente a queste sfere: organizzativa, gerarchica, dottrinale, nel rapporto storico. Una rapida analisi delle stesse porta alla conclusione che queste lacune, se così vogliamo chiamarle, sono inevitabili.

In un dialogo che si vuole paritario gli ebrei non rischiano così di apparire soltanto come dei soggetti passivi?

È evidente che il rischio esiste, ma la storia recente ci viene in soccorso dimostrandoci che può non essere così. Si devono infatti all’impegno e al nostro attivismo alcuni importanti successi, come il chiarimento sul popolo ebraico che è “popolo di Dio” e l’allacciamento di relazioni diplomatiche tra Vaticano e Stato di Israele. Risultati cui non si sarebbe giunti senza un pressing, senza una nostra richiesta di chiarimento.

Nelle stesse ore in cui la pontificia commissione divulgava gli esiti del suo lavoro, diventava di dominio pubblico un testo firmato da diversi rabbini che si dichiarano ortodossi in cui si interpreta la nascita del Cristianesimo come componente del un piano divino per la comune redenzione del mondo. Che idea si è fatto?

È un testo che corre il rischio di essere presuntuoso, anche perché dichiara l’intenzione dei suoi firmatari di farsi interpreti con certezza della volontà del “nostro Padre in cielo”. Sul piano squisitamente teologico sono diverse le espressioni e i riferimenti non solo dubbi, ma decisamente avventati. La dimostrazione che con la fretta spesso si va poco lontano o, ancora peggio, si possono fare dei danni.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

Nell’immagine, il rav Riccardo Di Segni ospite della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel tradizionale seminario estivo di Redazione aperta che si tiene a Trieste. Il ritratto è stato realizzato per Pagine Ebraiche dal fotografo Giovanni Montenero. La foto è stata ora selezionata dalla Comunità ebraica di Roma per realizzare la grafica del proprio sito dedicato all’incontro con il papa.

israele e le sanzioni revocate a teheran
"L'Iran resta una minaccia"
“Se non fosse stato per i nostri sforzi che hanno aperto la strada alle sanzioni su Teheran, l'Iran avrebbe ottenuto un'arma nucleare molto tempo fa”. Così il Primo ministro d'Israele Benjamin Netanyahu ha commentato, nel corso della riunione di gabinetto di inizio settimana, la notizia della revoca delle sanzioni sull'Iran. Nelle scorse ore infatti la responsabile della diplomazia europea Federica Mogherini in una conferenza stampa congiunta a Vienna, con il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, ha dato annunciato l'entrata in vigore dell’accordo sul nucleare e la conseguente sospensione delle sanzioni sul regime di Teheran sia da parte dell'Europa sia da parte degli Stati Uniti. “La posizione d'Israele è e rimane esattamente la stessa: impedire all'Iran di ottenere le armi nucleari. Ciò che è chiaro è che Teheran ora dirigerà i suoi mezzi per finanziare attività terroristiche nella regione e nel resto del mondo e Israele è pronto a gestire questa minaccia”, l'analisi di Netanyahu.
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qui milano - il ricordo dell'attentato di parigi 
Hypercacher, il coraggio di Yoav 
Il rav Benjamin Hattab, rabbino capo di Tunisi e padre di Yoav, l'eroe dell'Hypercascher assassinato un anno fa dai terroristi islamici mentre tentava di salvare i molti ostaggi presenti. Il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib. Un documentario straordinario che racconta la drammatica vicenda della spaventosa strage parigina dettata dall'odio antisemita. In una serata organizzata nelle sale del cinema Anteo di Milano e condotta dal direttore della redazione giornalistica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale, storia ed emozioni si sommeranno per non dimenticare. Intensità e allo stesso tempo pacatezza, e poi volontà di dialogo, spiritualità e grande voglia di vivere. Sono queste le qualità di Yoav Hattab che hanno colpito Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amelia Visintini, che hanno realizzato il documentario Io sono Yoav, da loro autoprodotto, montato da Mescalito Sangiovanni, e andato in onda su Rai 3. Il film sarà proiettato domani a Milano per iniziativa della Comunità ebraica della città e sarà preceduto da una tavola rotonda che metterà a confronto rav Hattab, rabbino capo di Tunisi e padre di Yoav, con il rabbino capo di Milano Arbib assieme al giornalista Riccardo Franco Levi, al direttore del programma DOC 3 di Rai 3 Fabio Mancini, che ha trasmesso il documentario, e le realizzatrici Miretti e Fedeli. Un’occasione che costituisce “un primo evento per parlare di attualità e di temi importanti da comunicare alla società per aprire le celebrazioni dei 150 anni della Comunità di Milano”, ha spiegato l’assessore comunitario alla Cultura Gadi Schoenheit.
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pilpul
Liste d’infamia
Qual è il senso del ripetersi della pubblicazione in rete di liste, a volte compilate anche con una discreta bizzarria di merito, di nomi di ‘ebrei’, ‘giudei’ e di ‘sionisti’, quand’anche una parte dei menzionati non appartenga all’uno o all’altro gruppo?
Perché alcuni personaggi, perlopiù schierati e allineati – quanto meno in origine – nell’orizzonte della destra radicale (ma non solo) ed oggi variamente devoti alla causa a favore dei palestinesi, e non solo (con significative ricadute nel campo del radicalismo islamista), si adoperano in questa attività? Non di meno, ed è un pensiero che ci permettiamo di avanzare, le liste della vergogna non potrebbero incontrarsi in un qualche futuro con quelle del boicottaggio dei prodotti israeliani, come anche dei rapporti con le istituzioni accademiche, sulla falsariga di quanto già avviene in altre parti dell’Europa? Gli estensori delle seconde si dichiarano da sempre estranei a qualsiasi forma di antisemitismo. Continueranno a farlo, alcuni anche strenuamente.

Claudio Vercelli
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Il settimanAle – La bandiera
In centinaia, domenica scorsa, hanno marciato a Varsavia dietro alle bandiera d’Israele, riferisce la Jewish Telegraphic Agency. La marcia, che comprendeva canti, balli e anche bandiere polacche, era organizzata da gruppi di simpatizzanti cristiani, preoccupati dall’ondata di violenza, e di critiche sui media, che Israele deve fronteggiare.
L’ambasciatrice israeliana Anna Azari era contentissima, mai visto niente di simile. 70 anni dopo il pogrom di Kielce.

Alessandro Treves, neuroscienziato
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