Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Recentemente
abbiamo cominciato a leggere il libro di Shemot, l'Esodo, in cui si
racconta la liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Ma liberazione totale
non c'è fino a quando non ci si può sedere sicuri, in un pub di Tel
Aviv, per festeggiare un compleanno.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Nella
parashà che abbiamo letto ieri all’inizio si dice che la via per Canaan
è la più lunga per evitare la possibilità di guerra, perché di fronte
ai combattimenti, gli ebrei “avrebbero potuto pentirsi e far ritorno in
Egitto” (Es, 13,17). Insomma la guerra era il pericolo da evitare. Ma
poi alla fine della stessa parashà la guerra arriva. È Amalec che la
porta (Es, 17,8). L’uscita dalla schiavitù verso la libertà non è mai
un processo diretto, è un percorso lungo, all’interno del quale si
danno molte prove, compresa la tentazione di “tornare indietro” e
rinunciare a creare qualcosa di nuovo.
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Ultradestre a Milano,
c'è anche l'ex ministro
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Fa
discutere la partecipazione dell’ex ministro della Difesa Mario Mauro
al convegno delle ultradestre d’Europa a Milano. “Sono un cattolico, un
popolare, onestamente conservatore” si descrive Mauro al Corriere. E
poi aggiunge: “Non sono io a dovermi giustificare, semmai gli
organizzatori che dovranno spiegare il motivo dell’invito all’inventore
di Mare Nostrum. Io porterò le mie convinzioni e il mio punto di vista
filo-occidentale e filo-Atlantico”.
Su Repubblica, ampio reportage di Paolo Rumiz sul Ghetto di Venezia.
“Pochi gli abitanti rimasti – si legge – ma bastano e avanzano i muri a
raccontare la storia, e quei muri dicono un’assenza che è più forte di
una presenza viva. In mezzo al campo, il vecchio pozzo e una fontana
gelata. In alto, case altissime, fino a sette piani, le più alte di
Venezia, segno di un affollamento (sette metri quadrati a persona) oggi
inimmaginabile. Sul lato del Rio San Girolamo, i nomi degli oltre
duecento assassinati nei lager. Sugli stipiti delle porte, l’incavo
diagonale che alloggiava la mezuzah, l’astuccio scaramantico con i
versi della Bibbia. Affacciati alla piazza, i portici con le tracce dei
banchi dei pegni. Io sono il Ghetto, dicono quelle pietre”.
Dopo l’anticipazione apparsa su Pagine Ebraiche di gennaio, anche il
Corriere recensisce il saggio Writing for Justice (‘Scrivere per la
giustizia’), opera dalla professoressa Elèna Mortara e pubblicato negli
Stati Uniti da Dartmouth College Press. Il libro tratta dell’impegno
dell’intellettuale afroamericano Victor Séjour per sensibilizzare
l’opinione pubblica sul caso di Edgardo Mortara. “Séjour era un
cattolico devoto – viene spiegato – ma giudicava inaccettabile una
simile ferita inferta al valore della famiglia”.
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nova gorica - storico incontro a valdirose Due Gorizie, una sola Memoria Cade l'ultima barriera d'Europa
Il
presidente della Fondazione Beni culturali ebraici in Italia Dario
Disegni. Il sindaco della città slovena di Nova Gorica Matej Arcon. Il
sindaco della città italiana di Gorizia Ettore Romoli. È stato un
incontro senza precedenti quello che è avvenuto a Valdirose sul confine
italosloveno, a pochi passi dal mitico posto di frontiera della Casa
rossa, teatro di tutti i drammatici avvenimenti del Novecento e ultimo
cardine della Cortina di ferro a cadere per lasciare spazio alla nuova
Europa. E le due Gorizie, un tempo ferocemente lacerate dalla frattura
della Guerra fredda, dalle rivalità politiche e da quelle etniche,
riconquistano unite la Memoria nel nome della Gorizia ebraica.
All’ingresso dell’antico cimitero ebraico, dove si conserva il ricordo
di alcuni dei grandi nomi che hanno segnato la cultura europea degli
ultimi cento anni, a cominciare dal filosofo Carlo Michelstaedter, dal
glottologo Graziadio Isaia Ascoli, dalla giornalista Carolina Luzzatto
Coen, Disegni si è unito ai sindaci delle due anime di Gorizia, quella
slovena, in cui si trova il cimitero ebraico, e quella italiana, dove
ha sede la splendida sinagoga affacciata sull’Isonzo. Un
progetto transfrontaliero di ripristino e di valorizzazione dei luoghi,
che potrebbe muovere l’impegno delle amministrazioni locali, degli enti
per la cooperazione economica, culturale e turistica al di là delle
frontiere in questo polo dove si intersecano tutte le identità europee,
quella latina, quella slava e quella germanica, potrebbe prendere il
via grazie al lavoro delle componenti coinvolte. Un progetto per
restituire alla Gorizia ebraica quell’integrità che le persecuzioni e
le tragedie anche confinarie le avevano sottratto.
All’incontro, che è stato organizzato dalla redazione giornalistica
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, oltre a Dario Disegni,
che ha ricevuto negli scorsi giorni dal ministro della Cultura Dario
Franceschini la nomina a presidente del Museo dell’ebraismo italiano
che si sta realizzando a Ferrara, hanno partecipato fra gli altri anche
il delegato del Consiglio della Comunità ebraica di Trieste Livio
Vasieri e l’architetto Andrea Morpurgo, componente del Consiglio della
Fbcei, docente di urbanistica all’Università di Madrid e autore di un
recente studio sui cimiteri ebraici in Italia.
Nelle
immagini, i sindaci di Nova Gorica Matej Arcon e di Gorizia Ettore
Romoli accolgono la delegazione ebraica a Valdirose (foto di Giovanni
Montenero) e, sotto, l’architetto Andrea Morpurgo, i due sindaci e
Dario Disegni in un momento dei colloqui.
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27 gennaio - la ricerca swg sulla percezione Memoria, il rischio dell'erosione Una riflessione si fa necessaria
L’appuntamento
con il Giorno della Memoria rappresenta ormai una realtà consolidata
nella coscienza della popolazione e il maggiore raccordo identitario di
una società italiana che stenta sempre di più a identificare valori
comuni. Ma al tempo stesso, e nonostante gli enormi sforzi che si
compiono di anno in anno nei diversi settori della società, la
percezione della Memoria appare pericolosamente minacciata e tende a
sbiadire di fronte al proliferare delle iniziative che fanno
riferimento al ricordo della Shoah e all’educazione delle nuove
generazioni contro il rischio di nuovi genocidi.
Preservare
la memoria, far sì che sia difeso al meglio un irrinunciabile presidio
di Memoria viva, richiede quindi l’urgente elaborazione di strategie
orientate più alla qualità degli interventi che alla loro quantità. A
una logica attiva, lontana dai ritualismi, dalla ripetizione retorica e
dai rischi delle espressioni vacuamente vittimistiche.
Sono
queste le prime deduzioni che è possibile trarre dal terzo rapporto
sulla percezione della Memoria nell’opinione pubblica, una ricerca
elaborata dall’istituto di ricerche SWG in collaborazione con la
redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. A
distanza di tre anni dalla prima edizione, il lavoro di ricerca si è
ora arricchito di dati comparativi che lasciano leggere non solo l’alto
e confortante livello di importanza che la cultura della Memoria ha
assunto in una componente preponderante della pubblica opinione, ma
anche la progressiva, preoccupante erosione che la percezione della
Memoria viva sta subendo nel tempo.
Un campanello d’allarme che dovrebbe essere ascoltato e dovrebbe
imporre una seria riflessione strategica per evitare il pericolo che
questo appuntamento fondamentale non sia sulla lunga distanza a finire
nel catalogo degli altri punti di raccordo identitario dell’Italia
repubblicana che hanno finito per subire un progressivo sbiadimento.
In particolare la risposta affermativa alla domanda “Lei sa quale
commemorazione ricorre il 27 gennaio” si attesta ora al 43,8 per cento
(era il 48,2 un anno fa e il 54,4 nel 2014).
Il risultato non migliora sensibilmente nemmeno di fronte alla domanda
che suggerisce una rosa di risposte possibili e quindi dovrebbe
potenzialmente facilitare una corretta percezione.
I dati della ricerca, che il notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24
anticipa oggi e saranno resi noti in ogni elemento nelle prossime ore,
fanno riferimento alle rilevazioni condotte da SWG nel triennio
2014-2016, su campioni rappresentativi di propri communiter, attraverso
rilevazioni effettuate nel periodo compreso tra il 12 e il 22 gennaio
di ogni anno, nella stagione di massima esposizione mediatica alle
tematiche tematiche prese in esame.
I campioni 2014 e 2015 erano composti da 1000 soggetti; il campione
2016 è invece composto da 1200 soggetti rappresentativi della
popolazione italiana maggiorenne.
Le domande sono state inserite all’interno di indagini più ampie che
comprendevano anche altre tematiche di tipo sociale, politico e di
costume.
Obiettivo generale dell’iniziativa è produrre un monitoraggio annuale
della percezione che gli italiani hanno del fenomeno, verificandone la
conoscenza spontanea e sollecitata, la percezione di rilevanza e il
grado di coinvolgimento.
La lettura longitudinale del dato evidenzia come nel triennio il tema
del “Giorno della Memoria” sia meno vivo nella mente degli italiani,
tanto che sia le percentuali di ricordo spontaneo che quelle di ricordo
sollecitato sono oggi inferiori al 50 per cento del campione.
Per quanto gli italiani continuino nella quasi totalità dei casi a
ritenere particolarmente importante la celebrazione del Giorno della
Memoria, negli ultimi due anni più di un quinto del campione ritiene
che ormai si sia esaurito il significato di questa iniziativa, mentre
un intervistato ogni sei ne colloca la rilevanza solo all’interno della
realtà ebraica.
Nel corso del triennio si è progressivamente ridotta la percezione che
il Giorno della Memoria sia un atto dovuto, per quanto questa
definizione sia condivisa ancora da quasi due intervistati su cinque.
Nel 2016 cresce di molto invece la percezione che si tratti di un atto
giusto, esprimendo forse una maggiore partecipazione emotiva e una
nuova sensibilità di fronte all’iniziativa.
“Questo dato – spiega Riccardo Grassi, direttore di ricerca a SWG –
sembra dunque indicare la possibilità che sia in atto un cambiamento
qualitativo della partecipazione, mentre il dato quantitativo, pur
all’interno di alcune oscillazioni, non mostra variazioni di rilievo”.
Da sottolineare, infine, il significativo aumento della percentuale di
intervistati che continua a ritenere come in Italia il sentimento
antisemita resti poco o per nulla diffuso.
gv
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A COLLOQUIO CON KATHRIN MEYER (IHRA) Rete internazionale del ricordo, l'Italia torna protagonista A
Roma per poche ore, Kathrin Meyer – segretario esecutivo della
International Holocaust Remembrance Alliance – ha incontrato venerdì
mattina il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Stefania Giannini, insieme al capo della delegazione italiana,
l’ambasciatore Sandro De Bernardin. Rete intergovernamentale che porta
trentuno paesi a confrontarsi su temi sensibili, la International
Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) ha una lunga esperienza di
ricerca e di studio che ogni giorno di più dimostra la propria
importanza.
Nata
nel 1998 come Task Force for International Cooperation on Holocaust
Education, Remembrance, and Research (ITF) per impulso del governo
svedese, l’IHRA richiama due volte all’anno tutte le delegazioni
nazionali per una settimana di riunione plenaria, che vede riuniti
ministri, ambasciatori e rappresentanti del mondo accademico suddivisi
nelle aree e commissioni su cui si concentra il lavoro dell’IHRA, che
durante tutto l’anno elabora studi e ricerche, promuove azioni concrete
di formazione e insegnamento, prepara documenti da presentare alle
organizzazioni internazionali e porta avanti un costante lavoro di
pressione sui singoli governi.
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IL TESTIMONE SI RACCONTA A PAGINE EBRAICHE Zi Pucchio, la grande emozione:
"Il calcio mi ha ridato la vita" “Il
calcio? Mi ha aiutato a ripartire, a guardare con una luce diversa al
futuro. Anche se certe ferite non le ho mai dimenticate. D’altronde,
dopo aver visto l’inferno, come avrei potuto?” Novanta anni appena
compiuti, Alberto Mieli è uno degli ultimi Testimoni italiani della
Shoah ancora in vita. Un impegno che porta avanti con generosità:
intervenendo nelle scuole, partecipando a conferenze, firmando libri.
L’ultimo dei quali, scritto a quattro mani con la nipote Ester, esce in
queste ore nelle librerie (Eravamo ebrei. Questa era la nostra unica
colpa, ed. Marsilio) e sarà presentato domani pomeriggio al Maxxi (ore
18) e mercoledì alle 17 presso la Radio Vaticana.
Autunno del ’45: Alberto torna a Roma, dopo aver vissuto l’orrore di
Auschwitz e Mauthausen. Sul suo braccio un tatuaggio impresso a fuoco:
180060, il numero con cui lo avevano marchiato i nazisti. Oggi lo
mostra senza titubanze, ma allora non era così. “Portavo nel fisico e
nell’anima le lacerazioni di quei mesi terribili – racconta – ma non
avevo voglia di darmi per vinto. E capii che non c’era tempo da
perdere. Che dovevo fare qualcosa”. Si forma e consolida un gruppo di
amici, uniti dall’amore per il calcio. L’appuntamento è all’impianto
Bruno Buozzi, in Trastevere, scenario di epiche e interminabili
partite. Furono quelli i primi passi che portarono alla nascita di
un’associazione con tutti i requisiti. Che fu molto più di un consorzio
di volenterosi atleti, quanto l’emblema di una Comunità impegnata a
risollevarsi dalle macerie. Si chiamava Stella Azzurra. La Stella era
quella di Davide, azzurro il colore di Israele.
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QUI ROMA - MEMORIE DI FAMIGLIA Di generazione in generazione Si
aprono i bauli, si sfogliano vecchi album e diari per rispettare
l’imperativo Zachor, Ricorda. Torna per il quinto anno, al centro
ebraico il Pitigliani, la fortunata iniziativa “Memorie di famiglia”
che anche in questa edizione ha visto una partecipazione vivace e
numerosa.
Ideato da Giorgia Menasci e Anna Orvieto, “Memorie di famiglia” segue
il principio ebraico della trasmissione midor ledor, di generazione in
generazione: al centro del palcoscenico nipoti e pronipoti, con il
microfono alla mano, raccontano al pubblico la testimonianza dei nonni
salvatisi durante le persecuzioni nazifasciste. Sono storie di biechi
tradimenti ma anche di straordinaria generosità, episodi di giovani che
hanno visto con i loro occhi la razzia del 16 ottobre tra le strade del
ghetto di Roma e che hanno festeggiato increduli l’arrivo degli alleati
e della Brigata Ebraica. Racconti di famiglie che hanno il nome, tra
gli altri, di Levi Mortera, Finzi e Bonfiglioli.
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QUI VENEZIA - MEMORIA
"Noi e quei valori da difendere" "Massima
apertura verso chiunque arrivi, abbia bisogno, e genuinamente, pur
volendo mantenere una propria specificità culturale, chieda di essere
parte della società, ma altrettanta assoluta fermezza nel riconoscere
che vi sono valori, primo di tutti quello della vita di ogni individuo,
che sono per noi cittadini italiani di qualsiasi provenienza,
incondizionatamente accettati e indiscutibili. Non è quindi possibile
scendere a compromessi con chi non accetta questo principio né con chi
distingue tra vita e vita e giunge, per questa via, a giustificare atti
di inaudita violenza contro soggetti inermi, vittime di atti di
terrorismo cui costretti ad assistere nel mondo. Come cittadini siamo
tutti avvertiti e responsabili del nostro futuro che dipende da noi”.
Lo ha affermato il presidente della Comunità ebraica di Venezia Paolo
Gnignati, intervenendo oggi all’apertura delle iniziative del Giorno
della Memoria al Teatro Goldoni.
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Spotlight - memoria Quando le tracce parlano Da
Tel Aviv a Colonia, da Londra a San Francisco. Da Madrid a Praga. E
molto altro ancora, inclusa naturalmente Trieste. Una vera e propria
rete di Memoria, costituitasi spontaneamente e gradualmente nel segno
di un’opera che sembra distinguersi tra molte per temi trattati,
qualità e intensità dell’impegno.
L’Orologio di Monaco, opera seconda di Mauro Caputo ispirata ai ricordi
del regista e romanziere Giorgio Pressburger, è infatti la scelta di
molti istituti di cultura, ambasciate, rappresentanze diplomatiche
italiane all’estero per questo 27 gennaio.
Presentata nella selezione ufficiale del Festival Internazionale del
Film di Roma, la pellicola porta sullo schermo una famiglia
centroeuropea in cui confluiscono i nomi dei più grandi protagonisti
della cultura otto-novecentesca. Un viaggio rivissuto con particolare
emozione da Pressburger e in cui si intrecciano storie, violenza, arte,
passioni, luoghi, colori, parole e memorie. Il racconto non solo di una
vita, ma di una cultura.
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sorgente di vita Il coraggio di Liliana
Il
racconto lucido e toccante di Liliana Segre, deportata a 13 anni con il
padre: la fallita fuga in Svizzera, l’arresto, la partenza dal binario
21 della Stazione Centrale di Milano, oggi memoriale della Shoah,
l’arrivo al campo, la selezione e il distacco dal padre, la
sopravvivenza, da sola, ad Auschwitz. Poi il ritorno e la difficile
ricostruzione di una vita, l’amore per la famiglia, i figli, la ricerca
di normalità e la difficile missione di testimone con i ragazzi delle
scuole. È il servizio di apertura della puntata di Sorgente di vita del
24 gennaio.
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La virtualità senza virtù
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Apprezzo
l’impegno devoluto alle cause di principio (non tutte, va da sé, poiché
i principi non si equivalgono così come la diversità di visuali non
implica l’equivalenza degli sguardi) ma in certi ambienti, dovrei dire
in determinati ‘habitat’, rischiano di essere solo una miscela tra
sforzi inani e defatiganti reiterazioni. A chi svolge una professione
intellettuale, peraltro oggi in genere sempre meno strutturata di
quanto non lo fosse anche solo in un passato neanche troppo lontano,
quindi precaria nella sua retribuzione così come nel suo riconoscimento
sociale, capita spesso di essere chiamato in causa per comprovare la
veridicità, o quanto meno la plausibilità, di altrui affermazioni. Le
idee pervicaci, ossia i convincimenti, che stanno a presupposto di
queste richieste, sono molteplici. La prima di esse è che chi studia sa
di più di chi non l’ha fatto. Come non essere in accordo con tale
evidenza, anche se la professione di cultura non sempre è una garanzia
assoluta, prestandosi a piegature e manipolazioni?
Claudio Vercelli
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Il SettimanAle - Visti da Beirut
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Ingenuamente
pensavo che nei miei tre giorni e mezzo a Beirut avrei raccolto e
riferito quello d’interessante che i media libanesi dicono di Israele.
Ingenuamente perché, come avrei potuto sapere anche dai loro siti
online, su Israele utilizzano tutti fonti d’agenzia, oppure riproducono
articoli da giornali occidentali. L’unica differenziazione è nella
scelta degli argomenti. Ad esempio An Nahar e Ya Libnan, che
simpatizzano per la coalizione 14 Marzo che si richiama all’ex primo
ministro (assassinato dai siriani) Rafic Hariri, riportavano con gusto
della scoperta in Israele di una cellula terroristica messa su dal
figlio di Nasrallah, la guida degli Hezbollah; notizia invece
comprensibilmente trascurata da As-Safir, che simpatizza per l’opposta
coalizione filo-Assad 8 Marzo, di cui gli Hezbollah sono componente
fondamentale. E sono proprio gli “Hezb” al centro dell’ultimo clamoroso
contorcimento della politica libanese -
Alessandro Treves, neuroscienziato
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La Memoria, i giovani |
Per
parlare con i giovani, a cominciare da mio figlio, sono abituato a
cercar di ricordare come reagivo io a mio tempo, a come le cose, dette
in un certo modo, mi entrassero da una parte per uscire dall’altra,
come quelle dette e ridette allo stesso modo finissero per avere
talvolta il risultato contrario a quello sperato. Oggi poi, con la
velocità e superficialità della comunicazione, con la massa di notizie
che diventa naturalmente indistinta penso sia anche peggio.
Mi è venuto in mente questo partecipando di anno in anno alle cerimonie
per il Giorno della Memoria, sentendolo una volta di più un qualcosa di
sostanzialmente celebrativo e retorico, chiuso in se stesso e nel suo
mantra del ricordare per non far ripetere, che ha la sua innegabile e
necessaria verità, ma anche una smentita palese dalla storia, come è
già stato messo in rilievo da pensatori, anche ebrei, ben più
autorevoli di me, e come ha fatto non molto tempo fa Elena Loewenmhal.
Sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche leggo l’intervento di Anna Foa,
che nasce dalle stesse preoccupazioni, a proposito di una mostra
innovativa all’Istituto Van Leer di Gerusalemme.
Paolo Petroni, giornalista
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