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28 gennaio 2016 - 19 Shevat 5776
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i DIRITTI CIVILI, IL DIBATTITO

Comunità LGBT, quale approccio ebraico

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“Nell’ebraismo il punto di partenza di qualsiasi dibattito che abbia a che fare con gli esseri umani è che tutti sono creati a immagine di Dio e devono quindi essere trattati con rispetto. Maestri di Torah di ogni corrente dell’ebraismo hanno promulgato decisioni molto rigorose contro lo svilimento del prossimo a cause delle sue preferenze sessuali. Questa è la prima cosa che è necessario affermare quando si parla degli approcci della Torah nei confronti della comunità LGBT”. Così rav Benny Lau, rabbino della sinagoga Ramban di Gerusalemme, cugino dell’attuale rabbino capo ashkenazita di Israele David Lau, e influente voce nel dibattito pubblico (tra l’altro protagonista di un appuntamento televisivo per presentare la parashah settimanale in onda ogni venerdì su Arutz 1), interveniva sul Jerusalem Post la scorsa estate.

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dopo la sentenza della corte usA

"Il matrimonio è uno solo"

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Il Rabbinical Council of America esprime profonda preoccupazione a proposito della sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti riguardante il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Pur riconoscendo i diritti civili di tutti coloro che vivono in un paese democratico, così come la diversità di opinioni religiose e politiche in una società multi-religiosa, l’RCA si oppone alla ridefinizione del matrimonio da parte della Corte. Il matrimonio è un’istituzione definita dalla Bibbia e dai successivi canoni religiosi, ed è sulla base della vita familiare tradizionale che la nostra società è stata costruita nel corso dei millenni.

Rabbinical Council of America

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dopo la sentenza della corte usA

"Giusto separare Stato
e religione"

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La Corte suprema degli Stati Uniti ha dichiarato che le coppie di persone dello stesso sesso possono sposarsi secondo la legge civile degli Stati Uniti. Io appoggio questa decisione.
Il mio appoggio potrebbe sembrare sorprendente, perché sono un rabbino ortodosso. Non celebro né partecipo a matrimoni tra persone dello stesso sesso, in quanto andrebbe contro ai  miei obblighi religiosi. Tuttavia la sentenza della Corte si occupa di legge civile, non di legge religiosa. Come forte sostenitore della separazione tra Stato e Chiesa, ritengo che la religione non debba dettare la legge del paese.

Avi Weiss, rabbino

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memoria

Come vive il ricordo,
settant'anni dopo

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Una mostra della primavera scorsa all’Istituto Van Leer a Gerusalemme ha posto la questione della trasmissione della memoria della Shoah oggi, una questione che si ripropone continuamente anche a noi, ebrei della Diaspora o non ebrei, studenti, insegnanti, cittadini e che anche quest’anno è presente, come un convitato di pietra, alle celebrazioni del 27 gennaio. Come rinnovare il nostro modo di ricordare la Shoah? che uso farne e in che modo trasmetterla? L’elemento di maggiore interesse di questa iniziativa israeliana è che essa è il frutto di un percorso di studio e di riflessione durato tre anni, portato avanti da un gruppo di lavoro chiamato “Transmitting Memory and Fiction”, composto da storici, ricercatori, artisti, psicoanalisti, scienziati e diretto da Michal Govrin, scrittrice, poeta e regista di teatro.


Anna Foa, storica
Pagine Ebraiche, febbraio 2016

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memoria

La ritualità e quel progetto da riconquistare

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Pur essendo figlio di reduci, il Giorno della Memoria, con i suoi riti prevedibili e inamovibili, mi procura sempre un disagio profondo, acuito negli anni. Sin dall’inizio l’ho definita una cerimonia di memoria celebrativa. Se osserviamo la struttura del rito ebraico, appare evidente la preponderanza data all’elaborazione della dimensione memoriale e, se è il caso, al suo superamento. La parte progettuale del rito è sempre prevalente. Prendiamo l’esempio del Seder di Pesach, colmo di pratiche simboliche, e vediamo chiaramente quanto poco si narri del tentato etnocidio in terra d’Egitto e quanto si insista sul processo di liberazione. Infatti la serata del Seder è chiamata la scansione dell’uscita d’Egitto. Nel rito del Giorno della Memoria non vi è nulla di progettuale, è una litania puntuale della memoria storica e questo ha anche dato origine a una ricetta demente: ricordare perché non accada più.

Haim Baharier, studioso biblico
Pagine Ebraiche, febbraio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Ogni persona ha un nome

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“Ogni persona ha un nome”, poesia si Zelda Schneersohn Mishkovky (Gerusalemme, 1914 -1984). Un’unica strofa, intima e spirituale, diventata in Israele degli anni Novanta il simbolo della ricerca per dare un volto e un nome alle vittime della Shoah (la traduzione in italiano è di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano).
                                

 

Ogni persona ha un nome
datole dal Signore
da suo padre e da sua madre
Ogni persona ha un nome
proposto dalla statura, dal sorriso sfoggiato
e da quel che indossa
Ogni persona ha un nome
datole dai monti
e dalle pareti intorno
Ogni persona ha un nome
pronunciato dagli astri
e dai vicini di casa
Ogni persona ha un nome
datole dai peccati
e inflitto dallo struggimento
Ogni persona ha un nome
assegnatole dai nemici
e dall’amore
Ogni persona ha un nome
datole dalle feste
e dal mestiere
Ogni persona ha un nome
affidatole dai tempi
e dalla vista scurita
Ogni persona ha un nome
Dato a lei
dal mare
e dalla
morte

Sarah Kaminski, Università di Torino

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