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10 febbraio 2016 - 1 Adar 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
David
Sciunnach,
rabbino
“Mi faranno un Santuario ed Io risiederò in loro ” (Shemòt 25, 8). I Maestri ci fanno notare che il termine usato dalla Torah in questo verso sarebbe dovuto essere betochò – in esso, e non betocham – in loro. Da questo ci viene insegnato dai Maestri che quando un’ebreo consacra la sua vita con lo studio della Torah e con l’osservanza delle mitzvòt, egli stesso diviene un “Santuario” ed il Santo Benedetto Egli Sia risiede in lui, come è scritto betocham – in loro.
David
Assael,
ricercatore
In questi giorni si dibatte la legge sulle unioni civili e sui media compaiono a ripetizione coppie gay di entrambi i sessi con figli concepiti in altri Paesi. Devo dire che in questo dibattito si alimenta quella sindrome da bunker culturale che sempre si respira in Italia. Così, mentre noi dibattiamo su irreparabili ferite alla morale pubblica, di declini inesorabili della nostra civiltà, di danni alla psicologia delle bambine e dei bambini, in tutto, e dico tutto, il mondo sviluppato vivono bellamente in quello che per noi appare come un tetro futuro. Un film che si ripete di fronte ad ogni possibile cambiamento, dalle questioni sul fine vita, fino alla liberalizzazione della canapa. Mi viene in mente un aneddotto raccontatomi da un amico cresciuto in Italia, poi emigrato negli Stati Uniti e tornato anni dopo a lavorare in Svizzera. Venuta a trovarlo sua madre dall’America, ha voluto andare a fare una gita a Milano, dove, appunto, aveva abitato anni prima. Tornata da lui gli ha detto: “Mimì, hanno ancora Andreotti!”.
Israele, soccorso ai
feriti siriani 
Quasi seicento siriani, per lo più combattenti delle milizie anti Assad, ma anche civili, uomini, donne e bambini, rimasti feriti sotto un bombardamento o dopo aver calpestato una mina. A curarli, medici e infermieri israeliani, a cui li hanno portati dal confine i soldati di Tzahal con le ambulanze militari. Succede all’ospedale Rivka Ziv di Safed, in Galilea, nel nord di Israele, che nonostante i difficili rapporti con la Siria accoglie i feriti della guerra fratricida che sta dilaniando il paese, la cui storia è raccontata oggi da diversi giornali italiani. “Per noi sono pazienti. Non domandiamo da che parte stanno”, la testimonianza del chirurgo Khassis Shokry riportata dal Corriere della sera.

All’ospedale di Gaza. “Hamas accoglie i terroristi di Isis a casa sua a Gaza per sottoporli, nei suoi ospedali, alle cure mediche di cui necessitano”, riporta Fiamma Nirenstein sul Giornale. “I guerrieri più feroci del mondo – scrive Nirenstein – vengono introdotti nella Striscia in cambio di denaro, di armi, di beni vari, provengono naturalmente dal Sinai attraverso i tunnel costruiti da Hamas lungo il suo confine, e vengono condotti poi all’ospedale Nasser nella città di Khan Yunis”. Il tutto mentre Hamas continua ad istigare i palestinesi a colpire Israele con attacchi suicidi e cerca di ricucire i rapporti con Fatah incontrandone i vertici a Doha.

Giulio Regeni, la Comunità ebraica al funerale. Una cerimonia semplice, informale, libera, “come Giulio”. Questo il desiderio della famiglia per i funerali di Regeni, il ricercatore italiano ucciso al Cairo. Non ci saranno dunque funerali di Stato e nessuna autorità sarà presente a Fiumicello, il paese d’origine di Giulio in provincia di Udine, ma “una cerimonia cattolica, celebrata venerdì nella palestra comunale, aperta alle comunità musulmana ed ebraica”, riporta il Corriere. “Chiederò al nostro referente udinese di andare”, sottolinea Alessandro Salonichio, presidente della Comunità ebraica di Trieste, responsabile dell’intera regione. Proseguono intanto le indagini sulla morte di Regeni, ma restano ancora molti misteri. Per gli inquirenti l’ultima chiamata del giovane è stata fatta “a un docente universitario italiano”: quel giorno doveva stare in casa, ma il telefonino è ora introvabile.
 
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  davar
la celebrazione nella comunità lombarda
Mantova, un segno per il futuro
Il Bar Mitzvah di Alessandro

La Comunità ebraica di Mantova è piccola, ma guarda al futuro e lo fa rafforzando l’identità delle nuove generazioni. A rappresentare questo passaggio di testimone, la gioiosa celebrazione da parte dell’ebraismo mantovano di un nuovo Bar Mitzvah. Ad aver raggiunto questo importante traguardo – che segna la maggiorità religiosa, celebrata a 13 anni per i ragazzi e a 12 per le ragazze – il giovane Alessandro Norsa, festeggiato dalla comunità durante una cerimonia officiata dal rabbino capo di Padova Adolfo Locci.
“È stato un momento molto toccante per tutti noi – ha commentato il presidente della Comunità ebraica di Mantova Emanuele Colorni – ed è la dimostrazione concreta della volontà della nostra comunità di mantenere vive le proprie tradizioni e i propri valori. È molto bello pensare che negli ultimi dodici mesi siano stati celebrati già tre Bar Mitzvah e che le famiglie cerchino fermamente di trasmettere l’attaccamento all’ebraismo”. “Alla festa – ha continuato Colorni – ha partecipato in forma privata anche il prefetto della città Cincarilli: per la comunità ebraica locale Mantova è una sorta di isola felice, dove i rapporti con autorità e istituzioni sono ottimi”.
Entrando nella maggiore età, Alessandro ha voluto ricordare il nonno Fabio Norsa z.l., per lunghi anni alla guida della gloriosa Comunità lombarda e consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. “Sentiamo molto la mancanza di Fabio – ha concluso Colorni – che tanto si è speso per l’ebraismo mantovano di cui è nota la gloriosa storia. In quanto attuale presidente, spero di proseguire il suo cammino con l’aiuto di giovani la cui buona volontà si sta rivelando essenziale”.

qui milano - sami incontra i giovani
Modiano: "La scuola è un diritto,
il nazifascismo me lo portò via"

Sono centinaia gli studenti che affollano il Conservatorio Verdi di Milano. In silenzio ascoltano le parole di Sami Modiano mentre con coraggio ripercorre ancora una volta l’infamia delle leggi razziste del ’38, le persecuzioni, il disumano viaggio da Rodi fino ad Auschwitz, l’ultimo saluto alla sorella e poi al padre nel lager. “Eravamo una grande famiglia. Vivevamo in pace con le altre comunità – ha ricordato Sami ai tantissimi ragazzi presenti – Io era un bambino a cui piaceva andare a scuola. Volevo sempre portare a casa buoni voti e con mia sorella facevamo a gara per essere i più bravi”.
Poi, a otto anni la felice quotidianità di Rodi, allora sotto controllo italiano, si spezza con l’avvento delle leggi razziste. “Ricordo perfettamente quel giorno. Il maestro mi chiamo alla cattedra e io andai contento. Pensavo volesse interrogarmi e invece scuro in volto e mortificato mi disse: Sami sei espulso dalla scuola. E io non capivo, perché? Perché sono diverso? Io non potevo accettare questa cosa”.
“Dovete pensare che l’esclusione dalla scuola è il più grande torto che si possa fare a un bambino”, ha sottolineato lo storico e direttore del Museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti, al fianco di Sami, assieme alla moglie Selma, nel corso dell’incontro organizzato dall’Associazione figli della Shoah. Un tributo particolare è stato poi dedicato a Modiano dal Conservatorio milanese, con la dedica al Testimone di alcune canzoni da parte del suo giovane coro.

qui roma - segnalibro
Novecento, secolo del terrore
Il Novecento è stato il secolo dove la violenza dell’uomo contro l’uomo ha raggiunto il suo apice, dove gli Stati hanno perpetrato azioni criminali e gruppi sociali hanno conosciuto sospensioni di diritti, persecuzioni, isolamento, deportazioni e migrazioni forzate. Se ognuno degli avvenimenti ha una sua unicità e irripetibilità indiscutibile, allo stesso tempo si possono rintracciare in essi alcuni punti in comune e rispondenze. Proprio su queste connessioni si è concentrato Claudio Vercelli nel suo nuovo libro Il dominio del terrore (Salerno editore) presentato ieri al Centro ebraico Il Pitigliani in collaborazione con l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti. A confrontarsi con l’autore, le storiche Anna Foa e Lucetta Scaraffia, moderate dalla giornalista e scrittrice Franca Giansoldati.
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qui roma - sapori
La notte della cucina casher 
“Un programma fatto dalle persone che hanno aperto le loro case e i loro cuori, dai ricordi, dalle battute e dai percorsi”. Così la chef Laura Ravaioli ha descritto il suo nuovo programma sulla cucina casher in onda su Gambero Rosso Channel, sei puntate dedicate ai più amati piatti della cucina giudaico romanesca ma anche alle tradizioni, alla vita e alla storia degli ebrei della Capitale, presentato ieri sera con una cena, intitolata “Kasher per una notte” al ristorante Bellacarne a Roma. E mentre la concia e i carciofi alla giudia si trasformavano in elegante finger food accompagnato da lunghi bicchieri di bollicine, su uno schermo passavano le immagini di Ravaioli a spasso per le strade del ghetto dove, come ha raccontato, la chef è “andata a scuola imparando direttamente dagli ebrei romani”. Dedicare un intero programma alla cucina casher è per il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni “quasi un evento epocale”, in quanto fino a poco temo fa “si trattava di un argomento di nicchia, e anche solo dedicarvi un libro sembrava qualcosa di astruso”. A presentare il programma insieme a lui anche il presidente di Gambero Rosso Paolo Cuccia, il vicepresidente della Comunità ebraica di Roma Ruben Della Rocca e l’assessore alla Cultura Giorgia Calò, introdotti dal presidente del Benè Berith Roma Sandro Di Castro.
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qui roma - segnalibro
"Italia, ti serve una scossa"
Venticinque giornalisti stranieri che lavorano come corrispondenti dall’Italia, tra cui l’israeliana Sivan Kotler. Venticinque testimonianze di affetto nei confronti di un paese che, nonostante i molti problemi, nonostante i suoi continui alti e bassi, a una attenta ricognizione sa ancora offrire il suo volto migliore. Il bello dell’Italia (ed. Albeggi) di Maarten Van Alderen, ex presidente dell’Associazione Stampa Estera, sarà presentato domani alle 17.30 nella sede romana del Touring Club Italia (piazza dei Santi Apostoli 62/65). Accanto all’autore alcuni colleghi che hanno partecipato a questa iniziativa.

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qui torino - segnalibro
Grecia, la vita ebraica spezzata
Giannina, cittadina nell’Epiro. È il 25 marzo 1944, giorno di festa nazionale in Grecia, quando si consuma la tragedia: a sei mesi dall’armistizio, soldati tedeschi fanno irruzione nel ghetto della città, intimando agli ebrei di andare in piazza, ognuno con un bagaglio di massimo 40 chili. Vi trasferiremo in nuovi insediamenti ad Est, l’infame bugia dei tedeschi al presidente della Comunità per evitare proteste. Quasi duemila persone furono deportate nei lager nazisti e pochissime sopravvissero. A raccontare la storia poco conosciuta di Giannina, Christoph U. Schminck Gustavus, docente di diritto all’università di Brema, che ha presentato nelle sale della Comunità ebraica di Torino il suo lavoro Inverno in Grecia. Guerra, occupazione, Shoah. 1940 – 1944 (Golem Edizioni, 2015). Nell’imponente opera di ricerca storiografica viene ricostruita, tramite documenti e fotografie, la tragica vicenda che colpì la Comunità ebraica greca dell’Epiro, formata per lo più da ebrei romanioti. A dialogare con l’autore, Moysis Elisaf, presidente della Comunità ebraica di Giannina (di cui compare un testo in appendice al libro), Davide Shiffer, neurologo e curatore del testo. A moderare la serate, Giovanni Perona, docente di Storia Contemporanea.

Alice Fubini
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qui torino
Israele nel Medio Oriente di oggi
Una voce della diplomazia israeliana per capire in che posizione si trova oggi Israele nello scacchiere mediorientale. A fare il punto Ehud Gol, ambasciatore di Israele in Italia dal 2001 al 2006, protagonista dell’incontro promosso dall’Associazione Italia-Israele di Torino in cui si è parlato dei possibili scenari e delle tendenze future in quello che si può definire il nuovo Medio Oriente. Ehud Gol ha spiegato il suo punto di vista, o meglio, i suoi punti di vista su una realtà in costante cambiamento, e lo ha fatto mettendo insieme la prospettiva interna di cittadino d’Israele con quella esterna di diplomatico. Per diversi anni infatti ha lavorato come ambasciatore in paesi europei a noi molto vicini, come Spagna e Portogallo. Ad introdurre l’incontro Angelo Pezzana. 
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Nella cronaca dedicata ai 150 anni della keillah milanese apparsa su questo notiziario, è stato indicato il nome di Sally Mayer quale uno dei fondatori della scuola di Milano, mentre intendevamo fare riferimento al dottor Astorre Mayer, padre della professoressa Maria Mayer Modena. Ce ne scusiamo con i lettori.

pilpul

Ticketless - Vendere o comprare
Un fantasma s’aggira in Europa, nelle acque tempestose dei mercati finanziari. Il fantasma della zia Regina, la leggendaria antenata che insegnò a Saba i rudimenti del commercio, prima il poeta acquistasse la Libreria Antiquaria di via San Nicolò con i soldi avuti in eredità proprio da lei. Sua l’aurea massima: “ È più difficile comperare che vendere”. “Ho camminato più che non creda sulle sue orme”, ammetterà Saba nei Ricordi, racconti. Letteratura e commercio nell’800 e ‘900 ebraico: ecco un bel tema per una ricerca nuova. In questi giorni mi è capitata per le mani una bellissima tesi di dottorato, discussa una decina di giorni fa all’Università di Ginevra da una abilissima studiosa di Saba, Marzia Minutelli (mi auguro possa essere pubblicata presto, perché, dopo tante crudeltà e malevolenze che, complice lo stesso Giacomino Debenedetti, abbiamo ascoltato sul presunto antisemitismo semita del poeta triestino, rende finalmente giustizia del ruolo fondamentale che l’ebraismo ha avuto in positivo, intorno al 1910, quando furono pensati e scritti i racconti ebraici e composte le liriche a Lina per “Casa e campagna”). “Preferisco vendere apparati elettrici a deformare le mie idee, i miei sentimenti e pensieri in articoli di giornale o prose da commercio”, così si confidava Saba con un amico, alla vigilia del periodo più biblico della sua formazione: “L’artista può anche essere un bottegaio, ma non del proprio ideale!”.

Alberto Cavaglion 

Periscopio - Azioni e reazioni
Qual è il comportamento umanamente giusto, ragionevole, corretto, da apprezzare o, almeno, da comprendere, di fronte a un’offesa subita? E qual è invece la reazione sbagliata, irrazionale, violenta, da biasimare o condannare? Bisogna giustificare, dimenticare, perdonare, porgere evangelicamente l’altra guancia, o si può rispondere, in qualche modo, all’offesa? E, nel secondo caso, fino a che punto si può reagire, in che misura, con che modi, con quale spirito? Giustizia o vendetta? Reazione proporzionale (“occhio per occhio…”) o moltiplicata (due volte, tre volte tanto…)? E si può reagire solo alle offese subite direttamente, o anche a quelle portate ai propri genitori, nonni, antenati, o, in genere, al proprio gruppo di appartenenza? E fino a quando, nel ricordare e vendicare le offese subite, è lecito risalire indietro nel tempo?
Un personaggio molto famoso, e molto pacifico, di recente, ha detto pubblicamente che, se qualcuno offende sua madre, “gli spetta un pugno”, ed è noto come il dibattito, in materia, sia antico quanto l’umanità, la cui storia ci offre un’infinita gamma di possibili reazioni, squadernandoci innumerevoli casi di ingiurie, anche gravissime, rimaste senza alcuna riparazione (in genere perché la parte offesa non aveva la capacità di reagire) e un altrettanto nutrito elenco di vicende nelle quali a un’offesa, grave o anche lieve, sono seguite spietate vendette, stragi cruente, guerre sterminatrici, in grado di moltiplicare il male originario per dieci, cento, un milione di volte.


Francesco Lucrezi, storico
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