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3 marzo 2016 - 23 Adar I 5776
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tradizioni e società

Matriarche bibliche e “utero in affitto”

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Nella animata discussione che si sta sviluppando sul tema della maternità surrogata (nel caso più frequente del cosiddetto “utero in affitto”) è stata tirata in ballo la matriarca Rachele come modello antico e sacro. È il caso di discutere se e quanto questo accostamento sia lecito. La storia biblica racconta che la moglie prediletta del patriarca Giacobbe non riusciva ad avere figli e questo la faceva molto soffrire, fino al punto di offrire al marito la serva (amà) Bilhà: “unisciti a lei, che partorisca sulle mie ginocchia, e anche io possa avere figli (ibbanè) da lei” (Gen. 30:3). Giacobbe obbedisce, Bilhà partorisce e Rachele dice: “il Signore mi ha giudicato e ha anche ascoltato la mia voce e mi ha dato un figlio” (v. 6). Il paragone con la maternità surrogata starebbe nel fatto che una donna che non riesce ad avere figli ricorre a un’altra donna per averli. Ma fino a che punto il paragone regge? Intanto bisogna ricordare ai frequentatori casuali della Bibbia che la storia di Rachele che citano è la seconda di questo tipo, essendo preceduta da quella di Sara, moglie di Abramo, nonno di Giacobbe. Al capitolo 16 della Genesi si racconta che Sara non avendo figli consegna al marito Hagàr, la sua serva (qui chiamata shifchà) con la speranza di avere figli da lei (anche qui si usa ibbanè); Abramo obbedisce, la mette incinta e a questo punto si scatena un dramma tra le due donne che porta alla cacciata di Hagàr, poi al suo ritorno e alla nascita di un figlio: “Abramo chiamò il nome di suo figlio che aveva generato Hagàr, Ismaele” (v. 15; si noti l’attribuzione della paternità e maternità). Anche qui c’è una situazione di sterilità che viene gestita con l’aiuto di una seconda figura femminile. Se si devono fare confronti ogni dettaglio è importante.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica

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L'eredità dello scrittore

Umberto Eco, retorica a parte

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La scomparsa di un individuo riguarda tutti, meno che il diretto interessato. Il tagliente giudizio di Thomas Mann riemerge inevitabilmente alla memoria di fronte all’orgia retorica con cui l’Italia ha rivolto l’estremo saluto a Umberto Eco. Dagli oceanici omaggi di piazza ai fiumi di inchiostro versati, il vero giubileo di quest’anno è stato proprio l’ultimo saluto rivolto al grande intellettuale. Ma lui, in definitiva, che cosa ne avrebbe detto? Non avrebbe preferito meno parole al vento e più pagine meditate? Una maggiore sobrietà? Un giudizio meno affrettato, più articolato, meglio rispondente alla sua complessità e, perché no, anche alle sue ombre? Quando ci incontrammo, nella sua immensa casa biblioteca di Foro Buonaparte, a pochi passi dal Castello Sforzesco di Milano, sfogliando Pagine Ebraiche mi sembrava sinceramente divertito dalla fulminante vignetta firmata da Enea Riboldi. Umberto Eco vi appariva nelle vesti dell’apprendista stregone, pronto a rimestare più o meno prudentemente veleni di ogni genere. Dal calderone spunta il famigerato falso dei Protocolli dei savi anziani di Sion, considerato il grande classico dell’antisemitismo. Certo, per denunciarne gli effetti, per svergognarne la natura, per metterne in luce la grottesca e tragica funzione.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche, marzo 2016

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orizzonte mondo

Uno scontro sul futuro degli ayatollah

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Le elezioni di Teheran consegnano al Medio Oriente una sorpresa che preannuncia uno scontro di potere sul futuro della Repubblica Islamica. «Non ci aspettavamo un simile risultato»: è la reazione a caldo di Said Leylaz, veterano fra gli analisti politici iraniani, a descrivere il verdetto delle urne. In palio c’erano tanto gli 88 seggi dell’Assemblea degli Esperti, che designa il Leader Supremo, che i 290 seggi del Parlamento e in entrambi i casi gli esiti sembrano premiare i moderati a scapito dei conservatori.













Maurizio Molinari, La Stampa
28 febbraio 2016


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orizzonte mondo

Lo Shabbat elettorale
degli ebrei iraniani

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In Iran si è votato venerdì scorso, giorno della preghiera islamica che però, tolto l’obbligo del le funzioni pubbliche, non ha particolari connotazioni o divieti. I seggi sono stati allestiti nelle moschee per i musulmani. Mentre le minoranze religiose (cristiani, ebrei e zoroastriani) hanno esercitato il diritto di voto nelle chiese e nelle sinagoghe. Un esempio di rispetto dei diritti di tutti i cittadini della Repubblica islamica? Al di là dell’accento sulla religiosità dell’atto (non si è votato in edifici «laici» come scuole o centri civici), le elezioni in sé sono un esempio dell’ipocrisia e della paura con cui governano gli ayatollah, attenti a propagandare un’immagine liberale del loro regime nei confronti delle altre confessioni. In realtà, la concezione di «diritto» è quanto meno singolare. Intanto, le varie comunità hanno vota to separatamente nei differenti luoghi di culto. Poi si prendano gli ebrei iraniani (ventimila, cui spetta eleggere un rappresentante in Parlamento): per loro le elezioni di venerdì hanno significato la profanazione dello Shabbat, nonostante nessuno abbia avuto il coraggio di dirlo pubblicamente.

Paolo Salom, Corriere della Sera
29 febbraio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Le previsioni del tempo

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A volte, come accade nella poesia giapponese, sono sufficienti poche righe per creare il senso della lirica. Così sono i “brevissimi” di Alex Epstein, nato a Leningrado nel 1971 e arrivato in Israele all’età di otto anni. Autore di libri, racconti e vincitore del premio del Primo Ministro nel 2003. A gennaio ha pubblicato Le previsioni del tempo, un “brevissimo” poetico.
                                


Il mare è stanco della tempesta,
è silenzioso.
Oggi vivi piano.
Leggi, forse scrivi un poco.
Una piccola probabilità di gioia
sprovvista di preavviso,
di colpo.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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