L'eredità dello scrittore
Umberto Eco, retorica a parte
La
scomparsa di un individuo riguarda tutti, meno che il diretto
interessato. Il tagliente giudizio di Thomas Mann riemerge
inevitabilmente alla memoria di fronte all’orgia retorica con cui
l’Italia ha rivolto l’estremo saluto a Umberto Eco. Dagli oceanici
omaggi di piazza ai fiumi di inchiostro versati, il vero giubileo di
quest’anno è stato proprio l’ultimo saluto rivolto al grande
intellettuale. Ma lui, in definitiva, che cosa ne avrebbe detto? Non
avrebbe preferito meno parole al vento e più pagine meditate? Una
maggiore sobrietà? Un giudizio meno affrettato, più articolato, meglio
rispondente alla sua complessità e, perché no, anche alle sue ombre?
Quando ci incontrammo, nella sua immensa casa biblioteca di Foro
Buonaparte, a pochi passi dal Castello Sforzesco di Milano, sfogliando
Pagine Ebraiche mi sembrava sinceramente divertito dalla fulminante
vignetta firmata da Enea Riboldi. Umberto Eco vi appariva nelle vesti
dell’apprendista stregone, pronto a rimestare più o meno prudentemente
veleni di ogni genere. Dal calderone spunta il famigerato falso dei
Protocolli dei savi anziani di Sion, considerato il grande classico
dell’antisemitismo. Certo, per denunciarne gli effetti, per
svergognarne la natura, per metterne in luce la grottesca e tragica
funzione.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche, marzo 2016
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