Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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"Ogni
mitzvah ha bisogno della giusta intenzione, ad eccezione dell'umiltà.
Una umiltà intenzionale non è valida" (Menachem Mendel, rebbe di Kotzk)
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Nella
parashà che abbiamo letto ieri [Es. 35 e sgg.] c’è una lunga
descrizione di come si costruisce il santuario. La parte più
importante, mi sembra, è che per quanto sia nominato chiunque
contribuisca all’edificazione di ciascun pezzo, non ci sia poi una
firma del “puzzle”. Come tutti gli atti costituzionali fondativi di un
gruppo umano, la firma ce la mettono tutti, ciascuno con le competenze
che ha e “con ciò che può dare”. Solo se quel prodotto rimane anonimo,
allora chiunque può sentire che quel risultato lo riguarda e che è
anche suo.
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"Nessuna guerra lampo"
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“Deve
essere chiaro che non ci sono scorciatoie illusorie, esibizioni
muscolari. È vero, il tempo stringe, ma non c’è alle porte nessuna
guerra lampo”. Così il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in una
intervista al Sole 24 Ore. “Il governo – afferma ancora – è consapevole
degli errori del passato e sta lavorando per creare le condizioni di
stabilizzazione in Libia. È un’operazione politica prima che militare
ed è questa la grande sfida della comunità internazionale che vede
l’Italia in prima fila”.
Numerose le opinioni pubblicate oggi sui principali quotidiani. Scrive
Maurizio Molinari sulla Stampa: “Il dramma attraversato dai quattro
tecnici di Bonatti evidenzia la dissoluzione della Libia, suggerisce
l’entità dei pericoli che ne conseguono per l’Italia e impone la
necessità di una nuova dottrina sulla sicurezza nazionale”. Osserva
Paolo Mieli sul Corriere: “Assumere il controllo della coalizione è un
grande onore. Ma non guasterebbe anche una coraggiosa valutazione delle
conseguenze che ne possono derivare”.
Per l’ex capo di Stato maggiore della Difesa Vincenzo Camporini,
intervistato dal Corriere, nessun intervento sarebbe possibile in Libia
“senza la richiesta esplicita e circostanziata di un governo, di
un’autorità locale che abbia il controllo del territorio”.
Potrebbe essere il summit della svolta sui migranti. Almeno così,
riporta Repubblica, “sperano nelle istituzioni europee e nelle grandi
cancellerie del continente alla vigilia del vertice dei Capi di Stato e
di governo dell’Unione”. Domani si ritroveranno a Bruxelles per un
summit in due tappe: prima l’incontro con il premier turco Davutoglu,
poi una riunione a ventotto. “Con il clima politico tra partner Ue,
segnalano gli sherpa, che sta cambiando: per i più ottimisti dopo mesi
di litigi il vertice può segnare l’inizio della fine della crisi dei
migranti”.
“Hanno sfidato la morte, il fondamentalismo, l’oppressione. In nome
della propria dignità, ma ancor prima di quella dell’umanità”. Sono le
sei figure femminili a cui Gariwo ha deciso di dedicare un albero e un
cippo, nella data simbolica dell’8 marzo, in occasione della Giornata
dei Giusti, che si celebra oggi in tutta Europa con il sostegno tra gli
altri dell’UCEI (Repubblica).
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QUI BIELLA - EMOZIONI IN SINAGOGA Il ritorno dell'antico Sefer Torah "Uno Shabbat per la storia" "Uno
shabbat assolutamente straordinario, che resterà nella storia della
comunità di Biella, sicuramente, ma anche nella storia dell'ebraismo
italiano". Risponde così Dario Disegni, presidente della Fondazione
Beni Culturali Ebraici in Italia, alle parole di rav Elia Richetti che
alla fine della cerimonia che ha visto il sefer casher più antico del
mondo rientrare nella sua sinagoga aveva commentato "È stato uno
shabbat davvero straordinario, mi spiace per chi non c'è stato".
La commozione è stata davvero tanta, a Biella, a partire dallo scorso
venerdì, quando per la prima volta dopo una trentina d'anni la piccola
sinagoga di vicolo del Bellone ha visto un minian che raccoglieva oltre
alle famiglie di rav Richetti, referente della comunità,
di rav Alberto Somekh, il sofer Amedeo Spagnoletto che ha restaurato
l'antico sefer, i rappresentanti di quasi tutte le famiglie biellesi,
ritrovatesi per l'occasione. L'antica sinagoga, i cui restauri sono
stati completati nel 2012, ha visto oggi una grande folla premere alla
sua piccola porta, e non ha potuto accogliere tutti quelli che
avrebbero voluto condividere con la comunità la grande gioia del
ritorno del suo sefer. A portarlo, visibilmente emozionato, è stato il
biellese Alberto Calò, giunto appositamente da Israele, nipote di quel
Gustavo Calò che è stato l'ultimo rabbino della comunità, ricordato da
rav Somekh insieme a rav Emanuele Weiss Levi, rabbino biellese da poco
scomparso.
A
stringersi intorno agli ebrei biellesi e a Rossella Bottini Treves -
presidente della comunità di Biella e Vercelli senza cui non sarebbero
stati possibili né il restauro della sinagoga né il recupero
dell'antico sefer - sono accorsi in molti, dai vicepresidenti
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni e Roberto
Jarach al consigliere UCEI Claudia De Benedetti, mentre un intero
pullman proveniente da Torino ha portato il rabbino capo rav Ariel Di
Porto insieme a una numerosa rappresentanza comunitaria. Ospite della
comunità anche Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, presente
insieme alla Rai, a giornali e televisioni locali, ma anche insieme a
una troupe della radiotelevisione pubblica tedesca.
Dopo l'emozione dell'Haknasat Sefer Torah la giornata è continuata a
Palazzo Gromo Losa, messo a disposizione dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Biella, che da sempre sostiene la comunità, dove dopo il
saluto della presidente Bottini Treves e di Dario Disegni è stata la
volta di un altro gesto di grande valore simbolico: il sindaco della
città, Marco Cavicchioli, ha infatti consegnato nelle mani del rabbino
Richetti un altro doumento di valore eccezionale, un'antica Meghillat
Esther ritrovata nella Biblioteca Civica, che torna oggi nelle mani
della Comunità. Leggi
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conferenza stampa - i 500 anni del ghetto Venezia, quando la Storia
vale una presa di coscienza “I cinque secoli del primo ghetto del mondo. Dai diritti negati all’emancipazione”.
È una riflessione di
ampio respiro e a più voci quella che sarà sviluppata mercoledì 9 marzo
alle 11.30, presso la sede dell’Associazione Stampa Estera a Roma, nel
corso della conferenza organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane per far conoscere e divulgare il ricco programma di iniziative
che si svolgeranno a Venezia in occasione del Cinquecentenario del
Ghetto lagunare.
Interverranno nel corso
della conferenza stampa Renzo Gattegna, presidente UCEI; Luca Zaia,
presidente Regione Veneto; Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia; Shaul
Bassi, coordinatore scientifico comitato per i 500 anni del Ghetto;
Donatella Calabi, curatrice della mostra “Venezia, gli Ebrei,
l’Europa”; Toto Bergamo Rossi, fondazione Venetian Heritage Onlus;
Cristiano Chiarot, sovrintendente della Fondazione Teatro La Fenice;
Mariacristina Gribaudi, presidente Fondazione Musei Civici; Paolo
Gnignati, presidente Comunità ebraica di Venezia.
L’incontro costituirà
inoltre l’occasione per presentare i numerosi servizi e approfondimenti
che appaiono sul numero di marzo del giornale dell’ebraismo italiano
Pagine Ebraiche. A partire dal dossier “Venezia – I 500 anni del
ghetto”, curato da Ada Treves, che costituisce un prezioso riferimento
per meglio cogliere il significato di questo impegno attraverso
approfondimenti e pagine ricche di memoria ma anche di futuro.
(La foto è di Paolo Della Corte)
Il
Ghetto di Venezia ha una storia molto particolare rispetto ad altre
Comunità che, nella lunga diaspora ebraica, hanno vissuto un’esperienza
analoga di segregazione coatta. Nonostante Venezia detenga il copyright
del Ghetto, diversamente da Roma dove le condizioni di miseria e
vessazioni perpetrate dalla Chiesa determinarono anche arretratezza
sociale e culturale, nella Comunità lagunare, malgrado la segregazione
fisica, persisteva una ricca vita culturale caratterizzata da una forte
interazione fra ebrei e ambiente esterno. Quella del Ghetto di Venezia
è una storia di presa di coscienza di sé anche in relazione all’altro.
La condizione delicata degli ebrei veneziani è la metafora di un bivio
che obbligava a compiere scelte forti e a prendere decisioni ferme ed
al tempo stesso aperte al mondo circostante.
Rav Roberto Della Rocca, Pagine Ebraiche marzo 2016
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qui firenze
Don Meneghello tra i Giusti
Sono
passati poco più di tre anni dal giorno dell’attribuzione del titolo di
Giusto tra le Nazioni in ricordo di Elia Dalla Costa, arcivescovo di
Firenze negli anni più duri che contribuì, a rischio della propria
vita, a mettere in sicurezza molte centinaia di perseguitati (ebrei e
non) sotto il nazifascismo. Da allora altri protagonisti della rete di
assistenza clandestina che si trovò a coordinare dall’autunno del ’43
hanno ottenuto analogo riconoscimento da parte dello Yad Vashem. In
primis il ciclista Gino Bartali, tra i Giusti dal 2013. Quindi don
Mario Tirapani, che lo ha seguito due anni dopo. Un nuovo ingresso nel
Memoriale, festeggiato proprio in queste ore, contribuisce a gettare
ulteriore luce su quella grande azione di soccorso collettiva che vide
al fianco esponenti del clero, leader ebraici, cittadini comuni.
Martedì mattina, nel palazzo arcivescovile di Firenze, le massime
autorità religiose e civili si incontreranno infatti per rendere
omaggio alla figura di monsignor Giacomo Meneghello (nell’immagine), il
primo segretario di Dalla Costa. Parleranno tra gli altri l’arcivescovo
Giuseppe Betori, l’ambasciatore israeliano Naor Gilon, la presidente
della Comunità ebraica Sara Cividalli.
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Il fantasma all'opera
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"È
vero che i nostri nemici comuni sono la Gran Bretagna e i sovietici, i
cui principi sono opposti ai nostri. Ma dietro di essi si nasconde
l’ebraismo che guida entrambi e che, in questi due paesi, ha un solo
obiettivo. Contro queste due nazioni siamo attualmente impegnati in una
battaglia per la vita o per la morte, che non determinerà solo l’esito
della lotta tra nazionalsocialismo ed ebraismo; infatti, l’intera
condotta di questa guerra vittoriosa sarà di grande e concreto aiuto
agli arabi impegnati nella stessa lotta”. Così Hitler a un signore
dall’aspetto misurato e dai toni gentili, vestito integralmente con un
elegante caffettano nero e un turbante chiaro. Sono le parole che il
secondo attribuisce al primo. Chi era Muhammad Husayni-al Amin (o anche
Haj Amin-al Husseini e altro ancora, a seconda di come lo si
traslitteri e lo si qualifichi)?
Claudio Vercelli
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Il settimanAle – Indignate
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“Noi
giovani ebrei americani non ci siamo allontanati da Israele, anzi:
siamo molto attenti a quanto sta accadendo, e siamo arrabbiati” scrive
da New York su Ha’aretz del 29 febbraio Simone Zimmermann. “Non abbiamo
bisogno di finanziamenti milionari per mettere in moto iniziative come
questi ‘Peace Corps ebraici’ di cui va parlando ora Ari Shavit. Abbiamo
solo bisogno che la comunità si svegli".
Alessandro Treves, neuroscienziato
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