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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Anche
io, dilettante lettore illetterato, sento di voler celebrare la memoria
di Giorgio Bassani in questi giorni che ricordano la sua nascita a
Bologna il 4 Marzo del 1916. Celebro le pagine di racconti identitari
di un piccolo mondo, quello ebraico e non ebraico di Ferrara, così
minimo eppure splendido ed eterno, forse proprio perché minimo, di
provincia ma non provinciale, accogliente e spietato, come solo i
piccoli luoghi umani sanno essere. Ed essendo nato e cresciuto in un
piccolo mondo, una Napoli ebraica e non ebraica di un salotto
culturale, sociale ed economico dai confini molto definiti, seppur non
angusti, ho trovato da sempre tra le parole di Giorgio Bassani l’eterna
e dolcissima dannazione dell’apolide di un mondo piccolo, colui che
ovunque andrà, saprà sempre essere parte delle società locale, pur
restando contemporaneamente estraneo ovunque sia e sempre figlio di
poche strade, di poche mura: di un porticato, un caffè, una strada di
un ex ghetto o un lungomare, una collina al Vomero e una piazza con
qualche leone. E su questa condizione così ebraicamente italiana
dovremmo forse riflettere più a fondo, per valorizzare, per pensare,
per avere uno sguardo più consapevole sulle nostre strade, le nostre
mura, la nostra cultura e la nostra identità, sia essa poesia inventata
come negli scritti di Bassani, sia essa storia o fede. “Me lo chiedono
in molti: ma è esistita veramente Micòl? Non è mai esistita. Però
naturalmente, Micòl è esistita in quanto che sono esistito io, esisto
io, è una forma del mio sentimento, è una parte di me.” Così scriveva
Giorgio Bassani nel 1984. Ed anche da quel sentimento, così signore,
così ebraico, così alto e, per certi aspetti così halto, dovremmo far
ripartire il motore morale della nostra ebraicità d’Italia.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Commemorare/Celebrare.
Dal Dizionario Treccani: Commemorare v. tr. [dal lat. commemorare,
comp. di con- e memorare «ricordare»] (io commèmoro, ecc.). Ricordare
qualcuno o qualcosa parlandone in forma solenne, celebrare: c. un
personaggio illustre, una data, un avvenimento storico; c. un defunto.
Nel linguaggio della Chiesa, celebrare una ricorrenza religiosa (per
es., c. la festa di tutti i santi), o anche farne la commemorazione
(v.) nell’ufficio divino e nella messa. Celebrare v. tr. [dal lat.
celebrare, propr. «frequentare, rendere frequentato», quindi
«solennizzare, onorare, celebrare»; v. celebre] (io cèlebro, ecc.). –
Lodare, esaltare, glorificare, a voce o in iscritto, persona o cosa: c.
un eroe, un martire; c. le imprese, le gesta di qualcuno. Festeggiare
solennemente con cerimonie varie: c. una festa, un onomastico, un
anniversario; in partic., c. le feste, nel linguaggio eccles.,
astenersi dal lavoro nei giorni festivi, e assistere alla messa; ant.,
c. le ferie, osservare il divieto di amministrare la giustizia in
giorni determinati. Per comunicare sui media il programma degli eventi
legati ai 500 anni del Ghetto di Venezia gli organi nazionali e
internazionali di stampa hanno scelto due verbi profondamente
sbagliati, che non descrivono in modo corretto il significato di quello
che sta avvenendo a Venezia. Di sicuro si tratta di una sorta di
reazione automatica, pavloviana, legata a tutto quello che riguarda gli
ebrei e al concetto stesso di Ghetto.
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"Bibi, non ti sopporto"
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Gli
alleati europei? “Parassiti e scrocconi”. Netanyahu insopportabile per
la sua “condiscendenza”. La guerra in Libia “un fallimento”.
“Sono confessioni che un presidente di solito riserva al suo primo
libro di memorie, appena lasciata la Casa Bianca. Barack Obama invece
vuota il sacco in anticipo. Ha ancora dieci mesi al potere ma
evidentemente non vede l’ora di regolare i conti. Con nemici e alleati.
Lo fa in una lunga serie di interviste al magazine TheAtlantic”
(Federico Rampini, Repubblica).
Ci sono almeno due uomini vissuti in Italia tra i 122 aspiranti
kamikaze registrati nella lista di 22mila jihadisti dello Stato
islamico rivelata dal sito siriano di opposizione Zaman Al Wasl. Uno
dovrebbe essere Anas El Abboubi, un marocchino del 1992 finito in
un’inchiesta a Brescia sul reclutamento di jihadisti. L’altro “è un
39enne tunisino che ha vissuto in Italia, Francia, Germania, Olanda e
Belgio” (Francesco Semprini, La Stampa).
L’Italia dovrebbe partecipare a una missione militare in Libia?
Risponde di no il 49% degli italiani, secondo un sondaggio pubblicato
oggi dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) e
realizzato dall’Ipsos. Il 20% degli intervistati (un campione di mille
persone) risponde “non so”. Tra la minoranza interventista (il 31% del
totale), il 23% ritiene utile mandare forze di terra (Corriere della
sera).
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rav momigliano: contributo importante I Vangeli e l'accusa del deicidio Quel pregiudizio da smontare Un
contributo significativo e apprezzabile sotto molti punti di vista, “a
partire da quello umano”. Così il presidente dei rabbini italiani rav
Giuseppe Momigliano commenta un ampio intervento apparso oggi
sull’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, in cui Lucetta
Scaraffia riflette sull’accusa di deicidio nei confronti del popolo
ebraico che per secoli ha prodotto il peggior antisemitismo di matrice
cattolica, riconoscendo come la radice dell’odio vada ricondotta a una
originaria mistificazione operata da alcuni apostoli. “Considerazioni
che colpiscono, soprattutto per la peculiare identità della testata che
le ospita. La conferma di una nuova sensibilità che va radicandosi nel
mondo cattolico a tutti i livelli” sottolinea rav Momigliano. La strada
da fare è ancora molta, osserva il rav. E il pericolo di un dialogo
impostato su uno scivoloso piano teologico è sempre dietro l’angolo.
“Ma segnali come questo – afferma – sono importanti da registrare”. A
stimolare la riflessione della Scaraffia è in particolare la lettura
del saggio di Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e
memoria (ed. Einaudi), presentato ieri nei locali dell’ambasciata di
Spagna presso la Santa Sede (a intervenire tra gli altri il direttore
dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian e la storica Anna Foa), in
cui vengono smontate da un punto di vista giuridico asserzioni che,
tramandate nelle generazioni, hanno innescato crimini, violenze, lutti.
Come i riferimenti alla “folla” che avrebbe spinto il governatore
romano a liberare Barabba piuttosto che Gesù, con il chiaro intento
degli autori di far ricadere su una collettività il peso di quella
decisione. La folla però non poteva esserci, scrive Scaraffia, sia
perché non ci sarebbero stati né il tempo né i motivi per convocarla,
sia perché la guarnigione non avrebbe tollerato grandi concentrazioni
in sostegno di un arrestato. Quindi, secondo Schiavone, Marco e Matteo
non sarebbero stati tanto attenti alla verità storica, quanto
all’esigenza di spiegare come la responsabilità della morte di Gesù
“fosse da attribuire all’intero popolo ebraico”. Leggi
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qui roma - associazione hans jonas Ebrei d'Europa, quale futuro? Voci e opinioni a confronto C’è
un futuro per gli ebrei in Europa? È la domanda da cui è partito il
dibattito organizzato ieri a Roma, presso il Centro Il Pitigliani,
dall’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas. “Un titolo
apparentemente provocatorio, che allo stesso tempo però rappresenta il
cuore del sentimento che vive nelle comunità ebraiche”, ha sottolineato
il presidente di Hans Jonas Tobia Zevi, che ha moderato l’incontro.
A
tentare di dare una risposta da vari punti di vista diversi, il
demografo dell’Università Ebraica di Gerusalemme Sergio Della Pergola,
la demografa dell’Istat Linda Laura Sabbadini, il rabbino capo di Roma
Riccardo Di Segni e il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco
Impagliazzo.
“La
situazione è caratterizzata da una grande fluidità, e se pochi anni fa
avevamo delle certezze, oggi ne abbiamo molte meno”, la considerazione
di partenza presentata da Della Pergola. Il demografo ha quindi messo
in evidenza i principali fattori che influenzano la demografia degli
ebrei europei, facendovi emergere tre principali problemi: il
decremento demografico – fenomeno legato in primo luogo
all’invecchiamento della popolazione ma in cui si inscrive anche quello
sempre più massiccio delle migrazioni, “non più legate alla concezione
a volte spregiativa dell’ebreo errante, ma alla destabilizzazione del
rapporto fra il territorio e l’identità ebraica”; l’atteggiamento della
società generale nei confronti della minoranza ebraica, con un aumento
dell’antisemitismo che secondo vari sondaggi inquieta sempre di più gli
ebrei; una generale crisi del concetto di Europa, che influenza anche
il modo in cui le singole Comunità ebraiche percepiscono se stesse. Leggi
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LE CARTE DIFFUSE DALL'ARCHIVIO DI STATO
Milano e le leggi razziste del '38 Le storie della persecuzione
Una
pagina di storia di Milano e dell'Italia, della sua realtà ebraica e di
come fu colpita dal tradimento delle leggi razziste del 1938. Sono
tante le storie che emergono dai documenti per la prima volta messi a
disposizione degli studiosi e di tutti i milanesi dall'Archivio di
Stato della città. Carte – presenti nel fondo della Prefettura di
Milano, relativi ai provvedimenti presi dal Ministero dell'Interno e
conservati nei fascicoli delle Provvidenze Generali, nei Fascicoli
personali e in quelli delle Confische dei beni ebraici - che
ricostruiscono il periodo della persecuzione antiebraica e che danno al
contempo un quadro di uno spaccato sociale. Un'iniziativa dal grande
valore storico, ha sottolineato ieri il ministro dei Beni culturali
Dario Franceschini, intervenendo all'inaugurazione della mostra “Gli
ebrei a Milano. Le leggi razziali nei documenti conservati all’Archivio
di Stato di Milano (1938-1945)”, esposta proprio nelle sale
dell'archivio. Ad intervenire, al fianco del ministro, il neodirettore
dell'Archivio Benedetto Luigi Compagnoni, l'assessore alla cultura di
Milano Filippo Del Corno, la curatrice della mostra Alba Osimo, il
sovrintendente archivistico per la Lombardia Maurizio Savoja, il
direttore del Cdec Michele Sarfatti, oltre a Ezio Baribieri, docente
dell'Università di Pavia. Leggi
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L'importanza dei piccoli
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A
quanto pare, neppure una notizia così straordinaria come la scoperta
del più antico Sefer Torah esistente utilizzabile e in possesso di una
Comunità ebraica è riuscita del tutto a sfuggire al tritacarne delle
polemiche nostrane. E francamente ho l’impressione che ci sia finita in
modo un po’ strumentale. I soldi usati per il restauro avrebbero potuto
essere spesi diversamente? Certamente: c’è sempre un modo migliore per
usare i soldi, a meno che non siano impiegati per salvare vite umane.
Ma seguendo fino in fondo argomentazioni come queste si giungerebbe
alla logica conclusione che l’arte, l’archeologia, la ricerca storica e
tante altre cose non dovrebbero esistere e non avrebbero mai dovuto
esistere in tutti questi millenni. Del resto, cosa sarebbe successo se
il sefer più antico del mondo, anziché a Biella, si fosse trovato in
Patagonia o in Nuova Zelanda? Non riesco a sottrarmi alla convinzione
che in quei casi tutti gli ebrei italiani sarebbero stati entusiasti
della notizia e nessuno avrebbe sollevato dubbi di alcun genere.
Anna Segre, insegnante
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Linguaggi |
“A
minha patria é a lingua portuguesa” scriveva Fernando Pessoa. Una frase
che ben si adatta alla storia ebraica perché per molti secoli, oltre
alla Torah, la lingua (o le lingue) del popolo ebraico è stata una
sorta di patria spirituale, anche per gli ebrei non religiosi. In
attesa della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica, che avrà
proprio come tema le lingue dell’ebraismo, è interessante ricordare
come prima della creazione dello stato di Israele vi sia stato un
animato dibattito tra i sostenitori dell’ebraico e coloro che
ritenevano invece che la lingua nazionale degli ebrei sarebbe dovuta
diventare l’yiddish.
Francesco Moises Bassano, studente
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Israele, sfumature di grigio
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Proprio
in questi giorni di ennesime tensioni in Israele si sta svolgendo
Ye'ud, il consueto seminario di leadership per i giovani delle comunità
ebraiche italiane organizzato dall'UCEI.
"La cosa più ricca di questo seminario" spiegano i partecipanti insieme
a rav Roberto Della Rocca, direttore del seminario "è l'aver ascoltato
la quantità di voci differenti, i loro punti di vista che ci raccontano
quanto la realtà sia complessa: dal politico di sinistra al colono, dal
cabalista della città vecchia all'intellettuale filosofo o demografo.
Un ventaglio ricchissimo che ci dice che non c'è un bianco e un nero,
ma che bisogna interrogarsi, ascoltare e conoscere, senza restare nella
comodità delle proprie certezze e autoconvinzioni".
Esistono dei fatti, complessi, e diversi punti di vista. Chi vuole
farsi un'idea di questa realtà decide se preferisce semplificare o
approfondire e capire, magari rischiando di sospendere alcune risposte.
Questi ragazzi hanno apprezzato la complessità e la possibilità di
entrare in contatto con chi onestamente racconta la propria visione.
Ilana Bahbout
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