I Vangeli e l’accusa del deicidio
Quel pregiudizio da smontare

Schermata 2016-03-11 alle 15.26.31Un contributo significativo e apprezzabile sotto molti punti di vista, “a partire da quello umano”. Così il presidente dei rabbini italiani rav Giuseppe Momigliano commenta un ampio intervento apparso oggi sull’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, in cui Lucetta Scaraffia riflette sull’accusa di deicidio nei confronti del popolo ebraico che per secoli ha prodotto il peggior antisemitismo di matrice cattolica, riconoscendo come la radice dell’odio vada ricondotta a una originaria mistificazione operata da alcuni apostoli.
“Considerazioni che colpiscono, soprattutto per la peculiare identità della testata che le ospita. La conferma di una nuova sensibilità che va radicandosi nel mondo cattolico a tutti i livelli” sottolinea rav Momigliano. La strada da fare è ancora molta, osserva il rav. E il pericolo di un dialogo impostato su uno scivoloso piano teologico è sempre dietro l’angolo. “Ma segnali come questo – afferma – sono importanti da registrare”.
A stimolare la riflessione della Scaraffia è in particolare la lettura del saggio di Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria (ed. Einaudi), presentato ieri nei locali dell’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede (a intervenire tra gli altri il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian e la storica Anna Foa), in cui vengono smontate da un punto di vista giuridico asserzioni che, tramandate nelle generazioni, hanno innescato crimini, violenze, lutti. Come i riferimenti alla “folla” che avrebbe spinto il governatore romano a liberare Barabba piuttosto che Gesù, con il chiaro intento degli autori di far ricadere su una collettività il peso di quella decisione.
La folla però non poteva esserci, scrive Scaraffia, sia perché non ci sarebbero stati né il tempo né i motivi per convocarla, sia perché la guarnigione non avrebbe tollerato grandi concentrazioni in sostegno di un arrestato. Quindi, secondo Schiavone, Marco e Matteo non sarebbero stati tanto attenti alla verità storica, quanto all’esigenza di spiegare come la responsabilità della morte di Gesù “fosse da attribuire all’intero popolo ebraico”.
Per un credente il libro di Schiavone, il quale prova in modo “convincente” e “decisivo” che tale folla non poteva esserci, apre perciò una questione drammatica. E cioè – scrive Scaraffia – lo costringerebbe a prendere atto “che anche tra gli autori dei vangeli fanno breccia debolezze umane” e che proprio mentre si tramanda nella narrazione il punto culminante della vicenda di Gesù “emergono letture contrarie alla sua predicazione, che gli stessi vangeli hanno peraltro fedelmente conservato”. Non il perdono, ma addirittura una interpretazione dei fatti che non trova riscontro nella storia. Ma che sulla storia influirà, “e certo non in modo positivo”.

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(11 marzo 2016)