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3 aprile 2016 - 24 Adar II 5776
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a colloquio con asa kasher. a lui si deve  il codice etico di tsahal

"Viviamo in una campagna elettorale perenne
e le opinioni radicali diventano la normalità"

img header“Il codice etico di Tsahal è molto chiaro: una delle priorità è il rispetto della dignità umana. Ogni azione deve essere compiuta in modo da tutelare nel modo più efficace possibile la sicurezza dei cittadini e minimizzare ogni danno collaterale. Nel recente caso del soldato israeliano a Hebron questo non è successo”. A parlare con Pagine Ebraiche è il professor Asa Kasher, filosofo e linguista, noto per aver redatto nei primi anni Novanta il codice etico dell'esercito israeliano (Tsahal). Il suo punto di vista su quanto accaduto in Cisgiordania - il caso del soldato che a Hebron ha ucciso un terrorista palestinese mentre era a terra disarmato – è chiaro: “il soldato ha sbagliato. Non ci sono dubbi, ha violato sia il codice etico sia il codice militare con il suo comportamento”. Ma Kasher invita a parlare con cautela della vicenda attorno a cui in Israele si è aperto un dibattito molto acceso, con alcuni che hanno difeso il comportamento del soldato. “Fortunatamente viviamo in una democrazia per cui ciascuno di noi può esprimere il suo pensiero, la propria opinione. Ma questo non vuol dire che farlo sia un obbligo. Quando parliamo di etica militare e di situazioni complesse come quella di Hebron, in cui in gioco ci sono molti aspetti, sarebbe il caso di lasciar parlare gli esperti. Mettiamo il caso di un chirurgo che in ospedale compie un errore, lei pensa che chiunque possa esprimere la sua opinione? Le sembra plausibile che tutti diventino degli esperti di etica medica?”.

Daniel Reichel 

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l'indagine del Pew Research Center sulla società israeliana

Il mosaico di un Paese indissolubilmente diviso

img headerIsraele è un posto dai mille e continui cambiamenti. Chi viene in visita dopo pochi anni di assenza invariabilmente commenta così: "Il paese è irriconoscibile con tanto sviluppo e tante cose nuove da vedere". D'altra parte, specie nel discorso pubblico e politico, si ha a volte la sensazione che Israele rimanga assolutamente invariato. Si parla sempre della società israeliana nei termini delle stesse categorie, per esempio ebrei e arabi, secolari e religiosi, ashkenaziti e sefarditi, senza dimenticare ricchi e poveri. Meno ci si rende conto che anche in queste suddivisioni apparentemente primordiali e immutabili vi possono essere delle trasformazioni e mutazioni abbastanza profonde nel corso del tempo. La ricerca del Pew Research Center offre una buona occasione per verificare le dinamiche in corso, specialmente per quanto riguarda il rapporto con la religione nella popolazione ebraica. I mutamenti nella frequenza dell'osservanza religiosa sono effettivamente alquanto lenti. Nei 24 anni trascorsi dal 1991, subito dopo l'arrivo della gimg headerrande massa di immigrati dall'Unione Sovietica, fino al 2015 la percentuale di coloro che affermano di osservare tutti o grande parte dei precetti religiosi è passata dal 38% al 39%, coloro che dicono di non osservarne nessuno sono aumentati dal 20% al 26%, e quelli che dicono di osservarne una parte sono diminuiti dal 41% al 34%. Dunque si sono rafforzati gli estremi e si è indebolito il gruppo di mezzo, anche se la totale assenza di osservanza tradizionale è in realtà molto inferiore. Basti pensare che secondo l'ultima rilevazione, fra coloro che si autodefiniscono come secolari, 87% partecipano al Seder di Pesach, 53% accendono i lumi alla vigilia del Sabato per lo meno occasionalmente, 40% frequentano una sinagoga di tanto in tanto, 33% mantengono la casa casher, 30% digiunano l'intero giorno di Kippur, il 18% credono in Dio assolutamente e un altro 38% credono, ma con minore certezza. Tutto questo non è poco per un secolare, anzi è molto di più di quanto non faccia la media degli ebrei, inclusi quelli religiosi, in molte comunità ebraiche della Diaspora. 

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

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l'indagine del Pew Research Center sulla società israeliana

Dati, Hiloni, Haredi: una società, tanti volti

img headerDi recente il Pew Research Center ha reso pubblici i risultati di una ampia indagine condotta in Israele sul tema dei valori politici e del ruolo della religione nella vita pubblica e civile. La ricerca mostra l’esistenza di divergenze profonde, a volte vere fratture, non solo fra ebrei e arabi, ma fra i gruppi corrispondenti alle diverse modalità di identificazione ebraica. Si tratta di una rilevazione che ha utilizzato 5.601 interviste face-to-face con cittadini israeliani di età superiore ai 18 anni, condotte fra l’ottobre del 2014 ed il maggio del 2015. Il campione, multi-stadio stratificato, include 3.789 Ebrei, 871 Musulmani, 468 Cristiani, 439 Drusi e 34 persone di altra religione o senza appartenenza religiosa. Rispetto alla quota strettamente proporzionale, cinque gruppi (Ebrei della West Bank, Haredim, Arabi Cristiani, Arabi di Gerusalemme Est e Drusi) sono stati alquanto sovrarappresentati per consentire inferenze statistiche valide. Il margine di errore, variabile in relazione ai sottogruppi, è pari al 2.9% per gli ebrei intervistati. Gli ebrei intervistati si identificano, praticamente senza eccezione, in una delle quattro aree rappresentate nei grafici. I haredim (convenzionalmente tradotto come “ultra-ortodossi”) costituiscono il 9% degli ebrei e l’8% degli israeliani adulti; i Datim (“religiosi”) il 13% degli ebrei ed il 10% degli israeliani adulti; i Masortim (da masoret, tradizione), rispettivamente il 29% ed il 23%, mentre gli Hilonim (“laici”) il 49% degli ebrei ed il 40% degli Israeliani adulti. Il rapporto quantitativo fra questi gruppi è peraltro andato mutando nel tempo. Il confronto con i dati del 2002 mostra infatti un
img headerincremento percentuale di Haredim e Datim, una flessione dei Masortim ed una sostanziale stabilità del fronte “laico”. L’autoriconoscimento in una di queste aree è associata a differenze di atteggiamento e di opinione spesso molto marcate, tanto rispetto a questioni generali del rapporto fra halakha e principi democratici, quanto ai temi connessi al conflitto palestinese che, infine, a problemi molto concreti della vita civile, come le norme relative al matrimonio e al divorzio, al servizio militare e alla conversione, o alla circolazione dei mezzi pubblici di Shabbat. Se altre variabili di carattere sociodemografico e culturale giocano un certo ruolo nel differenziare atteggiamenti e opinioni, la loro influenza sembra assai spesso soverchiata da questa pregiudiziale scelta di campo, che restituisce l’immagine – non nuova ma in questa circostanza particolarmente evidente – di un Paese per molti e profondi aspetti diviso in blocchi separati e dalla scarsa comunicazione reciproca, per il quale la ricerca ed il consolidamento di una posizione il più possibile allargata e comprensiva si pone con grave urgenza. 

Enzo Campelli, Università di Roma La Sapienza

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gerusalemme-mosca a confronto

In due al tavolo con Putin

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Non è un mistero che, sebbene appartengano allo stesso partito, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il presidente Reuven Rivlin non vadano molto d’accordo. Su una cosa però i due leader di Israele sono più che d’accordo: Gerusalemme ha bisogno di Putin, ora più che mai. Rivlin ha visitato Mosca a marzo, Netanyahu ha spesso parlato con Putin, recentemente, riportava il giornalista Ben Caspit, solitamente bene informato sulle questioni diplomatiche e di sicurezza: l’obiettivo è trovare in Putin, se non proprio un alleato, un partner strategico su alcune questioni di sicurezza. Tra queste, naturalmente, Hezbollah. La milizia sciita libanese, coinvolta nella guerra civile siriana, è sostenuta soprattutto all’Iran.

Anna Momigliano

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l'app da usare in caso d'emergenza

Per l'Sos basta un click

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"Un’App potrebbe salvarci dal terrorismo. Arriva da Israele, dove di stragi se ne intendono. Reporty, come si chiama l’applica zione per smartphone, consente di fare videochiamate di emergenza e inviare Sos a forze dell’ordine e ambulanze spingendo un tasto. I numeri chiamati (preimpostati) vedono in tempo reale, in streaming, ciò che accade dov’è il telefono, che grazie al Gps fa individuare la posizione della vittima anche in luoghi chiusi. L’utilizzo di questa App avrebbe fatto anticipare i soccorsi al Bataclan (la discoteca di Parigi dove a lungo non si è capito cosa stesse accadendo) e a Bruxelles. Una «trovata tecnologica» che prima non c’era, come evidenziano dalla start-up Reporty, che fa capo all’ex primo ministro israeliano Ehud Barak.

Anna Langone, Corriere del Mezzogiorno
30 marzo 2016


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in belgio follie anti-israeliane

"Ti spedisco in Palestina"

La conversazione è pubblicata integralmente dal giornale belga Joods Actueel. E dà i brividi. L’operatore di una linea telefonica di emergenza, cui si accede tramite il numero verde del Ministero degli Interni di Bruxelles, riceve la richiesta di un volontario per il Comitato di Coordinamento ebraico di Anversa.

Giulio Meotti, Il Foglio, 2 aprile 2016

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opinioni - il settiman-ale

I timori di Ben Gurion

“..finché un soldato ebreo non verrà impiccato per aver assassinato un arabo, questi omicidi non cesseranno” affermava David Ben Gurion nel 1951 in una riunione di governo, preoccupato per gli omicidi e le violenze sessuali seguiti alla vittoria nella guerra del 1948.


Alessandro Treves, neuroscienziato


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