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2 giugno 2016 - 25 Iyar 5776
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due GIUGNO – I SETTANT’ANNI DELLA REPUBBLICA

I laboratori della democrazia

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La Repubblica dell'Ossola è la più conosciuta, ma lungo tutto l'arco delle Alpi e nell'Appennino Settentrionale molte aree liberate dai partigiani si trovarono ad essere gestite e amministrate da veri e propri "governi" che aspiravano alla realizzazione di un'esperienza di tipo democratico.
Dopo la sconfitta tedesca a Cassino e la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate il 4 giugno 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) aveva lanciato un appello per un’offensiva generale: l'indicazione di creare nelle zone liberate delle vere e proprie forme di governo amministrativo portò a quelle Repubbliche Partigiane, note anche come Zone Libere, che avevano come scopo di "realizzare l'effettiva partecipazione della popolazione alla vita del paese per fondare un regime progressivo aperto a tutte le conquiste democratiche e umane". Assumere la direzione della cosa pubblica, assicurare in via provvisoria le prime misure di emergenza per la prosecuzione della guerra di liberazione, l'ordine pubblico, la produzione, gli approvvigionamenti e i servizi pubblici e amministrativi, questi erano i principali compiti di quelle che si chiamavano "Giunte popolari comunali", "Giunte popolari amministrative" o "Giunte provvisorie di governo" oppure "Direttori" o "Comitati di salute pubblica".

Ada Treves

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due GIUGNO – I SETTANT’ANNI DELLA REPUBBLICA

Un voto per cambiare il mondo

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Due giugno 1946, settant’anni fa. Il mondo sembrava cambiare, si votava per la repubblica o per la monarchia e votavano anche le donne! Sembrava che ci fossero più monarchici, ed è stupefacente vedere come, cacciati i Savoia che avevano accettato la dittatura e firmato le leggi razziali, i monarchici siano in breve spazio di tempo scomparsi dalla scena politica. Quanto alle donne, votavano sorridendo. Ho visto, in una mostra a Velletri, la foto di una donna che era andata a votare stringendo in braccio il neonato appena battezzato, in abito ancora da cerimonia. Tutti e tutte andavano a votare, con speranza di poter fare qualcosa per cambiare il mondo. Sembra una favola, oggi.

Anna Foa, storica

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due GIUGNO – I SETTANT’ANNI DELLA REPUBBLICA

La testimonianza di Piero Terracina
"Via monarchia," il canto libero

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"Avevo allora diciassette anni, si votava a ventuno. Inoltre ero tornato da poco più di cinque mesi dopo un lungo soggiorno in ospedali e sanatori dell'allora Unione Sovietica, da Glivice a Lvow poi a Soci sul mar Nero, dopo essere stato liberato il27gennaio 1945 adAuschwitz. C'era un grande entusiasmo allora e la voglia di partecipare. Non avevo l'età per votare ma insieme ad amici e a un cugino andavamo ad ascoltare i comizi, in particolare quelli di esponenti del Partito repubblicano italiano: Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini, Ugo Della Seta ma anche Pietro Nenni. Ricordo anche che si formavano cortei ai quali partecipavamo cantando: E vattene, e vattene schifosa monarchia, vogliam che sempre sia repubblica sociale, parole che naturalmente non si riferivano alla Repubblica sociale italiana di triste memoria. Ricordo bene l'esultanza alla proclamazione dei risultati del referendum, il timore che potessero esserci disordini e il pensiero di come poter eventualmente reagire, che rientrò con la partenza immediata dell'ormai ex Re Umberto".

Paolo Di Paolo, Repubblica, 30 maggio 2016

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FEDI E IDEE

L'Internazionale
degli invisibili   

È un club esclusivo transnazionale di cui sarebbe molto meglio non far mai parte, esposto permanentemente alle minacce dei fanatici assassini. Un'Internazionale sempre più affollata di invisibili, di braccati, di scrittori, vignettisti, comici, giornalisti che devono sparire, vivere blindati, scappare. Una fuga obbligata dalla libertà, proprio mentre si declamano nelle sedi ufficiali difese rituali e insincere della libertà d'espressione. E mentre gli intellettuali inondano i giornali con appelli a favore dei tiranni e con il linciaggio di chi vive sotto minaccia, esattamente come accadde con Salman Rushdie. Che fine hanno fatto le invettive satiriche del comico tedesco Jan Böhmermann che Angela Merkel ha offerto come vittima sacrificale per placare la smania repressiva del sultano Erdogan, un comico che attraverso la tv faceva appunto il comico, grossolano e volgare come spesso lo sono i comici? Che fine ha fatto la sempre omaggiata libertà di satira? Per adesso ha fatto una brutta fine, l'effetto intimidatorio è andato a segno: il comico ha deciso di tenere per un po' quello che si dice un basso profilo, ha scelto di rifugiarsi per un po' nell'Internazionale degli invisibili. Un'altra linguaccia domata. E senza un briciolo di solidarietà, per dire, dall'altra Internazionale, quella dei comici innocui e riveriti, per fortuna (loro) mai raggiunti da una fatwa. Neanche una televisione (quella italiana, pubblica o privata, figurarsi) ha invitato Böhmermann per offrirgli una tribuna. Per conoscere la sua versione dei fatti, almeno. Non un aiuto, un appoggio, un appello, un sostegno perché un comico possa esercitare un suo diritto. In silenzio. Silenzio come quello che nasce dall'automutilazione di «Charlie Hebdo», che ha deciso di non pubblicare più vignette che possano «offendere» gli islamici.

Pierluigi Battista, Corriere La Lettura
29 maggio 2016


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FEDI E IDEE

All’Italia serve una legge
sulla libertà religiosa

L’Italia non ha una "politica" del pluralismo religioso e dunque non ha una legge sulla libertà religiosa. Alcuni pensano che la legge servirebbe, ma constatano che sembra impossibile "farla": per questo si mandano in Parlamento disegni di legge contro la "radicalizzazione", goffi nei termini e sfocati negli obiettivi, e nel contempo ci si consola con progetti generati in élites e dal futuro incerto. Altri dicono invece che la legge non serve e che la politica può ancora essere quella disegnata da Craxi: alla confessione maggioritaria un concordato; all'altro pezzo del cielo le "intese" dei privilegi in miniatura; e fuori gli islam, in attesa di trovare lo strumento giuridico capace di separare grano e zizzania islamica, operazione sempre delicata, a dar retta al vangelo. Il successo delle intese, però, è giunto ad un punto delicato. Le intese facili, come quella coi buddisti "scissionisti " del Soka Gakkai, sono oggettivamente inutili. Le intese pacifiche come quella con gli ebrei non impediscono vessazioni assurde: come quella che, per uno strafalcione non ancora corretto del DPR 19/2016, ha stabilito che un laureato in ebraistica non possa fare il concorso per insegnare alle medie, a parità di crediti specifici con un laureato in antropologia. Le intese agognate con gli islam risultano impossibili per l'infinito combinarsi delle sfumature teologiche ed etniche dei musulmani. Fuor di questo ci sono soluzioni scorciatoie, diverse da quelle dei francesi che vietarono il foulard a scuola come misura anti-fondamentalista, ma non meno illusorie. Nessuno affronterebbe il problema delle scorie nucleari mettendo un'ora di educazione nucleare alle elementari e cercando camionisti "moderati". Per le fedi — che non sono scorie, ma sementi —malto ci si illude sulla famosa "ora di religione".

Alberto Melloni, Repubblica
30 maggio 2016


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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Tel Aviv 1935

img headerLea Goldberg nasce a Könisberg, Prussia, nel 1911. Durante la prima guerra mondiale la famiglia fugge verso la Russia e il padre viene torturato dai soldati fedeli allo Zar. Un episodio tragico che lascerà il segno sulla biografia e sulla scrittura della poetessa. Lea studierà filosofia e lingue semitiche all’università di Kovno, Berlino e Bonn; guidata dallo studioso Paul Kahle ha scritto una tesi sulla lingua samaritana e alcune lettere battute a macchina su carta trasparente, indirizzato allo studioso, sono custodite ancora oggi alla biblioteca che porta il suo nome, sita all’Università di Torino. Arrivò in Terra di Israele nel ‘35 e fu accolta con entusiasmo dai poeti modernisti e spesso bohémien. Profonda nelle sue poesie, chiara nel linguaggio e lontana da ogni pathos, era anche grande traduttrice e professoressa del primo corso di Letteratura Comparata all’Università Ebraica di Gerusalemme. Secondo il critico Dan Miron, Goldberg è una delle madri fondatrici della poesia israeliana moderna. Tuttavia, come per tanti altri suoi coetanei e colleghi, Natan Alterman, Avraham Halfi, l’amore per la terra rifugio non placcò la profonda nostalgia per la lirica russa dell’Età d’Argento e la raffinata cultura mitteleuropea. Lea è morta di cancro nel 1970, l’anno in cui venne insignita del Premio Israele per la Letteratura.

I pennoni sui tetti parevano allora
gli alberi maestri delle caravelle di Colombo:
ogni corvo che si posava in cima
veniva ad annunziare un diverso continente
 
I fagotti da viaggio riempivano le strade
e ogni lingua di luoghi lontani falciava la calura
come lama di un gelido coltello
 
Ricordi d'infanzia, amori abbandonati
stanze lasciate vuote chissà dove:
potrà forse l'aria di questa cittadina
sopportare tutto?
 
Come immagini scurite dentro l'obiettivo
tutto tornava capovolto: terse notti d'inverno
temporali serali di oltre mare
e mattine cupe delle città capitali.
 
Battito di passi dietro le tue spalle
suon di marcia di un esercito straniero,
un'illusione - appena volgi lo sguardo
eccola, flottante nel mare, la cattedrale della tua città


Sarah Kaminski, Università di Torino

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