Elia Richetti,
rabbino
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La
benedizione che i Kohanim impartiscono al popolo viene loro comandata
dalla Torah con queste parole: “Kò tevarekhù eth benè Israel, amòr
lahèm”, “Così benedirete i figli d’Israel, dicendo loro”. Anche la
traduzione aramaica di Onkelos mette in risalto il pronome: “così
benedirete i figli d’Israele, quando direte loro”.
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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Conoscevo
molto bene Michael Feige, uno dei quattro uccisi nell'attentato di
Sarona, il dinamico quartiere pieno di ristoranti proprio di fronte al
ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv. Era un sociologo molto
noto che dopo aver studiato a Gerusalemme lavorava all'università di
Beer Sheva, dove dirigeva il centro di studi israeliani, e alla
Midreshet Sdé Boker, il college sorto in onore di Ben Gurion nel
deserto, a pochi passi dalla baracca frugale dove si era ritirato il
grande vecchio. Michael era uno specialista dei movimenti
fondamentalisti religiosi ebraici e aveva scritto molti lavori sulla
crescita degli insediamenti in Cisgiordania, la loro ideologia, il loro
significato politico. Era un profondo ed equanime conoscitore dei
fenomeni di cui scriveva, e allo stesso tempo non esitava a esprimere
le sue critiche nei confronti di quella che lui riteneva una tendenza
che ostacolava la pace e la normalizzazione in Israele. Con amaro
cinismo si può ipotizzare che se i terroristi prima di uccidere
chiedessero alla prossima vittima: "Scusi, lei come la pensa
politicamente?", forse in questo caso avrebbero concluso: "Questo qui
no".
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Francia e Belgio in allerta
La Siria esporta jihadisti
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Da
Bruxelles arriva l’allarme per il possibile arrivo dalla Siria di un
gruppo di jihadisti intenzionati a colpire in Belgio e in Francia, dove
si stanno svolgendo gli Europei di calcio. A sostenerlo, i servizi
segreti belgi secondo cui terroristi dell’Isis “stanno cercando di
raggiungere l’ Europa, attraverso la Turchia e la Grecia, su
imbarcazioni e senza un passaporto”. Minaccia presa seriamente da
Parigi, da dove arrivano le parole del Primo ministro Manuel Valls:
“Altri innocenti perderanno la vita (La Stampa). Questa guerra durerà
una generazione. Mi si accuserà di generare ancora più ansia, ma è la
realtà”, le parole di Valls, che ha poi difeso le forze dell’ordine
francesi dalle critiche mosse dopo l’attentato compiuto da Larossi
Abballa, il jihadista di Magnanville fedele all’Isis, che lunedì ha
ucciso un poliziotto e sua moglie (Repubblica). Secondo l’ex presidente
francese Nicolas Sarkozy, intervistato da Repubblica, l’Europa non sta
facendo abbastanza per rispondere alla minaccia terroristica, a quella
che definisce la “guerra contro l’islamismo radicale”, e individua tre
punti su cui operare: “Per prima cosa tutti i detenuti islamici devono
essere messi in isolamento per evitare il proselitismo nelle prigioni.
– afferma Sarkozy – Secondo: chiedo la creazione urgente di un servizio
d’intelligence nelle carceri. Terzo: qualsiasi persona straniera o con
la doppia nazionalità che abbia legami con attività terroristiche deve
essere espulsa dal paese”.
Israele, il disertore che scopre le carte di Hamas. Ha oltrepassato il
confine tra Gaza e Israele e si è consegnato nelle mani dell’esercito
israeliano e con lui molte informazioni sul gruppo terroristico di
Hamas e i suoi tunnel. A prendere questa decisione, secondo fonti
palestinesi rilanciate dai media israeliani, un alto ufficiale delle
Brigate Izzad-Dina al Qassam, l’unità d’élite di Hamas. Le autorità
israeliane non hanno confermato la notizia ma sembra che l’ufficiale
abbia detto ai famigliari che andava a fare una camminata, mentre
invece, computer al seguito, si è consegnato a due soldati oltreconfine
che lo stavano aspettando. Le informazioni in suo possesso, sottolinea
La Stampa, potranno essere utili per smantellare la rete di tunnel del
terrore costruita da Hamas nel corso di questi anni e già duramente
colpita da Israele durante il conflitto a Gaza del 2014.
Sanità, la cecità dell’Oms. Il Foglio denuncia oggi l’atteggiamento
dell’Organizzazione mondiale della Sanità, organismo dell’Onu, che
invece che concentrarsi sulle emergenze quali “il disastro umanitario
nello Yemen martoriato dalla guerra, degli ospedali bombardati dal
governo siriano o della crisi in Venezuela” stila un “report
particolare, l’unico dedicato a un solo paese, sulle ‘condizioni
sanitarie’ in quell’inferno che è Israele certo peggiore di tutti i
luoghi sopracitati, dove urge indagare la situazione dei, e qui
citiamo, ‘territori palestinesi occupati’ e delle ‘alture occupate del
Golan’. L’Oms, che si occupa di prevenire le pandemie, sta contribuendo
al contagio dell’odio”.
Orlando, dopo la strage. Sul Corriere della Sera la testimonianza di
alcuni sopravvissuti alla strage di Orlando, dove un uomo, che aveva
giurato fedeltà all’Isis, è entrato in un locale gay e ha ucciso 49
persone e ne ha ferite oltre 50. Su Repubblica invece un reportage tra
i musulmani della città, comunità che conta 28mila persone in città,
“che all’indomani della strage, – scrive il quotidiano – sconvolta dal
massacro compiuto nel nome dell’Islam, è andata in massa a donare il
sangue”. E di Islam moderato e radicale discute Furio Colombo sul Fatto
Quotidiano, richiamando la Storia per spiegare l’attualità: “ogni
religione può diventare un’arma mortale. Ma è sempre un trucco per
coprire la mano del boia e farci credere che sia la mano di Dio”.
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ucei - l'intervista a davide romanin jacur
“Piccole e medie Comunità,
mettiamo le carte in tavola”
Piccole
e medie comunità. Una ricchezza irrinunciabile per l’ebraismo italiano.
Ma facciamo chiarezza. Quale la loro distribuzione sul territorio?
Quale il loro contributo? Quali le sfide che sono chiamate ad
affrontare nel breve, medio e lungo termine? A rispondere è Davide
Romanin Jacur, presidente della Comunità ebraica di Padova e
coordinatore della Commissione Bilancio e Otto per Mille dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane.
"Sono contento - spiega - di avere l’occasione di esprimermi su questo
tema, perché sono convinto che vi sia un gap di conoscenza. I
rappresentanti delle cosiddette grandi comunità spesso si riempiono la
bocca di asserzioni sulle piccole, ma dimostrano di non saperne più di
tanto. Anzitutto serve una attestazione storica: a parte il primo
insediamento ebraico pre-cristiano nella Roma Imperiale, l’origine
delle comunità italiane è molto diversa da quasi tutti gli altri siti
sparsi per il mondo, dopo la diaspora del 70 dC; nel tardo Medioevo e
fino alla metà del XIX° secolo, l’attuale Italia era divisa in tanti
Comuni o Signorie, ove gli ebrei furono richiamati a svolgere funzioni
precluse ad altri, per religione o incapacità. Oggi ci sono 21
comunità, ma in passato ce n’erano cento o più: caratteristica
peculiare e sensibile quindi dell’ebraismo italiano da sempre, oltre al
rito che non è conosciuto all’estero, è una ampia e capillare
diffusione nel territorio; non occorre ricordare le grandezze di
Mantova e Ferrara, la storia di Padova e Venezia, le comunità perdute
del Piemonte, quelle siciliane e pugliesi, mentre ricordo che Milano è
invece una comunità giovanissima. Ora la situazione demografica è
diversa, condannata dall’assimilazione, prima ancora che dalla Shoah;
dalla difficoltà matrimoniale e di procreazione, prima ancora
dell’emigrazione in Eretz Israel; dagli spostamenti professionali. E
così le comunità sono diventate piccole. Ma non per questo, i problemi
delle piccole comunità sono diversi da quelli delle grandi: anzi, sono
proporzionalmente maggiori. C’è chi dice che oggi ci sia a Roma una
maggior povertà: anche nel resto d’Italia la crisi economica ha
abbassato sensibilmente la redditività pro capite, creato nuove
povertà, ridotto le possibilità di richiedere contributi istituzionali
e quasi annullato le offerte liberali sulle quali, un tempo, le
comunità sopravvivevano. Se gli assistiti sono passati da 4 a 10, è la
stessa proporzione che ci sarebbe a Roma se fossero passati da 300 a
750. Se 12 persone in più sono senza lavoro, è come se a Roma fossero
in più di 900. E si potrebbero fare altri esempi. Leggi
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l'iniziativa di una sinagoga di washington
“Dopo Orlando, uniti nel dolore”
“Quando
un rabbino e alcuni frequentatori di una sinagoga ortodossa entrano in
un locale gay afro-americano, non è la battuta iniziale di una
barzelletta. È invece un’opportunità per creare una connessione,
rompere le barriere e stare uniti, è un’opportunità per imparare che se
vogliamo sopravvivere, abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro”. Scrive
così Shmuel Herzfeld, rabbino della sinagoga modern orthodox Ohev
Sholom di Washington, nel raccontare sul Washington Post la sua visita
insieme ad alcuni membri della sua congregazione al Fireplace, un bar
gay della capitale statunitense, nelle ore immediatamente successive
all’attentato di Orlando. Un gesto simbolico di solidarietà, “per
condividere il messaggio che provavamo tutti un enorme dolore e che le
nostre vite non stavano andando avanti come se tutto fosse normale”.
Poiché la notizia è arrivata mentre era ancora in corso la festività
solenne di Shavuot, in cui non ci si può spostare e non si può
utilizzare internet, è stato direttamente dall’altare che Herzfeld ha
annunciato che al termine esatto della festa lunedì sera un gruppo
avrebbe subito compiuto l’atto solidale di recarsi in un locale gay
direttamente dalla sinagoga dopo la funzione. “Sebbene la ricorrenza
sia un’occasione gioiosa – ricorda il rabbino – avevo le lacrime agli
occhi mentre recitavo le nostre preghiere”.
(Nell'immagine, una manifestazione a Orlando dopo la strage compiuta da un terrorista in un locale gay della città) Leggi
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qui milano - verso le elezioni comunali
La Comunità incontra i candidati
Parisi e Sala a confronto
Come
garantire la sicurezza della Comunità ebraica a Milano, come isolare
antisemiti e integralisti nella società così come quelli presenti nelle
rispettive fila politiche, quale rapporto coltivare in futuro con
Israele e Tel Aviv. Sono alcuni dei punti toccati durante il confronto
che ha visto protagonisti, a poche ore dal decisivo voto di domenica, i
due candidati sindaco per Milano Stefano Parisi (centro destra) e
Giuseppe Sala (centro sinistra) alla presenza di molti iscritti alla
Comunità ebraica della città. A organizzare il doppio incontro, il Bené
Berith Milano, con il presidente dell'associazione Paolo Foà a porre le
domande ai due candidati – intervistati nelle scorse settimane anche
dalla redazione di Pagine Ebraiche -, intervenuti
uno di seguito all'altro e separatamente. Protagonista del primo tempo,
per così dire, Parisi che ha ribadito il suo impegno nel contrasto alla minaccia
antisemita: “oggi c'è un rischio molto alto rispetto all'antisemitismo,
si tratta di un problema europeo. Nella mia coalizione – ha aggiunto –
ho voluto mettere subito dei punti molto fermi, affermando che
c'è un margine di fondo invalicabile su questi temi”. Rispetto
all'elezione al municipio di Zona 8 con la lista della Lega Nord – che
appoggia Parisi – di un esponente di estrema destra, Parisi stesso non
ha nascosto la sua contrarietà. Leggi
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qui roma
L'Italia tra banche e ghetti
Perché
l’istituzione dei ghetti è avvenuta proprio in Italia nel Cinquecento,
nel momento in cui avveniva una trasformazione economica e politica?”.
Non si tratta di una coincidenza, come spiega lo storico Giacomo
Todeschini, che racconta di essere partito da questo interrogativo per
lavorare al suo libro La banca e il ghetto (Laterza). Un saggio
innovativo con cui si rompe il silenzio sul fatto che, ha osservato
l’autore, “i ghetti, così come le banche, sono stati inventati in
Italia”. Il volume è stato presentato ieri a Roma, al Centro
bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con un
incontro organizzato dal Centro di cultura ebraica della Comunità della
Capitale e dal Master UCEI in cultura ebraica e comunicazione, a cui
hanno partecipato gli storici Michael Gasperoni, dell’École française
de Rome, Luciano Palermo, docente all’Università degli Studi della
Tuscia, e Myriam Grielsammer dell’Università di Bar Ilan. Ad aprire la
presentazione i saluti di Miriam Haiun, direttrice del Centro di
Cultura Ebraica, e un’introduzione del presidente del Master UCEI e
rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, mentre ha moderato il dibattito
la storica Anna Esposito. Leggi
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Setirot
- Cosa serve all’Islam |
Il
terrorismo in stile Califfato&Co non dà tregua. Noi cittadini,
quasi paralizzati di fronte a tanto orrore, ci interroghiamo. Il più
delle volte leggiamo, ascoltiamo – anche in ambienti che ci sono vicini
– reazioni alla Trump, alla Salvini, comunque in linea con l’onda
populista, xenofoba e razzista che monta in Europa e non solamente in
Europa. A chi prende questa china è troppo facile rispondere che le
vittime degli attentati sono per lo più musulmani. E che la stragrande
maggioranza delle associazioni dei musulmani del mondo occidentale,
d’Europa, d’Italia condannano il terrorismo, ne sono lontani, esprimono
vicinanza ai loro concittadini e chiedono, in particolare in Italia,
una svolta nei rapporti con la società civile e lo Stato di cui sono e
si ritengono parte integrante.
Stefano Jesurum, giornalista
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In ascolto - Playing for Change |
È
contagioso. Playing for Change, uno dei progetti musicali più
divertenti che io conosca è semplicemente contagioso. Come spiega il
board, presieduto da Brian Applestein, Playing for Change nasce dalla
convinzione che la musica ha il potere di unire le persone, aldilà di
ogni differenza. E in effetti, basta guardare uno dei loro video per
rendersi conto che è proprio così. Quel che oggi è un progetto mondiale
gestito da apposita Fondazione, nel 2005 era solo un sogno; un gruppo
di operatori video e sceneggiatori aveva in mente di realizzare un film
musicale in grado di attraversare il mondo e sono stati sufficienti uno
studio di regia mobile, qualche biglietto aereo e un pizzico di follia,
per raggiungere l’obiettivo. Hanno filmato performance diverse in
diversi luoghi, su una medesima canzone e successivamente hanno mixato
l’audio.
Maria Teresa Milano
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Time out - Altro approccio
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Domenica
si vota, e anche se c’è una parte dell’ebraismo italiano che vive la
richiesta di discontinuità come un peccato di lesa maestà è evidente
che per molti sia arrivato il momento di cambiare l’approccio.
Daniel Funaro
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Perdersi nel Talmud
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Aprire
e sfogliare l’edizione italiana del Talmud è emozionante, quasi ogni
parola suona familiare anche all’ebreo non religioso che sono. Ben
presto però l’emozione si fa ragione, e l’ammirazione per l’umanità
ebraica prevale. Basta mettersi comodi al tavolo ( non è un libro da
poltrona né da letto, questo) e leggere con lentezza. Così ho fatto,
intimorito eppure a mio agio. Dalla frase di rav Adin Even Israel
Steinsaltz che illumina il bianco della prima pagina in poi, ogni riga
è già un esempio di ordinata strategia narrativa, di rispetto: la forma
È il contenuto di ogni opera.
Valerio Fiandra
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La storia di una donna |
Questa
è, ma non solo, la storia di una donna che ha visto tutto. Tonya (Tova)
Kreppel nasce a Borysław, allora Polonia, nel 1929. Annessa all'Unione
Sovietica nel 1939 ed occupata dai tedeschi nel 1941, Borysław è da
subito luogo di eccidi ebraici commessi da ucraini e polacchi in città
e nelle foreste limitrofe, mentre l'inverno successivo gran parte della
popolazione ebraica muore di stenti o viene deportata a Janowska e nel
campo di sterminio di Bełżec.
Sara Valentina Di Palma
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