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16 giugno 2016 - 3 Sivan  5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
La benedizione che i Kohanim impartiscono al popolo viene loro comandata dalla Torah con queste parole: “Kò tevarekhù eth benè Israel, amòr lahèm”, “Così benedirete i figli d’Israel, dicendo loro”. Anche la traduzione aramaica di Onkelos mette in risalto il pronome: “così benedirete i figli d’Israele, quando direte loro”.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Conoscevo molto bene Michael Feige, uno dei quattro uccisi nell'attentato di Sarona, il dinamico quartiere pieno di ristoranti proprio di fronte al ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv. Era un sociologo molto noto che dopo aver studiato a Gerusalemme lavorava all'università di Beer Sheva, dove dirigeva il centro di studi israeliani, e alla Midreshet Sdé Boker, il college sorto in onore di Ben Gurion nel deserto, a pochi passi dalla baracca frugale dove si era ritirato il grande vecchio. Michael era uno specialista dei movimenti fondamentalisti religiosi ebraici e aveva scritto molti lavori sulla crescita degli insediamenti in Cisgiordania, la loro ideologia, il loro significato politico. Era un profondo ed equanime conoscitore dei fenomeni di cui scriveva, e allo stesso tempo non esitava a esprimere le sue critiche nei confronti di quella che lui riteneva una tendenza che ostacolava la pace e la normalizzazione in Israele. Con amaro cinismo si può ipotizzare che se i terroristi prima di uccidere chiedessero alla prossima vittima: "Scusi, lei come la pensa politicamente?", forse in questo caso avrebbero concluso: "Questo qui no".
 
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Francia e Belgio in allerta
La Siria esporta jihadisti
Da Bruxelles arriva l’allarme per il possibile arrivo dalla Siria di un gruppo di jihadisti intenzionati a colpire in Belgio e in Francia, dove si stanno svolgendo gli Europei di calcio. A sostenerlo, i servizi segreti belgi secondo cui terroristi dell’Isis “stanno cercando di raggiungere l’ Europa, attraverso la Turchia e la Grecia, su imbarcazioni e senza un passaporto”. Minaccia presa seriamente da Parigi, da dove arrivano le parole del Primo ministro Manuel Valls: “Altri innocenti perderanno la vita (La Stampa). Questa guerra durerà una generazione. Mi si accuserà di generare ancora più ansia, ma è la realtà”, le parole di Valls, che ha poi difeso le forze dell’ordine francesi dalle critiche mosse dopo l’attentato compiuto da Larossi Abballa, il jihadista di Magnanville fedele all’Isis, che lunedì ha ucciso un poliziotto e sua moglie (Repubblica). Secondo l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, intervistato da Repubblica, l’Europa non sta facendo abbastanza per rispondere alla minaccia terroristica, a quella che definisce la “guerra contro l’islamismo radicale”, e individua tre punti su cui operare: “Per prima cosa tutti i detenuti islamici devono essere messi in isolamento per evitare il proselitismo nelle prigioni. – afferma Sarkozy – Secondo: chiedo la creazione urgente di un servizio d’intelligence nelle carceri. Terzo: qualsiasi persona straniera o con la doppia nazionalità che abbia legami con attività terroristiche deve essere espulsa dal paese”.

Israele, il disertore che scopre le carte di Hamas. Ha oltrepassato il confine tra Gaza e Israele e si è consegnato nelle mani dell’esercito israeliano e con lui molte informazioni sul gruppo terroristico di Hamas e i suoi tunnel. A prendere questa decisione, secondo fonti palestinesi rilanciate dai media israeliani, un alto ufficiale delle Brigate Izzad-Dina al Qassam, l’unità d’élite di Hamas. Le autorità israeliane non hanno confermato la notizia ma sembra che l’ufficiale abbia detto ai famigliari che andava a fare una camminata, mentre invece, computer al seguito, si è consegnato a due soldati oltreconfine che lo stavano aspettando. Le informazioni in suo possesso, sottolinea La Stampa, potranno essere utili per smantellare la rete di tunnel del terrore costruita da Hamas nel corso di questi anni e già duramente colpita da Israele durante il conflitto a Gaza del 2014.

Sanità, la cecità dell’Oms. Il Foglio denuncia oggi l’atteggiamento dell’Organizzazione mondiale della Sanità, organismo dell’Onu, che invece che concentrarsi sulle emergenze quali “il disastro umanitario nello Yemen martoriato dalla guerra, degli ospedali bombardati dal governo siriano o della crisi in Venezuela” stila un “report particolare, l’unico dedicato a un solo paese, sulle ‘condizioni sanitarie’ in quell’inferno che è Israele certo peggiore di tutti i luoghi sopracitati, dove urge indagare la situazione dei, e qui citiamo, ‘territori palestinesi occupati’ e delle ‘alture occupate del Golan’. L’Oms, che si occupa di prevenire le pandemie, sta contribuendo al contagio dell’odio”.

Orlando, dopo la strage. Sul Corriere della Sera la testimonianza di alcuni sopravvissuti alla strage di Orlando, dove un uomo, che aveva giurato fedeltà all’Isis, è entrato in un locale gay e ha ucciso 49 persone e ne ha ferite oltre 50. Su Repubblica invece un reportage tra i musulmani della città, comunità che conta 28mila persone in città, “che all’indomani della strage, – scrive il quotidiano – sconvolta dal massacro compiuto nel nome dell’Islam, è andata in massa a donare il sangue”. E di Islam moderato e radicale discute Furio Colombo sul Fatto Quotidiano, richiamando la Storia per spiegare l’attualità: “ogni religione può diventare un’arma mortale. Ma è sempre un trucco per coprire la mano del boia e farci credere che sia la mano di Dio”.
 
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  davar
ucei - l'intervista a davide romanin jacur
“Piccole e medie Comunità,
mettiamo le carte in tavola”

Piccole e medie comunità. Una ricchezza irrinunciabile per l’ebraismo italiano. Ma facciamo chiarezza. Quale la loro distribuzione sul territorio? Quale il loro contributo? Quali le sfide che sono chiamate ad affrontare nel breve, medio e lungo termine? A rispondere è Davide Romanin Jacur, presidente della Comunità ebraica di Padova e coordinatore della Commissione Bilancio e Otto per Mille dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

"Sono contento - spiega - di avere l’occasione di esprimermi su questo tema, perché sono convinto che vi sia un gap di conoscenza. I rappresentanti delle cosiddette grandi comunità spesso si riempiono la bocca di asserzioni sulle piccole, ma dimostrano di non saperne più di tanto. Anzitutto serve una attestazione storica: a parte il primo insediamento ebraico pre-cristiano nella Roma Imperiale, l’origine delle comunità italiane è molto diversa da quasi tutti gli altri siti sparsi per il mondo, dopo la diaspora del 70 dC; nel tardo Medioevo e fino alla metà del XIX° secolo, l’attuale Italia era divisa in tanti Comuni o Signorie, ove gli ebrei furono richiamati a svolgere funzioni precluse ad altri, per religione o incapacità. Oggi ci sono 21 comunità, ma in passato ce n’erano cento o più: caratteristica peculiare e sensibile quindi dell’ebraismo italiano da sempre, oltre al rito che non è conosciuto all’estero, è una ampia e capillare diffusione nel territorio; non occorre ricordare le grandezze di Mantova e Ferrara, la storia di Padova e Venezia, le comunità perdute del Piemonte, quelle siciliane e pugliesi, mentre ricordo che Milano è invece una comunità giovanissima. Ora la situazione demografica è diversa, condannata dall’assimilazione, prima ancora che dalla Shoah; dalla difficoltà matrimoniale e di procreazione, prima ancora dell’emigrazione in Eretz Israel; dagli spostamenti professionali. E così le comunità sono diventate piccole. Ma non per questo, i problemi delle piccole comunità sono diversi da quelli delle grandi: anzi, sono proporzionalmente maggiori. C’è chi dice che oggi ci sia a Roma una maggior povertà: anche nel resto d’Italia la crisi economica ha abbassato sensibilmente la redditività pro capite, creato nuove povertà, ridotto le possibilità di richiedere contributi istituzionali e quasi annullato le offerte liberali sulle quali, un tempo, le comunità sopravvivevano. Se gli assistiti sono passati da 4 a 10, è la stessa proporzione che ci sarebbe a Roma se fossero passati da 300 a 750. Se 12 persone in più sono senza lavoro, è come se a Roma fossero in più di 900. E si potrebbero fare altri esempi.
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l'iniziativa di una sinagoga di washington
“Dopo Orlando, uniti nel dolore”
“Quando un rabbino e alcuni frequentatori di una sinagoga ortodossa entrano in un locale gay afro-americano, non è la battuta iniziale di una barzelletta. È invece un’opportunità per creare una connessione, rompere le barriere e stare uniti, è un’opportunità per imparare che se vogliamo sopravvivere, abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro”. Scrive così Shmuel Herzfeld, rabbino della sinagoga modern orthodox Ohev Sholom di Washington, nel raccontare sul Washington Post la sua visita insieme ad alcuni membri della sua congregazione al Fireplace, un bar gay della capitale statunitense, nelle ore immediatamente successive all’attentato di Orlando. Un gesto simbolico di solidarietà, “per condividere il messaggio che provavamo tutti un enorme dolore e che le nostre vite non stavano andando avanti come se tutto fosse normale”.
Poiché la notizia è arrivata mentre era ancora in corso la festività solenne di Shavuot, in cui non ci si può spostare e non si può utilizzare internet, è stato direttamente dall’altare che Herzfeld ha annunciato che al termine esatto della festa lunedì sera un gruppo avrebbe subito compiuto l’atto solidale di recarsi in un locale gay direttamente dalla sinagoga dopo la funzione. “Sebbene la ricorrenza sia un’occasione gioiosa – ricorda il rabbino – avevo le lacrime agli occhi mentre recitavo le nostre preghiere”.

(Nell'immagine, una manifestazione a Orlando dopo la strage compiuta da un terrorista in un locale gay della città)
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qui milano - verso le elezioni comunali
La Comunità incontra i candidati
Parisi e Sala a confronto

Come garantire la sicurezza della Comunità ebraica a Milano, come isolare antisemiti e integralisti nella società così come quelli presenti nelle rispettive fila politiche, quale rapporto coltivare in futuro con Israele e Tel Aviv. Sono alcuni dei punti toccati durante il confronto che ha visto protagonisti, a poche ore dal decisivo voto di domenica, i due candidati sindaco per Milano Stefano Parisi (centro destra) e Giuseppe Sala (centro sinistra) alla presenza di molti iscritti alla Comunità ebraica della città. A organizzare il doppio incontro, il Bené Berith Milano, con il presidente dell'associazione Paolo Foà a porre le domande ai due candidati – intervistati nelle scorse settimane anche dalla redazione di Pagine Ebraiche -, intervenut
i uno di seguito all'altro e separatamente. Protagonista del primo tempo, per così dire, Parisi che ha ribadito il suo impegno nel contrasto alla minaccia antisemita: “oggi c'è un rischio molto alto rispetto all'antisemitismo, si tratta di un problema europeo. Nella mia coalizione – ha aggiunto – ho voluto mettere subito dei punti  molto fermi, affermando che c'è un margine di fondo invalicabile su questi temi”. Rispetto all'elezione al municipio di Zona 8 con la lista della Lega Nord – che appoggia Parisi – di un esponente di estrema destra, Parisi stesso non ha nascosto la sua contrarietà.
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qui roma
L'Italia tra banche e ghetti
Perché l’istituzione dei ghetti è avvenuta proprio in Italia nel Cinquecento, nel momento in cui avveniva una trasformazione economica e politica?”. Non si tratta di una coincidenza, come spiega lo storico Giacomo Todeschini, che racconta di essere partito da questo interrogativo per lavorare al suo libro La banca e il ghetto (Laterza). Un saggio innovativo con cui si rompe il silenzio sul fatto che, ha osservato l’autore, “i ghetti, così come le banche, sono stati inventati in Italia”. Il volume è stato presentato ieri a Roma, al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con un incontro organizzato dal Centro di cultura ebraica della Comunità della Capitale e dal Master UCEI in cultura ebraica e comunicazione, a cui hanno partecipato gli storici Michael Gasperoni, dell’École française de Rome, Luciano Palermo, docente all’Università degli Studi della Tuscia, e Myriam Grielsammer dell’Università di Bar Ilan. Ad aprire la presentazione i saluti di Miriam Haiun, direttrice del Centro di Cultura Ebraica, e un’introduzione del presidente del Master UCEI e rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, mentre ha moderato il dibattito la storica Anna Esposito.
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Qui Venezia
La Memoria tra luci e ombre
In occasione di Shavuot gli iscritti alla comunità ebraica di Venezia hanno ricevuto a casa la riedizione del volumetto Luci e ombre che il cavaliere Emilio Pardo scrisse più di cinquant’anni fa. Pardo visse gli anni della sua infanzia nel Ghetto e fu tra le persone maggiormente impegnate nel dopoguerra a ricostruire la Comunità ebraica di Venezia. Stimato segretario del Circolo Ebraico Veneziano Cuore e Concordia, fu assiduo frequentatore della Scola Spagnola, di cui divenne parnas.
“Come Comunità ebraica – ha spiegato il presidente Paolo Gnignati – proprio in questi mesi di rievocazione dei 500 anni dall’istituzione del ghetto, abbiamo voluto dare spazio anche alla nostra memoria più intima. Grazie al lavoro del direttore della biblioteca Renato Maestro, Gadi Luzzatto Voghera e al consigliere Paolo Navarro Dina, è stata individuata una piccola casa editrice “Il Prato” che si è resa disponibile per la ristampa del volume di Pardo”.

Michael Calimani
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jciak
La casa delle estati lontane
“Siamo in Israele, nel 1995. Dopo anni di separazione Cali si ritrova con le sorelle Darel e Asia nella cittadina di Atlit per vendere la casa delle vacanze che i genitori hanno lasciato in eredità. In quel luogo un tempo così amato, fra le tre donne si riaccende l’antica complicità mentre tornano allo scoperto vecchi rancori. Fin qui non c’è niente di nuovo, se non fosse che la Storia (proprio quella maiuscola) rimescola le loro speranze di futuro. Il 4 novembre Rabin viene assassinato e la pace ancora una volta si allontana. La casa delle estati lontane, film debutto di Shirel Amitay da oggi nelle sale, mescola politica e sentimenti con garbo e sensibilità portando sullo schermo una famiglia franco-israeliana.
Il film si avvale dell’ottima interpretazione di Yael Abecassis (già splendida protagonista di Kadosh), Geraldine Nakache e Judith Chemla e ha il pregio di raccontare scontri, paure e contraddizioni di una famiglia ebraica francese proprio mentre gli attentati e l’escalation dell’antisemitismo stanno spingendo tanti ebrei francesi a lasciare il paese. Shirel Amitay, nata in Israele e cresciuta professionalmente in Francia dove ha lavorato con Jacques Rivette e Claire Simon, fa della casa di Atlit un simbolo del desiderio di pace e delle tensioni di guerra che straziano il paese.

Daniela Gross
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  pilpul
Setirot - Cosa serve all’Islam
Il terrorismo in stile Califfato&Co non dà tregua. Noi cittadini, quasi paralizzati di fronte a tanto orrore, ci interroghiamo. Il più delle volte leggiamo, ascoltiamo – anche in ambienti che ci sono vicini – reazioni alla Trump, alla Salvini, comunque in linea con l’onda populista, xenofoba e razzista che monta in Europa e non solamente in Europa. A chi prende questa china è troppo facile rispondere che le vittime degli attentati sono per lo più musulmani. E che la stragrande maggioranza delle associazioni dei musulmani del mondo occidentale, d’Europa, d’Italia condannano il terrorismo, ne sono lontani, esprimono vicinanza ai loro concittadini e chiedono, in particolare in Italia, una svolta nei rapporti con la società civile e lo Stato di cui sono e si ritengono parte integrante. 

Stefano Jesurum, giornalista

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In ascolto - Playing for Change
È contagioso. Playing for Change, uno dei progetti musicali più divertenti che io conosca è semplicemente contagioso. Come spiega il board, presieduto da Brian Applestein, Playing for Change nasce dalla convinzione che la musica ha il potere di unire le persone, aldilà di ogni differenza. E in effetti, basta guardare uno dei loro video per rendersi conto che è proprio così. Quel che oggi è un progetto mondiale gestito da apposita Fondazione, nel 2005 era solo un sogno; un gruppo di operatori video e sceneggiatori aveva in mente di realizzare un film musicale in grado di attraversare il mondo e sono stati sufficienti uno studio di regia mobile, qualche biglietto aereo e un pizzico di follia, per raggiungere l’obiettivo. Hanno filmato performance diverse in diversi luoghi, su una medesima canzone e successivamente hanno mixato l’audio.

Maria Teresa Milano
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Time out - Altro approccio
Domenica si vota, e anche se c’è una parte dell’ebraismo italiano che vive la richiesta di discontinuità come un peccato di lesa maestà è evidente che per molti sia arrivato il momento di cambiare l’approccio.

Daniel Funaro
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Perdersi nel Talmud
Aprire e sfogliare l’edizione italiana del Talmud è emozionante, quasi ogni parola suona familiare anche all’ebreo non religioso che sono. Ben presto però l’emozione si fa ragione, e l’ammirazione per l’umanità ebraica prevale. Basta mettersi comodi al tavolo ( non è un libro da poltrona né da letto, questo) e leggere con lentezza. Così ho fatto, intimorito eppure a mio agio. Dalla frase di rav Adin Even Israel Steinsaltz che illumina il bianco della prima pagina in poi, ogni riga è già un esempio di ordinata strategia narrativa, di rispetto: la forma È il contenuto di ogni opera.

Valerio Fiandra
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La storia di una donna
Questa è, ma non solo, la storia di una donna che ha visto tutto. Tonya (Tova) Kreppel nasce a Borysław, allora Polonia, nel 1929. Annessa all'Unione Sovietica nel 1939 ed occupata dai tedeschi nel 1941, Borysław è da subito luogo di eccidi ebraici commessi da ucraini e polacchi in città e nelle foreste limitrofe, mentre l'inverno successivo gran parte della popolazione ebraica muore di stenti o viene deportata a Janowska e nel campo di sterminio di Bełżec. 

Sara Valentina Di Palma
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