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16 giugno 2016 - 10 Sivan 5776
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Orizzonti

Brexit: la comunità britannica sceglie la UE

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Scrive Amos Oz nella sua autobiografia “Una storia d’amore e di tenebra” (Feltrinelli, 2003) che gli ebrei sono stati i primi europei, capaci di sentirsi parte di cultura, storia e valori di un continente più ancora che di una nazione, quando ancora l’Europa era frammentata in Stati pronti a farsi guerra (e annientare diversi milioni di propri e altrui cittadini). Diversi decenni dopo la tendenza europeista della popolazione ebraica sembra trovare una conferma nelle posizioni assunte nell’ambito della comunità britannica di fronte all’ipotesi di Brexit.
Un sondaggio sul tema realizzato dal giornale The Jewish Chronicle a metà maggio, ha infatti evidenziato un netto vantaggio a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, materia che sarà oggetto di referendum il prossimo 23 giugno: 49 a 34 per cento, con una percentuale di indecisi intorno al 17%. Consultazioni sulla popolazione generale del paese nello stesso periodo evidenziavano un margine molto più ristretto (45 a 38). Se i più recenti studi mostrano che il numero di elettori propensi ad esprimere il proprio supporto per la Brexit è in crescita, fino a scendere sotto il punto percentuale di margine tra il sì e il no, ci sono buone ragioni per ritenere che tra gli ebrei d’oltremanica l’europeismo rimanga una tendenza preponderante, specie fra i più giovani (nel sondaggio del Jewish Chronicle, il 61% della fascia 18-34 ha dichiarato il suo sostegno alla UE).

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ORIZZONTI

Daesh e le mafie, minaccia globale

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Lo scorso marzo il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti, nel presentare la Relazione annuale della Direzione antimafia, tracciava un chiaro parallelismo tra la mafia e Daesh (il movimento terroristico anche noto come Isis). “Le formazioni terroristiche si autofinanziano con contrabbandi, traffici di armi, attività mafiose insomma - le parole del procuratore Roberti – Lo stato islamico è uno stato mafia, si muove come una vera e propria associazione mafiosa transnazionale”. Da questo singolare ma intuibile intreccio muove l’imponente indagine svolta dalla triestina Swg con la collaborazione di Voices from the blogs sul legame tra criminalità, terrorismo e fonti di finanziamento. Il lavoro – finanziato dalla British American Tobacco – muove su due binari, come spiega a Pagine Ebraiche Riccardo Grassi, direttore di ricerca a SWG: da una parte il sondaggio che spiega la percezione che gli italiani hanno di Daesh e della mafia e di come queste due realtà criminali si finanzino; dall’altra si da voce a esperti e analisti del settore (decision makers) per comprendere meglio differenze e somiglianze tra i due fenomeni e come contrastarli. Sul primo fronte i dati sono chiari, gli italiani hanno una percezione maggiore del pericolo della mafia rispetto a quello di Daesh (come mostra il grafico a fianco) seppur non di molto.

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ORIZZONTI

Terrorismo e criminalità organizzata,
incontri e scontri tra i due mondi

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Dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles molti esperti israeliani hanno suggerito all’Europa di dare una stretta alle libertà individuali per tutelare la sicurezza dei propri cittadini ma diversi opinionisti hanno ribadito che le prime sono una conquista irrinunciabile per gli europei. “Ma su questo punto – spiega Riccardo Grassi della società di ricerche Swg – i commentatori sono d’accordo nel dire che c’è un’aporia interna alle democrazie del Vecchio Continente. Perché da una parte si ribadisce che le libertà vanno mantenute, con le opportunità che ne conseguono, dall’altra sono libertà che non valgono per tutti. Non per chi arriva come profugo. In questo caso si alzano muri”. “Il problema è che si risponde sulla base dell’emotività a queste problematiche (l’emergenza profughi e la preoccupazione di infiltrazioni terroristiche) in Italia come in Europa. Lo sottolineano gli esperti che abbiamo contattato per la nostra ricerca sulla percezione della pericolosità di Daesh e della mafia e sui loro metodi di finanziamento.

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ORIZZONTI

I passi da seguire per battere Daesh

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CHI SONO I DECISION MAKER

Giornalisti che sono stati sul campo, docenti universitari, esperti di economia e criminalità, analisti e operatori delle forze di polizia. Sono le persone che la società di ricerca Swg ha interpellato per avere un quadro chiaro sulla minaccia di Daesh e sul suo intreccio con la criminalità organizzata. Attraverso i cosiddetti decision maker Swg ha potuto infatti redarre una sintesi delle diverse analisi emerse e portare alla luce i principali obiettivi da tenere presente per colpire i fondamentalisti islamici di Daesh.

COORDINAMENTO INTERNAZIONALE DELLE AZIONI TRA GLI STATI

“Da’esh e terrorismo internazionale sono fenomeni globali che vanno affrontati a livello globale” spiegano gli esperti e per questo il coordinamento delle intelligence, ma anche delle azioni giuridiche, è fondamentale. “Vanno superate le disparità organizzative e di ordinamento che oggi limitano le possibilità di cooperazione e l’efficacia delle azioni investigative e giudiziarie”. Una delle proposte fatta in Europa, e sinora inattuata, era la creazione di una forza di sicurezza condivisa dai diversi paesi.

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Il Mein Kampf in edicola

Chi ha fatto finta
di non capire

La sceneggiata della distribuzione in edicola del Mein Kampf di Adolf Hitler ha rappresentato una bella occasione per chiarirsi le idee. Gli amici veri da ringraziare sono tanti: quelli che hanno capito come questa squallida e arrischiata operazione non avesse nulla a che vedere con un impegno serio a diffondere la conoscenza della storia.
Lo ha detto chiaro il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, lo hanno ripreso le massime autorità italiane, a cominciare dal presidente del Consiglio e dalla presidente della Camera, lo ha capito bene tanta stampa onesta in Italia, in Israele e nel mondo intero.
In Germania quest’opera fondamentale per comprendere gli orrori del Novecento è arrivata nelle librerie specializzate in un’edizione poderosa, due volumi commentati dai massimi esperti del mondo accademico e corredati da molte migliaia di note e di apparati esplicativi. Quattro curatori e tutta l’autorevolezza dello staff dell’Istituto di Studi storici di Monaco e di Berlino, 2000 pagine, 60 euro il prezzo di copertina, ma là dove la tiratura risulta esaurita si sono registrate sul mercato quotazioni che sfiorano i 200 euro.

gv, Pagine Ebraiche 24, 14 giugno 2016

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Il Mein Kampf in edicola

Gli ebrei e gli indignati
(a giorni alterni)

Bene, e adesso, dopo la virtuosa e corale e giustificata indignazione per il Mein Kampf allegato al Giornale, si spera, ma soltanto si spera anche se le speranze sono molto sottili, che qualche flebile voce finora silenziosa, impacciata, timida, connivente si alzi per deprecare i leader occidentali che non hanno nulla da eccepire sul regime di Teheran, cioè il regime nostro seguitissimo partner commerciale in cui viene premiata nel mezzo di un concorso apposito la vignetta più ridanciana sull’Olocausto. Tutti quelli che hanno bollato come scandaloso l’allegato hitleriano ora potranno sapere anche che il vincitore del prestigioso concorso in cui vengono comicamente sbranati sei milioni di ebrei massacrati nella Shoah è un vignettista francese, un cialtrone che probabilmente avrà sghignazzato anche per il massacro dei suo colleghi connazionali di Charlie Hebdo. Bene, anzi male: ce li possiamo aspettare dagli indignati ad occasione un comunicatino di ripulsa, una noticina di deplorazione, uno spicchio di scandalo da parte di quelli che finora sono stati zitti, fra tanti di destra e di sinistra, perché nuovi amici dell’Iran? Bene, anzi male.

Pierluigi Battista, Corriere della Sera
13 giugno 2016

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Il Mein Kampf in edicola

Un attacco alla memoria 

Consapevolmente o meno, l'operazione editoriale messa in atto da un giornale italiano, che oggi in edicola insieme al quotidiano distribuirà urbi et orbi il «Mein Kampf» di Hitler, è un attacco alla storia e alla memoria del passato dell'Italia. Vendere il passato in edicola crea errori, vizi di forma insidiosi che, con la pretesa di «rivisitare» la storia, la appiattiscono in una semplificazione falsa e pericolosa. Siamo tutti a favore della verità, ma da storica, la verità storica del «Mein Kampf» hitleriano può essere raccontata solo in sede storiografica e memoriale, dagli storici e dalle vittime. Perché storici e vittime possono dirci esattamente quale fu la battaglia che il capo del Reich intraprese contro i nemici del Reich, i.e. gli ebrei, gli oppositori politici, i diversi tipi asociali, gli Untermenschen scelti per la deportazione e per lo sterminio. La riabilitazione del passato, forse più nero della storia umana, quello del XX secolo, il secolo breve, la pseudo-rottura della demonizza-zione rituale contro il Nazismo e il Fascismo, attraverso un libro intellettualmente e moralmente ignobile, con il piglio di offrire una visione disinteressata e innocente del passato è mancanza di responsabilità civica e storica, è colpa assoluta come lo è l'oblio verso le vittime di questo passato e verso gli altri, che di esso, non sono stati né carnefici né collaboratori. «Si possono scrivere libri ignobili per ragioni nobilissime, ed anche, ma più raramente, libri nobili per ragioni ignobili», scriveva Primo Levi che aveva letto il Mein Kampf. Esso non rientra in nessuna delle due citate categorie.

Manuela Consonni
Direttrice del Centro Vidal Sassoon
per lo Studio dell'Antisemitismo,
Università ebraica di Gerusalemme
La Stampa, 11 giugno 2016


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Il Mein Kampf in edicola

La banalità dell'odio 

Quando Umberto Eco decise di lavorare a un romanzo che uscì nel 2010 con il titolo "Il cimitero di Praga" e che ha al centro della trama le origini dei "Protocolli dei savi di Sion", il grande semiologo e scrittore voleva raccontare quanto l'antisemitismo fosse alla radice di tutte le teorie complottiste della storia e di tutti i razzismi, passati, presenti e futuri del mondo moderno. O se vogliamo, l'antisemitismo è l'idioma comune di tutti gli xenofobi, omofobi, islamofobi, sostenitori della supremazia della razza bianca (che per altro non esiste) del nostro universo. Ed è così, non perché gli ebrei sono dotati di qualche caratteristica particolare, ma perché è facile e spesso redditizio, dal punto di vista politico, ma anche volgarmente economico, trovare un capro espiatorio e un oggetto di aggressione e di odio: basta una narrazione, anche bislacca, con cui convincere le persone che le loro disgrazie sono colpa di poteri occulti. Era questo, il messaggio politico e letterario (e le due cose vanno insieme) di quel romanzo di Eco. Fuori dalla metafora. Quando in un Paese, l'Italia, un quotidiano decide di diffondere "Mein Kampf", non nelle università come oggetto di studio, ma nelle edicole, come un gadget, un totem, e certamente non per essere letto, dato che il testo di Adolf Hitler è fra le prose più noiose e peggio scritte della storia dell'umanità, ecco, quando un libro così viene diffuso, è necessario chiedersi: che cosa sta succedendo alla società, alla collettività degli italiani?


Wlodek Goldkorn, Repubblica
12 giugno 2016





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Shir Shishi - una poesia per erev shabbat

Il nostro asilo è chiuso

img headerScritta e musicata da Yehontan Geffen per genitori e bimbi nel 1978, “Il nostro asilo è chiuso” segna da allora in Israele l’arrivo delle vacanze estive e la chiusura delle scuole. Yehonatan Geffen, nipote di Moshe Dayan, nato nel 1947 nel moshav Nahalal, in mezzo al verde della valle di Israele, è considerato un giornalista dalla penna tagliente, poeta, drammaturgo, traduttore e attivista politico. Il figlio Aviv Geffen è uno dei simboli rock della musica israeliana. “Il nostro asilo è chiuso” fa parte di un CD chiamato “La sedicesima pecora” – quella che fa addormentare il padre, mentre il figlio rimane sveglio -  che include tante canzoni diventate un repertorio amato e costantemente ascoltato dal pubblico israeliano.
Chi di noi non ha avuto un momento di melanconia, passando davanti al cancello chiuso dell’asilo, da cui solo il giorno prima si udivano, risate, qualche pianto e voci che cantavano.

Ieri alle cinque del pomeriggio
siamo andati con mamma a fare la spesa
e strada facendo abbiamo visto che
il nostro asilo era chiuso.
Le altalene stavano ferme tra gli alberi alti,
e i fiori erano chini,
e scoloriti.
 
Le costruzioni erano assopite
E posate nella cesta,
e non c’era neppure un bimbo
per farci un castello.
 
Non c’era nemmeno la maestra
a dirci “è permesso”
o “non si può”.
Tutti i libri erano allineati sullo scaffale
perché non c’era nessuno per ascoltare una fiaba.
 
Non è per niente bello
vedere l’asilo chiuso.


Sarah Kaminski, Università di Torino

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