Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Trovare
un nemico non dà più onore, come diceva qualcuno, ma a volte può essere
una buona soluzione per sospendere ogni azione, ogni responsabilità,
ogni visione che non sia una visione di mera conservazione.
Il barbaro, scriveva Kavafis nel 1908, è sempre una grande soluzione.
E se non c’è un barbaro a disposizione, il prossimo a me più prossimo potrà sempre diventarlo all’occasione.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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La
violenza terrorista che identifica un luogo di ritrovo della comunità
omosessuale come obiettivo per compiere una strage mette a nudo tutte
le contraddizioni della guerra in corso. Diventa complicato riconoscere
in maniera netta e manichea fra amici e nemici, fra bene e male, quando
nel conflitto vengono coinvolti aspetti comportamentali che sono
sanzionati in vario modo anche in quelle che siamo abituati a
considerare (almeno a confronto del fanatismo islamista) culture
“libere”. Naturalmente non ci sono episodi storici, nel passato come
nel presente che si fa storia, che possono essere definiti con il
facile paradigma del bene e del male. Perfino nell’orrendo ripescaggio
del Mein Kampf proposto ultimamente da un quotidiano nazionale c’è chi
ha voluto minimizzare, derubricando il Nazismo da male assoluto a
ideologia perdente ma legittima. Le operazioni che oscillano fra
revisionismo e negazionismo fanno in genere questo, riducono cioè tutta
la storia a una indecifrabile marmellata nella quale si fatica ad
orientarsi e a identificare un’etica condivisibile.
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L'Inghilterra si ferma
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Tre
proiettili e sei pugnalate: così in Inghilterra un fanatico di destra
ha ucciso la deputata laburista Jo Cox, 41 anni e due figli, schierata
contro la Brexit. Il barbaro assassinio e i nuovi venti dell’estremismo
che soffia sull’Europa aprono oggi le pagine di tutti i giornali.
L’Inghilterra si interroga e si ferma. Compresi i favorevoli alla
Brexit che, spiega il Corriere, “hanno interrotto ogni attività”. Boris
Johnson, ex sindaco di Londra e uomo forte della campagna per l’uscita
del Regno Unito dall’Ue, ha definito la notizia della sparatoria
“terribile”. Commosso anche il premier Matteo Renzi: “Come padre prima
che come politico piango sconvolto Jo Cox. Con tutti gli italiani
abbraccio la sua famiglia. L’odio non potrà vincere, mai”.
Su Repubblica, Fabio Scuto racconta la corruzione imperante a Ramallah
e la sempre più scarsa credibilità di Abu Mazen. “Soffocata dalla
corruzione – si legge – abbandonata a se stessa nelle sue speranze di
negoziati, dilaniata dalle divisioni interne, l’Anp affonda
rapidamente. Il domani appare assai incerto, al punto da preoccupare
seriamente anche i Paesi arabi da sempre vicini ai palestinesi come
l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania”.
“L’ultimo sondaggio in Cisgiordania – scrive ancora – dice che per 2
palestinesi su 3 Abu Mazen dovrebbe dimettersi, il 95,5% considera
l’Amministrazione profondamente corrotta e deve essere mandata a casa.
Ma non si vota, per le divisioni fra Gaza amministrata da Hamas e la
Cisgiordania gestita da Fatah, non c’è un delfino e il ‘dopo’ sarà una
lotta a coltello”.
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domenica l'inaugurazione Venezia, gli ebrei, l'Europa
Al via la grande mostra Venezia,
gli ebrei, l’Europa. Cinque secoli di storia, quelli che ci separano
dalla decisione della Serenissima di circoscrivere la presenza ebraica
di Venezia nei confini di un quartiere chiuso. Cinque secoli necessari
per interpretare Venezia e capire la città, per studiare le vicende
ebraiche, per prefigurare l’Europa di domani. In piazza San Marco, Nel
grande, fervente cantiere del Palazzo Ducale, dove si mettono a punto
gli ultimi dettagli prima della cerimonia ufficiale d’apertura di
domenica, la direttrice della Fondazione Musei civici di Venezia
Gabriella Belli e la curatrice della grande mostra che caratterizzerà
l’estate culturale italiana Donatella Calabi hanno accolto i
giornalisti per un sopralluogo preliminare.
Proprio
da questo palazzo, è stato detto dalle due studiose negli interventi di
saluto, usciva il decreto di istituzione del primo ghetto della storia.
Era quindi importante che lo stesso palazzo aprisse le porte a una
grande iniziativa culturale che non deve servire solo a ricostruire le
vicende del ghetto, ma deve restituire la presenza ebraica alle vicende
complessive della città. Oltre il ghetto, e oltre i 500 anni, la mostra
combina la presenza di opere d’arte straordinarie, pervenute a Venezia
da tutto il mondo grazie a prestiti eccezionali e probabilmente
irripetibili, ad allestimenti multimediali che consentono al visitatore
di entrare in maniera viva nelle vicende e nei significati.
La
mostra, realizzata con il contributo determinante della Comunità
ebraica di Venezia, guarda molto al di là dell’orizzonte temporale che
ci separa dal 1516, comincia dagli inizi della storia ebraica in Laguna
e dalle prime fonderie di rame nella zona del ghetto e si conclude con
i tempi nostri, con un suggestivo richiamo alla necessità ebraica di
costruire memoria viva anche attraverso un segno, un gesto tangibile
messo alla portata di ogni visitatore.
gv
(Nelle immagini la curatrice della mostra Donatella Calabi, alcuni giornalisti in visita negli spazi espositivi)
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Il prezzo dell'identità
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L’allievo
si è impegnato molto per tutto l’anno scolastico …” Chiunque sia mai
stato studente, insegnante o genitore sa bene che questo inizio non
promette niente di buono e che a quella prima frase seguirà un bel
“ma”. Dunque il tenore della nota del Consiglio dell’Assemblea
Rabbinica Italiana pubblicata in questo notiziario due settimane fa era
evidente fin dal suo esordio: “Desideriamo in primo luogo esprimere la
nostra gratitudine per l’impegno disinteressato di tutti i Consiglieri
e in particolare al presidente uscente … per la sua lunga militanza
disinteressata e appassionata a favore dell’ebraismo italiano.” E in
effetti il seguito della nota si è mantenuto fedele alle promesse, con
parole molto dure e a mio parere inspiegabilmente ingenerose.
Altrettanto inspiegabilmente la nota, che pure è molto dettagliata nel
prospettare ben precise priorità e idee ben precise sul futuro
dell’Ucei, non contiene un accenno neppure fugace alle risorse
economiche con cui tutto ciò si potrà realizzare e al modo di
reperirle. Una volta di più i pregiudizi comunemente diffusi sugli
ebrei si dimostrano totalmente falsi: il mondo ebraico è talmente poco
attaccato al denaro che non ne parla neppure quando sarebbe necessario.
Educazione ebraica, scuole, Talmud Torah, progetti per i giovani,
assistenza: tutte queste cose hanno un costo, e sappiamo che i bilanci
delle nostre Comunità e dell’Ucei non sarebbero in grado di sostenerlo
autonomamente. La sopravvivenza dell’ebraismo italiano così come lo
conosciamo oggi dipende dall’8 per mille, cioè dal mondo esterno. Forse
oggi molti di noi non ricordano come fosse l’ebraismo italiano prima
dell’8 per mille. Io forse ho una sensibilità un po’ diversa su questi
temi perché mia madre in quegli anni era stata per un mandato (dal 1990
al 1994) assessore al bilancio dell’UCEI: ricordo bene il senso di
frustrazione di un’Unione che dipendeva dai contributi (irregolari)
delle Comunità, che ci rappresentava verso l’esterno ma non aveva alcun
mezzo per comunicare con i singoli ebrei italiani, che non poteva
permettersi nessuna iniziativa culturale autonoma di un certo respiro.
Un’Ucei come quella di oggi allora sarebbe sembrata semplicemente un
bel sogno.
Al di là di qualunque considerazione ideologica mi pare che si dovrebbe
tener conto di questo fattore quando si ragiona di apertura e chiusura
di fronte al mondo esterno. Forse qualcuno crede che le decine di
migliaia di italiani che ci sostengono con la loro firma
continuerebbero a sostenere anche un ebraismo chiuso in se stesso e
poco comunicativo. Io personalmente ne dubito.
Oppure, se volessimo, potremmo anche decidere di tornare ad avere
Comunità orgogliosamente autonome, che non dipendano dall’esterno e si
fondino esclusivamente sul contributo degli iscritti e sul volontariato
(come è accaduto in epoche passate, in cui talvolta anche i rabbini si
mantenevano svolgendo altre professioni). Personalmente ritengo che
questa soluzione non sarebbe affatto auspicabile, e che determinerebbe
un grave impoverimento culturale. Qualcuno forse ha opinioni diverse.
Trovo comunque piuttosto bizzarro che non ci si ponga neppure il
problema.
Peraltro a me pare che le politiche di comunicazione volte a farci
conoscere di più anche dal mondo esterno abbiano rafforzato, e non
indebolito, la nostra identità. Confrontando l’ebraismo italiano di
oggi con quello di dieci anni fa mi sembra davvero difficile e, come ho
già detto, molto ingeneroso affermare il contrario.
Anna Segre, insegnante
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Il mondo capovolto
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Come
ha scritto correttamente Alberto Cavaglion meno parleremo del Mein
Kampf e dell’operazione editoriale del “Giornale”, puntandoci sopra i
riflettori, e meglio sarà. Tuttavia le reazioni che essa ha provocato
hanno lasciato trasparire una realtà che necessita ulteriori
riflessioni. I commenti di difesa su alcuni social network ne sono un
esempio, ma non solo quelli. Per esempio, molti hanno puntato sul fatto
che oggi il pericolo principale per l’Europa sia l’Islam (non che
effettivamente il fondamentalismo non lo sia), e che il nazifascismo
sia qualcosa oramai appartenente al passato, “antiquato” rispetto
all’Iran o al Daesh, che quindi potrebbe essere in qualche modo
“rispolverato”. Come argomento di studio s’intende, almeno in via
ufficiale. Non ho idea di quanti storici di professione o per passione
aspettavano con impazienza l’uscita del “Giornale” con il libro di
Hitler allegato, so solo che per leggere un qualunque saggio, per
confutarne le tematiche bisogna avere degli anticorpi e una cognizione
storico-filosofica adeguata. Prerogative che a molti italiani mancano,
visto che basta il primo venuto, che può essere un comico o la star
fallita, per farli credere nelle scie chimiche o nella tesi che i
vaccini provocano l’autismo.
Francesco Moises Bassano
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