Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Nella
Parashà di Chukkàt, letta Shabat scorso, assistiamo al tramonto di
quella prima leadership che ha guidato il popolo ebraico fuori
dall’Egitto. Alla morte di Aròn e di Miriam si aggiunge la drastica
comunicazione a Moshè di uscire di scena. Moshè batte la roccia, da cui
esce l’acqua, anziché parlargli come l’Eterno gli ha comandato e per
questo motivo viene sentenziata la fine della sua leadership. Il
rapporto del popolo ebraico con Moshè è segnato da due analoghe
contestazioni riconducibili alla mancanza di acqua. La prima ribellione
per l’acqua avviene quando il popolo è appena uscito dall’Egitto
(Shemòt capitolo 17, la seconda in Bemidbar capitolo 20) alla vigilia
dell’ingresso in Eretz Israel.
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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C’è
qualcosa nell’articolo del Sole 24 Ore del cardinale Ravasi (di cui ho
parlato la settimana scorsa) che continua ad agitare il mio sonno.
Perché, mi sto chiedendo, un biblista preparato sceglie di citare la
legge del taglione che schemi di lettura antiquati hanno sempre usato
per esemplificare la rigidità e il materialismo crudele della legge
ebraica?
Si ha l’amara sensazione che non siano sufficienti le mille amicizie
ebraico-cristiane né gli incontri in sinagoga con tre papi per
riannodare sinceri rapporti di dialogo fra ebraismo e cristianesimo,
fra gli ebrei e le cultura della Chiesa. Ci si chiede anzi se abbia
alcun senso il dialogo interreligioso quando la lettura dell’ebraismo
da parte di uno studioso come Ravasi continua a essere quella
superficiale del pregiudizio antisemita.
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Attentato a colpi di ascia
su un treno in Germania
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Quattro
feriti, di cui tre in gravissime condizioni. È il bilancio dell’azione
di sangue compiuta da un giovane afghano che, armato di ascia e
coltello, e al grido di “Allah u Akbar” (Dio è grande) ha iniziato a
colpire i viaggiatori sul treno a Wurzburg, nel Sud della Germania. Il
ragazzo è stato poi ucciso.
“Sull’identità dell’assalitore il ministro dell’Interno della Baviera
ha detto, parlando ai microfoni del canale televisivo ‘Ard’, che si
tratta di un minorenne che era arrivato senza genitori in Germania ed
era stato accolto come profugo e affidato a una famiglia tedesca”
(Corriere della sera).
C’è una rete italiana dietro l’attentato di Nizza. Tra i sette fermati
due giorni fa e sottoposti ad accertamenti, ci sono almeno tre nomi che
portano in Italia. Il primo è un tunisino di 37 anni che vive a Bari.
L’uomo, scrive il Messaggero, è tra coloro che hanno continuato a
scambiarsi messaggi e telefonate con l’attentatore fino alla mattina
del 14 luglio. Anche i due albanesi che gli hanno venduto una pistola,
si legge, “avevano una base in Puglia”.
Sul Fatto Quotidiano, una analisi dei diversi destini delle comunità
musulmana ed ebraica di Nizza. Da una parte una radicalizzazione sempre
più significativa che porta al terrorismo, dall’altro una emigrazione
sempre più forte verso Israele.
“Da una parte – si legge – c’è il mondo nascosto dell’estremismo
islamico che recluta disperati nelle banlieue e li manda in Siria. Per
tornare poi a combattere in Francia. Dall’altra ci sono le sinagoghe,
in un paese, la Francia, che ha la seconda comunità ebraica più
numerosa del mondo,dopo gli Stati Uniti. E anche qui, lontano dai
riflettori, è in atto un’opera di reclutamento. Molto diverso,
ovviamente. Legale, senza la propaganda della violenza”.
“Non bisogna avere paura di chi è scappato dalla guerra” afferma il
vicepresidente del Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach in
una intervista a Repubblica, in cui si dà conto delle nuove iniziative
intraprese da Binario 21 per l’accoglienza dei profughi in fuga da
guerre e persecuzioni. Sottolinea Jarach: “Chi scappa dal proprio Paese
non lo fa per divertimento e noi abbiamo il dovere di aiutare. È una
questione umanitaria, di fronte alla quale non si deve sfuggire”.
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della seta e luzzatto voghera a confronto Meis e Cdec, una nuova stagione
per la cultura ebraica italiana
Visione
e responsabilità”. Simonetta Della Seta, da alcuni mesi alla guida del
Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, descrive così
l’approccio per affrontare una stagione di grande movimento per il
mondo della cultura ebraica italiana, una stagione ricca allo stesso
tempo di complessità e di occasioni. Così nel dialogo con il nuovo
direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea di Milano, Gadi Luzzatto Voghera, si delinea l’immagine
del modo di fare cultura che verrà, durante l’appuntamento al Museo
ebraico di Trieste organizzato nel corso di Redazione Aperta, il
laboratorio giornalistico organizzato dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane giunto all’ottava edizione e quest'anno diviso tra
Trieste e Venezia. A introdurre il confronto il direttore della
redazione Guido Vitale, dopo intervento di benvenuto del consigliere
UCEI Mauro Tabor, assessore alla Cultura della Comunità di Trieste e un
saluto del direttore del Museo rav Ariel Haddad. Per il pubblico -
presenti tra gli altri i consiglieri della Keillah triestina
Davide Belleli, Livio Vasieri e Alessandro Treves - la possibilità di
ascoltare il punto sullo stato dell’arte e dei progetti in cantiere
nelle due istituzioni, approfondendo anche aspetti specifici come la
sempre più pressante esigenza di fare rete, a livello italiano e
internazionale, e il tema della valorizzazione e reperimento delle
risorse. Con un’importante questione di fondo: mantenere e potenziare
la capacità di comunicare quanto viene fatto e progettato, in un’età in
cui veicolare informazioni e immagine è un’esigenza imprescindibile. Leggi
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quattro giornalisti sportivi a confronto
Quali risposte all'intolleranza
che si agita negli stadi italiani
Negli
ultimi anni sono stati diversi gli episodi di intolleranza nelle
diverse serie del calcio italiano. Si tratta di un fenomeno articolato,
che come tale richiede investimenti e ragionamenti complessi. A
riflettere con Pagine Ebraiche su quali strade intraprendere per
contrastare questa situazione, alcuni protagonisti dell'informazione
sportiva - i giornalisti Massimiliano Castellani, Dario Ricci, Guido
D’Ubaldo ed Enrico Varriale - chiamati a rapportarsi con una società
che cambia e che inevitabilmente influenza anche quello che accade
sugli spalti, dove talvolta l'estremismo dilaga, e sul modo in cui
questo viene raccontato dai grandi media.
“Guai a nascondere i problemi sotto al tappeto”
Giornalista
e scrittore, Massimiliano Castellani promuove spesso battaglie scomode.
Come quella sui silenzi che avvolgono le morti per Sla, “il male
oscuro” del calcio. Il razzismo tra i gruppi estremi del tifo è
certamente meno oscuro e più̀ evidente. Ma non per questo, sostiene
Castellani, va ignorato. Anzi.
Cambia la società italiana
e cambia anche il mondo del calcio. L’informazione sportiva può avere
un ruolo per veicolare valori sani e maggiormente condivisi? E se sì,
da cosa bisogna partire?
L’informazione sportiva può avere un ruolo decisivo nel momento in cui
si pone come strumento “culturale”. Lo sport, il calcio in particolare,
sono parte integrante della cultura del nostro Paese e l’informazione
attuale non può essere svilita e ridotta, come accade troppo spesso, a
chiacchiera da bar sport e a un mero “giornalismo-tifoso” che si piega
a logiche di mercato (anche mediatico) disconoscendo i valori
principali di ogni movimento sportivo. Quindi occorre ripartire da
un’informazione di base che si faccia carico di percorsi anche
scolastici con ore didattiche dedicate alla storia e alla cultura dello
sport. Questo secondo me sarebbe il primo passo per un’auspicata “nuova
cultura sportiva”, ancora solo sbandierata dai vertici del governo
dello sport italiano.
“La cronaca è una cosa, la morale un’altra”
Bisogna
che l’informazione sportiva sappia distinguere tra la diversa gravità
degli episodi. Keving Boateng che esce dal campo per via degli insulti
razzisti è una notizia che merita di essere trattata con evidenza sui
media. Uno striscione di odio nel terzo settore meriterà invece al
massimo cinque righe, molto in sordina, sui quotidiani del giorno dopo.
I cretini e gli estremisti esisteranno sempre, dobbiamo rassegnarci a
questo fatto. Ma è fondamentale non regalargli la ribalta che molti di
loro anelano”. A sostenerlo Dario Ricci, conduttore del programma
settimanale di approfondimento Olympia su Radio 24 e vincitore nel
dicembre scorso degli Oscar del giornalismo sportivo mondiale (gli
Sport Media Pearl Awards 2015). Ricci, che fa dell’informazione di
qualità un giusto motivo di vanto, sostiene l’incompatibilità del
giornalismo con funzioni pedagogiche pure..
“Regole chiare per i colleghi”
“È
importante che il giornalista non sia un soggetto neutro. I giornalisti
devono prendere una posizione, nel loro perimetro d’azione, indicando
chiaramente quelli che sono i comportamenti da stigmatizzare”.
Caposervizio all’ufficio centrale del Corriere dello Sport, ma anche
consigliere dell’Ordine dei Giornalisti, Guido D’Ubaldo è tra i
principali animatori dei corsi di formazione che l’Ordine propone ogni
anno a decine di migliaia di colleghi in tutto il paese (iniziativa cui
partecipa anche Pagine Ebraiche, con seminari e corsi che hanno preso
avvio negli scorsi mesi tra Veneto, Lombardia e Piemonte). Obiettivo:
aumentare la consapevolezza dei giornalisti nelle diverse problematiche
che sono chiamati ad affrontare. Una sfida quanto mai attuale in una
società che cambia e per una informazione sportiva chiamata a recitare
un ruolo da protagonista per non perdere lettori e credibilità.
“Funzione essenziale del servizio pubblico”
“Appare
evidente come la mala pianta del razzismo si articoli in varie forme.
Quello territoriale, quello etnico, quello con dei con- tenuti
religiosi. La mia idea, da sempre, è che il servizio pubblico non possa
censurare quello che di negativo talvolta accade sugli spalti. La Rai
mi pare si stia muovendo nel modo giusto. Non è tacendoli infatti che i
problemi si risolvono”. Storico volto di Raisport, Enrico Varriale è
noto per la sua franchezza. Una franchezza che conferma in questo
colloquio e che lo porta a considerare imprescindibile una riflessione
urgente e puntuale “su un tema che è di stretta attualità”.
Perché se è vero che dando risalto a episodi di intolleranza il rischio
è di solleticare il protagonismo “di qualche idiota, che non aspetta
altro” appare comunque fondamentale, ai suoi occhi di cronista,
“informare la gente, far sì che si sviluppino solidi anticorpi”.
Lo stadio non è un teatro, ed è anche giusto che mantenga questa
prerogativa. Però al tempo stesso, sottolinea Varriale, deve
riaffermarsi come luogo di civiltà: su questo non possono esserci
fraintendimenti”. Leggi
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Serve una politica |
La
domanda – cinica e forse insensata – è questa: come mai i terroristi
islamici non hanno ancora attaccato l’Italia? Per essere precisi, non
solo l’Italia: anche la Germania, in Europa, è stata finora
risparmiata, al contrario di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Belgio,
teatri di attentati efferati nel corso degli ultimi quindici anni.
Insensata, dicevo, poiché nelle cose della vita esiste anche il Caso, e
dunque potremmo confidare nella fortuna che per ora ci ha protetto.
In alternativa, c’è chi attribuisce l’incolumità alla presenza del
Vaticano, sebbene a leggere i proclami di Daesh questa parrebbe più un
incentivo che un deterrente. Altri, poi, sottolineano come l’Italia sia
un paese di recente immigrazione, con meno presenze e praticamente
nessuna dinamica pluri-generazionale (in Francia, ad esempio, sono
spesso i nativi francese a essere più a rischio).
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie - La legge del sangue |
L’enigma
del nazismo resta ancora da scoprire. Come fu possibile che un’intera
nazione, civile come la Germania, poté essere coinvolta o complice
dell’orrore? Lo storico Johann Chapoutot in La legge del sangue
(Einaudi, pp. 472) tenta di spiegare il mistero, analizzando come si
formò e quali erano i fondamenti di quello che oggi si definirebbe lo
storytelling nazista. Un lavoro di ricerca compiuto esaminando una
serie incredibile di libri, articoli, documenti, immagini, film,
prodotti nell’arco di circa mezzo secolo in Germania da filosofi,
giuristi, medici, antropologi, biologi, storici, etnologi, studiosi
delle razze, chimici, e persino botanici o zoologi, ma anche registi o
giornalisti.
Mario Avagliano
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