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19 luglio 2016 - 13 Tammuz 5776
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
Nella Parashà di Chukkàt, letta Shabat scorso, assistiamo al tramonto di quella prima leadership che ha guidato il popolo ebraico fuori dall’Egitto. Alla morte di Aròn e di Miriam si aggiunge la drastica comunicazione a Moshè di uscire di scena. Moshè batte la roccia, da cui esce l’acqua, anziché parlargli come l’Eterno gli ha comandato e per questo motivo viene sentenziata la fine della sua leadership. Il rapporto del popolo ebraico con Moshè è segnato da due analoghe contestazioni riconducibili alla mancanza di acqua. La prima ribellione per l’acqua avviene quando il popolo è appena uscito dall’Egitto (Shemòt capitolo 17, la seconda in Bemidbar capitolo 20) alla vigilia dell’ingresso in Eretz Israel.
 
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
C’è qualcosa nell’articolo del Sole 24 Ore del cardinale Ravasi (di cui ho parlato la settimana scorsa) che continua ad agitare il mio sonno. Perché, mi sto chiedendo, un biblista preparato sceglie di citare la legge del taglione che schemi di lettura antiquati hanno sempre usato per esemplificare la rigidità e il materialismo crudele della legge ebraica?
Si ha l’amara sensazione che non siano sufficienti le mille amicizie ebraico-cristiane né gli incontri in sinagoga con tre papi per riannodare sinceri rapporti di dialogo fra ebraismo e cristianesimo, fra gli ebrei e le cultura della Chiesa. Ci si chiede anzi se abbia alcun senso il dialogo interreligioso quando la lettura dell’ebraismo da parte di uno studioso come Ravasi continua a essere quella superficiale del pregiudizio antisemita. 
 
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Attentato a colpi di ascia
su un treno in Germania
Quattro feriti, di cui tre in gravissime condizioni. È il bilancio dell’azione di sangue compiuta da un giovane afghano che, armato di ascia e coltello, e al grido di “Allah u Akbar” (Dio è grande) ha iniziato a colpire i viaggiatori sul treno a Wurzburg, nel Sud della Germania. Il ragazzo è stato poi ucciso.
“Sull’identità dell’assalitore il ministro dell’Interno della Baviera ha detto, parlando ai microfoni del canale televisivo ‘Ard’, che si tratta di un minorenne che era arrivato senza genitori in Germania ed era stato accolto come profugo e affidato a una famiglia tedesca” (Corriere della sera).

C’è una rete italiana dietro l’attentato di Nizza. Tra i sette fermati due giorni fa e sottoposti ad accertamenti, ci sono almeno tre nomi che portano in Italia. Il primo è un tunisino di 37 anni che vive a Bari. L’uomo, scrive il Messaggero, è tra coloro che hanno continuato a scambiarsi messaggi e telefonate con l’attentatore fino alla mattina del 14 luglio. Anche i due albanesi che gli hanno venduto una pistola, si legge, “avevano una base in Puglia”.

Sul Fatto Quotidiano, una analisi dei diversi destini delle comunità musulmana ed ebraica di Nizza. Da una parte una radicalizzazione sempre più significativa che porta al terrorismo, dall’altro una emigrazione sempre più forte verso Israele.
“Da una parte – si legge – c’è il mondo nascosto dell’estremismo islamico che recluta disperati nelle banlieue e li manda in Siria. Per tornare poi a combattere in Francia. Dall’altra ci sono le sinagoghe, in un paese, la Francia, che ha la seconda comunità ebraica più numerosa del mondo,dopo gli Stati Uniti. E anche qui, lontano dai riflettori, è in atto un’opera di reclutamento. Molto diverso, ovviamente. Legale, senza la propaganda della violenza”.

“Non bisogna avere paura di chi è scappato dalla guerra” afferma il vicepresidente del Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach in una intervista a Repubblica, in cui si dà conto delle nuove iniziative intraprese da Binario 21 per l’accoglienza dei profughi in fuga da guerre e persecuzioni. Sottolinea Jarach: “Chi scappa dal proprio Paese non lo fa per divertimento e noi abbiamo il dovere di aiutare. È una questione umanitaria, di fronte alla quale non si deve sfuggire”.
 
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  davar
della seta e luzzatto voghera a confronto
Meis e Cdec, una nuova stagione
per la cultura ebraica italiana

Visione e responsabilità”. Simonetta Della Seta, da alcuni mesi alla guida del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, descrive così l’approccio per affrontare una stagione di grande movimento per il mondo della cultura ebraica italiana, una stagione ricca allo stesso tempo di complessità e di occasioni. Così nel dialogo con il nuovo direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, Gadi Luzzatto Voghera, si delinea l’immagine del modo di fare cultura che verrà, durante l’appuntamento al Museo ebraico di Trieste organizzato nel corso di Redazione Aperta, il laboratorio giornalistico organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane giunto all’ottava edizione e quest'anno diviso tra Trieste e Venezia. A introdurre il confronto il direttore della redazione Guido Vitale, dopo intervento di benvenuto del consigliere UCEI Mauro Tabor, assessore alla Cultura della Comunità di Trieste e un saluto del direttore del Museo rav Ariel Haddad. Per il pubblico - presenti tra gli altri i consiglieri della Keillah triestina  Davide Belleli, Livio Vasieri e Alessandro Treves - la possibilità di ascoltare il punto sullo stato dell’arte e dei progetti in cantiere nelle due istituzioni, approfondendo anche aspetti specifici come la sempre più pressante esigenza di fare rete, a livello italiano e internazionale, e il tema della valorizzazione e reperimento delle risorse. Con un’importante questione di fondo: mantenere e potenziare la capacità di comunicare quanto viene fatto e progettato, in un’età in cui veicolare informazioni e immagine è un’esigenza imprescindibile.
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fondazione beni culturali ebraici in italia
Da Gorizia a Firenze, i progetti
nel segno dell'identità

Sarà "E le acque si calmarono" il titolo della grande mostra in occasione del restauro e del ritorno a Firenze di alcuni dei libri danneggiati dall'alluvione dell'Arno del 1966, che saranno esposti alla Biblioteca Nazionale a partire dal prossimo 27 ottobre. Lo ha annunciato Dario Disegni, presidente della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia, nel corso dell'ultima riunione del Consiglio dell'ente, svoltasi ieri a Roma, che tra le ultime grandi iniziative oltre alla mostra ha in campo anche il restauro del cimitero ebraico di Gorizia, che permetta di far riscoprire al pubblico un grande patrimonio storico e architettonico grazie a una collaborazione tra le "due Gorizie", la parte italiana e quella slovena della città di frontiera.
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quattro giornalisti sportivi a confronto
Quali risposte all'intolleranza
che si agita negli stadi italiani

Negli ultimi anni sono stati diversi gli episodi di intolleranza nelle diverse serie del calcio italiano. Si tratta di un fenomeno articolato, che come tale richiede investimenti e ragionamenti complessi. A riflettere con Pagine Ebraiche su quali strade intraprendere per contrastare questa situazione, alcuni protagonisti dell'informazione sportiva - i giornalisti Massimiliano Castellani, Dario Ricci, Guido D’Ubaldo ed Enrico Varriale - chiamati a rapportarsi con una società che cambia e che inevitabilmente influenza anche quello che accade sugli spalti, dove talvolta l'estremismo dilaga, e sul modo in cui questo viene raccontato dai grandi media.

“Guai a nascondere i problemi sotto al tappeto”
Giornalista e scrittore, Massimiliano Castellani promuove spesso battaglie scomode. Come quella sui silenzi che avvolgono le morti per Sla, “il male oscuro” del calcio. Il razzismo tra i gruppi estremi del tifo è certamente meno oscuro e più̀ evidente. Ma non per questo, sostiene Castellani, va ignorato. Anzi.

Cambia la società italiana e cambia anche il mondo del calcio. L’informazione sportiva può avere un ruolo per veicolare valori sani e maggiormente condivisi? E se sì, da cosa bisogna partire?

L’informazione sportiva può avere un ruolo decisivo nel momento in cui si pone come strumento “culturale”. Lo sport, il calcio in particolare, sono parte integrante della cultura del nostro Paese e l’informazione attuale non può essere svilita e ridotta, come accade troppo spesso, a chiacchiera da bar sport e a un mero “giornalismo-tifoso” che si piega a logiche di mercato (anche mediatico) disconoscendo i valori principali di ogni movimento sportivo. Quindi occorre ripartire da un’informazione di base che si faccia carico di percorsi anche scolastici con ore didattiche dedicate alla storia e alla cultura dello sport. Questo secondo me sarebbe il primo passo per un’auspicata “nuova cultura sportiva”, ancora solo sbandierata dai vertici del governo dello sport italiano.

“La cronaca è una cosa, la morale un’altra”
Bisogna che l’informazione sportiva sappia distinguere tra la diversa gravità degli episodi. Keving Boateng che esce dal campo per via degli insulti razzisti è una notizia che merita di essere trattata con evidenza sui media. Uno striscione di odio nel terzo settore meriterà invece al massimo cinque righe, molto in sordina, sui quotidiani del giorno dopo. I cretini e gli estremisti esisteranno sempre, dobbiamo rassegnarci a questo fatto. Ma è fondamentale non regalargli la ribalta che molti di loro anelano”. A sostenerlo Dario Ricci, conduttore del programma settimanale di approfondimento Olympia su Radio 24 e vincitore nel dicembre scorso degli Oscar del giornalismo sportivo mondiale (gli Sport Media Pearl Awards 2015). Ricci, che fa dell’informazione di qualità un giusto motivo di vanto, sostiene l’incompatibilità del giornalismo con funzioni pedagogiche pure..

“Regole chiare per i colleghi”
“È importante che il giornalista non sia un soggetto neutro. I giornalisti devono prendere una posizione, nel loro perimetro d’azione, indicando chiaramente quelli che sono i comportamenti da stigmatizzare”. Caposervizio all’ufficio centrale del Corriere dello Sport, ma anche consigliere dell’Ordine dei Giornalisti, Guido D’Ubaldo è tra i principali animatori dei corsi di formazione che l’Ordine propone ogni anno a decine di migliaia di colleghi in tutto il paese (iniziativa cui partecipa anche Pagine Ebraiche, con seminari e corsi che hanno preso avvio negli scorsi mesi tra Veneto, Lombardia e Piemonte). Obiettivo: aumentare la consapevolezza dei giornalisti nelle diverse problematiche che sono chiamati ad affrontare. Una sfida quanto mai attuale in una società che cambia e per una informazione sportiva chiamata a recitare un ruolo da protagonista per non perdere lettori e credibilità.

“Funzione essenziale del servizio pubblico”
“Appare evidente come la mala pianta del razzismo si articoli in varie forme. Quello territoriale, quello etnico, quello con dei con- tenuti religiosi. La mia idea, da sempre, è che il servizio pubblico non possa censurare quello che di negativo talvolta accade sugli spalti. La Rai mi pare si stia muovendo nel modo giusto. Non è tacendoli infatti che i problemi si risolvono”. Storico volto di Raisport, Enrico Varriale è noto per la sua franchezza. Una franchezza che conferma in questo colloquio e che lo porta a considerare imprescindibile una riflessione urgente e puntuale “su un tema che è di stretta attualità”.
Perché se è vero che dando risalto a episodi di intolleranza il rischio è di solleticare il protagonismo “di qualche idiota, che non aspetta altro” appare comunque fondamentale, ai suoi occhi di cronista, “informare la gente, far sì che si sviluppino solidi anticorpi”.
Lo stadio non è un teatro, ed è anche giusto che mantenga questa prerogativa. Però al tempo stesso, sottolinea Varriale, deve riaffermarsi come luogo di civiltà: su questo non possono esserci fraintendimenti”.   
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pilpul
Serve una politica
La domanda – cinica e forse insensata – è questa: come mai i terroristi islamici non hanno ancora attaccato l’Italia? Per essere precisi, non solo l’Italia: anche la Germania, in Europa, è stata finora risparmiata, al contrario di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Belgio, teatri di attentati efferati nel corso degli ultimi quindici anni. Insensata, dicevo, poiché nelle cose della vita esiste anche il Caso, e dunque potremmo confidare nella fortuna che per ora ci ha protetto.
In alternativa, c’è chi attribuisce l’incolumità alla presenza del Vaticano, sebbene a leggere i proclami di Daesh questa parrebbe più un incentivo che un deterrente. Altri, poi, sottolineano come l’Italia sia un paese di recente immigrazione, con meno presenze e praticamente nessuna dinamica pluri-generazionale (in Francia, ad esempio, sono spesso i nativi francese a essere più a rischio).


Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Storie - La legge del sangue
L’enigma del nazismo resta ancora da scoprire. Come fu possibile che un’intera nazione, civile come la Germania, poté essere coinvolta o complice dell’orrore? Lo storico Johann Chapoutot in La legge del sangue (Einaudi, pp. 472) tenta di spiegare il mistero, analizzando come si formò e quali erano i fondamenti di quello che oggi si definirebbe lo storytelling nazista. Un lavoro di ricerca compiuto esaminando una serie incredibile di libri, articoli, documenti, immagini, film, prodotti nell’arco di circa mezzo secolo in Germania da filosofi, giuristi, medici, antropologi, biologi, storici, etnologi, studiosi delle razze, chimici, e persino botanici o zoologi, ma anche registi o giornalisti.

Mario Avagliano
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