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22 agosto 2016 - 18 Av 5776
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il presidente dell'unione delle comunità ebraiche italiane

Noemi Di Segni: "La Giornata della Cultura,
occasione per conoscere le lingue ebraiche”

img headerLa Giornata Europea della Cultura Ebraica è nata diciassette anni fa per favorire una conoscenza diretta della cultura e delle tradizioni ebraiche, aprendo le porte di sinagoghe, musei e altri siti ebraici sparsi ai quattro angoli del continente.
Tra appuntamenti artistici, musicali, enogastronomici e di approfondimento, un’iniziativa che nasce nella convinzione che il primo passo per abbattere il pregiudizio, qualsiasi pregiudizio, sia proprio favorire cultura e conoscenza.
L’edizione 2016 coinvolgerà in Italia ben settantaquattro località, da nord a sud alle isole, a testimoniare la capillare presenza degli ebrei nella storia del nostro Paese, da oltre due millenni minoranza viva, in grado di portare un positivo contributo alla società in termini di valori e di contenuti.
Coordinate dall’Ucei, comunità ebraiche, enti locali, pro-loco e associazioni del territorio, che ringraziamo per l’impegno profuso nell’organizzazione di tante iniziative di qualità, daranno vita tutte insieme, domenica 18 settembre, a un appuntamento di carattere nazionale. Che vede partecipare ogni anno diverse decine di migliaia di visitatori, e la presenza di rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali, cui va il nostro sentito apprezzamento per l’attenzione che ogni anno riservano all’iniziativa.
Quest’anno, il tema scelto dall’Aepj (l’Associazione europea per la preservazione e la promozione del patrimonio culturale ebraico), che coordina l’evento a livello europeo, è di grande interesse: “Le lingue ebraiche”. Un titolo che sembrerebbe una contraddizione in termini, ma solo apparente.
Se gli ebrei hanno fondato la propria esistenza sulla Torah, fonte di vita e sapere per l’ebraismo e riferimento per la cultura mondiale, scritta nella lingua sacra, l’ebraico, gli ebrei sparsi nel mondo a seguito delle diaspore hanno sviluppato una quantità di altre parlate e dialetti, che hanno contribuito alla trasmissione della nostra cultura di generazione in generazione.
Dallo Yiddish degli ebrei dell’est Europa al Judeo Espanol degli abitanti e degli esuli da “Sefarad”, la Spagna, ai linguaggi delle comunità ebraiche dei Paesi arabi, per continuare, in Italia, con gli antichi e coloriti dialetti: il giudaico-romanesco, il “bagitto” livornese, il giudaico-veneziano e il giudaico-piemontese, solo per citare quelli ancora in uso. Ma lo stesso ebraico, come noto, è protagonista, caso unico nella storia, di una vera e propria rinascita, lingua antica che diventa idioma nazionale di uno Stato moderno, Israele, grazie all’opera di Eliezer Ben Yehuda e dei primi pionieri che ebbero l’intuizione di far rivivere lo spirito della Nazione anche attraverso la lingua utilizzata dai propri abitanti.
Temi e spunti di riflessione e approfondimento, che daranno il “la” a un gran numero di iniziative e proposte interessanti, che ci auguriamo potranno essere seguite come tutti gli anni da un folto pubblico.
La Giornata si inaugurerà quest’anno a Milano, designata quale “capofila” dell’iniziativa, nell’anno in cui si celebrano i centocinquant’anni anni della Comunità e anche un altro importante anniversario: i sessant’anni del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, punto di riferimento per tutti gli studiosi di storia ebraica in Italia, il cui apporto culturale è stato e continua a essere di grande rilievo.
Siamo convinti che in un periodo storico estremamente complesso e difficile quale è quello che stiamo vivendo, sia importante continuare a proporre iniziative positive, che stimolino la costruzione di legami e ponti all’interno di una società inclusiva e attenta ai diritti di tutti, nel segno del rispetto di ogni componente del caleidoscopio culturale del nostro tempo.
La Giornata Europea della Cultura Ebraica è una occasione per condividere tale idea di mondo, in cui si possa convivere serenamente nelle pur indispensabili e anzi feconde diversità, portatrici di un valore aggiunto per tutti.

Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

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il capoluogo lombardo è la città capofila dell'edizione di quest'anno

Milano, la Comunità e i suoi 150 anni di storia
Una domenica all'insegna della parola ebraica

img headerNell'anno del suo 150esimo anniversario, la Comunità ebraica di Milano il 18 settembre sarà anche attrice protagonista della Giornata Europea della Cultura Ebraica: proprio Milano infatti sarà città capofila di questa edizione. Tanti gli ospiti di prestigio che parteciperanno alle diverse iniziative organizzate lungo tutta la giornata e in diversi punti della città. Ad aprire la domenica milanese, l'evento organizzato nella suggestiva cornice della Sinagoga centrale (ore 11.00), con la presenza di figure istituzionali della società italiana che si confronteranno sul tema del “Valore della parola”. A seguire (ore 12.30), sempre all'interno del tempio, sarà inaugurata la mostra fotografica “Grand Tour. Viaggio nell’Italia ebraica”: esposta per i 500 anni del Ghetto di Venezia, la mostra, con fotografie di Alberto Jona Falco – ideatore e curatore dell'iniziativa - viene eccezionalmente allestita a Milano. Dopo l'inaugurazione sarà possibile fare una visita guidata della Sinagoga (nell'immagine, un incontro tenuto al suo interno), tra i simboli della Comunità ebraica cittadina.
img headerPrima di proseguire con il programma della Giornata, vi sarà un momento dedicato all'impegno della Keillah (Comunità) verso gli anziani, con l'inaugurazione alla residenza Arzaga di “Healing Garden – Il giardino della salute”. Incontro a cura dell'Associazione Volontariato “Federica Sharon Biazzi Onlus con la collaborazione di Residenza anziani Arzaga.
Nel pomeriggio ci si sposta al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci (via San Vittore 21): “Parole tra amore e arte”, il tema che vedrà confrontarsi un rabbino e uno stoico dell'arte: da una parte infatti ci sarà rav Amedeo Spagnoletto, rabbino, sofer e docente al Collegio rabbinico italiano mentre dall'altra il volto televisivo di Philippe Daverio, storico dell’arte e scrittore.
In una giornata dedicata alle lingue non poteva mancare l'yiddish e la sua ironia che saranno portati in scena dalla Compagnia Teatro Al Settimo con lo spettacolo “Ridere in ebraico” (ore 16.30).
Grande attesa poi per l'incontro delle 17.30 in cui nello spazio del Museo da Vinci si parlerà con ospiti di primo piano de “Le parole ebraiche nell’arte, nella letteratura e nella Bibbia”. A discuterne sotto diversi profili, Giulio Busi, filologo, professore di Cultura ebraica alla Freie Universität di Berlino nonché editorialista del Sole 24 Ore; rav Roberto Della Rocca, rabbino e direttore dell’area Cultura e formazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Sara Ferrari, traduttrice e docente di Lingua e cultura  ebraica all’Università degli Studi di Milano. A moderare l'incontro il gallerista Jean Blanchaert, illustratore e maestro calligrafo.
Anche la musica è un tipo di linguaggio, come racconta l'appuntamento serale con il “Viaggio musicale semiserio fra i compositori ebrei del Musical del Novecento”, curato da Alberto Milazzo e Eleonora Zullo (ore 18.30). A seguire, protagonista sul palco sarà la lingua ebraica grazie allo studioso Chaim Baharier, maestro di ermeneutica biblica e del pensiero ebraico che alle 20.30, che sempre nella cornice del Museo parlerà al pubblico de “La parola ebraica come potenziale di alleanza”.
Ultimo appuntamento dell'intensa giornata dedicata alla cultura ebraica alle 21.15, con u viaggio tra tempi e luoghi diversi per scoprire l’intreccio tra musica e identità ebraica grazie allo spettacolo Caffè Odessa, portato in scena da Miriam Camerini, Manuel Buda e Bruna Di Virgilio. Dall'ebraico, all'yiddish al ladino, le note accompagneranno il pubblico nei diversi angoli del mondo della diaspora ebraica.

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il dossier di pagine ebraiche dedicato a "lingue e linguaggi"

La traduzione, passione e amore per le parole

img headerLingue e dialetti ebraici è il tema di questa edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica (18 settembre - www.giornatadellaculturaebraica.it). E alle lingue dell'ebraismo, al ruolo della traduzione dall'ebraico o da lingue antiche e affascinanti come l'yiddish, Pagine Ebraiche, il giornale dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha dedicato un intero dossier – curato da Ada Treves - nel numero di maggio, distribuito durante l'ultimo Salone del Libro di Torino. Di seguito riproponiamo le quattro interviste ad altrettante autorevoli traduttrici, protagoniste del dossier: Anna Linda Callow, Elena Loewenthal, Marina Morpurgo e Ada Vigliani. “Negli anni in cui si sono impegnate come vere e proprie mediatrici di culture, che non si limitano a trasporre testi da una lingua all'altra – ricorda Treves, presentando le quattro traduttrici - ma che traghettano storie, sensibilità, vissuti e suggestioni hanno permesso ai lettori italiani di scoprire e poi amare mondi”. Un lavoro paziente e tenace che Elena Loewenthal, che da decenni si confronta con i grandi della letteratura israeliana, descrive come "Un corpo a corpo col testo".
Molto differenti tra loro per autori, lingue, formazione e anche percorsi personali, hanno in comune una visione del proprio mestiere che si radica profondamente nell'amore per la propria lingua. "La lingua di partenza, in fondo, è la cosa meno importante" ha affermato Ada Vigliani, fra le più note traduttrici dal tedesco, fresca vincitrice del prestigioso Premio italo tedesco per la traduzione letteraria, che accosta la traduzione a una danza di coppia, con l'autore a fare da cavaliere e da guida, che però bisogna saper capire e seguire. Bisogna conoscere tutti i segreti della lingua di partenza, ovviamente, ma senza la conoscenza profonda e la sensibilità che permettono di accostarsi alla cultura di cui è espressione la traduzione è impossibile. È probabilmente questo uno dei motivi che fanno affermare a Marina Morpurgo di "sentirsi a casa" fra le pagine di Ester Kreitman Singer, sorella maggiore dei più noti Isaac Bashevis e Israel Joshua, di cui pure ha tradotto alcune opere. Parla di una "magia", che le ha permesso di non perdersi fra parole e storie a lei familiari, che però forse così misteriosa non è: "Sapevo di cosa stavano parlando, anche quando l'argomento sarebbe potuto sembrare strano ad altri". Non dall'inglese come Marina Morpurgo ma direttamente dallo yiddish traduce invece Anna Linda Callow, che come le sue colleghe ha iniziato "un po' per caso". Non vengono dalle scuole di traduzione, nate più recentemente e che considerano importanti per imparare tecniche e trucchi di un mestiere complesso, e il loro parere è unanime: per imparare a tradurre non solo bisogna scrivere, ma è soprattuto necessario conoscere a fondo la propria lingua, frequentarla anche leggendo moltissimo, sempre. E amarla profondamente.

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elena loewenthal

"La traduzione perfetta
non c'è ma va cercata"

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“Ho capito che in me c’era qualcosa che non funzionava al liceo: quando c’erano temi e versioni io mi divertivo. E mi piacevano le traduzioni, soprattutto dal greco”, racconta ridendo della scoperta fatta già a scuola, Elena Loewenthal, e dell’amore per la mediazione fra lingue e culture che l’accomuna ad Anna Linda Callow, Marina Morpurgo e Ada Vigliani, quasi un segno identitario che insieme alla frequentazione della cultura ebraica e al gusto per la propria lingua e per la lettura unisce traduttrici seppur molto diverse sia per percorso professionale che per esperienze personali.
Nominata lo scorso novembre addetto culturale presso l’Ambasciata d’Italia in Israele, Loewenthal è autrice di saggi e romanzi, oltre che traduttrice e curatrice di molti testi della tradizione ebraica e d’Israele. Da anni è quotidiana la sua consuetudine con la parola scritta, che è  alla base del suo lavoro sia che stia traducendo autori israeliani, dall’ebraico, o che si dedichi alla scrittura. La traduzione, cui si dedica dalla metà degli anni ottanta, quando lavorando insieme a Sarah Kaminski ha iniziato a proporre libri che gli editori non sapevano, letteralmente, da che parte prendere, l’ha portata a contatto con i grandissimi della letteratura israeliana, che frequenta da molto tempo, sia attraverso le pagine che personalmente.
 
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Marina Morpurgo

"Cesellare le parole
per sentirsi a casa"

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“L’ultima traduzione, L’uomo che vendeva diamanti di Esther Kreitman Singer, sorella maggiore dei più noti Israel Joshua e Isaac Bashevis, che nel 1978 ricevette il premio Nobel per la letteratura, è uscita da poche settimane, e lei, Marina Morpurgo, sta già̀ lavorando su un altro libro della stessa autrice che uscirà in autunno, nuovamente per Bollati Boringhieri. Del resto con la famiglia Singer ha già una certa consuetudine, guadagnata traducendo opere di Israel, e con la cultura yiddish si è sempre trovata benissimo. “È stata una specie di magia anche quest’ultima volta. Le storie, i personaggi, mi erano familiari, mi sono sentita molto a casa. Sapevo di cosa stavano parlando, anche quando l’argomento sarebbe potuto sembrare strano ad altri. A oriente del giardino dell’Eden, però, è per me una vetta inarrivabile”. E non usa la parola vetta a caso, Marina Morpurgo, che in montagna passa tutto il tempo possibile, arrampicando, sciando, camminando preferibilmente con il suo Blasco, il cane che è da tempo un personaggio noto quasi quanto lei e che alla libertà offertale dal lavoro di traduttrice potrebbe difficilmente rinunciare. “Facevo la giornalista, prima all’Unità, e poi quando ero a Diario e mi occupavo di esteri mi è capitato di arrangiarmi a tradurre delle cose.



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anna linda callow

"Colleziono le lingue
per capire il mondo"

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Si definisce una “collezionista di lingue” Anna Linda Callow, traduttrice dallo yiddish e dall’ebraico per varie case editrici, ma anche insegnante di Lingua e letteratura ebraica all’Università degli Studi di Milano. Per questo diventare traduttrice è stato la sua fortuna, come spiega a Pagine Ebraiche. Tutto è iniziato circa vent’anni fa, “quand’ero un’eterna studentessa di lingue semitiche all’università di Milano e da Adelphi mi contattò un mio professore per sapere se qualcuno potesse tradurre lo yiddish, che avevo imparato da sola sul College Yiddish di Uriel Weinreich dopo che tutti mi avevano consigliato di studiarlo”. Da quell’inizio un po’ casuale Callow ha tradotto molte opere per diverse case editrici tra cui, oltre Adelphi per cui ha curato l’edizione italiana de La famiglia Karnowski di Israel Singer, diventata un best seller, anche Giuntina, Einaudi e Mondadori, e di vari autori, tra cui Sholem Aleykhem e S.Y. Agnon. Tradurre è stata per lei una fortuna, motiva, perché da sempre coltivava un “amore per il linguaggio come espressione di una visione del mondo”. Conta certamente conoscere le lingue, in egual misura quella di partenza e quella di arrivo, poiché molto del lavoro sta anche nella resa in italiano di un linguaggio “con canoni estetici completamente diversi”, ma la parola che utilizza più spesso è “sensibilità".
 

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ada vigevani

"Cosa significa tradurre? Mediare fra le culture"

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"Non mi lasciavano lavorare sui testi per renderli belli, al liceo, volevano solo verificare che avessi capito la grammatica. Era terribilmente frustrante consegnare traduzioni che per me suonavano male”. Il gusto per la lingua lo sfogava traducendo per se stessa, dal francese, testi di Chateaubriand o di Flaubert. Sorprende sentirlo raccontare da una traduttrice che è molto nota per il suo lavoro su grandi autori, sia classici che contemporanei, ma dal tedesco, e che è anche germanista e saggista. E che il 26 maggio riceverà dai Ministeri italiani per gli Affari esteri e per i Beni e le attività culturali e da quello per gli Affari Culturali e i Media della Repubblica Federale di Germania oltre che da Goethe-Institut e Centro per il libro e la lettura il prestigioso Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria 2016 per Forse Esther di Katja Petrowskaja (Adelphi) di cui Pagine Ebraiche ha scritto lo scorso anno. Un riconoscimento al ruolo dei traduttori come mediatori fra le culture. Alla traduzione, però, Ada Vigliani è arrivata in maniera casuale. Durante gli studi in filosofia e letteratura tedesca fra Torino e Salisburgo, conclusi con una tesi sull’etica in Musil si era riavvicinata a una lingua appresa bambina. E alla traduzione l’ha avvicinata un professore, con la proposta di provare a tradurre Shopenhauer, per i Meridiani.



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