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11 settembre 2016 - 8 Elul 5776
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netanyahu e il blocco ai lavori alla linea ferroviaria di sabato

Non si possono fermare le ferrovie di Shabbat.
L'Alta Corte pone fine alla crisi dei treni

img headerLe Ferrovie israeliane possono continuare a lavorare di shabbat e il Primo ministro non ha titolo per bloccare le manutenzioni d'urgenza sulla linea ferroviaria. È quanto ha sancito l'Alta Corte israeliana, ponendo fine a una diatriba che ha rischiato di far naufragare la coalizione guidata da Benjamin Netanyahu. Due settimane fa, infatti, Netanyahu aveva ordinato alle Ferrovie dello Stato di fermare 17 dei 20 progetti previsti per il fine settimana: un blocco deciso per venire incontro alle pressioni dei partiti haredi, assolutamente contrari alla possibilità che i dipendenti delle Ferrovie lavorassero di sabato, anche su quelle tratte che richiedevano manutenzioni straordinarie. Così lo scorso weekend il Paese si è trovato mezzo paralizzato dal traffico, visto che la linea ferroviaria più utilizzata, la Tel Aviv-Haifa era ferma: 150 mila passeggeri domenica (primo giorno lavorativo della settimana in Israele) hanno dovuto utilizzare mezzi di trasporto, pubblici e privati, diversi dai treni, con imbottigliamenti e ritardi che si sono accumulati un po' ovunque attorno alle due città. Il blocco ha fatto montare la rabbia di molti pendolari e ha portato a una petizione del partito di estrema sinistra Meretz all'Alta Corte di Giustizia israeliana: secondo Zehava Galon (leader di Meretz), Netanyahu non aveva titolo per bloccare i lavori previsti di sabato, un fatto poi effettivamente confermato dai giudici, che hanno disposto – con un'ordinanza – il ripristino dei progetti previsti di shabbat, lasciando alle Ferrovie dello Stato il compito di decidere quando operare.

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cosa può insegnare lo stato ebraico al vecchio continente

Il Burkini e la crisi europea. Spiagge israeliane, l'esempio di un modello di convivenza possibile

img headerUna decina o più di anni fa, un collega dell’Università di Gerusalemme si trovava in visita a Parigi all’Istituto Nazionale di Studi Demografici (INED), la mecca francese dei demografi. L’INED è un ente pubblico sostenuto da fondi dello Stato. Appena entrato nel grande e prestigioso istituto, il collega – un ebreo di lingua madre russa moderatamente tradizionalista che all’epoca era solito tenere in capo la kippah – fu avvicinato dal suo ospitante – uno dei più noti demografi francesi – che gli ordinò di togliersi immediatamente il piccolo copricapo fatto all’uncinetto. Spiegazione: qui siamo nei locali di un’istituzione statale francese, e lo Stato francese laico non tollera l’esibizione in pubblico di simboli religiosi. Inutile aggiungere che lo zelante dirigente dell’INED era di origini ebraiche, come oggi si dice in tono semi-cospiratorio, o in parole più semplici, era un ebreo tale quale il mio collega gerosolimitano. Tutto questo avveniva diversi anni prima che in Francia e in altri paesi europei si cominciasse perfino a intuire la possibilità di tensioni fra i gusti e le norme di vasti settori della popolazione immigrata negli ultimi anni o figlia di precedenti ondate immigratorie, e ancor meno la possibilità di atti di terrorismo compiuti da gruppi estremisti di matrice islamica sul suolo del continente. Il mio collega tornò scioccato da Parigi e mi giurò che mai più avrebbe messo piede all’INED. L’episodio della kippah parigina torna di attualità in questi giorni in cui si discute dell’ammissibilità del Burkini (un capo di abbigliamento inventato dieci anni fa) sulle spiagge francesi e italiane. Suscita interesse la trasversalità delle prese di posizione in un senso o nell’altro rispetto ai convenzionali schieramenti politici e religiosi. Personalmente, su questa questione, ho provato affinità con le parole di monsignor Nunzio Galantino, vescovo e segretario della Conferenza episcopale italiana. Alla domanda di Luigi Accattoli sul Corriere della Sera: “[Papa] Francesco [ha detto] che se un donna musulmana vuole portare il velo deve poterlo fare”, Monsignor Galantino risponde: “Lo dico anch’io e penso alle nostre suore, penso alle nostre mamme contadine che lo portavano fino a ieri e alcune lo portano ancora oggi. Lo stesso, si capisce, deve valere per un cattolico che voglia portare una croce, o per un ebreo che indossi una kippah”. Torniamo al punto di partenza e rileviamo dunque due posizioni, una uniformante e quindi autoritaria, e una flessibile e quindi pluralista. È avvilente constatare come su queste questioni si siano mescolati due filoni di discorso solo parzialmente connessi: uno più specifico riguardante la posizione della donna, l’altro più ampio sulle libertà e le regole della convivenza nelle società occidentali ormai irreversibilmente multicuturali in seguito ai rivolgimenti demografici degli ultimi anni.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

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tsahal, missione in cisgiordania

La guerra al traffico di armi

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Dopo un periodo in cui la violenza del terrorismo palestinese era tornata a colpire in modo significativo Israele, l'azione congiunta delle autorità anti-terrorismo israeliane ha portato a un nuova diminuzione della minaccia. Diverse le direttrici seguite da esercito, polizia di frontiera e intelligence per arrivare a questo risultato: secondo gli esperti, hanno pesato in particolare la vera e propria guerra al traffico di armi in Cisgiordania dichiarato da Gerusalemme, con una stretta di vite notevole sulla possibilità di ottenere pistole al di là del confine, il miglioramento nel monitoraggio dei social media palestinesi (che consente di prevenire in una certa misura gli attacchi di eventuali lupi solitari prima che possano colpire), e un maggior coordinamento sul fronte della sicurezza con l'Autorità palestinese. Quest'ultimo punto si richiama peraltro al primo, il traffico di armi: anche l'Anp infatti ha tutto l'interesse a bloccare il mercato nero delle armi fatte in casa che minaccia la stessa autorità delle forze di sicurezza sotto il comando del presidente Mahmoud Abbas.
 
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sospese le elezioni nei territori

Se i palestinesi non votano

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La Corte suprema palestinese ha sospeso le elezioni amministrative in programma per l’8 ottobre sia in Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza. Le motivazioni della sospensione non sono chiarissime: sembra che la decisione sia avvenuta in seguito a un ricorso sulla legittimità di un tribunale di Gaza – che dal 2006 è di fatto sotto il controllo del gruppo politico-terroristico Hamas, dopo aver cacciato il partito Fatah con la forza – che aveva escluso dei candidati di Fatah. Secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronot la sospensione è temporanea, e la Corte prenderà una decisione definitiva dopo la festa islamica del Eid al-Adha, prevista per la settimana prossima. Alcuni esperti contattati dal Guardian dubitano che la decisione della Corte sarà modificata.
Un portavoce di Hamas ha detto che la decisione è stata «politica» – dando di fatto la colpa a Fatah, più indietro nei sondaggi rispetto ad Hamas – e spiegando che Hamas non riconosce la decisione della Corte.

Il Post, 8 settembre 2016


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il mondo delle società che operano nel forex inizia a traballare

La Consob e il giro di vite sul trading online

img headerL'autorità israeliana che vigila sui mercati finanziari e sugli strumenti di risparmio (l'equivalente della Consob italiana) ha annunciato forti restrizioni e, in alcuni casi la chiusura, per le circa cento società israeliane che offrono servizi di trading online sulle valute ("forex") e su altri strumenti finanziari. Cosa ha spinto la Consob israeliana a un provvedimento così drastico, che mette a repentaglio migliaia di posti di lavoro (fra questi ci sono decine di giovani immigrati dall'Italia)?
Innanzitutto occorre ricordare che da diversi anni uno dei settori in cui primeggiano le società di high tech israeliane è quello dei software per le scommesse online: molti dei principali operatori più noti (tra questi i colossi britannici delle scommesse calcistiche, come William Hill) utilizzano sofisticati software israeliani, capaci di elaborare in frazioni di secondo milioni di dati ("big data"). Dal matrimonio tra i siti per le scommesse online e i siti di trading finanziario online, questi ultimi molto diffusi anche in Italia, si sono sviluppati negli ultimi anni alcuni siti israeliani (cosiddetti siti di "binary options") che propongono ai clienti investimenti finanziari ad altissimo rischio e ad elevato indebitamento, che spesso offrono al cliente, mediante i call center, consigli ingannevoli e fuorvianti per spingerli ad effettuare quelli che in buona sostanza non sono più investimenti finanziari bensì l'equivalente di scommesse sui cavalli o alla roulette del casinò. Alcuni di queste società israeliane di trading in "opzioni binarie" hanno compiuto nell'ultimo anno vere e proprie truffe ai danni dei clienti di tutto il mondo e hanno accumulato migliaia di denunce da parte di risparmiatori. L'importo complessivo delle truffe è molto elevato, dell'ordine di miliardi di dollari.

Aviram Levy, economista

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il lavoro dell'Agenzia israeliana per la cooperazione internazionale

Dalla Siria all'Uganda, la mappa degli aiuti

img headerSono 76 i paesi verso cui, nel corso del 2014, Israele ha fatto delle donazioni per sostenere l'economia locale. A indicarne il numero e le cifre stanziate, una chiara infografica prodotta dalla rivista Economist, in cui si evidenziano gli aiuti distribuiti e ricevuti dai vari paesi del mondo. Una lista che non è esaustiva, spiega la stessa testata perché ad esempio manca la Cina a causa dell'assenza di dati forniti da Pechino, ma che dà un quadro dell'impegno internazionale dei vari Paesi e di quanto sostegno economico ricevano alcune realtà da altre nazioni, stando ai dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. L'Italia, per esempio, ha inviato donazioni a 98 paesi. I maggiori beneficiari dell'aiuto di Roma nel 2014 sono stati tre paesi africani, l'Etiopia, il Mozambico e la Tunisia (in media 24 milioni di dollari), e uno mediorientale, l'Afghanistan (30 milioni di dollari). Il paese che sul mappamondo degli aiuti colleziona più stati è il Giappone, con 142 realtà finanziate (impressionante il dato sull'India, a cui Tokyo ha versato oltre 1miliardo di dollari di aiuti; ingenti anche le cifre stanziate per Iraq, 342 milioni, e Indonesia, 555 milioni di dollari); secondi gli Stati Uniti (che tra Pakistan e Afghanistan nel 2014 ha stanziato circa 2 miliardi e mezzo di dollari di aiuti, oltre 600 per il primo, quasi 1.8 per il secondo).

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l'analisi di yehuda bauer

I bulli antisemiti del Bds

Durante una conferenza a Londra, il più grande storico dell'Olocausto, il novantenne Yehuda Bauer, ha messo la parola fine alle discussioni sulla natura del "Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni", il movimento che da anni colpisce le ragioni e gli interessi di Israele. "Il Bds non vuole una migliore Israele, non vuole nessuna Israele", ha detto Bauer in una intervista condotta dalla deputata laburista Tulip Siddiq. "Ora, naturalmente, amano gli ebrei. Soprattutto gli ebrei morti. Quelli che sono morti durante l'Olocausto sono meravigliosi, sono fantastici. Gli ebrei vivi sono un'altra cosa". Bauer ha anche inequivocabilmente equiparato antisionismo e antisemitismo, descrivendo il primo come uno slogan vuoto. "Vogliono distruggere lo stato ebraico; lo vogliono distruggere perché è uno stato ebraico. Ciò significa che sei un antisemita".



Il Foglio, 10 settembre 2016
 
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il settiman-ale

I poster di Tartakover

Il brano della dichiarazione d’indipendenza, aggiustato a riflettere la realtà con la cancellazione a pennarello delle promesse non mantenute, era apparso per la prima volta nel 1998, come copertina del libro Democrazia in Catene dell’ex ministra dell’Istruzione Shulamit Aloni. È solo una di forse duecento opere del grafico, esposte al Museo d’Arte di Tel Aviv. È giovedì sera e l’ingresso è gratuito. Il museo è gremito, ma la folla non si accalca nelle sale delle collezioni stabili, con i loro splendidi Chagall, Picasso, Van Gogh, né a vedere gli inquietanti video in Controluce di Maya Zack o le altre mostre temporanee. È deserta anche la torre di biciclette di Ai Weiwei, che potrebbe essere di interesse politico, vista la cancellazione della prevista esposizione di fotografie dell’artista dissidente cinese, che aveva sollevato un polverone pochi mesi fa.


Alessandro Treves, neuroscienziato

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