
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Rosh Hashanà è una festa caratterizzata dai simboli, dai segni, dal silenzio delle parole e dal linguaggio dei gesti.
Durante le sere dei sedarim di Rosh HaShana così come ci ha insegnato
Abbaye nel Talmud Keretot 6a si mangiano elementi simbolici perché
“simana milta hi”, il simbolo ha una sua importanza. Ecco quindi che
bisogna iniziare l’anno con gesti che siano importanti e portino con
loro significati profondi, con il suono di un corno d’ariete, lo
Shofar, che parla e prega per noi e con noi, con il silenzio della
lunga preghiera di Mussaf. L’uomo, creato in questo giorno, viene al
mondo accompagnato da piccoli cibi simbolici, da un lungo suono arcaico
eppure modernissimo e da parole di santità.
Rosh HaShana con i suoi usi, la sua mitzva e le sue preghiere ci invita
a significare l’anno con gesti simbolici e profondi, mitzvot dal suono
che silenzia parole inutili e silenzi che ci innalzano verso l’Alto.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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La
buona notizia per questo 5777 che sta arrivando riguarda l’apparente
novità di istituzioni culturali ebraiche che finalmente si parlano, si
confrontano, si conoscono e collaborano. Forse un po’ lo facevano anche
in passato, ma i segnali per una nuova abitudine mentale ci sono
veramente tutti. Quando all’inizio di questo mese molte di queste
realtà si sono ritrovate attorno a un tavolo a Ferrara, invitate dalla
direzione del Meis a presentarsi e parlarsi, è apparso immediatamente
chiaro, innanzitutto, che in Italia si produce un’enorme mole di
iniziative in rapporto alle apparentemente limitate forze delle
comunità. Si tratta per lo più di operazioni di alto livello, che
soffrono probabilmente di un solo difetto: non comunicano a
sufficienza, e si conoscono poco l’una con l’altra.
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Peres, l'ultimo saluto
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Nel giorno dell’ultimo saluto, numerose le testimonianze in ricordo di Shimon Peres pubblicate sui giornali italiani.
“Shimon Peres ha creduto fino al suo ultimo giorno nella pace e, più di
tutto, nell’educazione alla tolleranza e nell’educazione in generale”
scrive su La Stampa il neo ambasciatore israeliano Ofer Sachs. Dal
diplomatico parole di forte apprezzamento per l’intervento di ieri
(ospitato nelle stesse pagine) dell’ex capo dello Stato italiano
Giorgio Napolitano che, al pari di Peres, “è simbolo della stessa
generazione di padri fondatori, che hanno servito il proprio Paese e le
giovani generazioni per vari decenni”. Così invece lo ricorda David
Grossman su Repubblica: “Fin dall’inizio della carriera, Peres era
stato un personaggio importante ma non esattamente amato. Non era
schietto, comunicativo; non sapeva parlare al cuore degli israeliani,
o, meglio, ai loro istinti. Per questo i suoi ultimi anni da presidente
erano stati tanto belli per lui. Per la prima volta aveva percepito
l’amore della gente, aveva la sensazione di essersi conquistato un
posto nel cuore di chi lo aveva sempre considerato un visionario,
talvolta anche un traditore”. Sull’Osservatore Romano, il rabbino
Abraham Skorka ricorda l’amicizia con Bergoglio. ” I due grandi leader
mondiali – spiega – si erano conosciuti poche settimane dopo l’elezione
di Bergoglio al pontificato. C’era stata subito un’intesa tra loro e un
sentimento di affetto aveva cominciato a unirli”.
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SHIMON PERES (1923-2016) Il mondo intero a Gerusalemme: 'Addio, grande amico della pace'
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la grandezza di un uomo si potesse misurare dagli onori che gli vengono
resi una volta lasciato questo mondo, allora Shimon Peres avrebbe pochi
rivali. Al suo funerale, celebrato nelle scorse ore sul Monte Herzl di
Gerusalemme, hanno partecipato infatti tutti i grandi della Terra,
accompagnati dalle più alte cariche dello Stato ebraico e da un fiume
di israeliani, di cittadini comuni venuti a rendere omaggio all’ultimo
dei padri di Israele, scomparso a 93 anni. Per l’ultimo saluto, a
fianco delle famiglia, del presidente d’Israele Reuven Rivlin, del
Primo ministro Benjamin
Netanyahu e dei massimi rappresentanti delle istituzioni israeliane,
c’erano praticamente tutti i potenti della Terra (oltre 70 i paesi
rappresentanti): il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, su
tutti, la cui presenza – ricordava la televisione israeliana – non era
affatto scontata e che ha parlato alla cerimonia funebre; c’erano la
cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Francois
Hollande e il Primo ministro italiano Matteo Renzi; era presente
l’amico Bill Clinton, l’ex presidente Usa arrivato a un soffio dal
siglare lo storico accordo di pace
con i palestinesi; è venuto anche il presidente dell’Autorità nazionale
palestinese Mahmoud Abbas, altra adesione non scontata, accolto da
Netanyahu che ha rinnovato l’invito a parlare alla Knesset (il
parlamento israeliano). Uomini e donne non sempre d’accordo tra loro ma
riunitisi sul Monte Herzel nel segno di quanto costruito in vita da
Shimon Peres. “La tua morte è una grande perdita personale e per la
nazione intera – ha dichiarato Rivlin nel suo discorso durante la
cerimonia funebre – ed è anche la fine di un’epoca, la fine dell’era
dei giganti le cui storie di vita sono la storia del movimento sionista
e dello Stato d’Israele. Questa oggi è la nostra sensazione oggi.
L’impressione che sia la fine di un’epoca, la fine di un capitolo delle
nostre vite”.
“Il
fatto che così tanti leader provenienti da tutto il mondo – ha invece
sottolineato il Primo ministro Netanyahu – siano venuti qui a
Gerusalemme per dire addio a Shimon rappresenta l’eredità del suo
ottimismo, della sua ricerca della pace, del suo amore per Israele”.
Netanyahu nel suo discorso, così come altri oratori, ha ricordato il
ruolo avuto da Peres per la costruzione di un’Israele più sicura e non
ha negato gli scontri e le divergenze avute con l’ex Presidente, che
nel corso di una vita ha ricoperto tutte le più alte cariche politiche
del Paese.
fBacharta ba haim, hai scelto la vita, il tributo resogli dal
presidente Obama, che nel suo discorso ha salutato Abbas, ricordando
come la sua presenza “è un promemoria per l’incompiuta questione della
pace”. Peres, ha spiegato il presidente Usa,
“ci ha mostrato come la giustizia e la speranza siano il cuore del
pensiero sionista. Una vita libera in una patria riconquistata. Una
vita sicura in una nazione che può difendere se stessa”. Come Bill
Clinton prima di lui, Obama ha ricordato come tanti vedessero il premio
Nobel per la Pace come un inguaribile sognatore troppo naive. “Non
credo fosse naive. Aveva capito dalle dure esperienze vissute, che la
vera sicurezza arriva attraverso la pace con i vicini”. “Shimon todah
rabah haver yakar”, Grazie mille Shimon, caro amico, l’ultimo saluto di
Obama al grande statista.
“Ho
vinto tante battaglie ma non ho vinto la più importante: quella di non
doverne più combattere”, le parole di Peres ricordate da Yuli
Edelstein, speaker della Knesset, mentre lo scrittore Amos Oz, in un
discorso profondo e alto, ha ricordato la sua quarantennale amicizia
con Peres. “Sì, era un sognatore come Yosef. Ma come Yosef ha visto i
suoi sogni diventare realtà”. Oz ha poi chiuso con una nota di amarezza
sul futuro di pace tanto inseguito dall’amico Shimon: “Dove sono i
leader coraggiosi che faranno in modo che (la pace) diventi possibile?
Dove sono i successori di Shimon Peres?”.
A parlare in memoria del padre, anche i tre figli Chemi, Zvia e Yoni,
che hanno presentato un Peres più familiare, che amava giocare con i
nipoti, presenti alla cerimonia e vivamente commossi. La tomba del
nonno è stata posta in mezzo a due altri Primi ministri d’Israele,
Yitzhak Shamir, e l’avversario-alleato di una vita, Yitzhak Rabin, con
cui Peres vinse il premio Nobel grazie all’impegno sull’accordo di
Oslo. Riposano ora insieme sul Monte Herzl, in attesa che qualcuno
porti avanti il loro sogno di una pace possibile per Israele.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
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shimon peres (1923-2016) Alla Knesset l'omaggio di Israele
Gan
Sacher, il grande parco nel cuore di Gerusalemme, è un luogo di ritrovo
per tutti gli abitanti della città. E quella stessa atmosfera che nelle
giornate di sole e nelle sere di primavera-estate porta i cittadini di
Gerusalemme a godersi il giardino per una passeggiata, un picnic, una
partita di pallavolo, raggiunge anche la vetta di una delle colline di
Gan Sacher, alla sommità della quale siede la Knesset. Nella giornata
di giovedì, oltre 50mila israeliani l’hanno raggiunta per rendere
omaggio a Shimon Peres. Una lunga processione sotto il sole ancora
caldo dell’autunno gerosolimitano, plasmata nelle forme multiformi del
popolo d’Israele. Signori d’una certa età e l’area venerabile, che
nell’attesa discutevano degli accordi di Oslo e ricordavano Yitzhak
Rabin, studenti di yeshivah (scuola talmudica) con camicia bianca e
kippot di velluto nero, soldati in divisa, ragazze in jeans e t-shirt e
giovani donne con il kizui rosh (copertura del capo tradizionalmente
indossata dopo il matrimonio). Mentre si attende di entrare nel vasto
cortile del Parlamento israeliano, in fondo al quale il feretro del
presidente riposa avvolto in una bandiera con la Stella di Davide,
molti cominciano a conversare con i vicini di coda, attività per cui
gli israeliani hanno senz’altro un talento speciale.
Rossella Tercatin
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TORINO SPIRITUALITà - PAGINE EBRAICHE 'Spirito e materia, anima e corpo, un dualismo che non è dualismo'
Anima
e corpo. La teologia dell’uomo e la teologia degli animali nella
tradizione ebraica. Una sala gremita attendeva il rav Roberto Della
Rocca, direttore della Formazione e della Cultura all’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, per una delle conferenze centrali del
festival Torino Spiritualità, che si svolge nel capoluogo piemontese
fino alla conclusione della settimana. Organizzato in collaborazione
con la redazione del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche,
l’incontro prevedeva un confronto fra il rabbino italiano e l’anziano
teologo piemontese Paolo De Benedetti attorno ai temi dell’edizione di
quest’anno del prestigioso festival culturale, che riconducono tutti al
rapporto fra mondo umano e mondo animale.
De Benedetti, che non ha potuto in effetti intervenire a causa delle
sue gravi condizioni di salute, ha consegnato al direttore della
redazione giornalistica dell’Unione Guido Vitale una sua testimonianza
letta al pubblico presente e riprodotta in parte in coda a questo
resoconto.
Il rav Della Rocca, interrogato dalla giornalista Ada Treves, ha poi
affrontato in un insegnamento complesso e appassionante, il tema della
relazione fra la fisicità e la spiritualità secondo la Tradizione
ebraica. Leggi
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memoria - l'iniziativa all'ambasciata slovacca L'incredibile storia del Pentcho
e quelle domande sempre attuali
"Non
dimenticheremo questo grande gesto, che porta a grandi interrogativi.
Come vogliamo vivere? Quali sono i valori che vogliamo difendere? Chi
sono i nostri eroi, chi sono i nostri punti di riferimento oggi?”
Domande di stringente attualità, che il presidente della Repubblica
slovacca Andrej Kiska rivolge a quanti assistono, nella rappresentanza
diplomatica del paese a Roma, alla consegna di un importante
riconoscimento: l’attribuzione di una onorificenza di Stato ai
discendenti di Carlo Orlandi, comandante della nave da carico italiana
Camogli, che salvò oltre 500 profughi ebrei, la metà dei quali di
nazionalità slovacca, naufragati presso l’isola di Creta nell’ottobre
1940.
Come
ricostruito anche nel recente Il viaggio del Pentcho. Le anime salvate
di Enrico Tromba, Antonio Sorrenti e Stefano N. Sinicropi, i naufraghi,
imbarcatisi a Bratislava sul battello Pentcho, diretto al porto di
Haifa, nell’allora Palestina mandataria, rimasero per svariati giorni
su un isolotto. Senza cibo né acqua, con poche speranze di sopravvivere
senza l’intervento provvidenziale del comandante Orlandi, che dopo
averli intercettati li condusse al campo di internamento di Rodi. Molti
dei superstiti furono poi inviati nel 1942, presso il campo di
Ferramonti di Tarsia, in Calabria, dove gran parte degli internati
riuscì a salvarsi dagli aguzzini.
(Nell'immagine
in alto il battello Pentcho, in basso il Consigliere UCEI GIacomo
Moscati con il presidente slovacco Andrej Kiska) Leggi
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qui roma - il convegno Ai confini della traduzione
Si
è concluso ieri dopo due giornate intense e stimolanti il convegno
“Yafet nelle tende di Shem. L’ebraico in traduzione”, ideato e
organizzato da Raffaella Di Castro al Centro bibliografico dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane. Numerosi gli interventi che hanno
analizzato il complesso tema della traduzione dei testi sacri,
guardando a esso attraverso prospettive storiche e geografiche,
religiose, filosofiche, sociologiche e linguistiche, approfondendo così
il tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica, quest’anno
dedicata a “Lingue e dialetti ebraici”, e gli stimoli suscitati dalla
pubblicazione del primo trattato del Talmud babilonese in italiano.
Ad aprire l’ultimo pomeriggio del convegno alcune “Letture di testi
biblici e talmudici” sul tema, presentate dallo scrittore Stefano Levi
Della Torre e dal preside della Scuola ebraica di Roma rav Benedetto
Carucci Viterbi, moderati dal coordinatore del Collegio Rabbinico
Italiano Gianfranco Di Segni. Leggi
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IL MESSAGGIO DI BERGOGLIO
"Dal 5777, pace e amicizia"
"In
occasione delle gioiose ricorrenze di Rosh Ha-Shanah 5777, Yom Kippur e
Sukkot mi è particolarmente caro far giungere a Lei e alla comunità
ebraica di Roma l'augurio più vivo. Il mio pensiero si estende anche
alle comunità ebraiche nel mondo, nell'auspicio che le imminenti feste
siano per tutti foriere di abbondanti benedizioni. L'Altissimo ci
conceda la pace e l'instancabile desiderio di promuoverla. Nella sua
eterna misericordia, doni speranza e serenità ai nostri giorni e
rafforzi i cordiali legami di amicizia tra di noi".
È quanto si legge in un messaggio inviato da papa Bergoglio al rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni.
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Due ebrei, tre idee, un ricordo
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Laburista,
centrista, Presidente della Repubblica di tutti gli israeliani,
sognatore, pragmatico, uomo di pace, attento alla sicurezza di Israele.
Per ricordare Shimon Peres zl ciascuno ha le sue parole e magari
ciascuno ritiene che le parole degli altri siano parziali, reticenti,
forse un po’ strumentali. Eppure, anche nella diversità dei discorsi,
tutti lo compiangono. Se davvero Shimon Peres è riuscito a mettere
d’accordo nel suo ricordo i portatori di opinioni molto diverse tra
loro, anche tra i collaboratori di questo notiziario, ciò costituisce
un’ulteriore prova della sua grandezza; e forse, pur nella tristezza,
il ricordo comune può essere anche un buon auspicio per un 5777 più
gioioso e meno conflittuale, di pace e serenità per tutti.
Anna Segre, insegnante
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Cosmopolitismo
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Nonostante
il forte multiculturalismo che si respira in molte metropoli, la parola
“cosmopolitismo” ha forse un sapore tutt’oggi desueto. Molte città che
agli inizi del XX secolo si potevano considerare cosmopolite, adesso
sono per lo più mononazionali, almeno ufficialmente. Una di queste è
Izmir, dove mi trovo da circa una settimana: qui al tramonto
dell’Impero Ottomano v’era una maggioranza greca, e un buon numero di
italiani, armeni ed ebrei. Poi vi un breve periodo sotto la Grecia e
successivamente, con la guerra greco-turca e il catastrofico incendio
del 1922, la riconquista da parte dei turchi repubblicani di Kemal
Ataturk.
Francesco Moises Bassano
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Non ci lasci la speranza
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Ho
conosciuto Shimon Peres per la prima volta addirittura nel 1977 al
congresso del Partito Laburista Israeliano al quale ero presente come
delegato del Psi. Più volte l’ho incontrato alle riunioni
dell’Internazionale Socialista cui egli non mancava mai. Forse
l’incontro più significativo fu quello del 1993, all’indomani degli
accordi della Casa Bianca quando sembrava che il processo di pace tra
israeliani e palestinesi si fosse finalmente affermato. Venni invitato
come Ministro dell’Ambiente del governo Ciampi ad un convegno
organizzato dall’Università di Gerusalemme insieme al Ministero degli
Esteri, retto in quel periodo dallo stesso Shimon Peres. Il convegno
era sui problemi del dopo-accordo e come ministro dell’Ambiente
italiano mi fu chiesto di presiedere la tavola rotonda sul tema,
delicatissimo delle acque.
Tutte le volte rimanevo colpito dall’ampiezza visionaria dei discorsi
di Peres, molto avanti spesso rispetto alla realtà che ci circondava.
Il suo ricordo rimane per me inestricabilmente connesso a quella
speranza di pace, con tutta la carica non solo politica, ma anche
emotiva che comportava.
Se non fosse stato per la situazione geopolitica del Medio Oriente,
Shimon Peres sarebbe forse diventato presidente dell’Internazionale
Socialista dopo Willi Brandt o dopo Pierre Mauroy. Tale era la
dimensione non solo medio-orientale o europea della sua personalità.
Un grande che ci lascia. Cerchiamo di operare perché non ci lasci la sua grande speranza.
Valdo Spini
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Shofar
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Il
suono costituisce l’inizio, come la voce della madre quando siamo in
utero. È la nostra nota sul mondo che dipende da chi la produce e la
cui percezione dipende da chi l’ascolta. Uno shofar “buono e dolce” è
quello che auguro a tutti di poter ascoltare. Shanà tovà.
Ilana Bahbout
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