Giuseppe Momigliano,
rabbino
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È
noto che la prima volta in cui compare nella Torah il termine “ivri” –
ebreo – è riferito al patriarca Avram “ haivrì” (Bereshit, Genesi
14,13), con verosimile allusione alla sua origine geografica ,come
spiega Rashì, “meever hanahar” – “di là dal fiume “, con un richiamo
alla provenienza di Avram dalla Mesopotamia; il midrash (Bereshit Rabbà
42,8) invece conferisce a questo termine un senso di identità,
sottolineando la radicale differenza della collocazione spirituale di
Avram “meever echad”, Avram, nel segno della fede nel D.O unico, “da
una parte” e il resto del mondo, ancora dedito all’idolatria e al
paganesimo “dall’altra”.
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Davide
Assael,
ricercatore
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L'irreparabile
è dunque avvenuto: Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati
Uniti. Inutile negarlo, la sensazione è sempre più quella di assistere
al crollo di un sistema politico fondato sui valori di libertà,
uguaglianza e fraternità, di cui la Brexit e queste elezioni appaiono
solo le prime due tappe. Che proprio la Brexit dimostri che, sfogata la
rabbia, non si sappia minimamente dove andare non pare essere un
argomento che faccia presa su una popolazione arrabbiata, che ha
trovato una classe pseudo politica capace di dare spazio ai suoi
sentimenti più retrivi. A tal proposito, in contemporanea alle elezioni
statunitensi, arriva una notizia dalla solita Ungheria (quanto si è
sbagliato a sottovalutare quanto stava avvenendo in quel Paese in
questi anni): il Parlamento ha rigettato la proposta di modifica della
costituzione voluta da Orban per legittimare un referendum invece
fallito. Servivano 133 voti, ne ha ottenuti 131 (tutto il suo partito).
Buona notizia? Mica troppo. La proposta ha trovato l'opposizione di
Jobbik, il partito razzista e antisemita, che sta a destra della Fidesz
del Premier. Il motivo è che la proposta di Orban includeva una
clausola per cui gli stranieri che avessero pagato 300 mila euro
avrebbero potuto "comprarsi" la cittadinanza magiara. Traduzione:
Jobbik fiuta l'aria e si prepara a conquistare il Parlamento. Dalla
padella alla brace, si dice in questi casi.
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Trump, Israele si interroga
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I
media cercano di capire cosa accadrà con Trump alla Casa Bianca. Tra i
più interessati, i quotidiani israeliani: nella sua versione in
ebraico, ynet riporta i dati della Cnn che raccontano chi ha votato per
Trump e chi per la Clinton. Secondo questi sondaggi il 24 per cento
degli ebrei americani ha votato repubblicano contro il 71 per Clinton.
Il quotidiano progressista Haaretz pubblica tra gli altri
approfondimenti un articolo sulle posizioni di Trump rispetto a
Israele. La rete televisiva Arutz 2 riporta i complimenti del ministro
trasporti israeliano Israel Katz a Trump: “Sono sicuro che le nostre
ottime relazioni con gli Stati Uniti continueranno”, ha affermato il
ministro.
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la nomina che ha sorpreso il mondo
Trump nuovo presidente Usa Il mondo ebraico si interroga
Shock,
la grande sorpresa, il dramma di una notte. Questi alcuni dei titoli
usati dai diversi quotidiani ebraici e israeliani per descrivere la
vittoria inattesa nella notte di Donald Trump, nuovo presidente degli
Stati Uniti d’America. In queste ore, che segnano un grande cambiamento
per il mondo intero, sia l’ebraismo americano sia Israele si
interrogano su cosa accadrà ora che Trump guiderà la Casa Bianca.
“Lavoreremo insieme per far progredire la sicurezza, la stabilità e la
pace nella nostra regione”, il comunicato del Primo ministro d’Israele
Benjamin Netanyahu fatto pervenire al nuovo presidente degli Stati
Uniti, definito come “un vero amico d’Israele”. “Il legame tra Stati
Uniti e Israele è basato su valori condivisi, interessi condivisi e un
futuro condiviso. Sono certo che insieme al presidente Trump
continueremo a rafforzare l’alleanza speciale tra Israele e gli Stati
Uniti, portandola ancora più in alto”. Leggi
i lavori dell'ihra e le ultime notizie dagli usa
'Memoria, antidoto al populismo'
In
un contesto politico internazionale in forte cambiamento, alla luce dei
risultati delle elezioni americane e dell’inattesa nomina alla Casa
Bianca di Donald Trump, si inserisce l’intenso lavoro
dell’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra), la Rete
intergovernamentale impegnata a promuovere la didattica della Memoria e
della Shoah e progetti di contrasto all’antisemitismo e
all’intolleranza a livello internazionale.
In queste ore infatti si sta tenendo in Romania, a Iasi, la riunione
plenaria dell’Ihra, di cui fanno parte 31 paesi, tra cui l’Italia, con
una delegazione condotta dall’ambasciatore Sandro De Bernardin.
Sul tavolo, argomenti legati all’attualità, come la lotta alle nuove
forme di antisemitismo e negazionismo così come la tutela dei luoghi
della Memoria in Europa (oggetto di una raccomandazione dell’assemblea
plenaria dell’Ihra del 2015 a Debrecen). Uno sguardo anche alla
preoccupante crescita dei movimenti xenofobi e della retorica
populista, in considerazione di quanto sta accadendo nel Vecchio
Continente e del grande cambiamento che tocca gli Stati Uniti.
Duecento gli esperti e i rappresentati delle principali istituzioni
dedicate allo studio della Shoah, che partecipano ai diversi tavoli di
discussione organizzati in Romania, paese che attualmente detiene la
presidente dell’Ihra. Tra questi, è stata introdotta un’assoluta
novità, ovvero il gruppo di lavoro sullo sterminio nel Nord Africa, di
cui farà parte anche il Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane David Meghnagi. Leggi
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l'incontro del world jewish congress
New York, leader ebraici
a confronto sui grandi temi
Sono
in corso a New York, sotto l'egida del World Jewish Congress, una serie
di incontri tra leader di numerose comunità ebraiche d'Europa e del
mondo. Giornate di intenso confronto dedicate a un'agenda il più
possibile condivisa e segnate anche dalla consegna di alcuni
prestigiosi riconoscimenti a personalità del mondo della politica,
della cultura, della letteratura che si sono distinte nella promozione
dei valori di pace, libertà, democrazia.
Le consultazioni, cui prende parte anche la presidente dell'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, si concluderanno entro
la fine della settimana.
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il convegno fiorentino volge al termine Bassani, una centralità ritrovata
Ebraicità
e ferraresità come strutture narrative portanti. La geografia della
memoria e il valore della testimonianza. Il Giardino dei Finzi-Contini,
i luoghi della fantasia e quelli del cuore. Una comparazione con gli
scritti e il pensiero di Paul Celan.
La terza giornata del prestigioso convegno fiorentino dedicato a
Giorgio Bassani e ai grandi scrittori ebrei del Novecento impegnati sul
tema della Memoria è forse la più intima di tutte. Anche in virtù delle
relazioni, oggi al Gabinetto Vieusseux, della compagna Portia Prebys e
dalla figlia Paola Bassani Pacht.
“Scrivere di là dal cuore”, il titolo dell’importante intervento con
cui la promotrice del convegno, la professoressa Anna Dolfi, apre la
giornata. Molti e qualificati gli interventi della mattinata. Tra i
relatori anche Jean-Jacques Marchand (Université de Lausanne), Gianni
Venturi (Università di Firenze), Eleonora Conti (Université de Paris
IV-Sorbonne), Guillaume Surin (Université de Saint-Etienne), Pietro
Benzoni (Università di Pavia), Francesca Nencioni (Università di
Firenze).
Bassani torna dunque protagonista, in una stagione di grandi
appuntamenti a lui dedicati che porteranno nei prossimi giorni molti
studiosi, accademici e appassionati tra Roma e Ferrara. Tra i
protagonisti Alberto Cavaglion, tra i massimi esperti di Bassani in
Italia, oggi intervenuto a Firenze con una relazione su Parodia sacra e
scrittura in Se questo è un uomo di Primo Levi.
“Sul conto di Bassani – ha raccontato lo studioso al Corriere
Fiorentino, che ha dedicato una pagina di approfondimento a questo
convegno e al rapporto dell’intellettuale ferrarese con la Toscana –
tanti hanno dovuto recitare un doveroso mea culpa. Perché negli anni
‘60 fu deriso da gran parte dei suoi colleghi: troppo dolciastro,
dicevano i detrattori. E invece la verità è che Bassani del fascismo
mussoliniano ha capito molte cose prima di altri. A partire dalle sue
ambivalenze, dalla sua ambiguità, dalla formidabile capacità di
raccogliere consenso tra le masse. Pochi in quegli anni hanno avuto la
sua lucidità analitica”. Leggi
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Ticketless
- Aratori del vulcano
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La
letteratura, si suol dire, interpreta il presente. Non mi riferisco,
naturalmente, al terremoto immaginario uscito dalla fantasia di Safran
Foer per indagare il rapporto Diaspora-Israele, ma al terremoto
orribilmente vero che ha colpito il centro Italia. L’idea della
fragilità dell’identità, non solo ebraica, nel suo ultimo romanzo ha
stimolato Safran Foer e avrebbe dovuto stimolare gli scrittori
italiani, così come a suo tempo stimolò Leopardi nel Dialogo tra la
Natura e un Islandese. Il guaio è che da noi le dimensioni spaventose
delle calamità che colpiscono il Belpaese oltrepassano sempre la
fantasia, per altro modesta, degli scrittori (o dei registi) italiani
contemporanei soliti rincorrere amenità e le solite frivolezze.
Né tanto meno mi riferisco alla penosa gaffe del ministro israeliano a
proposito del sisma che ha colpito gli italiani. Del ministro non mi
curo, degli effetti del sisma sulla condizione umana sì; e vorrei
riportare questa settimana una frase di cui mi servo spesso per
definire la condizione ebraica. Non avrei mai immaginato che quella
frase un giorno avrebbe potuto essere utilizzata, per confortare
quanti, tra Umbria e Marche, non vogliono allontanarsi dalle loro
terre, dalle loro aziende agricole e dai loro animali.
Giacomo Debenedetti, in Otto ebrei, racconta che un giorno il grande
critico e storico dell’arte Bernarde Berenson si poneva l’eterno
problema: perché gli ebrei rimangono ebrei malgrado il ciclico ritorno
delle persecuzioni? E rispondeva con un ricordo siciliano: “Trovandosi
a visitare le pendici dell’Etna, ne ammirava la feracità da Terra
promessa. Qualcuno però gli disse che periodicamente la lava scende a
incenerire quei campi. ‘E perché allora li coltivate’ domandò ai
contadini. ‘Perché quando i tempi tornano buoni, voscenza, così buoni
sono, che ci ripagano di qualunque malanno’”. Questo, commentava
Berenson, spiega per analogia con gli aratori del vulcano la tenacia
degli ebrei nel sopravvivere. Questo, aggiungiamo noi, spiega per
analogia cln gli aratori del vulcano la tenacia degli umbri e dei
marchigiani quando dicono di non volersi allontanare dai loro animali,
dalle loro aziende e dalle loro terre. Con animo commosso e turbato non
possiamo non rivolgere a chi -a Norcia e Amatrice -in queste ore ha
subito la feracità della propria Terra Promessa il consiglio degli
aratori del vulcano. Rimanete lì, non muovetevi. Aspettate che i tempi
tornino buoni e ripaghino di qualunque malanno.
Alberto Cavaglion
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Periscopio - Coordinate mancanti
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Ogni
persona, arrivata all’età adulta, si crea, o dovrebbe crearsi, delle
coordinate culturali, dei valori di riferimento, dei principi morali a
cui ispirarsi nelle varie scelte contingenti. Certo, non tutti lo
fanno, e molta gente preferisce vivere alla giornata, prendendo, di
volta in volta, le scelte che, al momento, paiono più convenienti, o,
magari, accodandosi al carro del vincitore. Ma questo modello non mi
piace, e ritengo, ingenuamente, che un uomo abbia bisogno di una
coscienza, e che questa coscienza non possa essere una scatola vuota,
ma debba essere riempita di qualche ideale in cui credere, qualcosa per
cui valga la pena spendersi, impegnarsi, e che non possa cambiare di
giorno in giorno.
Francesco LucreziLeggi
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Gideon vive
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In
quali circostanze perse la vita il grande pianista e compositore ebreo
moravo Gideon Klein, deportato da Theresienstadt a Birkenau e infine
alle miniere slesiane di carbone della Fürstengube?
Potrebbe trattarsi di una questione di secondaria importanza, la sua morte e quella di numerosi musicisti
a Birkenau è una tragedia nella tragedia e comunque rimane tutta la sua
opera musicale scritta a Theresienstadt (quella antecedente la
deportazione fu recuperata nel 1990 a Praga); non è tuttavia una questione secondaria se a chiederselo a lungo fu sua sorella
maggiore Eliška Kleinová (sopravvissuta, morì nel settembre 1999) la
quale trascorse l’intera vita a promuovere l’opera di suo fratello
nonché chiedere lumi circa la sua morte.
(Nell’immagine Jazz ensemble nel Cafè di Theresienstadt. Gideon Klein, al centro, guarda verso la cinepresa)
Francesco Lotoro
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Tante lingue per la Memoria
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Si
sta tenendo in Romania il meeting della IHRA, la International
Holocaust Remembrance Alliance. La Romania quest’anno detiene la
presidenza della organizzazione e per questo il meeting si tiene qui.
Tre giorni intensivi di lavori per i delegati provenienti dai 31 Paesi membri.
Sira Fatucci
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