Elia Richetti,
rabbino
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Yosef
manda a dire a suo padre: “Samàni E-lokim le-adòn le-khòl Mitzràyim”,
espressione che traduciamo “D.o mi ha fatto diventare signore di tutto
l’Egitto”.
Che cosa può importare a Ya’aqòv un annuncio del genere?
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
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Il
mio intervento su queste pagine la scorsa settimana a proposito della
votazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla risoluzione 2334 ha
suscitato numerose risposte favorevoli ma anche numerose critiche. Fra
queste ultime vorrei riferirmi in particolare a due reazioni, entrambe
da Milano, che oltre a essere scritte con garbo, sollevano importanti
problemi di fondo: quelle di Raffaele Besso su questa pagina venerdì, e
di un'attivista sui social network.
All’amico Besso, che oltre a essere consigliere dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane svolge con vero eroismo il compito di
copresidente della Comunità milanese, rispondo che io rispetto
pienamente il suo diritto a dissentire da quanto ho scritto, ma temo
che gli siano sfuggiti alcuni passaggi della mia argomentazione.
Mi assumo tutta la responsabilità per ogni eventuale mancanza di
chiarezza: vivo in Israele da oltre 50 anni, per oltre 20 ho svolto il
mio servizio militare annuale nella riserva di Zahal, e forse il mio
italiano non è più quello d’un tempo. Ma credo anche che alcune delle
tesi sostenute da parte dei miei critici non abbiamo un chiaro rapporto
con il mio testo.
Partiamo dal titolo dell’intervento di Besso: “Netanyahu è stato
offeso”. Il fulcro della critica sembrerebbe essere che Netanyahu,
eletto democraticamente dal popolo di Israele, è pertanto meritevole di
sostegno incondizionato ed è indecente la mia proposta di
“licenziamento immediato”. Io a dire il vero avevo parlato del
licenziamento per incapacità di un ipotetico allenatore calcistico la
cui squadra subisce un rigore al 96°, ma la metafora era trasparente.
La questione vera è se la richiesta di licenziamento di un leader
politico sia compatibile con le regole della democrazia elettiva.
Ebbene, proprio in Italia si dovrebbe essere ben consapevoli che nel
2011 il Primo ministro Silvio Berlusconi, regolarmente eletto dal
popolo, fu praticamente destituito e sostituito da Mario Monti. Nel
2016, Matteo Renzi, forse non eletto dal popolo, ma comunque nominato
Primo ministro secondo le procedure costituzionali della Repubblica, è
stato mandato clamorosamente a casa dagli elettori e sostituito da
Paolo Gentiloni. Ma è ancora più interessante osservare il percorso di
Obama: quello che al momento della prima elezione nel 2008 sembrava il
più intelligente, articolato, stimolante presidente americano a partire
da John Kennedy, si è rivelato nel corso degli anni un leader
fallimentare, che ha sì molto risollevato l’economia americana dalla
voragine in cui l’aveva lasciata George W. Bush, ma ha quasi distrutto
l’egemonia americana sulla scena internazionale, e in particolare ha
provocato disastri a non finire nel delicato scacchiere mediorientale.
E alla fine il suo partito ha perso le elezioni.
Dunque è possibile eleggere, anche a larga maggioranza, un dirigente
politico e nel corso del tempo scoprire la sua incapacità e dannosità,
e cercare di mandarlo via prima della prossima scadenza elettorale,
senza essere tacciato di tradimento o di oltraggio a pubblico
ufficiale. Questo è praticamente impossibile con la Costituzione
americana, ma è perfettamente fattibile in Italia e in Israele. Non si
tratta di offesa: si tratta della difesa da parte del pubblico degli
interessi essenziali (percepiti) del proprio paese.
Il secondo punto di dissenso riguarda la votazione del Consiglio di
sicurezza. Nessun lettore di questa pagina, credo, vede nel voto quasi
unanime di 14 stati con un astenuto un risultato soddisfacente per
Israele. In grande maggioranza, deploriamo l’evento che rischia di
avere gravi conseguenze per la posizione politica internazionale oltre
che per l’economia del paese.
Le differenze di vedute riguardano l’interpretazione di come si sia
potuti arrivare a una votazione di questo genere, e in particolare al
mancato veto americano. Ho postulato due ipotesi: la prima è che
l’attivismo prorepubblicano di Netanyahu abbia profondamente offeso il
Presidente democratico Obama, la seconda è che l’indifferenziato
sostegno di Netanyahu verso tutti i tipi di insediamento in
Cisgiordania abbia avuto conseguenze politiche negative (io non uso mai
la parola “colonie” che mi viene attribuita da Besso, e che viene
invece usata equivocamente dai nemici e dai furbi per fare di Israele
un’espressione di colonialismo).
Sul primo punto ci si è dimenticati forse della cocciuta campagna di
Netanyahu a favore di Romney, e anche delle sue ultime belle foto
sorridenti con Trump.
Tutti sanno che uno dei maggiori finanziatori del Partito repubblicano,
Sheldon Adelson di Las Vegas, è anche uno dei maggiori finanziatori di
Netanyahu. Adelson spende milioni di dollari per sostenere Israel
Hayom, che è diventato il più diffuso quotidiano israeliano per il
semplice fatto che viene distribuito gratuitamente per la strada.
Israel Hayom è una specie di Pravda in cui le azioni del governo, del
Primo ministro e della sua famiglia sono elogiati ogni giorno e
automaticamente.
Il discorso di Netanyahu contro il trattato nucleare con l’Iran in un
Congresso americano dominato dai repubblicani, è stato manifestamente
un atto di provocazione politica contro Obama. Politicamente non ha
risolto nulla, perché l’indecente trattato di Vienna è stato comunque
firmato, ma ha indispettito il Presidente americano che al momento
opportuno si è perfidamente vendicato. Io ritengo che qui Netanyahu
abbia commesso un grave errore di conduzione politica, parte di una sua
consapevole scelta strategica, il cui risultato è stato la clamorosa
sconfitta diplomatica all’ONU. L’alternativa sarebbe stata la creazione
di un quieto modus vivendi con l’Amministrazione democratica,
negoziando intensamente dietro le quinte. In una trattativa basata
sugli interessi comuni dei due paesi, sia Obama sia Netanyahu avrebbero
potuto e dovuto concedere qualcosa alla controparte. La concessione
israeliana sarebbe stata ovviamente una sospensione almeno temporanea
dello sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania.
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Istanbul, noto il terrorista
ma è ancora a piede libero |
Il
ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha dichiarato che gli
inquirenti della strage di Capodanno a Istanbul, hanno identificato
l’attentatore. II terrorista, ha spiegato Cavusoglu, è stato addestrato
in Medio Oriente e ha agito in modo professionale. Il ministro turco
non ha fornito però il nome né altri dettagli sulla persona
identificata, che è ancora ricercata, scrive il Sole 24 Ore, mentre
proseguono le indagini anche per identificare eventuali persone
accusate per complicità nell’attentato che ha portato all’assassinio di
39 persone e che è stato rivendicato dallo Stato islamico come
rappresaglia nei confronti del governo di Ankara e della sua scelta di
riavvicinarsi a Mosca. E riguardo ai nuovi equilibri mediorientali
Repubblica si interroga su quali strade prenderà Donald Trump una volta
assunta la presidenza degli Usa.
Il verdetto sul caso Hebron. Sui quotidiani italiani spazio anche al
verdetto legato al caso del soldato israeliano che aveva sparato a un
terrorista palestinese a terra ferito. Secondo il tribunale militare
israeliano si tratta di omicidio colposo. II premier Benjamin
Netanyahu, riporta il Corriere, ha invocato la clemenza per il soldato
ma il presidente Reuven Rivlin si è dato del tempo per decidere.
Avigdor Liberman, il ministro della Difesa, ha invitato invece il
popolo israeliano a essere vicino alla famiglia” ma chiede di non
criticare l’esercito e lo Stato Maggiore. “Perfino Shelly Yacimovich,
tra i leader laburisti all’opposizione, – scrive il Corriere – propone
di valutare la possibilità della clemenza per evitare le fratture nel
Paese ‘sull’orlo di esplodere’”. Il Giornale invece parla di lezione
democratica da parte di Israele, in riferimento al processo.
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jciak
Le
ombre oscure di Bambi
La
fuga disperata fra la neve. Il rimbombo degli spari. La neve che scende
fitta sino a confondersi con la notte. Bambi disperato che invoca la
mamma. E’ la scena più triste di quello che è uno dei più cupi film per
bambini mai girati. Non fa specie che all’epoca i critici per mille
motivi lo abbiano massacrato. A leggerlo in filigrana, questo quinto
film di Walt Disney si rivela però il frutto perfetto del suo tempo.
Bambi esce nell’agosto 1942, in piena guerra. E sgorga dalla fantasia
di due artisti che non si sono mai incontrati ma hanno sperimentato
entrambi in prima persona il razzismo e la discriminazione: Felix
Salten, l’autore ebreo-ungherese dell’omonimo romanzo, e Tyrus Wong,
artista cinese-americano da poco scomparso.
Fin dalle prime immagini Bambi si mostra per quello è: un’esperienza
irripetibile. Nei disegni di Tyrus Wong, ispirati ai paesaggi della
dinastia Song, la foresta ha una qualità lirica e misteriosa. Le
figure, spesso ritratte in silhouette, spiccano in netto contrasto
sugli sfondi e le rapide pennellate di Wong animano quei panorami di
pochi dettagli, che sono però quelli essenziali. Walt Disney, si
racconta, se ne innamorò a prima vista, scartando tutte le prove
precedenti che tendevano invece a fare il verso a Biancaneve, con
colori accesi e infiniti particolari.
Daniela Gross
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pagine ebraiche - dossier golem
Alle origini di tutti i supereroi:
Praga e il mito ebraico
Sin
dagli inizi della storia del fumetto l'enorme patrimonio di storia e
tradizioni della minoranza ebraica, appena avvenuto l'incontro con le
nuove metodologie di divulgazione per immagini, ha iniziato a
influenzare sia i comics che la fotografia. Si trattava principalmente
delle storie degli ebrei ashkenaziti, che lasciavano le tormentate
terre dell'Europa centro orientale per cercare una vita migliore in
un'America lungamente sognata, e la loro cultura ha iniziato
rapidamente a riversarsi soprattutto nelle storie disegnate, che
vedevano una prima esplosione legata a un nuovo filone narrativo.
Lieber, Kurtzberg, Kahn, Siegel, Shuster, Eisner, Klein e Blum: ha
scritto Cinzia Leone che fare i nomi degli autori del nascente genere
supereroistico è come scorrere i banchi di una sinagoga. "Pubblicano
le prime storie a fumetti nella stampa yiddish e quando decidono di
fare il salto nel mercato si americanizzano il nome: millenaria
consuetudine della diaspora. Stanley Martin Lieber, diventa Stan Lee,
Jacob Kurtzberg cambia in Jack Kirby e insieme collaborano
all’invenzione dei bicipiti da supereroe di Popeye e per la Marvel
creano i Fantastici quattro e X-Men. Robert Kahn, del Bronx, diventa
Bob Kane e inventa Batman, l’eroe di Gotham City. Siegel trasforma
Jerome in Jerry e con Shuster, che da Joseph è diventato Joe, danno il
nome al primo supereroe moderno: Superman". La prima idea di cui si
nutrono le storie dei supereroi americani ha radici lontane, in quel
personaggio della tra dizione che ha qualcosa di soprannaturale e che
si dedica a proteggere la comunità, il mondo ebraico. Il golem, così,
si trova a indossare le tute aderenti e la calzamaglia dei supereroi,
ma non muta l'essenza della sua storia. Le prime teorie vi si ispirano
in maniera probabilmente inconsapevole, ma la presenza del golem nel
fumetto è via via più forte ed evidente.
Ada Treves
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cordoglio nell'ebraismo italiano
Napoleone Yehuda Jesurum
(1929-2017)
Cordoglio
nel mondo ebraico italiano per la scomparsa nelle scorse ore di
Napoleone Yehuda Jesurum, molto attivo nella Comunità ebraica di
Venezia, in cui aveva ricoperto il ruolo di segretario e di
consigliere. “È stato anche per la sua insistenza che decisi di andare
a fare il rabbino capo di Venezia”, spiega rav Elia Richetti,
ricordando il ruolo avuto da Jesurum nella sua decisione di spostarsi
da Milano alla Laguna. “Abbiamo collaborato molto quando io ero a
Venezia. Condividevamo lo stessa sentimento per le tradizioni, a cui
lui era molto legato così come era legato alla sua Keillah. Tra noi
c'era un rapporto di simpatia e affetto. Insieme cercammo di dare anche
vita a un giornale realizzato dalla Comunità”, ricorda ancora il rav. E
parole di grande affetto sono anche quelle che rav Roberto Della Rocca,
direttore dell'Area Cultura e Formazione dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane dedica alla memoria di Jesurum. “Ho avuto il
privilegio di lavorare assieme a Leo e di condividere con lui
un'amicizia – spiega il rav - alla fine degli anni 90 era tornato nella
sua Venezia e divenne segretario della comunità dove io ero rabbino.
Leo era un signore fuori e dentro, una persona di classe, generosa,
creativa, brillante, leale, passionale e un grande idealista. Amava
raccontarmi le sue prime imprese sionistiche adolescenziali e l'amore
per la chazanut che gli aveva trasmesso il rav Ottolenghi z.l”.
La redazione è vicina a Stefano e a tutti i suoi cari. Che il suo ricordo sia di benedizione.
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In ascolto - La signora Florence |
Sono
stata a vedere Florence perché da più parti mi erano giunti commenti
decisamente positivi. In effetti è un film davvero bello, in cui si
ride, ci si commuove e si riflette su quanto a volte la realtà riesca a
superare la fantasia. Il film, basato su una storia vera, narra della
bizzarra Florence Foster Jenkins, amante della musica e delle arti,
finanziatrice di Toscanini e di altri meno celebri musicisti nella New
York degli anni ’40. Dopo aver assistito a un concerto della celebre
Lili Pons, la signora Florence in età già avanzata, decide di riprende
a cantare. Data la sua fragilità emotiva e la salute precaria, ma
soprattutto vista la generosità con cui ripaga chi la sostiene nei suoi
progetti, nessuno osa contraddirla e lei, grazie alle conoscenze
altolocate riesce a organizzare un concerto, a incidere un disco e a
esibirsi niente meno che alla Carnegie Hall. Il ruolo di Florence è
interpretato da una Meryl Streep straordinaria, che ancora una volta
dimostra di avere una grande tecnica vocale; bisogna avere assoluta
padronanza del proprio strumento per riuscire a fingere di cantare così
male, calando quel tanto che basta da portare lo spettatore a credere
che si tratti di stonature autentiche.
In un paio di scene compaiono le locandine di concerti importanti del
1944, con i nomi noti della storia della musica, tra cui il grande
violinista Mischa Elman, nato in uno shtetl in Ucraina nel 1891 da
genitori ebrei. Il nonno era un violinista di buon livello, conosciuto
soprattutto nell’ambiente della musica klezmer. Ancora bambino, Mischa
dimostra grandi capacità e a soli nove anni viene accettato nella
classe di violino del grande Maestro Leopold Auer, ebreo ungherese.
Maria Teresa Milano
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Time
out - Pensare ebraicamente |
Quando
domenica, in occasione del digiuno del 10 di Tevet, ci recheremo nelle
varie sinagoghe per ricordare anche quelle vittime della Shoah di cui
non è nota la data della morte e per cui si recita un kaddish, ci
renderemo conto come di quanto ci si è assimilati ad usi e costumi
altrui. Durante la Giornata della Memoria le nostre sinagoghe sono
invece piene di ebrei professionisti del ricordo, che di fronte a
telecamere e ospiti illustri non mancano di ricordare il dramma della
Shoah. Non ci sono mai però nel giorno in cui il ricordo è silenzioso,
ma soprattutto ebraico.
Daniel Funaro
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Giallo a Milano |
Allo
scioglimento, dopo quasi 350 pagine, quel che resta di Perché Yellow
Non Correrà (Bollati Boringhieri, già edito da Guanda nel 2006)
assomiglia più a una pausa che a un finale. Sì, ci sono i colpevoli,
l’ordine è ristabilito, il Bene – pur pagato caro – trionfa. Ma
sappiamo già che è per poco, che proprio nel momento in cui il
Commissario Melis sta contemplando il matrimonio, qualcuno – ancora
fuori pagina – sta commettendo il delitto che lo impegnerà ancora e
ancora.
Il bello, con i gialli seriali, è che più se ne leggono meno contano le inchieste.
Il brutto, con i gialli seriali, è che più se ne leggono meno contano le inchieste.
Se l’autore è modesto, o se i suoi romanzi hanno avuto troppo successo
– va a finire che i personaggi gli prendono la mano, ed è facile allora
che l’appuntato scemotto, o il collega casanova si prendano più pagine
del dovuto. Se invece l’autore è sapiente, e non dipende troppo dalle
classifiche, ogni nuovo romanzo è un nuovo caso – e i personaggi, pur
restando loro, si evolvono.
Valerio Fiandra
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Festeggiare
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Aveva
sempre mal tollerato la diffusa credenza nell'obbligo di festeggiare,
sempre e comunque, la fine dell'anno civile, ed in altre parole il
tempo che passa, senza alcuna connessione con motivazioni etiche,
storiche, religiose. Di queste serate aveva, perlopiù, pessimi ricordi,
nel migliore dei casi l'ombra di una sottile malinconia. Una cena con
gli amici? Perché non farla in qualsiasi altra sera, contestava. In che
cosa, si chiedeva, questa sera è diversa da tutte le altre sere? E non
trovava neppure una risposta, figuriamoci quattro.
Negli ultimi anni, certo, erano state occasioni più serene, ammantate
di normalità con persone cui voleva bene, e provava tuttavia una certa
ritrosia ai seguenti rituali, in ordine crescente di fastidio:
agghindarsi a festa, attendere svegli la mezzanotte, dedicarsi ai
brindisi collettivi, esprimere bilanci pubblici con i buoni propositi
per il nuovo anno.
Sara Valentina Di Palma
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