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 5 gennaio 2017 - 7 Tevet 5777
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Yosef manda a dire a suo padre: “Samàni E-lokim le-adòn le-khòl Mitzràyim”, espressione che traduciamo “D.o mi ha fatto diventare signore di tutto l’Egitto”.
Che cosa può importare a Ya’aqòv un annuncio del genere?
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Il mio intervento su queste pagine la scorsa settimana a proposito della votazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla risoluzione 2334 ha suscitato numerose risposte favorevoli ma anche numerose critiche. Fra queste ultime vorrei riferirmi in particolare a due reazioni, entrambe da Milano, che oltre a essere scritte con garbo, sollevano importanti problemi di fondo: quelle di Raffaele Besso su questa pagina venerdì, e di un'attivista sui social network.
All’amico Besso, che oltre a essere consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane svolge con vero eroismo il compito di copresidente della Comunità milanese, rispondo che io rispetto pienamente il suo diritto a dissentire da quanto ho scritto, ma temo che gli siano sfuggiti alcuni passaggi della mia argomentazione.
Mi assumo tutta la responsabilità per ogni eventuale mancanza di chiarezza: vivo in Israele da oltre 50 anni, per oltre 20 ho svolto il mio servizio militare annuale nella riserva di Zahal, e forse il mio italiano non è più quello d’un tempo. Ma credo anche che alcune delle tesi sostenute da parte dei miei critici non abbiamo un chiaro rapporto con il mio testo.
Partiamo dal titolo dell’intervento di Besso: “Netanyahu è stato offeso”. Il fulcro della critica sembrerebbe essere che Netanyahu, eletto democraticamente dal popolo di Israele, è pertanto meritevole di sostegno incondizionato ed è indecente la mia proposta di “licenziamento immediato”. Io a dire il vero avevo parlato del licenziamento per incapacità di un ipotetico allenatore calcistico la cui squadra subisce un rigore al 96°, ma la metafora era trasparente. La questione vera è se la richiesta di licenziamento di un leader politico sia compatibile con le regole della democrazia elettiva. Ebbene, proprio in Italia si dovrebbe essere ben consapevoli che nel 2011 il Primo ministro Silvio Berlusconi, regolarmente eletto dal popolo, fu praticamente destituito e sostituito da Mario Monti. Nel 2016, Matteo Renzi, forse non eletto dal popolo, ma comunque nominato Primo ministro secondo le procedure costituzionali della Repubblica, è stato mandato clamorosamente a casa dagli elettori e sostituito da Paolo Gentiloni. Ma è ancora più interessante osservare il percorso di Obama: quello che al momento della prima elezione nel 2008 sembrava il più intelligente, articolato, stimolante presidente americano a partire da John Kennedy, si è rivelato nel corso degli anni un leader fallimentare, che ha sì molto risollevato l’economia americana dalla voragine in cui l’aveva lasciata George W. Bush, ma ha quasi distrutto l’egemonia americana sulla scena internazionale, e in particolare ha provocato disastri a non finire nel delicato scacchiere mediorientale. E alla fine il suo partito ha perso le elezioni.
Dunque è possibile eleggere, anche a larga maggioranza, un dirigente politico e nel corso del tempo scoprire la sua incapacità e dannosità, e cercare di mandarlo via prima della prossima scadenza elettorale, senza essere tacciato di tradimento o di oltraggio a pubblico ufficiale. Questo è praticamente impossibile con la Costituzione americana, ma è perfettamente fattibile in Italia e in Israele. Non si tratta di offesa: si tratta della difesa da parte del pubblico degli interessi essenziali (percepiti) del proprio paese.
Il secondo punto di dissenso riguarda la votazione del Consiglio di sicurezza. Nessun lettore di questa pagina, credo, vede nel voto quasi unanime di 14 stati con un astenuto un risultato soddisfacente per Israele. In grande maggioranza, deploriamo l’evento che rischia di avere gravi conseguenze per la posizione politica internazionale oltre che per l’economia del paese.
Le differenze di vedute riguardano l’interpretazione di come si sia potuti arrivare a una votazione di questo genere, e in particolare al mancato veto americano. Ho postulato due ipotesi: la prima è che l’attivismo prorepubblicano di Netanyahu abbia profondamente offeso il Presidente democratico Obama, la seconda è che l’indifferenziato sostegno di Netanyahu verso tutti i tipi di insediamento in Cisgiordania abbia avuto conseguenze politiche negative (io non uso mai la parola “colonie” che mi viene attribuita da Besso, e che viene invece usata equivocamente dai nemici e dai furbi per fare di Israele un’espressione di colonialismo).
Sul primo punto ci si è dimenticati forse della cocciuta campagna di Netanyahu a favore di Romney, e anche delle sue ultime belle foto sorridenti con Trump.
Tutti sanno che uno dei maggiori finanziatori del Partito repubblicano, Sheldon Adelson di Las Vegas, è anche uno dei maggiori finanziatori di Netanyahu. Adelson spende milioni di dollari per sostenere Israel Hayom, che è diventato il più diffuso quotidiano israeliano per il semplice fatto che viene distribuito gratuitamente per la strada. Israel Hayom è una specie di Pravda in cui le azioni del governo, del Primo ministro e della sua famiglia sono elogiati ogni giorno e automaticamente.
Il discorso di Netanyahu contro il trattato nucleare con l’Iran in un Congresso americano dominato dai repubblicani, è stato manifestamente un atto di provocazione politica contro Obama. Politicamente non ha risolto nulla, perché l’indecente trattato di Vienna è stato comunque firmato, ma ha indispettito il Presidente americano che al momento opportuno si è perfidamente vendicato. Io ritengo che qui Netanyahu abbia commesso un grave errore di conduzione politica, parte di una sua consapevole scelta strategica, il cui risultato è stato la clamorosa sconfitta diplomatica all’ONU. L’alternativa sarebbe stata la creazione di un quieto modus vivendi con l’Amministrazione democratica, negoziando intensamente dietro le quinte. In una trattativa basata sugli interessi comuni dei due paesi, sia Obama sia Netanyahu avrebbero potuto e dovuto concedere qualcosa alla controparte. La concessione israeliana sarebbe stata ovviamente una sospensione almeno temporanea dello sviluppo degli insediamenti in Cisgiordania.
 
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Istanbul, noto il terrorista
ma è ancora a piede libero
Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha dichiarato che gli inquirenti della strage di Capodanno a Istanbul, hanno identificato l’attentatore. II terrorista, ha spiegato Cavusoglu, è stato addestrato in Medio Oriente e ha agito in modo professionale. Il ministro turco non ha fornito però il nome né altri dettagli sulla persona identificata, che è ancora ricercata, scrive il Sole 24 Ore, mentre proseguono le indagini anche per identificare eventuali persone accusate per complicità nell’attentato che ha portato all’assassinio di 39 persone e che è stato rivendicato dallo Stato islamico come rappresaglia nei confronti del governo di Ankara e della sua scelta di riavvicinarsi a Mosca. E riguardo ai nuovi equilibri mediorientali Repubblica si interroga su quali strade prenderà Donald Trump una volta assunta la presidenza degli Usa.

Il verdetto sul caso Hebron. Sui quotidiani italiani spazio anche al verdetto legato al caso del soldato israeliano che aveva sparato a un terrorista palestinese a terra ferito. Secondo il tribunale militare israeliano si tratta di omicidio colposo. II premier Benjamin Netanyahu, riporta il Corriere, ha invocato la clemenza per il soldato ma il presidente Reuven Rivlin si è dato del tempo per decidere. Avigdor Liberman, il ministro della Difesa, ha invitato invece il popolo israeliano a essere vicino alla famiglia” ma chiede di non criticare l’esercito e lo Stato Maggiore. “Perfino Shelly Yacimovich, tra i leader laburisti all’opposizione, – scrive il Corriere – propone di valutare la possibilità della clemenza per evitare le fratture nel Paese ‘sull’orlo di esplodere’”. Il Giornale invece parla di lezione democratica da parte di Israele, in riferimento al processo.
 
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  davar
indagine sui musulmani in italia
Islam ammalato di antisemitismo
Esiste, ma Sumaya non lo vede

C'è un problema serio da affrontare in merito all'antisemitismo interno al mondo islamico italiano. Lo evidenzia con inquietante chiarezza l'indagine condotta da Michele Groppi del Kings College di Londra sull'Islam in Italia. Ospite del programma di La 7 Otto e Mezzo assieme alla consigliera comunale di Milano Sumaya Abdel Qader, Groppi, sondaggi alla mano, ha spiegato che “il 61 per cento degli intervistati pensa che gli ebrei controllino il mondo e siano all'origine di tutti i mali”. La dimostrazione che il pregiudizio antisemita in una parte dei musulmani che vivono nel Bel Paese è profondamente radicato. Groppi ha sottolineato che si tratta di un dato emerso in riferimento alle persone intervistate ma rimane la preoccupazione di una percentuale estremamente alta e che dovrebbe aprire riflessioni e analisi critiche. Analisi che la consigliera Sumaya Abdel Qader non solo non ha voluto fare nel corso del programma ma che anzi ha cercato di sviare con metodi inaccettabili: quando Groppi ha messo in luce la statistica sul pregiudizio antisemita, Qader ha provato a fare dei distinguo parlando di dati da interpretare “in chiave di antisionismo e non antisemitismo”. La consigliera evidentemente dimentica le parole del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano già anni fa denunciava l'antisionismo come “il nuovo antisemitismo”.
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jciak
Le ombre oscure di Bambi
La fuga disperata fra la neve. Il rimbombo degli spari. La neve che scende fitta sino a confondersi con la notte. Bambi disperato che invoca la mamma. E’ la scena più triste di quello che è uno dei più cupi film per bambini mai girati. Non fa specie che all’epoca i critici per mille motivi lo abbiano massacrato. A leggerlo in filigrana, questo quinto film di Walt Disney si rivela però il frutto perfetto del suo tempo. Bambi esce nell’agosto 1942, in piena guerra. E sgorga dalla fantasia di due artisti che non si sono mai incontrati ma hanno sperimentato entrambi in prima persona il razzismo e la discriminazione: Felix Salten, l’autore ebreo-ungherese dell’omonimo romanzo, e Tyrus Wong, artista cinese-americano da poco scomparso.
Fin dalle prime immagini Bambi si mostra per quello è: un’esperienza irripetibile. Nei disegni di Tyrus Wong, ispirati ai paesaggi della dinastia Song, la foresta ha una qualità lirica e misteriosa. Le figure, spesso ritratte in silhouette, spiccano in netto contrasto sugli sfondi e le rapide pennellate di Wong animano quei panorami di pochi dettagli, che sono però quelli essenziali. Walt Disney, si racconta, se ne innamorò a prima vista, scartando tutte le prove precedenti che tendevano invece a fare il verso a Biancaneve, con colori accesi e infiniti particolari.

Daniela Gross
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pagine ebraiche - dossier golem
Alle origini di tutti i supereroi:
Praga e il mito ebraico

Sin dagli inizi della storia del fumetto l'enorme patrimonio di storia e tradizioni della minoranza ebraica, appena avvenuto l'incontro con le nuove metodologie di divulgazione per immagini, ha iniziato a influenzare sia i comics che la fotografia. Si trattava principalmente delle storie degli ebrei ashkenaziti, che lasciavano le tormentate terre dell'Europa centro orientale per cercare una vita migliore in un'America lungamente sognata, e la loro cultura ha iniziato rapidamente a riversarsi soprattutto nelle storie disegnate, che vedevano una prima esplosione legata a un nuovo filone narrativo. Lieber, Kurtzberg, Kahn, Siegel, Shuster, Eisner, Klein e Blum: ha scritto Cinzia Leone che fare i nomi degli autori del nascente genere supereroistico è come scorrere i banchi di una sinagoga. "Pubblicano le prime storie a fumetti nella stampa yiddish e quando decidono di fare il salto nel mercato si americanizzano il nome: millenaria consuetudine della diaspora. Stanley Martin Lieber, diventa Stan Lee, Jacob Kurtzberg cambia in Jack Kirby e insieme collaborano all’invenzione dei bicipiti da supereroe di Popeye e per la Marvel creano i Fantastici quattro e X-Men. Robert Kahn, del Bronx, diventa Bob Kane e inventa Batman, l’eroe di Gotham City. Siegel trasforma Jerome in Jerry e con Shuster, che da Joseph è diventato Joe, danno il nome al primo supereroe moderno: Superman". La prima idea di cui si nutrono le storie dei supereroi americani ha radici lontane, in quel personaggio della tra dizione che ha qualcosa di soprannaturale e che si dedica a proteggere la comunità, il mondo ebraico. Il golem, così, si trova a indossare le tute aderenti e la calzamaglia dei supereroi, ma non muta l'essenza della sua storia. Le prime teorie vi si ispirano in maniera probabilmente inconsapevole, ma la presenza del golem nel fumetto è via via più forte ed evidente.

Ada Treves
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cordoglio nell'ebraismo italiano
Napoleone Yehuda Jesurum
(1929-2017)

Cordoglio nel mondo ebraico italiano per la scomparsa nelle scorse ore di Napoleone Yehuda Jesurum, molto attivo nella Comunità ebraica di Venezia, in cui aveva ricoperto il ruolo di segretario e di consigliere. “È stato anche per la sua insistenza che decisi di andare a fare il rabbino capo di Venezia”, spiega rav Elia Richetti, ricordando il ruolo avuto da Jesurum nella sua decisione di spostarsi da Milano alla Laguna. “Abbiamo collaborato molto quando io ero a Venezia. Condividevamo lo stessa sentimento per le tradizioni, a cui lui era molto legato così come era legato alla sua Keillah. Tra noi c'era un rapporto di simpatia e affetto. Insieme cercammo di dare anche vita a un giornale realizzato dalla Comunità”, ricorda ancora il rav. E parole di grande affetto sono anche quelle che rav Roberto Della Rocca, direttore dell'Area Cultura e Formazione dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane dedica alla memoria di Jesurum. “Ho avuto il privilegio di lavorare assieme a Leo e di condividere con lui un'amicizia – spiega il rav - alla fine degli anni 90 era tornato nella sua Venezia e divenne segretario della comunità dove io ero rabbino. Leo era un signore fuori e dentro, una persona di classe, generosa, creativa, brillante, leale, passionale e un grande idealista. Amava raccontarmi le sue prime imprese sionistiche adolescenziali e l'amore per la chazanut che gli aveva trasmesso il rav Ottolenghi z.l”.
La redazione è vicina a Stefano e a tutti i suoi cari. Che il suo ricordo sia di benedizione.
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  pilpul

In ascolto - La signora Florence
Sono stata a vedere Florence perché da più parti mi erano giunti commenti decisamente positivi. In effetti è un film davvero bello, in cui si ride, ci si commuove e si riflette su quanto a volte la realtà riesca a superare la fantasia. Il film, basato su una storia vera, narra della bizzarra Florence Foster Jenkins, amante della musica e delle arti, finanziatrice di Toscanini e di altri meno celebri musicisti nella New York degli anni ’40. Dopo aver assistito a un concerto della celebre Lili Pons, la signora Florence in età già avanzata, decide di riprende a cantare. Data la sua fragilità emotiva e la salute precaria, ma soprattutto vista la generosità con cui ripaga chi la sostiene nei suoi progetti, nessuno osa contraddirla e lei, grazie alle conoscenze altolocate riesce a organizzare un concerto, a incidere un disco e a esibirsi niente meno che alla Carnegie Hall. Il ruolo di Florence è interpretato da una Meryl Streep straordinaria, che ancora una volta dimostra di avere una grande tecnica vocale; bisogna avere assoluta padronanza del proprio strumento per riuscire a fingere di cantare così male, calando quel tanto che basta da portare lo spettatore a credere che si tratti di stonature autentiche.
In un paio di scene compaiono le locandine di concerti importanti del 1944, con i nomi noti della storia della musica, tra cui il grande violinista Mischa Elman, nato in uno shtetl in Ucraina nel 1891 da genitori ebrei. Il nonno era un violinista di buon livello, conosciuto soprattutto nell’ambiente della musica klezmer. Ancora bambino, Mischa dimostra grandi capacità e a soli nove anni viene accettato nella classe di violino del grande Maestro Leopold Auer, ebreo ungherese.


Maria Teresa Milano
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Time out - Pensare ebraicamente
Quando domenica, in occasione del digiuno del 10 di Tevet, ci recheremo nelle varie sinagoghe per ricordare anche quelle vittime della Shoah di cui non è nota la data della morte e per cui si recita un kaddish, ci renderemo conto come di quanto ci si è assimilati ad usi e costumi altrui. Durante la Giornata della Memoria le nostre sinagoghe sono invece piene di ebrei professionisti del ricordo, che di fronte a telecamere e ospiti illustri non mancano di ricordare il dramma della Shoah. Non ci sono mai però nel giorno in cui il ricordo è silenzioso, ma soprattutto ebraico.

Daniel Funaro
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Giallo a Milano
Allo scioglimento, dopo quasi 350 pagine, quel che resta di Perché Yellow Non Correrà (Bollati Boringhieri, già edito da Guanda nel 2006) assomiglia più a una pausa che a un finale. Sì, ci sono i colpevoli, l’ordine è ristabilito, il Bene – pur pagato caro – trionfa. Ma sappiamo già che è per poco, che proprio nel momento in cui il Commissario Melis sta contemplando il matrimonio, qualcuno – ancora fuori pagina – sta commettendo il delitto che lo impegnerà ancora e ancora.
Il bello, con i gialli seriali, è che più se ne leggono meno contano le inchieste.
Il brutto, con i gialli seriali, è che più se ne leggono meno contano le inchieste.
Se l’autore è modesto, o se i suoi romanzi hanno avuto troppo successo – va a finire che i personaggi gli prendono la mano, ed è facile allora che l’appuntato scemotto, o il collega casanova si prendano più pagine del dovuto. Se invece l’autore è sapiente, e non dipende troppo dalle classifiche, ogni nuovo romanzo è un nuovo caso – e i personaggi, pur restando loro, si evolvono.


Valerio Fiandra
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Festeggiare
Aveva sempre mal tollerato la diffusa credenza nell'obbligo di festeggiare, sempre e comunque, la fine dell'anno civile, ed in altre parole il tempo che passa, senza alcuna connessione con motivazioni etiche, storiche, religiose. Di queste serate aveva, perlopiù, pessimi ricordi, nel migliore dei casi l'ombra di una sottile malinconia. Una cena con gli amici? Perché non farla in qualsiasi altra sera, contestava. In che cosa, si chiedeva, questa sera è diversa da tutte le altre sere? E non trovava neppure una risposta, figuriamoci quattro.
Negli ultimi anni, certo, erano state occasioni più serene, ammantate di normalità con persone cui voleva bene, e provava tuttavia una certa ritrosia ai seguenti rituali, in ordine crescente di fastidio: agghindarsi a festa, attendere svegli la mezzanotte, dedicarsi ai brindisi collettivi, esprimere bilanci pubblici con i buoni propositi per il nuovo anno.


Sara Valentina Di Palma
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