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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Leggere
il passaggio biblico della piaga del buio in Egitto ha sempre un
effetto profondamente doloroso: il buio della piaga voluta da Dio ha
fatto in modo che non solo gli Egiziani non riuscissero a vedere né a
muoversi, ma anche gli stessi Ebrei, secondo quanto ci racconta il
Midrash e Rashi, non videro quelli che tra di essi morirono perché non
vollero lasciare l’Egitto. Esodo 10, 23: “Non vedeva ognuno i propri
fratelli […]”. Una piaga che di fatto rese nulla la capacità di
empatia, di comprensione dell’altro, tolse agli occhi la capacità di
vedere le ragioni altrui, la sofferenza altrui, anche se non condivisa
o condivisibile.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Il
18 novembre 1930 Cecil Roth, il grande storico inglese che ha diretto
l’Encyclopedia Judaica e ha scritto numerosi importanti lavori
sull’ebraismo italiano, scriveva ad Attilio Milano annunciando la
prossima pubblicazione del suo libro sul ghetto di Venezia. Pensava di
pubblicarlo anche in italiano e chiedeva aiuto al collega romano, ma
era anche disposto a modificare la versione inglese pubblicando in
alternativa dei fascicoli specifici sull’ebraismo veneziano nelle città
e nei possedimenti adriatici e d’oltremare. Candia (Creta), Negroponte,
Corfù, Zante, Spalato e altre comunità ebraiche dello “Stato da Mar”
gli sembravano degne di descrizioni storiografiche autonome. E lo
sarebbero state se non fosse che nella risposta del 30 novembre Attilio
Milano – che si era consultato con il direttore della “Rassegna Mensile
di Israel” Dante Lattes – gli scriveva che quel suo progetto si sarebbe
scontrato con difficoltà di natura politica. “La tensione politica fra
la nostra nazione e parte dei Balcani è, come lei ben sa, tale che in
questo momento non passerebbe sicuramente inosservato dall’altra
sponda, se, in una collana di monografie ebraiche su città italiane se
ne inserisse una su Candia, Corfù, Zante ecc.”. Fu così che la strada
intrapresa per la pubblicazione della prima grande monografia in
italiano sull’ebraismo veneziano si indirizzò verso la più classica
traduzione dell’intero testo, senza accennare anche solo di rimando a
ipotetiche “rivendicazioni” territoriali, che sotto il fascismo
sarebbero state vissute come vera e propria minaccia imperialista. Si
tratta solo di un piccolo esempio, peraltro molto interessante per i
cultori della materia storica, di quel che ai nostri tempi viene
vissuta come un’indebita intrusione della politica nel mondo degli
studi.
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Predrag Matevejevic
(1932-2017)
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“La
cultura ebraica può ricomporre l’animo lacerato delle due Europe. E
curarne le ferite”. Così spiegava il grande scrittore Predrag
Matvejevic, scomparso ieri all’età di 84 anni, al direttore di Pagine
Ebraiche Guido Vitale in un’intervista pubblicata sul giornale
dell’ebraismo italiano. Tanti gli articoli-tributo pubblicati oggi sui
quotidiani per ricordare l’impronta intellettuale lasciata da
Matvejevic: nato a Mostar (oggi Bosnia), padre russo e madre bosniaca,
“cantò il Mediterraneo e le sue civiltà intrecciate perché sentiva che
lì è il cuore dell’Europa”, spiega sul Corriere della Sera Giorgio
Pressburger. “È stato nemico di ogni nazionalismo e di ogni esaltazione
dell’appartenenza etnica. – il ricordo di Wlodek Goldkorn su
Repubblica– La parola identità la declinava al plurale, per
sottolineare che tutte le persone hanno più appartenenze e l’unica
lealtà dovuta è quella a difesa dei valori universali e umanistici”.
Bruxelles non sposterà l’ambasciata dell’Unione europea nella Capitale
d’Israele. Ad affermarlo, l’Alto rappresentante dell’Ue agli Esteri
Federica Mogherini in un’intervista al Corriere della Sera. “Anche noi
sposteremo la nostra ambasciata a Gerusalemme?”, chiede il giornalista
a Mogherini, in riferimento alla decisione del presidente degli Stati
Uniti Donald Trump di muovere da Tel Aviv alla Capitale israeliana
l’ambasciata Usa. “Assolutamente no. – la risposta della Mogherini –
Spero però che il processo di pace in Medio Oriente possa presto essere
affrontato con un coordinamento stabile tra Bruxelles, Mosca, le
Nazioni Unite e Washington”.
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lunedì al centro bibliografico ucei L'ambasciatore polacco in visita
"Conosciamoci, oltre i cliché"
"La
mia visita ha soprattutto un significato. Quello di testimoniare la
buona volontà del mio popolo a lavorare con il mondo ebraico e a
intensificare e migliorare la qualità delle nostre relazioni. Non
pochi, tra gli ebrei d'Europa e d'America, ma anche tra coloro che
hanno scelto lo Stato di Israele, hanno un'origine polacca. Eppure del
mio paese, almeno di quello che è diventato oggi, si sa decisamente
poco. Ecco, vorrei che questa lacuna fosse finalmente colmata. Vorrei
che si aprisse una fase nuova e più consapevole".
È una visita molto attesa quella che l'ambasciatore polacco in Italia,
Tomasz Orlowski, compirà nella giornata di lunedì. Ospite del Centro
Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il
diplomatico parlerà infatti per due ore di Polonia di oggi "tra passato
e futuro europeo" (l'incontro avrà inizio alle 17).
Racconta l'ambasciatore: "Ho raccolto questo invito con grande piacere
e orgoglio. Si tratta di un'occasione davvero unica per parlare del mio
paese, in una cornice dalla forte valenza simbolica. Vorrei che
partissimo da là, dall'orrore della Shoah, per dirci tutto con
franchezza. Vorrei inoltre che a partire da questo incontro potessero
essere superate alcune incomprensioni e alcuni stereotipi che ci
riguardano. Vorrei infine rappresentare quello che è il nostro sforzo
di Memoria oggi, decisamente intenso e proiettato al futuro".
Tra i temi che segneranno l'incontro un approfondimento sui venti di
odio che, anche e soprattutto da Est, sembrano spirare sempre più
intensamente su tutto il continente. "L'attuale assetto europeo per cui
molto abbiamo combattuto, quell'assetto che oggi permette la libera
circolazione di popoli e persone nei diversi paesi, quell'assetto che
ci tiene al riparo da sanguinosi conflitti interni, appare oggi sempre
più in crisi. Come fare per difenderlo? E soprattutto, altra domanda su
cui vorrei che ci confrontassimo, esistono delle libertà veramente
assolute? Penso ad esempio a quella di espressione, di cui spesso si
parla negli ultimi tempi. E mi chiedo: si può davvero dire tutto, senza
censura, in un'epoca così violentemente caratterizzata dal dilagare di
odio in rete e sui social network?".
Può essere che su alcuni punti emergano divergenze di idee, osserva il
diplomatico. "Ma non lo trovo un problema, anzi. È invece fondamentale
che ci si parli, che ci si conosca davvero oltre i cliché. Incontri
come quello di lunedì servono proprio a questo".
(Nell'immagine l'ambasciatore polacco Orlowski con il presidente della Repubblica Mattarella)
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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a 60 anni dai trattati di roma "Memoria per la democrazia"
Consegnato l'appello a Gozi
Memoria
per il futuro, Memoria per la difesa della democrazia e dei valori
fondamentali. Questo il messaggio condiviso dai partecipanti al
prestigioso convegno “Legge e legalità – Le armi della democrazia”
(nell'immagine) svoltosi negli scorsi giorni presso l’Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, organizzato dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un
messaggio che è diventato un appello ai capi di Stato che si riuniranno
a Roma in marzo per i 60 anni dalla firma dei Trattati da cui prese
avvio il sogno europeo. Un appello che la presidente UCEI Noemi Di
Segni ha oggi fatto pervenire, nella sua formulazione definitiva, al
sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi.
Appello ai Capi di Stato
nell’anno del sessantesimo anniversario dalla firma dei Trattati di Roma, istitutivi delle Comunità Europee
nell’anno del decimo anniversario dalla firma del Trattato di Lisbona
nel giorno d’oggi 27 gennaio dedicato alla memoria della Shoa, della devastazione generata dalla seconda guerra mondiale
nel ricordo indelebile dell’aberrazione delle leggi razziste,
dell’abuso più assoluto del principio della legalità e violazione di
ogni etica dell’ordinamento giuridico, del sacro principio della vita
nella consapevolezza che l’indifferenza è stata generatrice di violenze perpetrate nel più assoluto silenzio
nel ricordo dei milioni che hanno subito le più disumane torture, dei
milioni che hanno trovato la loro morte nei ghetti e nei campi di
sterminio, nelle loro dimore e nei loro paesi per mano di regimi
totalitari, per mano di chi scriveva le leggi, di chi le applicava, di
chi le forzava
nella consapevolezza che i processi di immigrazione, accoglienza e
integrazione dei molti che cercano nei nostri Paesi rifugio, asilo e un
abbraccio fraterno, devono essere condivisi e responsabilmente assunti
e gestiti da tutti i paesi europei
nella consapevolezza che l’Europa oggi è minacciata da gravi fenomeni
di razzismo, terrorismo e antisemitismo, che si nutrono di ignoranza e
prepotenza, da parte di persone singole o organizzazioni ben armate,
ben finanziate, residenti in Europa, o provenienti da vicini paesi, che
con determinazione ricercano la distruzione fisica e culturale e del
pluralismo religioso
nella consapevolezza che l’Europa unita è attraversata oggi da forti spinte populiste, disconoscimento e disintegrazione
nel riaffermare la necessaria difesa dell’ordinamento europeo da ogni forma di abuso
nella consapevolezza che ogni sistema di legge e ordinamento trova il
suo primo baluardo nella condivisone dei valori fondanti, nella
condivisione culturale, nell’educazione
a voi è rivolto l’appello
ad una profonda considerazione di quella che è l’identità europea da difendere e maturare
per proseguire nel processo di integrazione dell’Unione Europea
per proseguire la costruzione di una Unione con e per i giovani cittadini
per un impegno che veda tutti i popoli d’Europa adoperarsi con
determinazione per l’applicazione dei presupposti sanciti oggi nel
preambolo del Trattato e nella carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea:
– per il riconoscimento delle eredità culturali, religiose e
umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali
dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà,
della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto,
– per il riconoscimento dell’importanza storica della fine della
divisione del continente europeo e la necessità di creare solide basi
per l’edificazione dell’Europa futura nella consapevolezza del suo
patrimonio spirituale e morale
– per la considerazione prima e anzitutto della persona, posta al
centro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell’Unione e
creando un reale spazio di libertà, sicurezza e giustizia
– per l’attaccamento ai principi della libertà, della democrazia e del
rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e il
divieto di qualsiasi forma di discriminazione
– per la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni,
– per il rispetto della diversità culturale, religiosa e linguistica
– per il rispetto della libertà delle arti e della ricerca scientifica ed accademica
– per il rispetto dello Stato di diritto
per la definizione di un quadro stabile, irrinunciabile, inviolabile,
immodificabile unilateralmente dei fondamentali diritti dell’uomo
per una revisione di termini che non possono più fare parte di un dizionario comunitario, quali il termine “razza”
per una profonda riflessione sui sistemi di approvazione e decisione che portino all’evoluzione del quadro comunitario
per un forte impegno ad estendere e condividere i nostri fondamentali
valori – primo tra tutti la vita – alle nazioni vicine che ad oggi non
hanno ratificato, non hanno conosciuto, non hanno inteso aderire a
questi fondamentali principi
per un impegno a formare le coscienze di ogni individuo, a partire dall’educazione prescolastica
per affermare il principio di laicità e pluralismo delle religioni
quali sistemi educativi, genitrici e portatrici di valori postivi
per un forte e determinato rispetto del monito di contrastare ogni primaria espressione e forma di razzismo e antisemitismo
a voi l’appello
affinché l’imperativo etico e civile di ricordare ed onorare la memoria
dei milioni di vittime innocenti causati dall’odio e dalla indifferenza
criminale, sia testimoniato con fatti che attestino la nostra
irriducibile alterità rispetto a quell’odio ed a quella indifferenza. Leggi
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iniziative in tutta europa
Giornata della Cultura Ebraica,
a settembre si parla di Diaspora
Si
svolgerà domenica 10 settembre la diciottesima edizione della Giornata
Europea della Cultura Ebraica. Tema di questo nuovo incontro con la
cittadinanza "Diaspora. In cammino per il mondo". A darne notizia è la
European Association for the Preservation and Promotion of Jewish
Culture and Heritage, l'ente che coordina la Giornata in tutta Europa.
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qui milano - ucei e villa santa maria Salute e disturbi dello sviluppo
Uno studio per fare chiarezza In
un’epoca nella quale i disturbi dello sviluppo sono in forte e costante
aumento, tanto che quasi il 10 per cento dei bambini è interessato da
problemi che possono andare dal semplice ritardo di lettura fino alle
sindromi dello spettro autistico, sono sempre più numerosi i genitori
che pongono domande ai propri medici sulla salute psicomotoria dei
propri figli. E proprio a questo tema è dedicato il progetto di
prevenzione primaria voluto e finanziato dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane e realizzato da Villa Santa Maria, Centro di
Tavernerio (Como) specializzato nella cura e riabilitazione di bambini
e ragazzi affetti da autismo e patologie neuropsichiatriche: si tratta
di uno studio pilota – di cui saranno presentati i risultati inediti
martedì 7 febbraio a Palazzo Pirelli (ore 14.00) a Milano – condotto
negli asili nido per individuare nel comportamento dei bambini
eventuali campanelli d’allarme. Una ricerca svolta in collaborazione
con l’Associazione medica ebraica (Ame) e con l’Agenzia ebraica per
Israele, che indaga questi aspetti, attraverso l’osservazione dei
bambini in età pre-scolare in un ambiente ludico.
Nel corso dell’incontro di martedì, dal titolo “La salute
psicomotoria”, saranno dunque illustrati i risultati dello studio, che
ha consentito di individuare non solo bambini con problemi in una o più
aree dello sviluppo, ma anche piccoli con capacità particolarmente
avanzate. Ad aprire il convegno, moderato dalla giornalista Ada Treves,
i saluti, tra gli altri, del vicepresidente UCEI e presidente dell’Ame
Giorgio Mortara e della presidente dell’Agenzia Ebraica per Israele
Claudia De Benedetti.
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domenica una giornata in suo onore "Guarda il cielo e conta le stelle"
Lele Luzzati, la vita e le opere
Una
Giornata intitolata “Guarda il cielo e conta le stelle…” (Genesi XV,5)
in ricordo di Emanuele Luzzati a 10 anni dalla morte si svolgerà a Roma
domenica prossima nella sala del Centro Bibliografico dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane. Nel corso dei lavori sono previsti gli
interventi di Ariela Fajerazen, Valentina Filice, Pupa Garribba, Carla
Rezza Gianini, Giacometta Limentani, Bice Migliau, Sergio Noberini. Il
dibattito sarà moderato da Georges De Canino. Nel pomeriggio le
attività proseguiranno al Museo Ebraico di Roma con un laboratorio
creativo per bambini dai 6 anni sulle tecniche di Luzzati, a cura di
Elisa Pezzolla (dell’Officina Didattica Museo Luzzati), una visita
guidata di presentazione delle formelle in maiolica “I 12 mesi Ebraici”
(1960) e la proiezione del cortometraggio “Jerusalem” di Emanuele
Luzzati e Giulio Gianini.
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l'intervista a pagine ebraiche
Predrag Matvejevic
(1932-2017)
"La
cultura ebraica può ricomporre l’animo lacerato d'Europa. E curare le
ferite". Ne era fermamente convinto Predrag Matvejevic, il grande
intellettuale balcanico scomparso nella giornata di ieri.
In
un'intervista al direttore di Pagine Ebraiche Guido Vitale, che qui
riproponiamo integralmente, Matvejevic presentava ripercorreva il senso
della sua missione di scrittore e intellettuale.
I flussi del grande mare,
il bacino liquido di tutte le civiltà di cui ha cantato la grandezza
nel suo indimenticabile Breviario mediterraneo, si arrendono alla terra
ferma al loro traguardo più settentrionale, all’apice del golfo del
Quarnero. Alle porte di Fiume, sul litorale di Abbazia, Predrag
Matvejevic, lo scrittore simbolo della nuova Europa, è venuto da
Zagabria a parlare con gli ebrei del Continente che guardano al mare.
Lo incontro sulla spettacolare passeggiata da Lovrana a Volosca, 12
chilometri di scorci mozzafiato lungo la strada pedonale inaugurata,
poco prima della fine del grande impero di Vienna e di Budapest che fu
la casa comune delle genti della Mitteleuropa, per accogliere una
visita dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Tutte le frontiere si
sfiorano sotto gli occhi degli ultimi, ignari bagnanti. Di lì a
Vladivostok si stende l’oceano dei popoli slavi, alle nostre spalle
subito l’Italia e l’Europa dei latini, guardando a Nord l’orizzonte
delle genti germaniche. Bejahad, il festival che chiama a raccolta le
comunità di Croazia e di Serbia, di Bosnia e di Macedonia, d’Austria,
di Slovenia e d’Ungheria, ma che per la prima volta quest’anno ha
aperto le porte e recuperato anche una componente insostituibile della
propria identità, quella italiana, lo ha accolto con la passione e il
rispetto dovuti a un grande della cultura europea. In mano stringe la
prima copia del suo nuovo libro che ancora odora di inchiostro. E a
tutti, passando con balzi leggeri attraverso le innumerevoli lingue
slave, latine e germaniche che padroneggia senza fatica né imbarazzo,
Matvejevic racconta ora una nuova grande storia, quella del Pane.
Il
suo Breviario Mediterraneo non è solo lo sfoggio di un’erudizione
vertiginosa, ma è divenuto un libro universale, tradotto e pubblicato
su tutti i continenti, che ha folgorato e sommerso di emozioni tanti
lettori in tutto il mondo. Claudio Magris lo ha definito con poche
parole: “Un libro geniale, imprevedibile, fulmineo”. Quale altra grande
storia ha deciso di narrare nelle pagine di Pane nostro, che giunge in
questo inizio d’autunno nelle librerie pubblicato da Garzanti?
Il desiderio di scrivere un libro sul pane ha preso corpo nei giorni
della mia infanzia. Svaniva e poi tornava. Negli anni della prima
maturità ho cominciato a scriverlo più volte, ma mi interrompevo
sempre. Prendevo il manoscritto, poi lo lasciavo da parte. Dopo essermi
allontanato dal mio paese, la Jugoslavia, che era in guerra con se
stesso, sono stato costretto ad occuparmi d’altro. Ho scritto libri su
vari argomenti. Ma non ho mai dimenticato il “pane nostro”. Il libro mi
ha preso infine vent’anni di lavoro e di ricerca e soprattutto ha
richiesto di fare i conti con la mia memoria.
A quali memorie si riferisce?
Era in corso la guerra mondiale, la seconda nel secolo alle nostre
spalle. Nella mia infanzia ho vissuto quattro anni di fame. Mio padre
era stato deportato in un campo di concentramento, con la semplice
motivazione che proveniva da una nazione con la quale il paese in cui
vivevamo era in stato di guerra. Era fuggito da una Russia tormentata
dopo la rivoluzione, vent’anni prima che la Germania tornasse a farle
la guerra. Chiamato alle armi da una Jugoslavia che si stava sfaldando
per la prima volta, era stato fatto prigioniero come soldato semplice.
La maggior parte dei suoi compagni non sono sopravvissuti. Lui si è
salvato. Quando lo rividi feci fatica a riconoscerlo. E mi raccontò
subito con meraviglia di aver ricevuto nell’inverno fra la fine del ‘42
e l’inizio del ‘43 un pezzo di pane da un tedesco. Anche durante la
guerra mondiale ci furono episodi di umanità. Troppo pochi, ma ce ne
sono stati.
E poi?
Dopo la guerra nella cittadina dove eravamo rifugiati passavano i
soldati tedeschi prigionieri di guerra. Ancora ombre di fame e
disperazione. Mio padre divise la povera razione di pane per la nostra
famiglia e mi mandò a donarlo a un tedesco. Ma a convincermi che questo
libro dovevo farlo è accaduto ancora altro. Dopo aver letto la
testimonianza di Primo Levi (“Rubano il pane degli altri”) ebbi
l’occasione per la prima volta di vedere il Mar Nero di visitare
Odessa, la città dove mio padre era nato e da dove era emigrato nel
1920. La zia Natalija mi fece sapere che Vladimir, il fratello di mio
padre, era morto in un gulag invocando il pane di cui l’avevano
privato. Proprio come il poeta ebreo Osip Mandel’stam ucciso dai lager
staliniani mentre invocava un pezzetto di pane. Anche questa, come le
sue opere precedenti, mostra una cultura vastissima.
Quali sono state le sue fonti?
L’opera più esauriente scritta fino ad oggi sull’argomento, Seimila
anni di pane (Sechstausend Jahre Brot), è di un ebreo tedesco, Heinrich
Eduard Jacob. Alla fine del libro testimonia della sua esperienza di
sopravvissuto di Buchenwald dove riceveva un pane fatto della mistura
di patate e segatura. Ci si può domandare: avrebbe potuto scrivere un
libro di tale valore se non avesse dovuto mangiare un pane del genere?
Durante i miei diciassette anni fra asilo ed esilio in Francia e in
Italia molti mi hanno aiutato nelle ricerche. Vorrei citare lo
specialista americano Steven Kaplan e l’ebreo milanese Gabriele Mandel.
E non voglio dimenticare lo storico Georges Duby e Piero Camporesi, il
mio compagno zingaro Rajko Djuric, che ha perduto una parte dei suoi
durante la Shoah e l’altra nella guerra balcanica.
Il pane è storia, cultura,
letteratura e in molte pagine del suo libro è rito, religione. A
cominciare dalla lezione ebraica sulla benedizione e la consacrazione
della trasformazione del cibo. Può essere anche guida e lezione per il
futuro?
La cultura ebraica può ricomporre l’animo lacerato delle due Europe. E
curare le ferite. All’inizio del terzo millennio ci sono molti che
muoiono di fame. L’alterazione del clima e l’inquinamento spingono i
nomadi del nostro tempo a tentare, talvolta disperatamente, di
trasferirsi in luoghi dove c’è più pane. Il pianeta è esposto a
mutamenti devastanti. Il consumo incontrollato di energia minaccia di
provocare conseguenze devastanti e fatali. Mentre stendevo le ultime
righe di questo libro il mondo era nuovamente dominato da una crisi che
lo ha investito con inaudita velocità, ponendolo di fronte a minacce
inattese. Fra qualche decennio l’umanità ammonterà a otto miliardi di
abitanti di cui, secondo le stime e le previsioni, praticamente un
quarto potrebbe restare senza pane.
Nella postfazione al libro
Erri De Luca riparte dal mito della manna. Nella prefazione Enzo
Bianchi cita il Qohelet (“Getta il tuo pane sulle acque perché con il
tempo lo ritroverai”). Fra le sue pagine le miniature dalla Haggadah di
Sarajevo illuminano il pane azzimo della Pasqua ebraica. Cosa possono
fare oggi i letterati e gli uomini di buona volontà?
Possono solo esprimere preoccupazione e inquietudine. L’antropologo
Claude Lévi-Strauss ha scritto che “il mondo è cominciato senza l’uomo,
e può finire anche senza di lui”. L’umanità è nata senza pane e può
scomparire perché non ne avrà più.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche ottobre 2010
(Disegno di Giorgio Albertini)
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Memoria e sondaggi
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Chiedo
scusa, riconosco la mia totale incompetenza in fatto di sondaggi e
statistiche, ma non posso fare a meno di esprimere un dubbio a
proposito del modo in cui lunedì scorso sono stati commentati su questo
notiziario i risultati del rilievo curato dall’istituto di ricerche SWG
sulla percezione degli italiani nei confronti della Memoria.
Davvero l’intervistato che dichiara che gli italiani si sentono poco
coinvolti nella celebrazione del Giorno della Memoria pensa in realtà a
se stesso? Francamente non ne sono convinta. Capisco che si tratta di
una strategia comunemente usata dai sondaggisti, ma mi domando se
questa tecnica funzioni nei casi, come questo, in cui le risposte sono
fortemente influenzate dall’ideologia dell’intervistato. Dire che gli
italiani sono poco coinvolti equivale in realtà a dire che non lo sono
abbastanza rispetto ai propri standard, e quindi più tali standard sono
elevati, più l’intervistato ritiene che il tema sia importante, meno mi
pare probabile che giudicherà favorevolmente il coinvolgimento degli
italiani in generale. Di fronte a tematiche percepite come rilevanti è
troppo forte la tentazione di sottolineare la propria elevata
sensibilità in contrasto con una società indifferente. Viceversa, la
persona che dichiara che gli italiani si sentono molto coinvolti nei
confronti del Giorno della Memoria non potrebbe averne in realtà
un’idea magari un po’ superficiale e zuccherosa?
Anna Segre, insegnante
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Etichette
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“Pro-Israele,
pro-Trump, anti-femminista ed anti-immigrati”. Con questi aggettivi Le
Monde traccia il profilo di Alexandre Bissonette, lo studente 27enne
incriminato per la strage ad un moschea di Quebec City. La Stampa
aggiunge inoltre più specificatamente l’ammirazione da parte del
giovane per le forza armate israeliane. Oltre a trovare il titolo di Le
Monde alquanto scorretto poiché non è difficile scorgere un’accezione
negativa, in questo caso, nell’essere “Pro-Israele”. Mi chiedo
soprattutto in che modo il sostegno verso Israele possa combaciare con
le altre caratteristiche di Bissonette – mettendo da parte soltanto per
il momento l’essere a favore di Donald Trump, il quale porterebbe a
considerazioni premature – Non è un mistero che molti partiti e
movimenti di estrema-destra i quali sposano idee ultra-nazionaliste ed
anti-islamiche, dal PVV di Geert Wilders fino alla Lega Nord di Matteo
Salvini, guardino con stima Israele per il suo ruolo di “frontiera” di
un inesistente “Occidente giudaico-cristiano” opposto ad un altrettanto
improprio “Oriente islamico e barbaro”. Ma occorrerebbe riflettere sul
perché questa visione distorta della realtà abbia messo le sue radici,
su come sia possibile che ideologie ultra-identitarie e xenofobe
possano saldarsi con il sionismo.
Francesco Moises Bassano
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Anacronismo radicale
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“Il
giudaismo consiste in una non coincidenza con il proprio tempo… Si
tratta di un anacronismo nel senso radicale del termine, nella
simultaneità di una gioventù attenta al reale e impaziente di mutarlo e
di una vecchiaia che avendo visto tutto risale all’origine delle cose.
La preoccupazione di conformarsi al proprio tempo non è l’imperativo
supremo dell’Umano.” (Emmanuel Lévinas).
Ilana Bahbout
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