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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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I
primi due precetti ricevuti dall’intera comunità ebraica, ancora in
Egitto, sono il calcolo del tempo – a partire dal rinnovamento della
luna – e il sacrificio pasquale.
Queste due mitzwòt hanno un denominatore comune: l’istituto della
delega. Per fissare il Capomese, Rosh Chodesh, il Sinedrio inviava due
delegati che testimoniavano sull’apparizione della luna nuova. Per la
macellazione dell’agnello da consumare nel Seder della nostra prima
notte di libertà, si delegava una persona che macellava per tante.
Dalla modalità di questo sacrificio il Talmùd deduce che “il delegato
di una persona è come la persona stessa…”. (Qiddushìn, 41, b ). La
delega quindi precede e sancisce la costituzione della prima comunità
ebraica. È la delega che rende gli uomini liberi e uguali senza restare
schiacciati dai rispettivi ruoli. Il delegato deve rispondere ai
deleganti che gli hanno dato fiducia, senza mai abusare del suo ruolo,
e i deleganti devono essere sempre al fianco del loro delegato affinché
non si trasformi in un esecutore solitario e autoriferito. Non si può
diventare una comunità libera senza che una persona sappia dare e
prendere delega e responsabilità rispetto a un’altra persona.
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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Anche quest’anno abbiamo rimesso la Memoria nel cassetto, in attesa di riaprirlo l’anno prossimo, un po’ più impolverato.
E con sempre maggior insistenza, anno dopo anno, si scoprono salvatori
e i giusti, che con eroismo hanno dato rifugio a ebrei perseguitati, a
ebrei in fuga. Giustissimo riconoscerli. Giustissimo farli conoscere.
Si ha, in qualche modo, il sospetto di star premiando la semplice
umanità, visto che troppo spesso aveva prevalso la disumanità. Si
premia il normale, perché allora aveva prevalso l’anormale.
Si ha però la chiara sensazione di un cambiamento graduale di
percezione: sempre più, chi è chiamato a parlare di memoria dà per
scontata la Shoah, con le sue cause, i suoi metodi, le sue conseguenze,
e sempre più vengono messe al centro le individuali esperienze dei
sopravvissuti, dei fortunati. Si rischia di soprassedere al racconto
della tragedia, forse perché troppo dolorosa, o troppo complessa:
troppo difficile spiegare l’inspiegabile a tanti anni di distanza.
Quasi che chi la ascolta la potesse reputare non credibile. Quasi ce ne
vergognassimo. Noi e non gli altri.
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Tifoserie, una sentenza
che preoccupa
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Il
Corriere della Sera svela oggi il contenuto di un messaggio privato che
la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di
Segni ha inviato negli scorsi giorni al vicepresidente del Csm Giovanni
Legnini, al presidente del Coni Giovanni Malagò, al presidente della
Figc Carlo Tavecchio e al ministro dello Sport Luca Lotti. L’argomento
è il proscioglimento di due tifosi laziali denunciati dalla Digos e
accusati dalla Procura di aver incitato la curva dell’Olimpico ad
urlare “Giallorosso ebreo”. Vicenda divenuta di dominio pubblico e su
cui alcuni ispettori ministeriali, con il beneplacito del ministro
della Giustizia Andrea Orlando, stanno svolgendo “accertamenti
preliminari” sul giudice che ha pronunciato la sentenza. “Fermo
restando il principio che le decisioni della magistratura vanno sempre
rispettate e non volendo entrare nel merito dei singoli aspetti
processuali di questa vicenda, non posso non esprimere la mia
preoccupazione. Soprattutto in un momento come questo, in un momento in
cui nuovi venti di odio tornano a spirare in Italia e in Europa, c’è un
bisogno assoluto che il mondo dello sport si faccia ambasciatore di
valori positivi. C’è un gran bisogno – scrive la Presidente UCEI nel
suo messaggio – che lo sport unisca le società e i popoli”.
Su questo argomento, riferisce il quotidiano, si è aggiunto anche un
messaggio della presidente della Comunità ebraica romana Ruth
Dureghello. “Mi rivolgo a voi – le sue parole – con lo scopo di
ribadire che in questo Paese gli antisemiti, unico aggettivo in grado
di qualificare chi deride un tifoso avversario appellandolo ‘ebreo’,
siano perseguitati e condannati e non ci sia spazio per alcuna
ambiguità, soprattutto nei nostri tribunali”.
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ospite ieri dell'ucei Polonia, l'ambasciatore in visita
"Guardiamo insieme al futuro" Un
dialogo aperto che non ha risparmiato questioni molto delicate e
complesse. Un confronto avviato per conoscersi più in profondità e
oltre i cliché. Non ha tradito le attese la visita dell’ambasciatore
polacco a Roma, Tomasz Orlowski, ospite del Centro Bibliografico
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per parlare, su invito
della Presidente Noemi Di Segni, del paese che rappresenta, della sua
relazione con il passato, del presente politico, del futuro da
costruire.
Dalla Memoria della Shoah ai rapporti con lo Stato di Israele, dalla
risoluzione della crisi dei migranti alla difesa dell’unità europea.
Numerosi i temi affrontati dall’ambasciatore Orlowski, che ha risposto
a diverse domande dal pubblico.
“Sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto nei 27 anni che sono
passati dal crollo del comunismo. Sia nel rapporto con la comunità
ebraica, che ha dato alla Polonia tanti illustri uomini di cultura, sia
nell’amicizia sempre più stretta che è stato possibile costruire con il
governo di Israele. Certamente resta ancora molto da fare, ma la mia
sensazione è che debbano esserci diversi motivi di soddisfazione nel
nostro bilancio. Abbiamo preso la strada giusta, anche nella lotta
all’antisemitismo. La mia valutazione è che quest’ultimo fenomeno,
particolarmente odioso e insidioso, non sia oggi più intenso che in
altri paesi d’Europa. Non possiamo avere la pretesa di debellarlo del
tutto, perché sarebbe utopia. Ma con lo sforzo di tutti – ha esordito
il diplomatico – possiamo renderlo sempre più marginale”.
Sulle responsabilità polacche nella Shoah, tema che è stato evocato in
alcune domande, l’ambasciatore Orlowski ha invitato a “non
criminalizzare un intero popolo, ma a giudicare i singoli individui”.
Non andrebbero sottostimate la pratiche della delazione e del
collaborazionismo, ma allo stesso tempo andrebbero maggiormente
valorizzate, la sua riflessione, “le storie e le vicende di chi, a
rischio della vita, compì atti di eroismo”.
Un momento di svolta sul tema della Memoria, ha quindi aggiunto,
andrebbe visto nella visita di papa Giovanni Paolo II ad
Auschwitz-Birkenau nel 1979. “Ancora non ce ne rendiamo conto fino in
fondo – ha detto Orlowski – ma le parole di un papa nato in Polonia, in
quel luogo d’orrore, in quel preciso momento storico, hanno avuto un
impatto fondamentale”. Leggi
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l'anti-defamation league a roma "Cooperiamo contro chi odia" “Diffamazione,
odio, antisemitismo, boicottaggio d’Israele, razzismo. Minacce in
costante crescita, che siamo chiamati a contrastare, tutti insieme, per
assicurare un futuro alle prossime generazioni”. L’ha sottolineato la
Presidente UCEI Noemi Di Segni incontrando quest’oggi a Roma una
delegazione dell’Anti-Defamation League, organizzazione statunitense
tra le più attive nella lotta al razzismo, insieme tra gli altri alla
presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello e
all’esponente dello European Jewish Congress Alessandro Ruben.
“Bisogna prendere coscienza del fatto che gli attacchi rivolti oggi
contro Israele e sionismo sono una forma di antisemitismo. Che
l’Europa, attesa al 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, deve
assicurare una difesa più forte dei suoi valori fondamentali. Anche in
ragione di questi motivi – ha detto Di Segni – è fondamentale
cooperare, a livello locale, nazionale e internazionale, per creare
rapporti istituzionali sempre più forti”.
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Lo studio ucei - villa santa maria
Infanzia, i percorsi da seguire
per lo sviluppo dei bambini
Presentati
in queste ore, nella prestigiosa sala Pirelli nel Palazzo della Regione
Lombardia a Milano, i risultati dello studio promosso e finanziato
dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in merito alla salute
psicomotoria dei bambini. Una ricerca pilota realizzata da Villa Santa
Maria, Centro di Tavernerio (Como) specializzato nella cura e
riabilitazione di bambini e ragazzi affetti da autismo e patologie
neuropsichiatriche, che ha coinvolto le scuole ebraiche di Milano ma
anche a Torino, Trieste e Roma e i giovanissimi dell'asilo di Firenze.
“La sfida che ci poniamo oggi è quella di far conoscere questo studio,
fortemente voluto dall'UCEI e appoggiato dall'Associazione medica
ebraica, al più ampio pubblico possibile - ha spiegato Giorgio Mortara,
vicepresidente UCEI, in apertura dell'incontro moderato dalla
giornalista Ada Treves - Per questo auspichiamo di portare avanti una
collaborazione sul territorio, a partire dalle città in cui è già stata
svolta la ricerca e magari coinvolgendo il ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca con cui l'Unione ha ottimi rapporti”.
La dottoressa Gaetana Mariani, presidente e direttore generale di Villa
Santa Maria, ha poi presentato il lavoro del centro, ricordando come il
progetto di ricerca si sia ispirato al lavoro dell'associazione Tsad
Kadima, che si occupa del percorso formativo dei bambini che soffrono
di lesione cerebrale in Israele. “Il lavoro con i bambini è un lavoro
fondamentale che dà speranza per il futuro”, ha sottolineato Claudia De
Benedetti, presidente dell’Agenzia ebraica per Israele (Sochnut Italia)
– ente che ha sostenuto il progetto - citando come modelli l'operato di
Villa Santa Maria così come quello di Tsad Kadima. Dopo i saluti, si è
poi entrati nel merito della ricerca e del suo oggetto di studio - il
disturbo dello sviluppo nei bambini - con interventi di esperti della
materia e di chi ha seguito il progetto.
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le reazioni al raduno dell'ultradestra "Genova ripudia il razzismo" C’è
preoccupazione a Genova per il raduno delle destre, “The Europe of
Fatherlands-L’Europa delle patrie”, convocato nella giornata di sabato
da Forza Nuova. Iniziativa che ha suscitato tra le altre la ferma presa
di posizione della Comunità ebraica genovese. “Mi ha colpito una frase
del libro di Wlodek Goldkorn che abbiamo presentato per il Giorno della
Memoria: quello che gli diceva un sopravvissuto del Ghetto di Varsavia
ricordando perché anticamente nelle miniere si teneva un canarino:
perché, se cominciava a stare male, voleva dire che c’era una fuga di
gas. E di fronte a situazioni che potrebbero riaprire spazi di
illibertà e totalitarismo, io penso che, dovremmo essere tutti come
canarini nella miniera, dare l’allarme. Noi della Comunità – ha
dichiarato il presidente Ariel Dello Strologo (nell’immagine) – così
come stanno facendo tante realtà genovesi a cui confermiamo il nostro
appoggio”. Tanti i giovani che si stanno mobilitando per dire no al
razzismo, all’intolleranza, alla xenofobia. Rivolto a loro
l’apprezzamento dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, che in una nota
sottolinea: “Accogliamo e facciamo nostro lo sdegno dei giovani di
Genova, di fronte all’ipotesi di vedere organizzato nel capoluogo
ligure, un convegno dell’ultradestra razzista e antisemita sabato 11
febbraio. La risposta della città, forte e decisa, è una legittima
rivendicazione dei diritti di libertà e democrazia”.
Aggiunge il presidente Ugei Ariel Nacamulli: “Non saremo in piazza con
loro per la concomitanza con il giorno di festa ebraico dello Shabbat
ma vogliamo sostenere attivamente la voce di chi si muove per difendere
i valori democratici e antifascisti su cui il nostro paese ha posato le
fondamenta”.
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L'impegno dei musulmani
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Alcuni
sosterranno, legittimamente, che significa poco. Che sono soltanto
belle parole. Ma siccome su queste colonne ho più volte scritto che,
per sconfiggere il radicalismo e il terrorismo islamico, serve
innanzitutto l’impegno dei musulmani, plaudo a questo primo successo:
il “Patto nazionale per l’Islam italiano, espressione di una comunità
aperta, integrata e aderente ai valori e principi dell’ordinamento
statale”. Firmato la scorsa settimana al Viminale dal Ministro
dell’Interno e da nove associazioni islamiche, il testo prevede dieci
impegni da parte dei musulmani e altrettanti da parte delle
istituzioni, e prelude esplicitamente a un percorso che porti alla
firma di un’Intesa. Tutto è scaricabile online a questo link.
Molti punti sono quelli di buon senso che abbiamo auspicato in questi
anni: albo degli imam, formazione condivisa con le istituzioni, predica
in italiano, educazione civica, trasparenza sui finanziamenti; le
istituzioni si obbligano a fare la loro parte, coinvolgendo anche
l’associazione dei Comuni che – evidentemente – ha una capacità di
penetrazione maggiore.
È molto importante che abbiano partecipato al negoziato associazioni
islamiche con diversa estrazione e anche “affidabilità”: deve
partecipare una fetta larga dei musulmani presenti in Italia, senza
tacere un confronto interno, se necessario. Noi ebrei possiamo fornire
un contributo duplice: da un lato, vigilare con attenzione, senza
rigidità, sull’applicazione reale di tali principi in modo che non
restino lettera morta. Inoltre, con la generosità: mettere al servizio
dell’Islam italiano la nostra esperienza di integrazione può garantirci
assai meglio che un atteggiamento pregiudizialmente ostile e diffidente.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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