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12 Febbraio 2017 - 16 Shevat 5777
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
"Hanno sopportato e non hanno più percepito la durezza della loro schiavitù" (R. Simha Bunim di Przysucha)
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Solo riprendendo su di sé il carico del presente e proponendosi di trasformarlo e solo la deliberazione che il passato non regoli il presente e detti norme al futuro, si può pensare a un futuro che non sia la ripetizione del passato. Sono due dei principi su cui amava riflettere Tzvetan Todorov, scomparso lo scorso martedì a Parigi. L’idea era che un futuro diverso ha una possibilità se fondato su un triplo registro: 1) il richiamo al ruolo del singolo e della sua responsabilità nella storia; 2) la sollecitazione a dimenticare in un’epoca in cui tutti vogliamo ricordare, spesso perché incapaci di uscire dal passato; 3) la convinzione che futuro implica rischiare.
 
Onu, candidatura Livni
L’ex ministra degli Esteri israeliana Tzipi Livni verso l’incarico di vice-Guterres alle Nazioni Unite. Va interpretata anche in questa chiave, scrive La Stampa, la decisione degli Stati Uniti di bloccare la nomina del palestinese Salam Fayyad come nuovo inviato dell’Onu in Libia. La soluzione potrebbe essere uno scambio, scrive il quotidiano torinese. Un posto per Livni all’Onu “in cambio del via libera a Fayyad”.

I quotidiani parlano di Casa Bianca “stregata dal pensiero di Julius Evola”, riprendendo un approfondimento sul tema del New York Times. In particolare Stephen Bannon, principale consigliere strategico di Trump, apprezzerebbe e diffonderebbe il pensiero dell’intellettuale italiano, morto nel 1974. Così il Corriere descrive Evola: “Il teorico del ‘tradizionalismo’, della superiorità atavica della razza bianca, l’antisemita, l’ammiratore di Benito Mussolini e della ‘incorruttibilità’ dei nazisti tedeschi”. Negli scorsi giorni il Giornale di Sicilia ha pubblicato una breve cronaca in cui si esalta la figura di Evola, cui alcuni a Cinisi, comune cui fu legato, vorrebbero dedicare una strada. L’Ufficio Stampa UCEI è intervenuto con la direzione del quotidiano.

Una carica della polizia contro gli antagonisti che cercavano di forzare il cordone di sicurezza, qualche contuso e mezza città paralizzata per il convegno dell’ultradestra organizzato da Forza Nuova a Genova. “La città – scrive Repubblica – ha avuto un risveglio antifascista con un corteo affollatissimo voluto dall’Anpi e al quale ha partecipato anche il sindaco Marco Doria”.
 
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  davar
la possibile nomina a vicesegretario
Onu, indiscrezione Tzipi Livni Un silenzio che sa di attesa
Nessuna dichiarazione ufficiale. Nessuna dichiarazione alla stampa, nessun post su Facebook, nessun cinguettio su Twitter.
Tzipi Livni per il momento non commenta l’indiscrezione, apparsa nelle scorse ore sui giornali israeliani e oggi riportata anche su quella italiana e internazionale, su una sua sempre più probabile candidatura come vice-segretario segretario delle Nazioni Unite accanto al socialista portoghese Antonio Guterres.
Basso profilo per l’ex ministro degli Esteri di Gerusalemme, oggi leader del partito HaTnuah e parlamentare della Knesset, che potrebbe essere il primo politico israeliano a ottenere un ruolo di leadership in quella sede. Una nomina, sottolineano gli analisti, potenzialmente utile per sbloccare la complessa situazione relativa al palestinese Salam Fayyad e all’incarico per lui previsto di inviato Onu in Libia, bloccato all’ultimo momento dagli Stati Uniti.
Affermava Livni in una recente intervista: “I valori del mondo libero sono minacciati da estremisti; serve una leadership internazionale che si ponga in prima linea per proteggerli. E se ci fosse una donna a capo dell’Onu…”. Il posto più alto è occupato, ma certamente quello che si profila per lei non è un ruolo marginale. “Quello che possiamo dire è che allo stato attuale non è arrivata nessuna proposta ufficiale in tal senso” dicono questa mattina dallo staff di Livni. Parole che, a detta degli addetti ai lavori, sanno di pretattica e di attesa.
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la missione ucei - israaid 
"Sisma, serve ancora solidarietà"
“Hanno ancora bisogno di aiuto. Di un aiuto psicologico per confrontarsi con il trauma che continua a ripresentarsi”. A parlare Silvia Reichenbach, tra le volontarie partite diversi mesi fa con IsraAid (organizzazione no profit israeliana specializzata nel prestare soccorso nei luoghi colpiti da guerre e calamità naturali) per Amatrice. Le notizie che arrivano da quei luoghi sono, a distanza di tempo ancora terribili: la neve e nuove scosse di terremoto hanno riportato nel Centro Italia la paura e il dolore patiti con il sisma di fine agosto. Nuove vittime purtroppo si vanno ad aggiungere a quelle di solo pochi mesi e chi rimane orgogliosamente in quelle terre deve convivere con un futuro incerto, con lo spaesamento di un contesto sociale che non esiste praticamente più e deve essere ricostruito. A questo pensano Silvia e Silvana Wiener, anche lei psicologa intervenuta con IsraAid ad Amatrice, quando parlano della situazione di quei luoghi a distanza di mesi dalla loro missione. Quelle persone, spiegano, hanno ancora bisogno di supporto psicologico. L’equipe di IsraAid ha fornito loro l’aiuto in prima battuta, diverse persone sono rimaste in contatto con quei volontari creando un ponte da Israele e l’Italia. Ma dai racconti di chi vive ancora nelle tende, spiegano le psicologhe, la solitudine è ancora un sentimento molto diffuso. E pericoloso, in particolare in casi di disturbi post-traumatici. Il sostegno è importante ma deve essere un sostegno necessario e mirato.
Nelle settimane prima della tragedia di Rigopiano, IsraAid in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane aveva voluto portare una solidarietà concreta alle popolazioni colpite, ancora costrette ad affrontare nelle tende l’inverno. Termocoperte, giacche per bambini e per adulti, stufe, scarpe. Sono alcuni dei materiali che erano stati portati dalla delegazione UCEI e della no-profit israeliana.
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MENASHE DI WEINSTEIN ALLA BERLINALE 2017
L'Yiddish torna a fare spettacolo Occhi aperti sul mondo hassidico

Temuto, venerato, oggetto di sospetto o di ammirazione, affascinante o respingente che lo si voglia immaginare, il mondo dell’ebraismo rigorosamente ortodosso, in particolare nelle sue declinazioni hassidiche, non aveva da attendere la Berlinale 2017 per fare il suo debutto sul grande schermo. Tentativi più o meno riusciti di raccontarlo al grande pubblico, valga per tutti la citazione del celebre “Un’estranea fra noi”, ce ne sono stati. Eppure, nonostante il rigore delle sceneggiature e la professionalità degli attori impegnati sul set, qualcosa continuava a suonare falso, artificioso.
È proprio su questo fronte, per cercare di restituire una visione sincera a questo universo così difficile da percepire serenamente dall’esterno e così difficile da conoscere nella sua autentica realtà, che il regista newyorkese Joshua Weinstein ha voluto provare a fare un film autentico e non divistico ambientato negli ambienti hassidici del Borough Park di Brooklyn.
Il risultato, questo “Menashe” presentato in anteprima al festival cinematografico di Berlino nelle scorse ore, è la storia di una riuscita. Un successo per il valore cinematografico e artistico del film, che scorre sotto gli occhi dello spettatore raccontando in maniera semplice le sfumature delle vita quotidiana di ambienti ebraici solitamente molto restii a favorire le intrusioni. E un successo nela suo aspetto di sperimentalità sociale, là dove un ebreo contemporaneo di origini hassidiche ma ora non più ortodosso, è riuscito non solo a vedere dal di dentro, ma a sollecitare lo stesso mondo dei hassidim a interpretare se stesso.
Tutto dialogato in un yiddish splendido nella naturalezza della sua quotidianità, tutto interpretato da persone vere e davvero appartenenti al mondo che raccontano, a cominciare dal suo protagonista, Menashe Lustig, un hassid che non il né timore né imbarazzo nel confrontarsi con la cinepresa; il film è un piccolo capolavoro di arte e di umanità.
La semplice storia di un padre rimasto vedovo precocemente, con un figlio di dieci anni da crescere in mezzo a mille difficoltà, le dinamiche sociali tutte particolari che caratterizzano il suo mondo, in pratica la fatica di vivere la vita quotidiana. Il rapporto delicato e impossibile fra un padre e un figlio raccontato senza pudori e senza falsificazioni. Tutto sembra speciale ed esotico se passa attraverso la vita di un ebraismo profondamente autentico e coinvolgente. Per poi alla fine comprendere che quello che sembra profondamente diverso, così lontano da essere quasi irraggiungibile, non è altro in realtà che un’altra possibile declinazione della nostra abituale quotidianità.
Vedere il mondo, il nostro e quello degli altri, con occhi nuovi, passare dallo sguardo esterno allo sguardo interno, senza pudori e senza timori. Trovarsi infine accomunati da un senso di umanità che ci rende tutti diversi e tutti molto simili di fronte ai grandi problemi della vita. Weinstein ci riesce chiamando in scena un’intera compagnia di dilettanti dello spettacolo (molti dei partecipanti che si sono lasciati coinvolgere nella lavorazione del film non sono mai entrati in una sala cinematografica in tutta la loro vita), apparenti ingenui disarmati nei confronti delle insidie della vita quotidiana contemporanea, che attingendo alla forza di una Tradizione eterna, quella che tutti noi abbiamo ricevuto in eredità, si rivelano in realtà più forti, più adeguati, più riusciti e più felici di quanto noi siamo spesso capaci di immaginarli.

gv


L'INIZIATIVA UCEI
Milano, il corso sul sionismo

inizia con una sala piena
Una gran folla ha assistito quest’oggi al lancio del ciclo di incontri “Storia dello Stato d’Israele – Dal sionismo a Israele attraverso la Diaspora” con protagonista lo storico e docente universitario Claudio Vercelli. Organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane su iniziativa del direttore dell’Area Cultura e Formazione dell’UCEI rav Roberto Della Rocca, il corso toccherà alcuni momenti salienti della vicenda dello Stato ebraico in una dimensione storica, politica e culturale.
Oltre 150 i partecipanti al primo incontro, svoltosi al Teatro Franco Parenti di Milano.
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il bando ucei
Un coordinatore per K.it
Una risorsa per il Progetto K.it, per promuovere contatti e rapporti con aziende italiane del settore agroalimentare; gestire i rapporti con le aziende interessate alle certificazioni kasher; fornire supporto, in accordo con l’assessore di riferimento, per i rapporti con istituzioni governative, associazioni di produttori ed enti internazionali di certificazione e eventi fieristici.
Lanciato nelle scorse ore, il bando dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane scadrà il 15 marzo.
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pilpul

Fratelli nella notte
I Fratelli musulmani sono l’epicentro ideologico e storico della svolta attivista che connota l’islamismo radicale e che oggi è l’ossatura del fenomeno jihadista. Non a caso nascono nel 1928, quando il riscontro che il Califfato ottomano era definitivamente tramontato diventa disagio insopportabile, alla ricerca quindi di un qualche sbocco politico. Il programma che avanzano è di ribaltare la sfida della modernità, intendendo la pratica islamica non come un culto bensì come una totalità. Si ha uno Stato islamico quando esso coincide in tutto e per tutto con la comunità dei «perfetti credenti», che si ispira alla piattaforma della Fratellanza: «Dio è il nostro programma; il Corano è la nostra Costituzione; il Profeta il nostro leader; il combattimento sulla via di Dio la nostra strada; la morte per la gloria di Dio la più grande delle nostre aspirazioni». Centrale, nel messaggio del movimento, è il richiamo interclassista, che rimuove integralmente la contrapposizione tra gli interessi materiali e i conflitti che ad essi si accompagnano. Gli uni e gli altri sono presentati come fratture inaccettabili rispetto all’obiettivo di unificare l’Umma, che saprà da sé dare delle risposte alle tensioni della modernità. Si tratta, per l’appunto, di islamizzare la modernità, soprattutto dal momento in cui quest’ultima ha dato fuoco alle polveri di tensioni sociali per le quali sembra non avere concrete risposte da offrire. Con la Fratellanza si manifesta la natura combattente dell’islamismo radicale, che sfocerà poi nello jihadismo. Solo chi è pronto al sacrificio di sé, divenendo un «martire» (shahid), può accedere alla piena comprensione della radicalità dell’islamismo.

Claudio Vercelli
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Levi papers - La fanfara
Nel quarto foglio dattiloscritto aggiunto nella pagina 26 della edizione 1947 di “Se questo è un uomo”, capitolo “Sul fondo”, Primo Levi parla della fanfara. Nel dattiloscritto non ci sono correzioni a mano, solo segni a penna rossa, una Bic probabilmente, del redattore che ha revisionato i fogli acclusi, questioni di grafia. La fanfara compare nel libro versione 1958 per la prima volta: “Una fanfara incomincia a suonare, accanto alla porta del campo: suona Rosamunda, la ben nota canzonetta sentimentale, e questo ci appare talmente strano che ci guardiamo l’un l’altro sogghignando; nasce in noi un’ombra di sollievo, forse tutte queste cerimonie non costituiscono che una colossale buffonata di gusto teutonico. Ma la fanfara, finita Rosamunda, continua a suonare altre marce, una dopo l’altra, ed ecco apparire i drappelli dei nostri compagni, che ritornano dal lavoro”. La scelta del termine “fanfara” non è casuale, indica infatti una banda musicale militare, composta in prevalenza da ottoni. E di questo si tratta, non di orchestrina, come in altri campi. Ai deportati la cosa appare come una “buffonata”. Sogghignano anche. La banda militare suona Rosamunda, “canzonetta sentimentale”. Anche questo accentua il senso del ridicolo. Sollievo. Poi appaiono i deportati.

Marco Belpoliti, scrittore
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