mercato
immobiliare - l'analisi del fondo monetario internazionale
Casa,
per un israeliano un sogno a caro prezzo
Lo scorso marzo il Fondo monetario
internazionale (FMI) ha pubblicato il suo esame annuale dell'economia
israeliana e sebbene il giudizio complessivo sia lusinghiero (crescita
elevata, disoccupazione bassa e conti pubblici in ordine), l'organismo
internazionale non ha nascosto le sue preoccupazioni per il mercato
delle abitazioni, che mostra ormai da anni segnali di surriscaldamento.
Innanzitutto i numeri, che parlano da soli: nonostante il fatto che dal
2007 a oggi i prezzi delle abitazioni siano raddoppiati in termini
reali (ossia sono aumentati del 100% rispetto all'indice generale dei
prezzi al consumo), anche nel 2016 la galoppata dei prezzi è
proseguita, con un aumento del 7,5%. Questi dati si riferiscono alla
media nazionale: se si considerano solo i prezzi di Tel Aviv la
dinamica dei prezzi è stata ancora più impressionante. Per quale
motivo questi aumenti dei prezzi, che fanno felici i proprietari di
immobili, preoccupano le autorità e gli osservatori? In primo luogo
perché prezzi così elevati rendono inaccessibile l'acquisto di una
abitazione per le giovani coppie e per le famiglie a basso reddito,
creando esclusione sociale. In secondo luogo, nella misura in cui
queste quotazioni sono gonfiate da acquisti "speculativi" (ossia
effettuati da chi scommette su un ulteriore rialzo dei prezzi), ma su
questa ipotesi non ci sono opinioni condivise, allora l'eventuale
"scoppio della bolla" e la conseguente caduta dei prezzi finirebbe per
"far saltare" chi ha investito in immobili e le banche finanziatrici,
come accaduto negli USA , in Spagna e in Irlanda tra il 2009 e il 2013.
Quali sono i consigli del FMI alle autorità israeliane?
Aviram Levy, economista
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il giurista Hanina Ben-Menahem spiega il sistema israeliano
Lo Stato e il pluralismo del diritto ebraico
Hanina
Ben-Menahem si è formato alla facoltà di Legge della Hebrew
University, dove ora insegna, e a Oxford, dove ha ottenuto il suo
dottorato. È specialista in filosofia del diritto e in filosofia del
Mishpat ivri [diritto ebraico]. Gli interessi di Ben-Menahem, giurista
e filosofo, spaziano da Nietzsche al Rambam senza trascurare gli
aspetti di attualità legati a Israele. È proprio attraverso questo
intrecciarsi di competenze teoretiche e preoccupazioni di carattere
sociale che Ben-Menahem mostra l’attualità e l’interesse, anche per
l’ebraismo secolare, dei temi provenienti dal Mishpat ivri.
Professore, lei ha
sostenuto il carattere pluralista del diritto ebraico, cosa si intende
con questo? E, prima ancora, come definiamo il diritto ebraico rispetto
alla tradizione orale [Torà she-be-al pe] che già presentava un
chiaro côté normativo?
La storia del diritto ebraico ha 2000 anni, tutto quello che c’è stato
prima, nell’epoca biblica e in quella successiva fino all’inizio
dell’Era Volgare non è considerato tale perché non abbiamo sufficienti
conoscenze storiche di quel periodo, per cui si parla di diritto
ebraico a partire dall’epoca della Mishnà. Da quel momento in poi esso
si evolve, come vediamo dai due Talmudim, e tale evoluzione prosegue
nel periodo dei Gheonim e successivamente nei differenti centri in
Europa e in Africa settentrionale. Fino alla fondazione dello Stato di
Israele il diritto ebraico si è sviluppato sotto il dominio di potenze
straniere, si parlava solo di diritti che venivano concessi alle
diverse comunità di giudicare i propri appartenenti secondo le proprie
istituzioni. Il mishpat ivri è maturato nella vastità della Diaspora,
attraverso forme molto differenti tra loro. Non è quindi possibile
parlare di un unico diritto ebraico, ma di una pluralità di versioni,
nello spazio e nel tempo, con un denominatore comune. L’idea
fondamentale che, a mio giudizio, ha apportato alla filosofia del
diritto è proprio l’istanza comunitaria, la possibilità di parlare di
pluralismo giudiziario all’interno di un unico sistema. Ciò non è
facilmente accettabile per il pensiero giuridico moderno dove è
privilegiata la centralizzazione, ove si deve avere una Corte suprema
che stabilisca cosa devono fare gli organismi inferiori..
Cosimo Nicolini Coen
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la scelta del governo di roma
Il "no" italiano all'Unesco
e al veleno anti-israeliano
Un
anno fa erano 32 i paesi che votavano a favore di risoluzioni contro
Israele all’Unesco. Sei mesi fa, 26. Ieri, 22. Una diminuzione
progressiva che, ha sottolineato il Primo ministro Benjamin Netanyahu,
è segnale che qualcosa sta cambiando all’interno del palcoscenico
internazionale. “Oggi ci sono più Paesi che si astengono o che
sostengono Israele rispetto a paesi contro Israele – ha detto
Netanyahu, durante una cerimonia con i diplomatici stranieri in
occasione di Yom HaAztmaut, la festa dell’indipendenza israeliana – È
un cambiamento, è la prima volta che accade”. L’ultima risoluzione
Unesco – votata ieri – infatti ha ricevuto 22 voti favorevoli, 10
contrari e 23 astensioni. Tra chi ha scelto di dire no all’assurdo voto
Unesco, come lo ha definito il Premier Netanyahu, l’Italia (assieme a
Stati Uniti, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Lituania, Grecia, Paraguay,
Ucraina, Togo e Germania): “Poco prima del voto avevo annunciato al
Primo ministro la nostra decisione di votare contro la risoluzione
Unesco, altamente politicizzata, su Gerusalemme e avevo anche espresso
l’auspicio che altri Paesi UE andassero verso la stessa direzione”.
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il sindaco nir barkat
"Gerusalemme Capitale, anche dell'High-tech"
Cosa
vi viene in mente se pensate a Gerusalemme? Forse i luoghi santi o le
violenze legate al conflitto israelo-palestinese. Probabilmente non
pensate a centri di ricerca, auto di Formula 1 che sfrecciano sotto
mura millenarie e treni ad alta velocità. Ma è proprio a questo che
pensa Nir Barkat, il sindaco che sta cercando di cambiare il volto di
una delle più complesse realtà urbane del Medio Oriente. Da lunedì a
Roma e Venezia per una serie di incontri della Jerusalem Foundation in
occasione della festa dell’indipendenza d’Israele, Barkat ha parlato
dei suoi progetti per Gerusalemme.
È ora di aggiornare l’immagine che il resto del mondo ha della sua città?
«Decisamente. Oggi Gerusalemme coniuga la storia con l’innovazione e il
futuro. Negli ultimi anni, partendo quasi da zero, abbiamo scalato le
classifiche dell'hi-tech, diventando uno dei 25 migliori ecosistemi al
mondo per le start-up; e l’anno prossimo puntiamo a entrare nella top
20. E poi cresce il turismo: da 2 milioni di visitatori l’anno siamo
passati a 4-5».
Ariel David, La Stampa
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