
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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La
giustizia non è cosa per chi è statico. La giustizia va cercata,
perseguita, difesa e per farlo bisogna “alzarsi e salire verso il luogo
che Dio ha scelto…e chiedere ai sacerdoti, ed ai leviti ed al giudice
che ci saranno in quei giorni…” (Parasha’ Shoftim). La giustizia è il
valore del movimento e non dell’immobilismo.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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Dopo
l’ennesimo episodio di cori razzisti partiti dalla curva dei supporter
dell’Hellas Verona all’indirizzo dei giocatori del Napoli (chiamati
“scimmie”), la società proprietaria di quella squadra ha diramato un
comunicato stampa che è un capolavoro di retorica e cerchiobottismo,
nella speranza di non dover subire sanzioni disciplinari (chiusura
della curva): “Nel caso venissero reiterati tali comportamenti, dai
quali ci dissociamo – si legge nel comunicato - sin dalla prossima
partita a Crotone si rischiano provvedimenti ancor più drastici quali
la chiusura di alcuni settori del ‘Bentegodi’, conseguenze che
andrebbero non solo a danneggiare ulteriormente la Società bensì anche
la squadra, che verrebbe privata di un elemento fondamentale come i
propri tifosi.
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Negoziati di pace, Kushner in missione
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Il
presidente Trump “si è impegnato a trovare una soluzione che porti pace
e prosperità” a tutta la regione. A dirlo al Primo ministro israeliano
Netanyahu, Jared Kushner, genero e consigliere di Trump, in missione in
Medio Oriente per conto del presidente Usa. Arrivato mercoledì, Kushner
ha incontrato prima Netanyahu poi il leader palestinese Mahmoud Abbas,
che ha affermato di voler lavorare con Trump per raggiungere la pace.
Ma il primo ad aver espresso dubbi sulla possibilità di arrivare una
soluzione era stato proprio Kushner: come racconta Federico Rampini su
Repubblica, il genero di Trump prima di partire per il Medio Oriente
aveva espresso ad alcuni funzionari del Congresso il suo “scetticismo
sul compito affidatogli”. “Forse non c'è soluzione” al conflitto
israelo-palestinese, ha confidato, aggiungendo di volerci provare solo
perché “è una delle cose che il presidente mi ha chiesto di fare”. “II
viaggio di Kushner, per quanto difficile come dimostra un incidente
diplomatico con l'Egitto, lo allontana da un'atmosfera pesante in
patria”, spiega Rampini, riportando tra le altre cose le critiche mosse
da una parte dell'ebraismo americano a Trump per la sua gestione della
manifestazione neonazista a Charlottesville. “Quattro associazioni di
rabbini americani – scrive Rampini - hanno cancellato per protesta il
tradizionale appuntamento con il presidente che si svolgeva ogni anno
alla vigilia delle festività di Rosh Hashana e Yom Kippur”.
Il muro contro i tunnel del terrore. Un muro sotterraneo di cemento
armato lungo 64 chilometri, profondo alcune decine metri e alto sei
metri sopra il suolo, più una propaggine marina su una base flottante,
per un costo previsto di 800 milioni di euro. È il progetto, attorno a
Gaza, che Israele sta portando avanti per proteggersi dagli attacchi
sotterranei dei terroristi di Hamas, da quei tunnel che portarono alla
guerra del 2014 e all'operazione israeliana Margine protettivo. “l
Mossad sostiene di avere le prove di nuove gallerie in fase di
ultimazione (almeno due), - racconta Repubblica - da qui l'urgenza di
accelerare il progetto del muro sotterraneo. Per il quale sono stati
interpellati esperti di tutto il mondo prima di giungere alla stesura
definitiva che prevede anche un sistema di controllo elettronico nel
caso si cerchi di perforarlo”.
A 120 dal Primo congresso sionista. Ampio spazio nelle pagine culturali
de La Stampa all'anniversario della riunione a Basilea, nell'agosto
1897, del Primo congresso sionista guidato da Theodor Herzl. “Cento e
venti anni fa – spiega l'articolo raccontando le radici del sionismo -
a Basilea il movimento sionista si riunì con l'obiettivo di dare una
autonomia politica e civile al popolo ebraico disperso ai quattro
angoli del mondo e vittima in quegli anni di sfoghi di violenza e
persecuzioni: i pogrom che imperversavano nell'impero zarista mietevano
vittime e costringevano alla fuga migliaia di anime”.
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continua l'aiuto israeliano ai civili in siria
L'operazione buon vicino, Israele e il soccorso al Golan siriano
Mentre
il governo Netanyahu e i suoi diplomatici lavorano per ottenere
garanzie da Russia e Stati Uniti sul ruolo dell'Iran in Siria, Israele
continua nel suo impegno ad aiutare i civili nel Golan siriano.
Un'iniziativa nota da tempo ma di cui le autorità israeliane hanno
parlato ufficialmente solo il mese scorso mostrando ai media lo sforzo
dell'operazione denominata “buon vicinato”: nel corso del tempo
Israele ha trasferito 360 tonnellate di cibo, 450.000 litri di benzina
e 50 tonnellate di indumenti per la popolazione in Siria. Ha anche
inviato grandi quantità di antidolorifici, anestetici e medicine di
base per il diabete e l'asma. Senza contare le operazioni di soccorso
per i feriti siriani – oltre 3mila, di cui molti bambini -, ricoverati
e curati negli ospedali israeliani e poi rimandati in patria in segreto
per evitare ripercussioni. Un problema, quest'ultimo, molto sentito,
come ha raccontato di recente un comandante di ribelli siriani a un
gruppo di giornalisti internazionali riuniti al Media Central di
Gerusalemme. In un'intervista via skype, Abu Hamad – nome di battaglia
– ha raccontato, con il volto coperto per sicurezza, di come “le
milizie sciite sostengono che siamo dei traditori” proprio per la
collaborazione sul fronte umanitario con Israele. Leggi
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Pagine Ebraiche agosto 2017
Genizah del Cairo, a Cambridge
la mostra che dà voce al passato
La
Taylor-Schechter Cairo Genizah Collection, conservata nella biblioteca
universitaria di Cambridge, è la collezione di manoscritti ebraici
medievali più vasta ei importante al mondo. Per mille anni la comunità
ebraica di Fustat (Cairo Vecchia) depose testi sacri e altri scritti
logorati dall’uso nella genizah della Sinagoga di Ben Ezra e, tra il
1896 e il 1897, l’accademico di Cambridge Solomon Schechter grazie al
sostegno finanziario del rettore del collegio di St. John, Charles
Taylor, si recò in Egitto per esaminarli. Dalla comunità ebraica
egiziana ottenne il permesso di portare via quello che più gli piaceva
(affermò in seguito “Mi piaceva tutto”), e portò all’università di
Cambridge 193.000 manoscritti, che oggi compongono la Taylor-Schechter
Cairo Genizah Collection.
La
comunità di Fustat conservava i manoscritti nella genizah, secondo la
legge rabbinica (si veda, per esempio, Mishna Shabbat 16:1), che dice
che quando un testo sacro diventa inutilizzabile (perché è troppo
vecchio o perché il suo contenuto non è più rilevante) non può essere
distrutto o gettato con noncuranza: i testi contenenti il nome di D-o
dovrebbero piuttosto essere sepolti o riposti in una genizah quando la
sepoltura non è possibile. Almeno a partire dai primi anni
dell’undicesimo secolo gli ebrei di Fustat, una delle più ricche e
importanti comunità ebraiche del Mediterraneo, deposero con riverenza i
loro testi antichi nella genizah. Leggi
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Pagine Ebraiche agosto 2017
Davanti alla Genizah
Venga
a prendere un frammento di eternità da noi. Ci vuole un attimo per
lasciare in superficie la grande luce degli immensi prati con le mucche
libere e felici che li percorrono. Di inabissarsi nella penombra dei
sotterranei della fortezza che racchiude i tesori della Biblioteca
universitaria di Cambridge. Nella sala delle esposizioni, il centro
universitario britannico offre l’occasione rara di immergersi e di
respirare da vicino il fascino di una selezione dello sterminato
patrimonio rappresentato dai frammenti della Genizah del Cairo. “Non è
facile immaginare – scriveva, perso nell’oceano di parole da lui
ritrovate e portate in salvo nel 1896, Solomon Schechter nei suoi diari
– la confusione che regna in questa antichissima Genizah fino a quando
non la si è visitata. Un campo di combattimento di cui gli eserciti
sono manoscritti, una battaglia in cui la produzione letteraria di
molti secoli rivendica la propria parte…”. Sono trascorsi ormai 120
anni e le parole dello studioso, rabbino e padre dell’ebraismo
conservative tornano alla luce assieme ai gioielli di carta stracciata
che ebbe il merito di recuperare dal grande deposito di materiali
destinati all’oblio rinvenuto in Egitto. E la Storia si vendica, i
tesori della Genizah tornano oggi vividamente ai nostri occhi in una
piccola selezione, sapientemente composta dall’equipe della Genizah
Research Unit condotta da Melanie Schmierer-Lee che ha voluto
ironicamente intitolare l’esposizione “Discarded History”, la storia
gettata da parte, gli scritti per un motivo o per l’altro destinati
all’oblio ora invece destinati a penetrare il tempo fino a farsi
tizzoni ardenti di vita, di speranze e di passioni di fronte ai nostri
occhi. Il patrimonio di documenti che risalgono all’undicesimo secolo
dell’era volgare offrono come è noto una prospettiva nuova nell’analisi
di molti testi sacri, ma soprattutto nella quotidianità della vita
ebraica dell’epoca. Etica, globalizzazione, affari, drammi, amori,
speranze, sofferenze. Voci vive attraversano il tempo e ci trasmettono
il brivido indimenticabile di attraversare tempo e destini.
gv, Pagine Ebraiche Agosto 2017 Leggi
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Pagine Ebraiche agosto 2017
Cairo, le testimonianze riscoperte
Tanti
i preziosi manoscritti, sia religiosi sia laici, parte del patrimonio
della Genizah del Cairo esposti nella mostra Discarded History
all'Università di Cambridge. Di seguito alcuni brani che raccontano
storie di vita ebraica risalenti a mille anni fa ed esposti a Cambridge.
“Giuro di non interrompere il digiuno durante il giorno.”
Una donna supplica il marito di tornare a casa dopo che egli ha deciso
di andarsene durante una discussione sul fatto di vivere con la
famiglia di lei e di dover pagare loro l’affitto. Per evitare un’accusa
di “abbandono”, il marito ritorna a casa di Shabbat per brevi visite
coniugali. La donna minaccia di iniziare uno sciopero della fame (ma
solo durante le ore del giorno) se il marito non torna a casa. Sul
retro della lettera l’uomo scrive: “Se non interrompi il digiuno, non
tornerò a casa né per lo Shabbat né in nessun altro giorno!”.
“Perché ti comporti così nei confronti di tua moglie e dei tuoi figli?”
Aaron ha abbandonato la sua famiglia in Egitto e si è stabilito a
Seleucia (l’attuale Silifke in Turchia). Credendolo morto, suo suocero
rimase sorpreso nel ricevere una lettera da Aaron. Nella sua riposta,
il suocero, il cui nome è Sa’d, esprime felicità per il suo ritorno
dalla morte, ma gli ricorda che si è sottratto alle sue responsabilità
nei confronti della moglie e dei figli in patria per 23 anni.
Ciononostante, si mostra educato e dipinge una piacevole immagine della
vita in Egitto, un evidente tentativo di far tornare indietro Aaron.
(Traduzione di Rachele Ferin, Arianna
Mercuriali e Ilaria Vozza, studentesse della Scuola Superiore per
Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste e tirocinanti presso
la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) Leggi
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Chi è in pericolo? |
L’invito
agli ebrei a lasciare l’Europa pronunciato dal rabbino capo di
Barcellona a caldo subito dopo la strage non è certo il primo discorso
di questo genere che ci sia accaduto di ascoltare (e occorre anche
ricordare che il portavoce della comunità ebraica ha subito dichiarato
il proprio disaccordo) ma merita comunque qualche riflessione perché è
il sintomo di un mutamento radicale nella percezione che gli ebrei
europei hanno di sé e del mondo che li circonda. Abbiamo passato
decenni a parlare dei continui pericoli a cui sono sottoposti Israele e
la sua popolazione, a descrivere un piccolo paese circondato da nemici
che necessita del sostegno di tutti coloro che vivono sicuri nel
tranquillo Occidente. Oggi invece tra gli ebrei si sta diffondendo
l’idea che Israele sia un luogo più sicuro dell’Europa; e non solo per
noi ebrei (che sappiamo di non essere davvero al sicuro in nessun luogo
e in nessun tempo, e certamente non nell’Europa del XX e del XXI
secolo), ma per gli europei in generale: in una percezione sempre più
diffusa tra gli ebrei, Israele è più sicuro dell’Europa perché è più
vigile di fronte al terrorismo e ha una lunga esperienza
nell’affrontarlo.
Anna Segre, insegnante
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Doikeyt. Noi stiamo qui ora |
Le
parole del rabbino di Barcellona Meir Bar-Hen pronunciate poco dopo la
strage jihadista che ha colpito la Rambla, per quanto forti ed
emozionali sono in un certo senso legittime e comprensibili, ciò che
forse sfugge è che ad essere sotto attacco non sono soltanto gli ebrei
ma qualunque individuo che vive sul territorio europeo senza
distinzioni di origini o credo religioso. Bisogna poi constatare che
purtroppo non esistono al momento attuale luoghi al mondo totalmente
protetti e immuni dagli attentati e dalla minaccia islamista. Neppure
lo Stato di Israele, con un livello di intelligence e con misure di
sicurezza probabilmente superiori alle nostre, potrebbe rientrare in
questa categoria immaginaria.
Francesco Moises Bassano
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Sul palco con Billy Joel |
La
stella di Davide rappresenta il popolo ebraico sin dalle sue origini. I
valorosi soldati di Re Davide, che combattevano per salvaguardare la
sicurezza all'interno della regione e l'incolumità di chi ci abitava,
la portavano incisa sullo scudo metallico. Due triangoli, uno che punta
verso l'alto e l'altro che punta verso il basso, che si incontrano a
metà strada come per simboleggiare l'incontro che avviene tra Dio e il
popolo ebraico.
David Zebuloni
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